casa – VitAntica https://www.vitantica.net Vita antica, preindustriale e primitiva Thu, 01 Feb 2024 15:10:35 +0000 it-IT hourly 1 La yurta, o ger https://www.vitantica.net/2020/02/17/yurta-ger/ https://www.vitantica.net/2020/02/17/yurta-ger/#respond Mon, 17 Feb 2020 00:18:45 +0000 https://www.vitantica.net/?p=4798 Per condurre uno stile di vita nomade è indispensabile adattarsi ai continui spostamenti del proprio accampamento in base ai ritmi stagionali o alle necessità alimentari del bestiame. I continui smantellamenti e ricostruzioni di abitazioni temporanee costringono a trasportare solo lo stretto indispensabile, per evitare di muovere in continuazione carichi eccessivi che rallenterebbero o renderebbero impossibili gli spostamenti periodici di un popolo non stanziale.

La yurta (in turco), detta anche ger in lingua mongola, è stata pensata per rispondere alle necessità delle popolazioni non sedentarie che hanno come loro territori tradizionali le steppe asiatiche. E’ un rifugio relativamente solido, abbastanza affidabile, sufficientemente veloce da costruire e fondato sul riutilizzo di materiali facilmente ottenibili in natura, come legno e fibre vegetali o animali.

Il successo della yurta

Yurte e ger fanno parte della tradizione asiatica da almeno tremila anni. Secondo le analisi storiche, i nomadi indoeuropei furono i primi ad utilizzare tende molto simili alla yurta in Russia e in Ucraina, ma la prima descrizione scritta di questo tipo di abitazione temporanea fu redatta dallo storico greco Erodoto.

La yurta si rivelò essere il rifugio ideale per popoli nomadi o seminomadi che facevano della pastorizia la loro attività principale. Si tratta di una struttura in grado di ospitare un’intera famiglia, facile da costruire e altrettanto semplice da smontare e da caricare su animali da soma.

Una yurta degna di questo nome può essere smontata in circa un’ora, e costruita in meno di 3 ore, da sole 2-3 persone, fornendo riparo per una famiglia allargata di 5-15 persone.

La ger è in grado di resistere facilmente ai forti venti che si manifestano durante la primavera mongola. La flessibilità risultante dai materiali e dalla tecnica costruttiva fornisce alla struttura un’insospettabile robustezza, anche in presenza di forti precipitazioni nevose che si accumulano sul tetto.

Non essendoci pareti solide, la yurta non è esente da difetti, ma è sufficientemente isolata da riuscire a mantenere l’ambiente interno caldo o fresco in base alla stagione: le steppe mongole raggiungono facilmente i -35°C durante l’inverno, e possono registrare quasi 40°C nell’arco dell’estate.

Please accept YouTube cookies to play this video. By accepting you will be accessing content from YouTube, a service provided by an external third party.

YouTube privacy policy

If you accept this notice, your choice will be saved and the page will refresh.

La yurta ha un forte valore simbolico per i popoli nomadi delle steppe. Anche il solo ingresso nella struttura prevede un rituale tradizionale: occorre entrare con il piede destro facendo attenzione a non calpestare la soglia; una volta all’interno, occorre sedersi immediatamente ed evitare di passare tra i due pilastri centrali (se presenti), che simboleggiano il punto d’incontro tra il cielo e la terra.

Struttura della yurta

La ger è sostanzialmente una tenda circolare munita di un’apertura centrale sul soffitto. Le yurte tradizionali hanno uno scheletro circolare ricoperto da feltro ottenuto dal bestiame su cui si basa la pastorizia mongola, come pecore, capre e yak.

Il legno che compone il telaio è molto difficile da reperire nella steppa, un ambiente notoriamente privo di alberi; il legname viene quindi importato da località boschive tramite lo scambio di prodotti della pastorizia.

La ger mongola dispone di una o più colonne di supporto alla struttura (bagana) e una serie di costole di legno (uni) che formano il telaio portante del tetto. La tenda è tenuta insieme da corde e nastri, aiutati dalla compressione generata dal peso del telaio e della copertura di feltro.

Struttura interna di una ger
Struttura interna di una ger

L’apertura centrale (toono), o corona, viene realizzata in legno ed è simile ad una ruota. Consente al fumo del focolare di uscire e all’aria fresca di circolare all’interno della tenda, ma non causa un’eccessiva dispersione termica, contribuendo a creare un ambiente isolato e libero da fumi nocivi. La corona, inoltre, lascia entrare la luce solare, rendendo superfluo l’uso di illuminazione artificiale durante le ore diurne.

La porta d’ingresso alla yurta viene generalmente orientata verso sud per godere della massima esposizione solare. Il telaio della porta è in legno, talvolta ricoperta da uno strato di feltro che funge da isolante.

Al centro della ger si trova la stufa metallica che fornisce calore al rifugio. Sopra la stufa vengono solitamente appesi i prodotti della pastorizia, come carne salata o affumicata e la tradizionale bevanda di latte di giumenta fermentato (kumis o ajrag)

Le yurte sono tradizionalmente decorate con motivi ornamentali legati al simbolismo religioso mongolo. Le decorazioni più comuni sono quelle legate alla forza, come la khas (svastica) o le “quattro bestie” (leone, tigre, garuda e drago).

I motivi connessi ai cinque elementi naturali sono molto comuni: si ritiene che ogni raffigurazione stilizzata degli elementi possa donare forza o protezione agli abitanti della yurta.

Molto frequenti sono anche i motivi geometrici, spesso presenti alle estremità della yurta: il simbolo “alkhan khee” rappresenta la continua necessità di spostarsi, mentre l’ “ulzii” simboleggia la longevità e la felicità.

Khibitkha

Durante il periodo medievale alcuni esploratori europei documentarono l’osservazione di un particolare tipo di yurta, chiamata khibitkha o ger tergen. Si trattava di tende montate in modo permanente su grossi carri trainati da squadre di buoi.

Guglielmo di Rubruck, missionario fiammingo ed esploratore dell’Asia durante il XIII secolo, registrò nel suo resoconto di viaggio un carro dorato di un’asse largo quanto l’albero maestro di una nave e trainato da 22 buoi.

Khibitkha
Khibitkha

La khibitkha non era alla portata di tutti: la quantità di legno necessaria alla realizzazione del carro e della tenda, e la necessità di avere qualche dozzina di animali da soma dedicati al trasporto di questa struttura rendevano le ger tergen una prerogativa dei capi tribù.

Alcuni individui particolarmente potenti e ricchi potevano permettersi decorazioni degne di un palazzo imperiale: nel XIII secolo il governatore mongolo di Samarcanda, Mas’ud Beg, aveva a disposizione una khibitkha ricoperta da seta e fili d’oro; si narra che il governatore di Khorasan, invece, abitasse in una yurta tenuta insieme da 1.000 chiodi d’oro.

Yurt – National Geographic
What is Mongolia Ger?
YURT AND TINY LIVING TIPS FROM EXPERTS

]]>
https://www.vitantica.net/2020/02/17/yurta-ger/feed/ 0
Antiche strategie per la sopravvivenza invernale https://www.vitantica.net/2019/12/16/antiche-strategie-sopravvivenza-invernale/ https://www.vitantica.net/2019/12/16/antiche-strategie-sopravvivenza-invernale/#respond Mon, 16 Dec 2019 00:08:31 +0000 https://www.vitantica.net/?p=4705 Vivere lungo le rive del Mediterraneo ha indubbi vantaggi: cibo in abbondanza, rotte commerciali marittime sempre a disposizione e una situazione climatica in grado di mitigare il freddo dell’inverno. Ma a latitudini sempre più prossime al Nord, l’essere umano è stato costretto ad escogitare sistemi in grado di proteggerlo dai pericoli invernali.

L’organismo umano, se esposto al gelo, cerca di regolare la temperatura corporea in modo tale che gli organi interni siano sempre in grado di funzionare correttamente. L’ipotermia insorge quando la temperatura interna scende a 35°C o meno: questa circostanza è molto più comune nei Paesi più settentrionali rispetto a quelli che godono di climi più miti, non solo d’inverno ma anche in presenza di vento o forte umidità.

Durante le passate glaciazioni, inoltre, la vasta copertura di ghiaccio che ricopriva buona parte dell’emisfero nord spinse il freddo verso limiti quasi intollerabili, costringendo i nostri antenati a difendersi dal clima rigido sfruttando ogni risorsa a disposizione.

Sopravvivere all’inverno durante i secoli passati richiedeva duro lavoro e una lunga preparazione. Tra le attività di primaria importanza c’erano la conservazione dei prodotti della terra, estivi e autunnali, la raccolta del legname necessario ad alimentare il focolare domestico e la messa all’ingrasso del bestiame, specialmente i maiali.

Pseudo-ibernazione

Sonno

Fino a non molto tempo fa, in Francia e in Russia era usanza dormire svariate ore durante la sezione diurna della giornata. Un documento del 1844 spiega che la maggior parte della gente “spende la giornata a letto, stringendosi l’uno con l’altro per stare caldi e mangiando meno cibo”.

Sulle Alpi era consuetudine dormire con vacche e maiali durante i mesi invernali per sfruttare il calore prodotto dal bestiame, mentre il British Medical Journal riportò agli inizi del 1900 che nella regione russa di Pskov gli abitanti dormivano circa metà giorni dell’anno, alzandosi dal letto solo per mangiare qualche pezzo di pane e badare al focolare.

Dormire nello stesso letto fu una strategia molto comune in tutto il mondo: i bambini dormivano insieme per tenersi al caldo, indossando uno strato aggiuntivo di vestiario adatto a proteggerli dal freddo della notte.

Zuppe e grasso

Timeline e storia del cibo e delle ricette

Durante il Medioevo russo le temperature crollavano così rapidamente col sopraggiungere dell’inverno che era di fatto impossibile lavorare nei campi da fine settembre a inizio febbraio.

I contadini erano in grado di sopravvivere nutrendosi di ciò che avevano raccolto durante i mesi più caldi: granaglie, verdure e frutta erano gli ingredienti più comuni per realizzare zuppe calde, ma venivano impiegati anche formaggi, uova e carne di ogni tipo (se disponibile).

Secondo la teoria umorale, l’umore dominante dell’inverno era il flegma, capace di causare pigrizia e malattie associate al freddo. Il testo del XIV secolo Secretum Secretorum consiglia di consumare fichi, uva, vino rosso e pasti caldi per combattere gli effetti del flegma, e di evitare salassi, lassativi e rapporti sessuali.

Gli alimenti ad elevato contenuto di grasso, grazie al loro apporto energetico, erano l’ideale per i freddi inverni. Il grasso animale, inoltre, poteva essere impiegato come unguento “antigelo”: ricoprendo il corpo di grasso d’orso o d’anatra si respinge l’umidità e si contribuisce a trattenere il calore corporeo.

Diversi tipi di casa
Il wigwam (o wikiup), la capanna dei nativi americani
Il wigwam (o wikiup), la capanna dei nativi americani

Charles Hudson, autore del libro “The Southeastern Indians” (Knoxville: Univ. of Tennessee Press, 1976), sostiene che nonostante le temperature delle Smoky Mountains scendessero sotto lo zero durante l’inverno, i nativi Cherokee indossavano pochi indumenti, ben poco adatti a proteggerli dal gelo.

La loro principale strategia di sopravvivenza durante l’inverno consisteva nella costruzione di residenze estive e case più adatte alla vita invernale, come i wigwam descritti in questo post.

Le case invernali venivano isolate utilizzando corteccia, erba e foglie incastrate in telai di legno resistente alla putrefazione. Nel Massachusetts, ad esempio, i nativi utilizzavano legno di cedro, che impiega da 15 a 20 anni per iniziare a decomporsi se inserito nel terreno, e corteccia estratta dallo stesso albero; in questo modo, la temperatura interna dei wigwam poteva rimanere costantemente sopra i 20 gradi.

Ogni abitazione invernale era dotata di panche ricoperte da stuoie di canne di fiume e pelli animali, e veniva riscaldata da un focolare centrale che distribuiva calore in tutta la struttura.

Il compito di mantenere il fuoco era spesso affidati agli anziani, che generalmente trascorrevano più tempo tra le mura domestiche, ed era un’attività di primaria importanza. “Gli esploratori europei che visitarono queste case invernali si lamentarono del fumo e della scarsa ventilazione, ma queste abitazioni erano in grado di mantenere efficientemente il calore” spiega Hudson. “Una piccola brace manteneva la casa invernale calda come un forno. Sotto i letti si conservavano zucche e altre verdure per proteggerle dal gelo”.

Abbigliamento

Abbigliamento invernale

La fabbricazione di abbigliamento fu uno degli elementi che consentirono l’espansione dell’essere umano verso Nord. Man mano che si spostavano dalle regioni equatoriali, i nostri antenati si trovarono ad affrontare il susseguirsi delle stagioni per la prima volta.

Se in primavera e in estate la natura forniva loro tutto il necessario per sopravvivere, durante l’inverno la disponibilità di cibo calava drasticamente, a tal punto da non consentire ad alcun primate (ad eccezione dell’essere umano) di sopravvivere.

Oltre ad essere forzati ad immagazzinare provviste per la stagione fredda, i nostri antenati furono anche costretti a realizzare indumenti in grado di proteggerli dalle intemperie e dalle basse temperature, specialmente considerando che alcuni dei primi esploratori delle regioni più settentrionali non conoscevano la manipolazione del fuoco.

I primi Sapiens

L’analisi degli antichi insediamenti umani dell’ Età della pietra hanno rivelato una presenza massiccia di ossa appartenute ad animali da pelliccia, come conigli, volpi e visoni. In una cinquantina di siti sono state rinvenute anche ossa di ghiottoni, la cui pelliccia viene ancora oggi utilizzata per realizzare i parka dei popoli artici.

“La pelliccia di ghiottone è la miglior pelliccia naturale per fabbricare i parka” spiega Mark Collard, professore di archeologia all’ Università di Aberdeen. “Fornisce una protezione eccellente contro il vento, ripara bene dalla brina ed è estremamente durevole”.

Gli abiti dei primi Sapiens venivano cuciti utilizzando aghi d’osso e utensili di pietra per raschiare le pelli. L’abbigliamento invernale non solo consentiva di sopravvivere all’inverno, ma anche di rendere più efficiente la caccia: dato che il principale metodo venatorio era l’agguato, un indumento in grado di tenere al caldo si rivelò un oggetto vincente durante i lunghi appostamenti che precedevano l’attacco ad una preda.

Prima dell’età del ferro

Grazie a Ötzi sappiamo come i suoi contemporanei dell’Età del rame si proteggevano dal freddo. L’ abbigliamento di Ötzi è interamente realizzato in pelle, pelliccia e materiale vegetale, materiali cuciti insieme da fibre vegetali o tendini.

La sopravveste di Ötzi lo copriva fino quasi al ginocchio e fu realizzata con pelliccia di capra e di pecora, avendo cura di tenere il pelo rivolto verso l’esterno. I gambali, una sorta di calzoni, sono anch’essi di capra e pecora, con i bordi rinforzati da strisce di pelle; venivano mantenuti in posizione grazie a legacci agganciati alla cintura e una linguetta che li fissava alle calzature.

Le scarpe di Ötzi furono realizzate a strati: la struttura interna era costituita da una rete di fibre di tiglio imbottita con erba secca, per ottenere un discreto isolamento termico. Il rivestimento esterno era in pelle di cervo, mentre la suola fu realizzata con pelliccia rivolta verso l’interno.

Romani

Nell’immaginario collettivo i Romani indossavano sandali e tuniche, un vestiario adatto al clima Mediterraneo ma ben poco efficace nelle regioni periferiche dell’impero. In Gallia o in Gran Bretagna, l’abbigliamento dei Romani era ben differente.

Il primo degli indumenti utilizzati per proteggersi dal freddo era il mantello, che si presentava in due principali varianti: la paenula, un mantello dotato di cappuccio, e il sagum, largo e pesante, capace di trattenere il calore corporeo.

Gli udones (calzini) erano fondamentali per la sopravvivenza nei climi più rigidi e venivano spesso inviati dalle famiglie ai parenti dislocati nelle regioni fredde. I pantaloni, considerati a Roma un indumento barbaro tipicamente indossato da tribù celtiche e germaniche, furono particolarmente apprezzati dai legionari romani in Gallia e in Dacia per la loro capacità di mantenere calde le gambe.

Medioevo

L’abbigliamento invernale di un contadino medievale era semplice: uno strato esterno di lana e indumenti intimi di lino. Lo strato di lino consentiva di tollerare il prurito causato dalla lana a contatto con la pelle e veniva lavato relativamente spesso, contrariamente allo strato esterno.

Il fumo del focolare, grazie alle numerose ore trascorse in casa, permeava gli indumenti di lana, contribuendo a ridurre gli odori molesti della lana non lavata. Se mantenuta con cura, la lana non trattata risulta parzialmente impermeabile, ma finisce inevitabilmente per inzupparsi sotto una pioggia abbondante.

Guanti, mantelli e cappelli di lana erano indumenti abbastanza comuni. Le scarpe erano generalmente prerogativa dei più abbienti, mentre gli stivali di cuoio non erano una rarità. I contadini generalmente non indossavano calzature.

Please accept YouTube cookies to play this video. By accepting you will be accessing content from YouTube, a service provided by an external third party.

YouTube privacy policy

If you accept this notice, your choice will be saved and the page will refresh.

Fonti per “Antiche strategie per la sopravvivenza invernale”:

Surviving Winter in the Middle Ages
Surviving the Winter: Medieval-Style
How Did People Survive the Winter Hundreds of Years Ago?
L’abbigliamento di Ötzi
Ancient Cherokees found protection from the cold
How humans evolved to live in the cold
Early Europeans unwarmed by fire
How Parka jackets saved early humans from the chilly fate of the Neanderthals

]]>
https://www.vitantica.net/2019/12/16/antiche-strategie-sopravvivenza-invernale/feed/ 0
Lo stadel, la casa walser a due piani https://www.vitantica.net/2019/10/16/stadel-casa-walser-a-due-piani/ https://www.vitantica.net/2019/10/16/stadel-casa-walser-a-due-piani/#comments Wed, 16 Oct 2019 00:10:52 +0000 https://www.vitantica.net/?p=4586 A poco meno di due ore da Milano si erge un muro di roccia e natura oltre il quale si aprono valli ricoperte di verde e percorse da mucche, torrenti e cascate. La Valle d’Aosta, una regione poco nominata ma apprezzata da chi ha avuto il piacere di esplorarla, offre panorami mozzafiato e un gruppo di comunità che per interi secoli hanno condotto uno stile di vita difficile ma particolarmente affascinante.

Nel corso del passato weekend sono riuscito ad esplorare una minuscola frazione della Valle del Lys, percorsa dal fiume omonimo lungo il quale si snodano paesini e piccoli agglomerati di case, alcune moderne ma dall’aspetto tipicamente alpino, altre molto più antiche, ma non per questo meno interessanti.

Lo stadel, la tipica casa rurale della cultura Walser, è un edificio curioso e funzionale, nato dall’ingegno e dalla necessità di un popolo costretto a negoziare con una natura spesso ostile.

La comunità Walser

Conosco ben poco la cultura Walser, ma sono così fortunato da avere una compagna cresciuta a Gressoney e che, lentamente, mi sta introducendo alle tipicità della cultura della Valle del Lys.

I Walser parlano il Titsch, una variante del dialetto tedesco meridionale chiamata “altissimo alemanno” presente in tre forme: il titsch di Gressoney-Saint-Jean e La-Trinité, il töitschu di Issime e il titzschu di Alagna Valsesia e Rimella in Valsesia.

Le comunità Walser si stabilirono in Piemonte, Valle d’Aosta e Svizzera nel XIII secolo. Il più antico documento che cita un insediamento Walser risale al 10 maggio 1253 ed è stato redatto nella colonia di Bosco Gurin, nel Canton Ticino.

Please accept YouTube cookies to play this video. By accepting you will be accessing content from YouTube, a service provided by an external third party.

YouTube privacy policy

If you accept this notice, your choice will be saved and the page will refresh.

L’origine della comunità walser viene spiegata sul sito Monterosa4000.it:

“Spinte da ristrettezze economiche e da eccessiva concentrazione di popolazione, intere comunità Walser sin dal 1200 lasciarono la terra d’origine vallese e, attraverso dure e spesso inesplorate vie alpine, si crearono nuove patrie in un’ampia zona che va dalla Savoia francese al Vorarlberg austriaco, quasi sempre ad altitudini superiori ai 1000 metri. […]”

“[…]Le dure condizioni ambientali li costrinsero ad integrare sempre più la loro attività rurale con quella di allevatori che consentiva loro di entrare in commercio con le popolazioni più vicine, offrendo giovani capi di bestiame, oltre agli svariati prodotti della lavorazione del latte.Si tratta di un popolo nel quale sono altissimi il valore della libertà, dell’indipendenza e il senso dell’avventura; anche quando il prezzo da pagare è altissimo[…]”

“[…] La necessità di garantirsi un’alimentazione autonoma (latte, formaggi, carne salata ed essicata all’aria) ed il foraggio per il bestiame, li costrinsero ad una durissima opera di dissodamento del terreno, utilizzando scure e fuoco, ed ottenendo delle radure coltivabili chiamate macchie (Fleche). I walser furono portatori di una cultura del legno molto più avanzata e raffinata di quella delle popolazioni originarie.”

L’abilità dei walser nella lavorazione del legno fu alla base della costruzione dei primi stadel, le case tradizionali della Valle del Lys.

Lo stadel
Stadel walser nella Valle del Lys
Stadel walser nella Valle del Lys. Fonte

I walser erano contadini e allevatori e necessitavano di un’abitazione in grado di proteggere esseri umani e animali in egual modo: senza il bestiame, la sopravvivenza all’isolamento invernale sarebbe stata estremamente difficile.

La stadel risponde alle esigenze pratiche dei walser con un edificio su due livelli isolati l’uno dall’altro. Il piano più basso, in pietra, rappresentava allo stesso tempo la stalla, la residenza “di lavoro”, il locale della stufa e la cucina: le zone destinate alla vita quotidiana umana, chiamate collettivamente “wongade“, erano il cuore dello stadel.

La cucina, chiamata firhus, non era un locale per il soggiorno diurno o notturno, ma una stanza in cui si lavoravano i prodotti caseari, su preparavano le carni o si cucinava il pasto della giornata. La stalla era separata dal wongade da una parete di legno chiamata “läno”, utile a mantenere un certo livello d’igiene pur lasciando filtrare all’interno della casa il calore prodotto dal bestiame.

L’accesso al piano superiore era possibile grazie ad una scala interna. Al primo piano si trovava il fienile e le camere da letto all’interno di una struttura interamente lignea, realizzata con assi di larice unite a incastro.

Il larice è il legno dominante nella stadel: veniva impiegato non solo per realizzare la struttura del piano superiore, ma anche per rivestire il pavimento e le pareti del piano inferiore.

Le camere del primo piano si trovano in corrispondenza del wongade per sfruttare il calore generato dalle attività svolte al piano inferiore e dal bestiame.

Il tetto, dalla struttura portante il legno di larice, era ricoperto da lose di pietra, tegole ottenute da ardesia o altri materiali di natura scistosa (propensi a fratturarsi in lastre).

I “funghi” di supporto
Colonne dalla tipica forma a fungo
Colonne di supporto dello stadel, dalla tipica forma a fungo. Fonte

Il piano superiore e quello inferiore, in un tipico stadel, non si toccano e non condividono pavimento e soffitto, ma sono separati da piccole colonne dalla tipica forma a fungo.

Queste colonne vengono realizzate con legno e pietra: il gambo è costituito da un tronco di legno, mentre il cappello viene ottenuto da un disco di pietra (chiamato “musblatte” in dialetto walser) su cui poggia il primo piano.

Questa separazione aveva due scopi principali: il primo era quello di isolare il fienile e la zona notte per evitare l’infiltrazione di umidità dal piano sottostante; il secondo, invece, era prevenire l’ingresso dei roditori, amanti dei fienili e tipici coinquilini di molte strutture rurali.

Fonti:

Cultura Walser della Valle d’Aosta
Casa walser
La civiltà Walser
Gli stadel, antiche costruzioni walser
Architettura Walser

]]>
https://www.vitantica.net/2019/10/16/stadel-casa-walser-a-due-piani/feed/ 2
Costruire una casa vichinga con utensili manuali: Bushcraft Project https://www.vitantica.net/2019/10/10/costruire-casa-vichinga-utensili-manuali-bushcraft-project/ https://www.vitantica.net/2019/10/10/costruire-casa-vichinga-utensili-manuali-bushcraft-project/#respond Thu, 10 Oct 2019 00:10:55 +0000 https://www.vitantica.net/?p=4577 In questi due video del canale YouTube TA Outdoors vengono riprese le fasi di costruzione di una casa vichinga, dalla lavorazione del legname alla realizzazione del telaio, fino alle fasi di rifinitura.

L’abitazione è stata realizzata utilizzando legname di cedro e utensili tradizionali come ascia, sega e martello. L’intera abitazione poggia su fondamenta costituite da 10 tronchi di cedro trattati con una tecnica ben poco norrena (la Shou-Sugi Ban, o yakisugi, tecnica giapponese per la conservazione del legno) per evitare la decomposizione del legname.

La semplicità della tecnica giapponese rende del tutto probabile che anche i popoli nordici fossero a conoscenza di questo metodo: si tratta di bruciare la superficie dei tronchi per carbonizzarla e renderla più resistente all’acqua.

Il terzo video si concentra sulla costruzione di un focolare a fossa da posizionare all’interno dell’abitazione. Le pietre del focolare sono state fissate utilizzando l’argilla estratta durante gli scavi; al termine del filmato, la casa vichinga inizia a prendere forma, con un focolare centrale e un telaio eretto.

Nella quinta parte i costruttori si dedicano alla realizzazione del tetto sfruttando i vantaggi offerti da un cavalletto da segatura costruito nel video precedente. Dopo aver realizzato il telaio con tronchi impermeabilizzati, si inizia la lavorazione della corteccia di cedro per ottenere tegole con cui rivestire l’esterno dell’abitazione, lavorazione che prosegue nel sesto video.

Nel settimo video i costruttori si prendono una pausa per trascorrere la notte nel rifugio appena terminato e cucinare un pasto norreno: agnello arrostito sulla fiamma viva e pane fresco cotto in una pentola di ferro battuto.

La costruzione della casa vichinga prosegue con la realizzazione di una staccionata perimetrale, finestre di legno e un comignolo per il tetto.

Please accept YouTube cookies to play this video. By accepting you will be accessing content from YouTube, a service provided by an external third party.

YouTube privacy policy

If you accept this notice, your choice will be saved and the page will refresh.

Please accept YouTube cookies to play this video. By accepting you will be accessing content from YouTube, a service provided by an external third party.

YouTube privacy policy

If you accept this notice, your choice will be saved and the page will refresh.

Please accept YouTube cookies to play this video. By accepting you will be accessing content from YouTube, a service provided by an external third party.

YouTube privacy policy

If you accept this notice, your choice will be saved and the page will refresh.

Please accept YouTube cookies to play this video. By accepting you will be accessing content from YouTube, a service provided by an external third party.

YouTube privacy policy

If you accept this notice, your choice will be saved and the page will refresh.

Please accept YouTube cookies to play this video. By accepting you will be accessing content from YouTube, a service provided by an external third party.

YouTube privacy policy

If you accept this notice, your choice will be saved and the page will refresh.

Please accept YouTube cookies to play this video. By accepting you will be accessing content from YouTube, a service provided by an external third party.

YouTube privacy policy

If you accept this notice, your choice will be saved and the page will refresh.

Please accept YouTube cookies to play this video. By accepting you will be accessing content from YouTube, a service provided by an external third party.

YouTube privacy policy

If you accept this notice, your choice will be saved and the page will refresh.

Please accept YouTube cookies to play this video. By accepting you will be accessing content from YouTube, a service provided by an external third party.

YouTube privacy policy

If you accept this notice, your choice will be saved and the page will refresh.

Please accept YouTube cookies to play this video. By accepting you will be accessing content from YouTube, a service provided by an external third party.

YouTube privacy policy

If you accept this notice, your choice will be saved and the page will refresh.

Please accept YouTube cookies to play this video. By accepting you will be accessing content from YouTube, a service provided by an external third party.

YouTube privacy policy

If you accept this notice, your choice will be saved and the page will refresh.

]]>
https://www.vitantica.net/2019/10/10/costruire-casa-vichinga-utensili-manuali-bushcraft-project/feed/ 0
Quinzhee, il rifugio di neve https://www.vitantica.net/2019/08/05/quinzhee-rifugio-di-neve/ https://www.vitantica.net/2019/08/05/quinzhee-rifugio-di-neve/#respond Mon, 05 Aug 2019 00:10:10 +0000 https://www.vitantica.net/?p=4464 L’igloo Inuit non è l’unico rifugio di neve ideato dall’essere umano per proteggersi dal gelo dei climi più estremi. Il quinzhee (o quinzee) è un rifugio di origine canadese meno robusto e resistente di un igloo, ma di più facile realizzazione e in grado di schermare dal freddo e dalle intemperie i suoi occupanti per un periodo limitato di tempo.

Differenze con l’igloo

Un quinzee si distingue dall’igloo per facilità di realizzazione, per l’altezza della struttura e per il tipo di neve utilizzata per la sua costruzione.

L’altezza di un quinzee è generalmente più ridotta rispetto ad un igloo e consente ai suoi occupanti di rimanere sdraiati o seduti, ma non in piedi. Questo aspetto è legato al fatto che questo tipo di rifugio non è costituito da neve solida e compatta, ma da neve fresca e farinosa.

Gli igloo sono concepiti generalmente come abitazioni permanenti o stagionali; necessitano quindi di una struttura solida e robusta in grado di resistere ad ogni condizione atmosferica, specialmente le più feroci tempeste di neve che si manifestano più ci si avvicina al circolo polare artico.

I quinzee invece sono rifugi temporanei, ideati per la sopravvivenza durante situazioni estreme o comunque per brevi periodi. L’estetica e la comodità non sono generalmente elementi di primaria importanza nella costruzione di un quinzhee: si tende a privilegiare la funzionalità e la semplicità costruttiva.

Costruzione di un quinzee

I quinzee vengono solitamente edificati in zone pianeggianti coperte da neve abbondante, a temperature inferiori ai -4 °C. La costruzione di un quinzee in grado di ospitare 3 persone può richiede qualche ora, tempo ripagato dalla protezione dalle intemperie che fornità il rifugio e dalla sua semplicità di costruzione.

Scavo del vano interno di un quinzhee
Scavo del vano interno di un quinzhee

Un quinzee ben costruito è in grado di mantenere una temperatura interna di 0 °C anche quando all’esterno si registrano -40 °C. Realizzando una piccola fossa diretta versa l’uscita del rifugio e ripiani rialzati da utilizzare come letti, l’aria fredda tenderà ad accumularsi nel punto più basso del quinzee, lontana dagli occupanti.

La neve presente sugli strati più superficiali viene polverizzata e mescolata con neve che si trova più in profondità per favorire il processo di sinterizzazione, un trattamento che trasforma materiale polverulento in una massa semi-compatta.

Il primo passo per la costruzione di un quinzee è la creazione di una pila conica di neve, alta 1,5-2 metri e con un diametro alla base di 3-4 metri. L’ammasso di neve viene quindi lasciato compattare per almeno due ore: durante questo periodo, la temperatura e l’umidità della neve faranno in modo che i cristalli di ghiaccio si cementino tra di loro, irrobustendo la struttura.

All’interno della pila di neve verranno successivamente inseriti dei rametti di 30-40 centimetri in modo tale da avere delle guide in grado di indicare dall’interno lo spessore della parete di neve. In questo modo sarà possibile svuotare l’interno della struttura senza assottigliare troppo le pareti: lo spessore minimo per le pareti è di 30 centimetri alla base e 20 centimetri all’estremità superiore.

Please accept YouTube cookies to play this video. By accepting you will be accessing content from YouTube, a service provided by an external third party.

YouTube privacy policy

If you accept this notice, your choice will be saved and the page will refresh.

Lo scavo del vano interno del quinzee diviene più semplice se si è in grado di rimuovere grossi blocchi di neve facendoli slittare all’esterno attraverso una “porta di scavo” temporanea di dimensioni adeguate, che verrà poi sigillata al termine dei lavori. L’ingresso alla struttura sarà garantito dallo scavo di una piccola apertura semicircolare, di dimensioni più ridotte rispetto alla porta di scavo.

La struttura più solida e resistente prevede uno spazio interno modellato a cupola. Sulla cima della cupola è possibile praticare un foro per favorire la circolazione dell’aria, mentre la porta d’accesso può essere coperta da un lembo di tessuto per evitare che l’aria gelida possa insinuarsi nel rifugio.

Per evitare che lo scioglimento della neve possa causare un fastidioso gocciolamento, le pareti interne vengono solitamente levigate sfruttando il semplice calore corporeo delle mani, o con un qualunque strumento di fortuna dalla superficie adatta allo scopo.

Anche se meno resistente di un igloo, la struttura di un quinzee può avere una forza notevole: un rifugio ben costruito ed esposto a temperature inferiori a -12 °C per almeno 16 ore sarebbe in grado di supportare senza cedimenti 3-4 adulti seduti sulla sua sommità.

Rischi e vantaggi del quinzee

La temperatura ambientale rappresenta un elemento di primaria importanza nella stabilità di un quinzee. Temperature superiori al punto di congelamento rendono più veloce lo scioglimento della neve, che inizierà dall’interno per via della calore corporeo emanato dagli occupanti.

Occorrerebbe evitare di costruire un quinzee se le temperature superano i -4 °C per scongiurare il rischio di collassi strutturali. I più grandi rischi di collasso si corrono durante la fase costruttiva, specialmente quella di scavo: lasciar “riposare” la struttura di neve per almeno 2-3 ore prima di svuotarne l’interno la rende meno propensa a cedimenti.

L'interno di un quinzhee
L’interno di un quinzhee

Un quinzee può cedere anche in condizioni climatiche avverse, come la pioggia o venti troppo forti. Il cedimento strutturale pone a serio rischio gli occupanti del rifugio, che rischiano di rimanere soffocati dalla neve fresca.

E’ possibile spendere diverse notti in un quinzee a patto di prendere alcune precauzioni. La superficie interna potrebbe essere lentamente ricoperta da un sottile strato di ghiaccio causato dalle esalazioni emesse dagli occupanti, riducento la ventilazione attraverso le pareti di neve e aumentando il rischio di soffocamento. Una soluzione semplice e comune è quella di rimuovere questo sottile strato di ghiaccio ogni giorno raschiando leggermente la parete interna.

The Quinzhee – How Not to Freeze to Death
How to Build a Quinzhee Snow Shelter

]]>
https://www.vitantica.net/2019/08/05/quinzhee-rifugio-di-neve/feed/ 0
Il wigwam (o wikiup), la capanna dei nativi americani https://www.vitantica.net/2019/05/06/wigwam-wikiup-capanna-nativi-americani/ https://www.vitantica.net/2019/05/06/wigwam-wikiup-capanna-nativi-americani/#respond Mon, 06 May 2019 00:03:50 +0000 https://www.vitantica.net/?p=4089 Quando i primi esseri umani anatomicamente moderni sentirono la necessità di trovare riparo dalle intemperie e dalle minacce dell’ecosistema in cui vivevano, iniziarono a sfruttare ogni risorsa naturale a loro disposizione: anfratti nella roccia, fronde spinose disposte a cerchio, cavità naturali nel terreno e ogni tipo di materiale vegetale e animale a loro disposizione.

Uno dei rifugi più versatili e diffusi in Nord America fu quello che i nativi chiamarono wigwam, wickiup o wetu, una capanna semi-permanente a cupola realizzata con legno, cordame ottenuto da fibre vegetali o animali e qualunque materiale di copertura facilmente ottenibile nell’ecosistema di residenza.

Meno trasportabile del tipi ma più resistente ad ogni evento atmosferico, il wigwam si diffuse rapidamente in tutte le culture cacciatrici-raccoglitrici semi-nomadi perché costituiva un riparo semplice da realizzare e risultava molto efficace contro la maggior parte dei pericoli ambientali.

Struttura del wigwam

La struttura del wigwam è costituita da un telaio di pali di legno flessibili disposti a cupola, e da una copertura di fogliame, erba, corteccia o pelli in grado di rendere impermeabile e termicamente isolato questo tipo di rifugio.

Le caratteristiche costruttive del wigwam variano in base alla cultura, disponibilità di materiali e al clima: i wigwam costruiti in aree desertiche, ad esempio, spesso presentano una copertura solo accennata, data la scarsità di precipitazioni; i wigwam realizzati in regioni più fredde, invece, possono presentare strati di copertura multipli per isolare gli occupanti dal gelo e dalle intemperie.

Wigwam del popolo Ojibwe in una foto del XIX secolo
Wigwam del popolo Ojibwe in una foto del XIX secolo

Il telaio del wigwam viene generalmente realizzato con rami verdi o fusti d’albero sottili lunghi da 3 a 5 metri. La flessibilità è una proprietà meccanica di primaria importanza, senza la quale non è possibile costruire una struttura a cupola resistente e duratura.

I pali vengono piantati verticalmente nel terreno lungo un perimetro circolare del diametro di 3-5 metri e poi incurvati e conficcati nella terra in modo tale da formare un telaio a cupola.

I pali strutturali più lunghi formeranno le arcate che attraverseranno il centro del perimetro circolare, mentre quelli più corti verranno disposti all’esterno.

Per rendere la struttura più resistente, gli archi vengono assicurati tra loro da altri pali flessibili disposti parallelamente al terreno, formando un telaio a griglia in grado di resistere a vento, pioggia e neve.

Una volta terminato il telaio, sarà necessario ricoprire la struttura con erba, fogliame, pelli o corteccia in modo tale da isolarla dall’ambiente esterno.

Stili differenti di wigwam

I wickiup delle culture nordamericane della costa occidentale presentavano notevole varietà in quanto a dimensioni, forme e materiali impiegati per la loro realizzazione.

Wigwam in grado di ospitare un'intera famiglia
Wigwam in grado di ospitare un’intera famiglia

Gli Acjachemen californiani, ad esempio, costruivano rifugi conici sfruttando la flessibilità dei rami di salice e impiegando come copertura stuoie intessute con foglie di tule (Schoenoplectus acutus). Questi wickiup, chiamati localmente kiichas, erano rifugi temporanei utilizzati soltanto per dormire o per trovare riparo in caso di pioggia forte.

Gli apache Chiricahua, invece, costruivano strutture a cupola alte circa 2,5 metri e larghe oltre 2 metri usando arbusti freschi di quercia o di salice disposti a intervalli di 30 centimetri lungo la pianta circolare della capanna.

I pali erano poi legati tra loro con fibre di foglie di yucca e ricoperti da erba; al centro della capanna veniva realizzata un’apertura per lasciar fuoriuscire il fumo prodotto dal focolare interno, mentre l’ingresso era chiuso da una pelle animale sospesa in corrispondenza dell’entrata.

Secondo l’antropologo Morris Opler, il wickiup dei Chiricahua era quasi interamente costruito e gestito dalle donne:

“La donna non solo realizza l’arredo della casa ma è responsabile della costruzione, del mantenimento e della riparazione del rifugio e per la pianificazione di ogni cosa che lo riguardi. Ottiene l’erba e gli arbusti per i letti e li sostituisce quando sono troppo vecchi e secchi”.

Please accept YouTube cookies to play this video. By accepting you will be accessing content from YouTube, a service provided by an external third party.

YouTube privacy policy

If you accept this notice, your choice will be saved and the page will refresh.

Vantaggi del wigwam rispetto al tipi

Il tipico wigwam degli Stati Uniti nord-occidentali ha una superficie a cupola in grado di resistere anche a fenomeni atmosferici violenti.

Il wickiup è più complesso da realizzare rispetto ad un tipi, necessita di più tempo ed è meno trasportabile, elementi non ideali per una cultura che fa del totale nomadismo il suo stile di vita.

Ma per le società semi-nomadi che risiedono in ambienti caratterizzati da eventi atmosferici di una certa rilevanza, il wigwam costituisce il riparo perfetto per un’intera famiglia.

I wigwam potevano assumere forme e dimensioni molto variabili, dipendenti dalle necessità del momento e dalla disponibilità di materiale: dai piccoli wickiup adatti ad ospitare 2-3 persone per la notte fino a grandi wigwam in grado di accogliere un’intera famiglia allargata composta da oltre una dozzina di individui.

Quando un wigwam o un wickiup terminavano la loro “vita operativa” venivano semplicemente abbandonati o dati alle fiamme; trovata una nuova località più adatta ad accamparsi, venivano facilmente ricostruiti in una giornata di lavoro con la collaborazione dell’intera famiglia o della tribù d’appartenenza.

 

]]>
https://www.vitantica.net/2019/05/06/wigwam-wikiup-capanna-nativi-americani/feed/ 0
Primitive Technology: capanna circolare https://www.vitantica.net/2018/11/13/primitive-technology-capanna-circolare/ https://www.vitantica.net/2018/11/13/primitive-technology-capanna-circolare/#respond Tue, 13 Nov 2018 00:08:45 +0000 https://www.vitantica.net/?p=2678 Ancora una volta il canale YouTube Primitive Technology mostra qualcosa di interessante: come costruire una capanna dalla base circolare.

John Plant ha costruito una capanna rotonda sfruttando foglie di palma e dotandola di pareti di fango, per sostituire la capanna costruita in precedenza, danneggiata a causa di piogge torrenziali e di elementi di design che l’autore definisce “scadenti per le condizioni umide del territorio”.

La paglia era marcita, larve d’insetti e muffe avevano iniziato a prendere il sopravvento mangiando letteralmente la materia vegetale che costituiva la copertura della capanna.

La nuova capanna è stata posizionata in una radura per godere del vantaggio di una maggiore esposizione alla luce solare. Il diametro della capanna è 3 metri ed è stato delineato con 12 pali di legno piantati nel terreno per una profondità di 50 centimetri, sufficiente a resistere alla violenza del vento e delle forti piogge.

Una serie di travi è stata poi legata intorno al perimetro, sulla cima dei pali di sostegno, posizionando successivamente il telaio della copertura conica della capanna. Utilizzando centinaia di foglie di palma, John ha creato un tetto sovrapponendo le fronte dal basso verso l’alto, per evitare infiltrazioni di pioggia.

Il passo successivo è stato quello di dotare la capanna di un telaio di canne in grado di sostenere pareti di fango. Attorno alla struttura è stato scavato un canale di drenaggio per allontanare l’acqua che scende dal tetto.

Please accept YouTube cookies to play this video. By accepting you will be accessing content from YouTube, a service provided by an external third party.

YouTube privacy policy

If you accept this notice, your choice will be saved and the page will refresh.

]]>
https://www.vitantica.net/2018/11/13/primitive-technology-capanna-circolare/feed/ 0
Case a fossa riutilizzate per oltre 1.000 anni durante l’Età della Pietra https://www.vitantica.net/2018/01/23/case-a-fossa-eta-della-pietra/ https://www.vitantica.net/2018/01/23/case-a-fossa-eta-della-pietra/#respond Tue, 23 Jan 2018 02:00:35 +0000 https://www.vitantica.net/?p=1287 Quando si pensa agli esseri umani dell’Età della Pietra si tende ad immaginarli seminudi, intenti a costruire armi di selce di fronte ad un fuoco da campo e riparati dalle pareti di roccia di una caverna. La verità è che gli uomini del tempo erano simili a noi in tutto e per tutto: indossavano abiti complessi, avevano rituali sociali e religiosi articolati e vivevano in tende, capanne di legno o case di terra (case a fossa) che tendevano a mantenere e a riutilizzare anche per un intero millennio.

Case utilizzate per secoli

L’archeologo norvegese Silje Fretheim del Dipartimento di Archeologia e Storia Culturale alla Norwegian University of Science and Technology ha scoperto che molti rifugi e case del Mesolitico, spesso realizzate con legna e strati isolanti di terra, sono stati abitati per oltre 1.000 anni con intervalli di 40-50 anni prima del loro riutilizzo. “Pochi edifici esistenti sono sopravvissuti per 1.000 anni. L’utilizzo per un tempo così lungo ci dice che c’era una ragione valida per mantenere queste abitazioni” spiega Fretheim.

Il Mesolitico norvegese durò per quasi 5.500 anni: la Norvegia era inizialmente abitata da clan di cacciatori-raccoglitori nomadi che nell’arco dei secoli diventarono sempre più sedentari, passando da tende in pelle d’animale ad abitazioni più permanenti.

“Ho figli che vanno a scuola e ho scoperto che la maggior parte degli istituti insegna ancora che i popoli dell’Età della Pietra vivevano nelle caverne. Non lo facevano” afferma Fretheim.

Sito archeologico e "cerchio da tenda"
Sito archeologico e “cerchio da tenda” presso Mohalsen, Norvegia, risalente a circa 10.000 anni fa. Photo: Hein B. Bjerck

L’archeologo e il suo team hanno analizzato 150 siti risalenti al Mesolitico, molti dei quali straordinariamente ben conservati grazie al clima nordeuropeo. “In altre parti del mondo, i resti di case dell’ Età della Pietra e le tracce lasciate dai loro abitanti sono sepolti sotto i campi coltivati moderni, o si trovano sott’acqua perché il terreno vicino alla costa affondò dopo l’ultima era glaciale.”

“In Norvegia comunque” continua il ricercatore, “i resti del Mesolitico sono in ottimo stato perché le aree attorno alla costa si sono invece sollevate dopo la scomparsa del ghiaccio. Un’altra ragione è il fatto che l’agricoltura in Norvegia è stata meno intensiva e non ha coperto le tracce dell’Età della Pietra”.

I rifugi del Mesolitico più mobili, come le tende, hanno lasciato quelli che vengono definiti “anelli da tenda”, anelli di pietre posizionati attorno alle pelli animali del rifugio per evitare che svolazzassero al vento.

Dalle tende alle case permanenti: case a fossa

Queste aree tendono a contenere anche una discreta concentrazione di rifiuti e artefatti prodotti dalle attività umane. “L’area di questi ripari ricopriva una superficie dai 5 ai 10 metri quadrati, elemento che potrebbe indicare che i nuclei familiari si spostassero assieme alle loro tende” spiega Fretheim.

9.500 anni fa iniziò tuttavia una rivoluzione nelle soluzioni abitative: con il ritiro progressivo dei ghiacci le case si fanno più grandi e permanenti e le tende vengono gradualmente sostituite da quelle che vengono definite “case a fossa”, abitazioni scavate nel terreno con le pareti ricoperte da terra che diventarono il principale tipo di casa utilizzato durante il Neolitico nordeuropeo. “Diverse famiglie vivevano assieme o forse diversi team di caccia condividevano le stesse case” sostiene Fretheim.

Please accept YouTube cookies to play this video. By accepting you will be accessing content from YouTube, a service provided by an external third party.

YouTube privacy policy

If you accept this notice, your choice will be saved and the page will refresh.

Le case a fossa erano una soluzione abitativa di nuova concezione (con esempi in ogni parte del mondo) che forniva nuove possibilità:

  • Il telaio poteva essere realizzato con qualunque materiale di recupero, dal legno alle ossa di mammut;
  • Le pareti ricoperte di terra fornivano un’ottimo isolamento termico durante l’inverno e mantenevano il fresco in estate;
  • Le dimensioni superiori a quelle di una tenda (spesso hanno un diametro superiore ai 3,5 metri) consentivano di ospitare diverse persone e una discreta quantità di oggetti d’uso quotidiano;
  • Potevano essere utilizzate anche per conservare alcuni alimenti (erano il classico “luogo fresco e asciutto”) o per svolgere cerimonie e rituali;
  • Il focolare centrale permetteva di svolgere molte attività quotidiane all’interno, lontano dal gelo esterno;
  • Anche se meno trasportabili di una tenda, erano relativamente veloci da costruire e semplici da manutenere.

Secondo l’archeologo, man mano che il clima e il livello dei mari si stabilizzavano e che la foresta occupava la superficie ricoperta in precedenza dal ghiaccio, i cacciatori-raccoglitori dell’epoca iniziarono a localizzare le zone che ospitavano le migliori risorse alimentari o di materiali, riducendo la necessità di lunghi inseguimenti delle prede o estenuanti appostamenti per la pesca.

Gli abitanti della regione iniziarono a insediarsi sempre più stabilmente in aree ricche di selvaggina e fonti alimentari spontanee, creando la necessità di abitazioni permanenti e riutilizzabili anche a distanza di decadi.

“Gli oggetti fisici creati dall’essere umano continuano ad avere effetti sulle persone e sui paesaggi anche dopo molto tempo. Le case a fossa furono le prime tracce visibili lasciate sul paesaggio, per cui la gente le riconosceva e sceglieva di ricostruire in questi siti invece che occuparne di nuovi. Le persone diventarono sempre più sedentarie e connesse a quelle che a loro sembravano ottime località in cui trascorrere la loro vita”.

Houses reused for over 1000 years during Stone Age

]]>
https://www.vitantica.net/2018/01/23/case-a-fossa-eta-della-pietra/feed/ 0