Lavorazione di pietra, osso e legno – VitAntica https://www.vitantica.net Vita antica, preindustriale e primitiva Thu, 01 Feb 2024 15:10:35 +0000 it-IT hourly 1 Video: costruire un arco da legno di scarsa qualità https://www.vitantica.net/2020/10/31/costruire-arco-legno-scarsa-qualita/ https://www.vitantica.net/2020/10/31/costruire-arco-legno-scarsa-qualita/#respond Sat, 31 Oct 2020 00:10:04 +0000 http://www.vitantica.net/?p=4888 La costruzione di un arco funzionale richiede un primo passaggio fondamentale: la selezione del legname. Tasso, quercia, noce, osage, ginepro, frassino e olmo sono generalmente materiali di prima scelta per la fabbricazione di un arco efficace, veloce e duraturo; l’esperienza millenaria accumulata dai costruttori di archi di tutto il mondo insegna che occorre trovare il giusto compromesso tra durezza ed elasticità.

I materiali più adatti alla costruzione di un arco non sono sempre facilmente disponibili: in molte regioni d’Europa, ad esempio, il tasso è un albero protetto; l’osage orange o il noce americano non sono legnami a buon mercato e devono generalmente attraversare l’Atlantico per raggiungere il Vecchio Continente.

E’ possibile fabbricare un arco sufficientemente potente da cacciare animali di media o grossa taglia usando legname di seconda o terza scelta, come quello reperibile nei più comuni centri del “fai da te”?

Per esperienza personale, posso dire che si, è possibile. Occorre prestare attenzione alla direzione delle fibre del legno e spendere un po’ di tempo a cercare la qualità di legno adatta, ma con l’aiuto di un materiale sintetico e molto comune come la fibra di vetro si può ottenere un’arma relativamente veloce e performante.

Il canale YouTube Kramer Ammons ha pubblicato nel dicembre 2019 una guida pratica e chiara per realizzare un arco utilizzando legname comune e fogli di fibra di vetro. La fibra di vetro sostituisce l’applicazione di materiali di origine naturale, come il tendine animale, utilizzati per aumentare la resistenza alla rottura e la potenza degli archi tradizionali.

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Sia chiaro, nulla può sostituire il tipo di legno che da millenni viene impiegato per la costruzione di archi. Il tasso, ad esempio, per quanto non propriamente duro (è considerato il più duro tra i legni morbidi), ha una struttura a strati in cui il durame scuro e l’alburno biancastro sono distintamente separati, e le fibre corrono longitudinalmente per tutto il tronco senza curvature eccessive, aspetti che ne facilitano la lavorazione e non costringono a “seguire gli anelli” come altro legname costringe a fare.

Ma costruire un arco con legno di scarsa qualità è possibile. E’ stato fatto innumerevoli volte (il sottoscritto ne ha realizzati due partendo da materiali non propriamente adatti) e, talvolta, la qualità e l’efficacia di un’arma di questo genere può davvero sorprendere.

BOW WOODS (FROM A MATHEMATICAL PERSPECTIVE)

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Il kit di sopravvivenza delle popolazioni dell’Artide https://www.vitantica.net/2020/06/08/kit-sopravvivenza-popolazioni-artide/ https://www.vitantica.net/2020/06/08/kit-sopravvivenza-popolazioni-artide/#respond Mon, 08 Jun 2020 00:12:35 +0000 http://www.vitantica.net/?p=4905 Per giugno 2020 avevo previsto un breve weekend a Londra per una visita al British Museum in occasione della mostra “Arctic“, un’esposizione incentrata sugli stili di vita tradizionali dei popoli che vivono nei pressi del circolo polare artico. Per ragioni legate al coronavirus questo viaggio è stato rimandato a data indefinita, se non del tutto annullato, ma il sito del British Museum ha reso disponibile una raccolta di foto e informazioni relativi alla mostra, come l’articolo “10 things you need to live in the Arctic“.

Cosa serve per sopravvivere all’ecosistema artico? Le popolazioni che tradizionalmente occupano le regioni più fredde del pianeta sono eccellenti nello sfruttare i pochi materiali naturali a loro disposizione per realizzare oggetti fondamentali per la sopravvivenza nella tundra o tra i ghiacci polari, come indumenti e utensili.

Stivali
Stivali Gwich'in in pelle d'alce, renna e castoro, cuciti con cotone e tendine e decorati con perle di vetro.
Stivali Gwich’in in pelle d’alce, renna e castoro, cuciti con cotone e tendine e decorati con perle di vetro.

Un buon paio di stivali è fondamentale per la sopravvivenza nell’Artico, non solo per tenere al caldo le estremità inferiori, ma anche per facilitare l’attraversamento di ghiaccio o di spesse coltri di neve.

Il popolo Gwich’in, che vive tra il Canada e l’Alaska, realizza splendidi stivali dalla pelliccia di castoro e di caribù, decorandoli con piccole perline ottenute da piccole pietre, vetro o conchiglie. Le suole degli stivali sono invece realizzate in pelle d’alce affumicata, un trattamento che la rende spessa, resistente e simile al velluto.

Gli Inuit, gli Inupiat e gli Yupic fabbricano da secoli i mukluks (o kamik), stivali soffici in pelle di renna o di foca tenuti insieme da filamenti di tendine animale, un materiale particolarmente resistente e adatto al clima artico.

Questi stivali rappresentavano lo strato intermedio della calzatura: sotto di essi si trovava uno strato di pelliccia, con il pelo rivolto verso l’interno per migliorare l’isolamento termico, mentre il piede veniva rivestito esternamente da una soletta semi-rigida in pelle conciata e affumicata.

Occhiali da neve
Occhiali da neve in poelle di renna, metallo e perle di vetro e uranio, realizzati in Russia prima del 1879.
Occhiali da neve in pelle di renna, metallo e perle di vetro e uranio, realizzati in Russia prima del 1879.

Uno dei pericoli più sottovalutati durante le escursioni tra il ghiaccio o la neve è l’esposizione alla luce solare. La cecità da neve è una patologia che si sviluppa a seguito dell’esposizione prolungata della cornea alla luce ultravioletta riflessa dai cristalli di ghiaccio.

Gli occhi iniziano a lacrimare senza sosta, il dolore nella zona oculare diventa persistente e si può arrivare alla cecità totale momentanea. I sintomi di solito non sono permanenti: dolore e cecità possono svanire entro una o due settimane, a patto di evitare ulteriore esposizione alla luce ultravioletta.

I Dolgan della Russia settentrionale e centrale fabbricano occhiali da neve in pelle di renna. Pur essendo privi di lenti ottiche, offrono una semplice ma efficace protezione per gli occhi: le fessure limitano l’ingresso dei raggi ultravioletti ma garantiscono un buon grado di visibilità.

Parka
Parka per bambino in cotone e pelli di topo muschiato, ghiottone, castoro e lontra.
Parka per bambino in cotone e pelli di topo muschiato, ghiottone, castoro e lontra.

L’abbigliamento necessario nelle regioni artiche deve essere resistente all’usura, isolante ma allo stesso tempo traspirante, per evitare che si formi della pericolosa umidità tra gli indumenti e il corpo umano. L’umidità condensata abbassa la temperatura corporea, condizione non ideale in un ecosistema in cui il calore è raro ed estremamente prezioso.

I parka, eskimo o anorak sono originari delle popolazioni Inuit, Inupiat e Yupik e venivano generalmente realizzati con pelli di renna o di foca, materiali che ancora oggi sono competitivi, in quanto a resistenza e isolamento termico, con i tessuti più moderni.

Alcuni parka, anche se non molto efficienti nell’ isolamento termico, erano completamente impermeabili: il materiale con cui venivano realizzati, interiora di foca, è totalmente idrorepellente, offre una buona protezione dall’umidità atmosferica e costituisce una barriera invalicabile per le zanzare che popolano l’estate della tundra.

Slitte
Slitta groenlandese del 1818, in osso, avorio, legno e pelle di foca.
Slitta groenlandese del 1818, in osso, avorio, legno e pelle di foca.

Viaggiare sulla neve o sul ghiaccio è faticoso e pericoloso. Le popolazioni nomadi o seminomadi, inoltre, devono muovere grandi quantità di materiale durante i loro spostamenti stagionali: cibo, tende, utensili e indumenti non possono essere trasportati su lunghe distanze con la sola forza di braccia e gambe.

Dopo aver compreso che più la superficie a contatto con la neve o il ghiaccio è estesa, più si ottiene stabilità e movimento fluido, i popoli dell’Artico iniziarono a realizzare slitte capaci di coprire distanze notevoli scivolando sulle superfici che il piede umano affronta con difficoltà.

Per le loro slitte i popoli artici sfruttavano ogni materiale a loro disposizione: ossa di animali marini o terrestri per il telaio, tendine, cuoio o fibre vegetali per il cordame, e pelle di foca per creare una copertura isolante.

Aghi
Aghi d'avorio dellla prima metà del 1800, Yupiit o Inupiat.
Aghi d’avorio dellla prima metà del 1800, Yupiit o Inupiat.

Gli Inuit e le popolazioni dell’Artico sono abili costruttori di meravigliosi aghi d’osso e di legno, con i quali possono riparare tende, indumenti e oggetti di varia natura. Gli aghi d’osso e di legno, per la natura stesse del materiale da cui vengono realizzati, non hanno le dimensioni e le caratteristiche meccaniche degli aghi moderni, ma sono incredibilmente efficaci.

Gli aghi sono utensili utilissimi per la vita quotidiana dei popoli artici: parka, stivali, canoe e tende (come i tupiq Inuit) richiedevano l’impiego di fibre resistenti (come il tendine) e di strumenti in grado di perforare con facilità cuoio e pelliccia.

Ottenere un ago efficace da un osso è un’operazione lunga e tediosa; gli aghi erano quindi beni preziosi, e venivano conservati in appositi contenitori generalmente portati sulla cintura, per essere pronti all’uso e limitare la possibilità di perderli.

Ulu e coltelli
Ulu in rame e corno realizzato in Canada prima del 1835.
Ulu in rame e corno realizzato in Canada prima del 1835.

Per gli Inuit e gli Yupik, l’ ulu non è un semplice coltello, ma un utensile multiuso impiegato per recidere, per la pulizia delle pelli, per il taglio dei capelli o per rifinire blocchi di neve in assenza di un vero e proprio coltello da ghiaccio.

Gli ulu moderni sono in acciaio, ma la lama veniva anticamente realizzata con corno di renna o avorio di tricheco. Il tipico ulu ha dimensioni che variano in base all’impiego a cui è destinato: gli ulu più piccoli (circa 5 centimetri di lunghezza della lama) sono utilizzati per il taglio dei tendini o per la decorazione della pelle, mentre quelli più grandi trovano molteplici applicazioni nella vita quotidiana degli Inuit.

Nelle regioni artiche in cui veniva praticata la metallurgia, il coltello rappresentava l’utensile di prima scelta per la maggior parte delle attività quotidiane. Gli allevatori di renne lo usavano per castrare o macellare i loro animali, per marchiare le orecchie dei capi di bestiame in modo da riconoscerli, per incidere il legno e, se necessario, per la difesa personale.

Utensili da cucina
Bollitore inuit in pietra, realizzato in Canada all'inizio del 1900.
Bollitore inuit in pietra, realizzato in Canada all’inizio del 1900.

Buona parte della dieta dei popoli artici è composta da nutrienti di origine animale. Alcuni possono essere consumati crudi, altri invece necessitano di cottura prima di essere ingeriti. Anche alcune delle poche fonti vegetali di nutrienti, come erbe, tuberi, bacche e alghe necessitano di cottura per risultare commestibili o gradevoli al palato.

La cottura non consisteva esclusivamente nell’esposizione degli alimenti alla fiamma vita: gli Inuit utilizzavano bollitori di roccia metamorfica, blocchi di pietra che venivano scavati con pazienza e perizia per consentire la bollitura di cibo e acqua.

10 things you need to live in the Arctic

Eskimo Lamps and Pots

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Boomerang e bastoni da lancio https://www.vitantica.net/2020/04/06/boomerang-bastoni-da-lancio/ https://www.vitantica.net/2020/04/06/boomerang-bastoni-da-lancio/#respond Mon, 06 Apr 2020 00:10:48 +0000 https://www.vitantica.net/?p=4826 Avete mai giocato con un boomerang quando eravate ragazzini? Se vi siete limitati ad acquistare un boomerang giocattolo di scarsa qualità, senza alcuna dedizione alle più comuni tecniche di lancio, potete facilmente immaginare la delusione di un ragazzino che non vede tornare tra le mani un’arma che ha visto volare in cerchio centinaia di volte in televisione, al cinema e nei fumetti.

Potrebbe sorprendervi sapere che l’antico boomerang era, in realtà, un’ arma da caccia discretamente efficace e inizialmente non progettata per seguire una traiettoria aerea quasi circolare. I boomerang moderni, invece, ben poco hanno a che fare con i bastoni da lancio delle culture semi-primitive dedite alla caccia.

L’origine del boomerang

L’origine del termine “boomerang” è incerta: secondo alcune fonti deriverebbe dal termine aborigeno “wo-mur-rang“, riportato in un documento risalente al 1798. La prima osservazione documentata di un boomerang da parte di un europeo risale al 1804, in occasione di una schermaglia tribale nei pressi di Farm Cove.

I Turuwal (o Tharawal) usano il termine “bou-mar-rang” per descrivere i loro bastoni da lancio, specialmente quelli dotati di particolari caratteristiche aerodinamiche che li rendono capaci di tornare verso il lanciatore; il capitano Cook, nel 1770, storpiò il termine Turuwal definendo l’arma come “boomerang”.

L’idea alla base del boomerang non è proprietà esclusiva degli aborigeni australiani. Quasi ogni cultura primitiva e semi-primitiva realizzò una sua personale versione del bastone da lancio, dalle proprietà aerodinamiche specifiche dipendenti dal suo utilizzo pratico.

Le mazze e i bastoni da lancio, ad esempio, vengono generalmente utilizzati per cacciare selvaggina di piccola taglia, come lepri e conigli, da distanze ravvicinate. La traiettoria ideale di queste armi è generalmente orizzontale al terreno: vengono lanciate imprimendo una rotazione attorno all’asse d’equilibrio del bastone, per sfruttare la piccola portanza generata dal movimento circolare e aumentare l’energia cinetica della testa dell’arma.

Evoluzione del boomerang dal bastone da lancio (Bryan Cranstone)
Evoluzione del boomerang dal bastone da lancio (Bryan Cranstone)

Nel caso del boomerang da caccia nella sua morfologia tipica a “L”, si tratta di un’arma dalle particolari proprietà aerodinamiche e destinata ad un uso specifico. Le pitture rupestri nella regione di Kimberly mostrano che gli aborigeni di 50.000 anni fa utilizzavano grandi e pesanti bastoni da lancio per uccidere piccoli canguri, boomerang (o meglio, “kylie“) dalla vaga forma a mezzaluna che molto probabilmente non erano progettati per tornare verso il proprietario.

Gli aborigeni usano il termine “kylie” per indicare un bastone da lancio molto simile al boomerang utilizzato per la caccia e per il combattimento. I kylie volano seguendo una traiettoria rettilinea e sono generalmente molto più grandi rispetto ai boomerang tradizionali: possono raggiungere i 180 centimetri di lunghezza e volare per grandi distanze, ferendo o uccidendo animali ed esseri umani incontrati lungo il suo percorso aereo.

Non sappiamo come sia stata ideata la classica forma ricurva del boomerang, ma i costruttori moderni ritengono che si sia trattata di un’evoluzione del bastone da lancio, arma ancora oggi usata dagli aborigeni australiani e nella caccia tradizionale Navajo.

L’origine del boomerang in grado di seguire un percorso di ritorno potrebbe essere invece legata al perfezionamento dei boomerang da caccia, difficili da bilanciare e da costruire; durante la lavorazione dell’arma, un costruttore potrebbe aver scoperto configurazioni aerodinamiche in grado di farla tornare verso il lanciatore se scagliata con la giusta tecnica.

Boomerang non australiani

Il più antico boomerang australiano è stato scoperto nella Palude Wyrie e risale a circa 12.000 anni fa, ma armi dalla morfologia simile sono state trovate anche in Europa, in Egitto e in Nord America.

Ci sono prove archeologiche che lasciano supporre che i nativi americani di California e Arizona utilizzassero bastoni da lancio del tutto simili ai boomerang australiani per la caccia di piccola selvaggina.

Alcuni esemplari di boomerang egizi (e probabilmente nordamericani) erano progettati per tornare nella direzione del lanciatore. Il faraone Tutankhamun possedeva una collezione di boomerang di diverso tipo, alcuni in grado di seguire una traiettoria rettilinea mentre alti progettati per tornare indietro.

Quattro esemplari di boomerang dalla collezione scoperta nel corredo funebre di Tutankhamon
Quattro esemplari di boomerang dalla collezione scoperta nel corredo funebre di Tutankhamon

Nel 1883 il fondatore del Pitt Rivers Museum, il luogotenente Pitt Rivers, pubblicò sulla rivista Journal of the Anthropological Institute of Great Britain and Ireland una ricerca che analizzava le affinità tra i boomerang australiani e alcuni esemplari egizi risalenti a circa 5.000 anni fa, come un boomerang in zanna d’ippopotamo.

Pitt Rivers concludeva la sua analisi affermando che “il boomerang egizio non è un semplice bastone ricurvo, ma un vero boomerang piatto. E’ ciò che chiamo terzo stadio di sviluppo, e la sua affinità al boomerang australiano è più rilevante di quanto si pensasse“.

Il più antico boomerang europeo è stato trovato nelle Caverne di Oblazowa, Polonia: si trattava dell’evoluzione di un tradizionale bastone da lancio in zanne di mammut e si ritiene che possa essere vecchio di 30.000 anni. In Olanda, invece, sono stati riportati alla luce boomerang risalenti al I secolo a.C. nei pressi di Vlaardingen e Velsen.

Il valari è un’arma da lancio metallica simile al boomerang utilizzata nel subcontinente indiano per proteggere le mandrie dai predatori, ma è stata anche impiegata in guerra o come arma da caccia.

Il valari è l’arma preferita nella caccia al cervo e sembra essere ancora più antica del boomerang australiano, anche se condivide con esso alcune caratteristiche. Alcuni valari tornano verso il lanciatore, ma la maggior parte veniva impiegato come semplice arma da lancio.

Il boomerang da caccia

Il boomerang da caccia, o kylie, di molte comunità aborigene australiane non torna indietro. E’ stato progettato per colpire prede di diversa natura, da canguri a piccoli volatili; generalmente è un’arma che pesa circa 1-2 chili o più e che può fratturare ossa alla distanza di quasi 100 metri.

La distanza utile per il lancio è di gran lunga inferiore, ma un boomerang da caccia lanciato orizzontalmente vola per una distanza considerevole seguendo una linea retta e può menomare seriamente un animale di taglia medio-piccola.

Antico boomerang egizio simile ad un kylie australiano
Antico boomerang egizio simile ad un kylie australiano

Alcuni boomerang da caccia sono dotati di speroni o uncini e vengono utilizzati per l’abbattimento di bersagli multipli, scagliandoli nel mezzo di uno stormo di uccelli molto denso.

Non è del tutto esatto affermare che i boomerang da caccia siano esclusivamente armi da lancio che non tornano dal loro proprietario. I boomerang in grado di seguire una traiettoria quasi circolare (più precisamente, “a goccia”) hanno trovato impiego come diversivo utile alle attività di caccia: lanciati appena sopra l’erba alta, spaventano gli uccelli nascosti tra la vegetazione e li indirizzano verso reti da cattura posizionate in punti strategici.

Il volo del boomerang

Cosa rende i boomerang più efficienti nel volo di un semplice bastone da lancio? In primo luogo, il loro profilo: i boomerang a “L” o a mezzaluna sono progettati per avere un profilo aerodinamico che ricorda molto da vicino quello delle ali di un moderno aeroplano.

Il profilo alare di un boomerang genera portanza e gli consente di ruotare attorno ad un asse centrale, rotazione che causa ulteriore portanza e gli consente di mantenere una traiettoria di volo stabile e per lo più prevedibile anche su lunghe distanze.

Le ali di un boomerang sono realizzate in modo tale che le parti più sottili (quelle che fendono l’aria) siano orientate verso la direzione del volo. I boomerang, in effetti, ricordano molto le pale di un elicottero: inclinandole nel modo corretto, possono non solo generare portanza, ma anche una spinta orizzontale che aggiunge velocità ed energia cinetica al velivolo.

Traiettoria di volo del boomerang
Traiettoria di volo del boomerang

Modificando il profilo di una o di entrambe le estremità del boomerang, e giocando sul loro peso, è possibile alterare la sua traiettoria in volo fino ad ottenere un percorso ellittico, o un volo rettilineo e parallelo al terreno nel caso dei boomerang da caccia, per i quali sono necessarie precisione, velocità e potenza.

Un boomerang da ritorno segue generalmente un percorso che inizialmente lo fa viaggiare parallelamente al terreno, per poi iniziare ad ascendere gentilmente mentre la sua traiettoria di volo inizia a curvare. A quel punto, il boomerang inizierà la discesa fino a mantenersi nuovamente parallelo al suolo; se non afferrato, proseguirà il suo volo seguendo un percorso a spirale che lo farà cadere a terra.

Boomerang
How the Throwing Wood and the Boomerang Developed
Aerodynamics of Boomerang
The Non Australian Boomerang
Tutankhamun’s Treasures – Boomerangs

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La yurta, o ger https://www.vitantica.net/2020/02/17/yurta-ger/ https://www.vitantica.net/2020/02/17/yurta-ger/#respond Mon, 17 Feb 2020 00:18:45 +0000 https://www.vitantica.net/?p=4798 Per condurre uno stile di vita nomade è indispensabile adattarsi ai continui spostamenti del proprio accampamento in base ai ritmi stagionali o alle necessità alimentari del bestiame. I continui smantellamenti e ricostruzioni di abitazioni temporanee costringono a trasportare solo lo stretto indispensabile, per evitare di muovere in continuazione carichi eccessivi che rallenterebbero o renderebbero impossibili gli spostamenti periodici di un popolo non stanziale.

La yurta (in turco), detta anche ger in lingua mongola, è stata pensata per rispondere alle necessità delle popolazioni non sedentarie che hanno come loro territori tradizionali le steppe asiatiche. E’ un rifugio relativamente solido, abbastanza affidabile, sufficientemente veloce da costruire e fondato sul riutilizzo di materiali facilmente ottenibili in natura, come legno e fibre vegetali o animali.

Il successo della yurta

Yurte e ger fanno parte della tradizione asiatica da almeno tremila anni. Secondo le analisi storiche, i nomadi indoeuropei furono i primi ad utilizzare tende molto simili alla yurta in Russia e in Ucraina, ma la prima descrizione scritta di questo tipo di abitazione temporanea fu redatta dallo storico greco Erodoto.

La yurta si rivelò essere il rifugio ideale per popoli nomadi o seminomadi che facevano della pastorizia la loro attività principale. Si tratta di una struttura in grado di ospitare un’intera famiglia, facile da costruire e altrettanto semplice da smontare e da caricare su animali da soma.

Una yurta degna di questo nome può essere smontata in circa un’ora, e costruita in meno di 3 ore, da sole 2-3 persone, fornendo riparo per una famiglia allargata di 5-15 persone.

La ger è in grado di resistere facilmente ai forti venti che si manifestano durante la primavera mongola. La flessibilità risultante dai materiali e dalla tecnica costruttiva fornisce alla struttura un’insospettabile robustezza, anche in presenza di forti precipitazioni nevose che si accumulano sul tetto.

Non essendoci pareti solide, la yurta non è esente da difetti, ma è sufficientemente isolata da riuscire a mantenere l’ambiente interno caldo o fresco in base alla stagione: le steppe mongole raggiungono facilmente i -35°C durante l’inverno, e possono registrare quasi 40°C nell’arco dell’estate.

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La yurta ha un forte valore simbolico per i popoli nomadi delle steppe. Anche il solo ingresso nella struttura prevede un rituale tradizionale: occorre entrare con il piede destro facendo attenzione a non calpestare la soglia; una volta all’interno, occorre sedersi immediatamente ed evitare di passare tra i due pilastri centrali (se presenti), che simboleggiano il punto d’incontro tra il cielo e la terra.

Struttura della yurta

La ger è sostanzialmente una tenda circolare munita di un’apertura centrale sul soffitto. Le yurte tradizionali hanno uno scheletro circolare ricoperto da feltro ottenuto dal bestiame su cui si basa la pastorizia mongola, come pecore, capre e yak.

Il legno che compone il telaio è molto difficile da reperire nella steppa, un ambiente notoriamente privo di alberi; il legname viene quindi importato da località boschive tramite lo scambio di prodotti della pastorizia.

La ger mongola dispone di una o più colonne di supporto alla struttura (bagana) e una serie di costole di legno (uni) che formano il telaio portante del tetto. La tenda è tenuta insieme da corde e nastri, aiutati dalla compressione generata dal peso del telaio e della copertura di feltro.

Struttura interna di una ger
Struttura interna di una ger

L’apertura centrale (toono), o corona, viene realizzata in legno ed è simile ad una ruota. Consente al fumo del focolare di uscire e all’aria fresca di circolare all’interno della tenda, ma non causa un’eccessiva dispersione termica, contribuendo a creare un ambiente isolato e libero da fumi nocivi. La corona, inoltre, lascia entrare la luce solare, rendendo superfluo l’uso di illuminazione artificiale durante le ore diurne.

La porta d’ingresso alla yurta viene generalmente orientata verso sud per godere della massima esposizione solare. Il telaio della porta è in legno, talvolta ricoperta da uno strato di feltro che funge da isolante.

Al centro della ger si trova la stufa metallica che fornisce calore al rifugio. Sopra la stufa vengono solitamente appesi i prodotti della pastorizia, come carne salata o affumicata e la tradizionale bevanda di latte di giumenta fermentato (kumis o ajrag)

Le yurte sono tradizionalmente decorate con motivi ornamentali legati al simbolismo religioso mongolo. Le decorazioni più comuni sono quelle legate alla forza, come la khas (svastica) o le “quattro bestie” (leone, tigre, garuda e drago).

I motivi connessi ai cinque elementi naturali sono molto comuni: si ritiene che ogni raffigurazione stilizzata degli elementi possa donare forza o protezione agli abitanti della yurta.

Molto frequenti sono anche i motivi geometrici, spesso presenti alle estremità della yurta: il simbolo “alkhan khee” rappresenta la continua necessità di spostarsi, mentre l’ “ulzii” simboleggia la longevità e la felicità.

Khibitkha

Durante il periodo medievale alcuni esploratori europei documentarono l’osservazione di un particolare tipo di yurta, chiamata khibitkha o ger tergen. Si trattava di tende montate in modo permanente su grossi carri trainati da squadre di buoi.

Guglielmo di Rubruck, missionario fiammingo ed esploratore dell’Asia durante il XIII secolo, registrò nel suo resoconto di viaggio un carro dorato di un’asse largo quanto l’albero maestro di una nave e trainato da 22 buoi.

Khibitkha
Khibitkha

La khibitkha non era alla portata di tutti: la quantità di legno necessaria alla realizzazione del carro e della tenda, e la necessità di avere qualche dozzina di animali da soma dedicati al trasporto di questa struttura rendevano le ger tergen una prerogativa dei capi tribù.

Alcuni individui particolarmente potenti e ricchi potevano permettersi decorazioni degne di un palazzo imperiale: nel XIII secolo il governatore mongolo di Samarcanda, Mas’ud Beg, aveva a disposizione una khibitkha ricoperta da seta e fili d’oro; si narra che il governatore di Khorasan, invece, abitasse in una yurta tenuta insieme da 1.000 chiodi d’oro.

Yurt – National Geographic
What is Mongolia Ger?
YURT AND TINY LIVING TIPS FROM EXPERTS

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La freccia per arco: evoluzione e caratteristiche delle frecce antiche https://www.vitantica.net/2019/11/18/freccia-arco-evoluzione-caratteristiche-frecce-antiche/ https://www.vitantica.net/2019/11/18/freccia-arco-evoluzione-caratteristiche-frecce-antiche/#respond Mon, 18 Nov 2019 00:10:40 +0000 https://www.vitantica.net/?p=4682 La freccia ha svolto un ruolo fondamentale nell’innovazione dell’ arcieria. E’ relativamente facile realizzare un semplice arco (molto meno facile è, invece, costruire un’arma adatta all’utilizzo in uno scenario reale), ma senza una freccia degna di tale nome si tratterà di uno strumento relativamente inefficace.

Esistono innumerevoli tipologie di frecce, ciascuna adatta ad un utilizzo specifico o capace di rivelarsi efficace in circostanze multiple. Non si tratta solo della punta: il peso, la lunghezza, la flessibilità e l’impennaggio di una freccia possono modificare enormemente le sue performances durante durante il volo.

La freccia è un oggetto molto delicato, che richiede precisione e cura nella sua fabbricazione. Un arciere molto fortunato potrebbe non essere mai costretto a sostituire il suo arco, ma dovrà necessariamente rimpiazzare una quantità innumerevole di frecce nel corso della sua carriera, specialmente se si dedica alla caccia.

Molte frecce si spezzano, altre vanno perdute nel sottobosco: è incredibilmente semplice mancare il bersaglio con un arco tradizionale. Anche disponendo di un buon arco e di un’ottima freccia, la distanza massima dal bersaglio non supera mai i 30 metri, distanza che tuttavia prevede un ampio margine d’errore nella caccia tradizionale.

La vita di una freccia è breve, intensa e spesso poco fortunata, specialmente se si considerano gli sforzi necessari a realizzare una dardo di ottima qualità, come mostra il video qui sotto.

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Le prime frecce

La storia della freccia è antichissima. I primi dardi adatti al lancio furono piccoli giavellotti di legno duro, probabilmente dalla punta semi-carbonizzata sulla fiamma, privi di impennaggio e dalla scarsa flessibilità.

Con le prime lavorazioni litiche l’essere umano si rese conto che alcune schegge di pietra avevano capacità di taglio e di penetrazione superiori a quelle di una semplice punta di legno.

Aguzzando l’ingegno, escogitarono sistemi anche molto sofisticati per costruire frecce sempre più veloci, potenti e letali. Il più antico esempio di proiettile con punta di pietra, compatibile sia con una freccia da arco che con un dardo di atlatl, risale a 64.000 anni fa ed è stato scoperto nella Caverna di Sibudu.

Per le prime frecce da arco della storia umana occorre però fare un balzo in avanti, a circa 10.000 anni fa: nella valle di Ahrensburg sono state scoperte frecce di legno di pino dotate di cocche, intagli che consentivano una maggiore aderenza alla corda dell’arco. E’ possibile che questi proiettili fossero stati preparati per l’uso in combinazione con un arco simile a quello di Holmegård.

Con l’avvento della lavorazione dei metalli, si susseguirono una serie di innovazioni tecnologiche delle punte di freccia: cuspidi di rame, bronzo, ferro e poi acciaio resero l’arco un’arma sempre più precisa e letale.

Le punte iniziarono a mutare forma, assumendo configurazioni diverse in base all’utilizzo: dalle semplici cuspidi da caccia furono sviluppate punte adatte a penetrare armature, punte contundenti per cacciagione di piccola taglia, cuspidi con barbigli per complicare qualunque manovra di rimozione del dardo una volta conficcatosi nel bersaglio.

Caratteristiche di una freccia per arco

Nel corso della storia si sono viste frecce di ogni tipo. Anche se le frecce moderne sono lunghe da 75 a 96 centimetri, nei vari millenni di conflitti bellici e attività venatoria si sono visti proiettili per arco lunghi dai 45 ai 150 centimetri.

Una freccia è costituita da 4 parti fondamentali: una punta (o cuspide) dal profilo solitamente aerodinamico; un fusto, o asta, che rappresenta il corpo della freccia; una cocca, il punto di collegamento tra la freccia e la corda dell’arco; e un impennaggio, il “sistema di volo” del proiettile.

Il fusto

In passato i fusti di freccia venivano realizzati con diversi tipi di legno, dipendentemente dalle esigenze pratiche. Le frecce “da volo”, ad esempio, avevano fusti più sottili e leggeri rispetto a quelle da guerra o da caccia.

Dato che la costruzione di frecce è un processo lungo e tedioso che termina spesso con la perdita di oltre la metà dei proiettili realizzati, alcuni popoli del pianeta escogitarono sistemi differenti per recuperare le frecce durante e dopo la caccia.

Uno di questi metodi era il fusto composito: una sezione di legno duro e rigido in corrispondenza della punta unito ad un fusto di legno più leggero e flessibile. In questo modo la freccia ha meno probabilità di spezzarsi irrimediabilmente durante la fuga della preda, il fusto tende a staccarsi facilmente al primo impatto mentre la punta potrà essere recuperata, se ancora integra e attaccata al bersaglio, una volta uccisa la preda.

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La caratteristica primaria di una freccia è il suo spine, il livello di rigidità del fusto. Quando si rilascia la corda di un arco, nelle fasi iniziali l’accelerazione della coda creerà una compressione nell’asta della freccia: il dardo inizierà a flettersi e continuerà a farlo anche durante il volo, un fenomeno definito “paradosso dell’arciere”.

Per evitare che il proiettile inizi a deviare dalla traiettoria desiderata a causa della flessione del fusto, lo spine deve essere adeguato alla potenza dell’arco e all’allungo dell’arciere. E per mantenere la necessaria stabilità in volo, specialmente nei metri iniziali, occorre che la freccia sia dotata di un buon impennaggio.

Impennaggio

Con il termine “impennaggio” si intende la parte stabilizzatrice del volo di una freccia. Anche se alcuni tipi di frecce non necessitano di impennaggio (come quelle utilizzate ancora oggi in alcune popolazioni della Nuova Guinea), l’aggiunta di appendici stabilizzatrici contribuisce a migliorare la precisione.

Tradizionalmente l’impennaggio viene realizzato con penne d’oca o di tacchino ancorate all’estremità opposta alla punta tramite fibre, colla o una combinazione di questi due elementi.

E’ fondamentale che le componenti dell’impennaggio abbiano una resistenza aerodinamica molto simile tra loro. Per ottenere una resistenza uniforme, i costruttori di frecce tagliano o bruciano le penne per modellarle e uniformarle, ottimizzandone la capacità stabilizzatrice.

Se si utilizzano penne naturali, ogni freccia avrà penne estratte dalla stessa ala. Le penne di tacchino estratte dall’ala destra, ad esempio, hanno una curvatura naturale che forza ad effettuare l’ impennaggio con una torsione verso destra.

Un impennaggio particolare, chiamato flu-flu, utilizza le sezioni lunghe delle penne di tacchino per creare sei o più appendici alari o una sorta di spirale in grado di esercitare maggiore resistenza all’aria, favorendo la caccia di prede aeree.

La cocca

La cocca è un incavo all’estremità opposta della punta che aiuta a mantenere corretta la rotazione della freccia prima del lancio e riduce la possibilità di farla cadere durante la trazione o il rilascio dell’arco.

La cocca serve inoltre a massimizzare l’energia trasferita dall’arco alla freccia: mantiene il proiettile saldo in corrispondenza del punto della corda che si muove più velocemente dopo il rilascio, il centro della corda.

Senza la cocca, la compressione di una freccia al momento del lancio potrebbe colpire l’arco, causando una perdita di precisione. Ogni fusto ha un piano di compressione “preferito”, specialmente se si tratta di legno: durante l’intaglio della cocca si dovrà quindi tenere in considerazione la direzione di flessione dell’asta.

La cocca deve resistere a diverse sollecitazioni meccaniche e viene spesso rinforzata con colla, fibre, legno duro o corno.

Cuspidi
Diversi tipi di cuspide utilizzati  nella storia
Diversi tipi di cuspide utilizzati nella storia

La punta, o cuspide, è l’estremità letale di una freccia. Ha subito moltissime evoluzioni nel corso di millenni passati per rispondere alle necessità di cacciatori e guerrieri sempre più esigenti: lacerare, penetrare, menomare il proprio obiettivo o semplicemente stordirlo.

Le punte di freccia hanno innumerevoli forme, pesi e funzioni, ma possono essere raggruppate in 5 categorie principali:

Punta Bodkin: si tratta di una cuspide rigida affusolata, generalmente in ferro battuto. Fu probabilmente creata per prolungare la gittata o creare frecce efficaci ed economiche su larga scala. Le punte Bodkin in acciaio si sono dimostrate capaci di penetrare maglie di ferro, ma non armature a piastre.

Cuspidi contundenti: Possono essere semplici rinforzi rigidi al fusto della freccia, o veri e propri pesi metallici in corrispondenza della punta. Le cuspidi contundenti tornano utili nella caccia di piccole prede, stordendole per facilitare la cattura ed evitare di danneggiare carne o pelle.

Broadhead: nell’immaginario collettivo, la classica punta di freccia è la broadhead dal profilo triangolare. Queste cuspidi hanno tipicamente 2 o 4 lame che causano emorragie nel bersaglio e velocizzano l’uccisione recidendo i vasi sanguigni principali. Sono punte ideali per la guerra o la caccia, ma costose da realizzare e mai utilizzate per l’allenamento.

Punte barbigliate: se si unisce il potere distruttivo di una broadhead con una serie di barbigli metallici, si ottiene una cuspide in grado di causare gravi danni e rendere particolarmente difficile l’estrazione dal bersaglio.

Punte d’allenamento: si tratta di cuspidi appuntite e robuste simili a proiettili, in grado di conficcarsi nel bersaglio con facilità senza tuttavia causare danni eccessivi.

Fonti per “La freccia per arco: evoluzione e caratteristiche delle frecce antiche”

Arrowheads
Everything You Need to Know About Medieval Arrows
Manchu war arrows
Arrow Shaft Design and Performance

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https://www.vitantica.net/2019/11/18/freccia-arco-evoluzione-caratteristiche-frecce-antiche/feed/ 0
Equipaggiamento da guerriero scoperto sul sito della battaglia di Tollense https://www.vitantica.net/2019/10/18/equipaggiamento-guerriero-battaglia-tollense/ https://www.vitantica.net/2019/10/18/equipaggiamento-guerriero-battaglia-tollense/#comments Fri, 18 Oct 2019 00:14:42 +0000 https://www.vitantica.net/?p=4608 Nel 1996 fa un team di archeologi ha scoperto la località di un antico campo di battaglia dell’Età del Bronzo all’interno della Valle di Tollense, nella regione nord-orientale della Germania.

Il sito, risalente al II millennio a.C., ospitava i resti di oltre 140 individui e un’incredibile quantità di oggetti d’uso quotidiano; un gruppo di questi artefatti, in totale 31 oggetti, potrebbe costituire l’equipaggiamento personale di un guerriero.

La battaglia di Tollense

La battaglia della Valle di Tollense rappresenta il teatro del più antico conflitto violento dell’Età del Bronzo avvenuto nelle regioni settentrionali d’Europa. Dal sito chiamato Weltzin 20 sono state recuperate punte di freccia di selce e di bronzo, oltre a numerosissimi frammenti di oggetti di legno e di ossa umane.

La maggior parte delle ossa appartengono a maschi adulti in buone condizioni fisiche. Considerate le tracce di traumi ossei guariti da tempo e quelli “freschi”, gli archeologi ritengono che si tratti di guerrieri coinvolti in uno scontro violento combattuto con l’uso di armi da mischia e da lancio; la battaglia potrebbe aver visto la partecipazione di oltre 2.000 – 4.000 guerrieri.

Resti umani scoperti in uno dei siti della Valle di Tollense
Resti umani scoperti in uno dei siti della Valle di Tollense

Nei sedimenti fluviali del sito Weltzin 20 sono stati rinvenuti 31 oggetti che, in origine, erano probabilmente avvolti in un contenitore di materiale organico, contenitore ormai dissolto a causa dei naturali processi di decomposizione.

Le ricerche condotte alla Aarhus University hanno mostrato come le due fazioni appartenessero probabilmente a due distinti gruppi etnici: uno schieramento proveniva da una regione distante e aveva una dieta a base di miglio, una pianta poco conosciuta a Tollense. E’ possibile che lo scontro sia avvenuto lungo una delle “strade dello stagno”, una delle rotte commerciali su lunghe distanze utilizzate per scambiare questo metallo, indispensabile per produrre bronzo di buona qualità.

Il kit del guerriero

In cima al cumulo di oggetti è stato trovato un punteruolo di bronzo dal manico di betulla e un coltello. Sotto questi due utensili c’erano uno scalpello, frammenti di bronzo, tre oggetti cilindrici, tre frammenti di lingotti e una gamma di piccoli scarti di bronzo, probabilmente il risultato della lavorazione di questa lega.

In aggiunta, sono stati rinvenuti un contenitore da cintura, tre spilloni, una spirale di bronzo, un cranio umano e una costola. A distanza di 3-4 metri sono stati scoperti una punta di freccia di bronzo, un coltello di bronzo dal manico in osso, una spilla con testa a spirale e una seconda punta di freccia di bronzo con una parte dell’asta di legno ancora attaccata.

Inventario del gruppo di oggetti scoperti nel sito Weltzin 20
Inventario del gruppo di oggetti scoperti nel sito Weltzin 20

I 31 oggetti pesano in totale 250 grammi. “Si tratta della prima volta in cui si scopre una dotazione personale sul campo di battaglia, e fornisce indizi sull’equipaggiamento di un guerriero” spiega Thomas Terberger del Dipartimento di Preistoria dell’Università di Göttingen.

La datazione degli artefatti ha dimostrato che gli oggetti appartengono all’epoca in cui si svolse la battaglia. “Il bronzo sotto forma di frammenti” continua Terberger, “era probabilmente utilizzato come forma di moneta. La scoperta di un set di artefatti ci fornisce inoltre indizi sull’origine degli uomini che parteciparono a questa battaglia, e ci sono sempre più prove che alcuni di questi guerrieri fossero originari delle regioni meridionali dell’Europa Centrale.”

Un’enorme battaglia

Considerando che la densità della popolazione della regione si attestava a circa 5 individui per chilometro quadrato, i reperti rinvenuti nei siti della battaglia della valle di Tollense suggerirebbero che si sia trattato di uno scontro di proporzioni enormi per l’Età del Bronzo.

Si stima che nello scontro siano morti tra i 750 e i 1.000 guerrieri, con una mortalità pari al 20-25%. In una sola zona di 12 metri quadrati sono state trovate quasi 1.500 ossa, suggerendo che quella particolare zona lungo il fiume possa essere stata occupata da una pila di cadaveri, o che abbia rappresentato l’ultima postazione difensiva degli sconfitti.

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Nella battaglia furono impiegate lance, mazze, coltelli, archi e spade. Anche se non ci sono resti di spade all’interno del sito, alcune ferite sono coerenti con i danni causati da queste armi. Alcuni combattenti scesero in campo a cavallo, come testimoniano le ossa di almeno cinque cavalli: la posizione di una testa di freccia su un omero indicherebbe che un cavaliere sia stato colpito da un arciere a piedi.

Il fatto che non siano stato trovati altri oggetti tra le ossa, ad eccezione di punte di freccia, lascia supporre che i corpi siano stati depredati dopo la battaglia. I resti non presentano connessioni anatomiche, suggerendo che le vittime siano state gettate nel fiume per liberare il campo.

Fonti per “Kit del guerriero scoperto sul sito della battaglia di Tollense”

Tollense valley battlefield
Lost in combat?
Lost in combat? A scrap metal find from the Bronze Age battlefield site at Tollense

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https://www.vitantica.net/2019/10/18/equipaggiamento-guerriero-battaglia-tollense/feed/ 2
Lo stadel, la casa walser a due piani https://www.vitantica.net/2019/10/16/stadel-casa-walser-a-due-piani/ https://www.vitantica.net/2019/10/16/stadel-casa-walser-a-due-piani/#comments Wed, 16 Oct 2019 00:10:52 +0000 https://www.vitantica.net/?p=4586 A poco meno di due ore da Milano si erge un muro di roccia e natura oltre il quale si aprono valli ricoperte di verde e percorse da mucche, torrenti e cascate. La Valle d’Aosta, una regione poco nominata ma apprezzata da chi ha avuto il piacere di esplorarla, offre panorami mozzafiato e un gruppo di comunità che per interi secoli hanno condotto uno stile di vita difficile ma particolarmente affascinante.

Nel corso del passato weekend sono riuscito ad esplorare una minuscola frazione della Valle del Lys, percorsa dal fiume omonimo lungo il quale si snodano paesini e piccoli agglomerati di case, alcune moderne ma dall’aspetto tipicamente alpino, altre molto più antiche, ma non per questo meno interessanti.

Lo stadel, la tipica casa rurale della cultura Walser, è un edificio curioso e funzionale, nato dall’ingegno e dalla necessità di un popolo costretto a negoziare con una natura spesso ostile.

La comunità Walser

Conosco ben poco la cultura Walser, ma sono così fortunato da avere una compagna cresciuta a Gressoney e che, lentamente, mi sta introducendo alle tipicità della cultura della Valle del Lys.

I Walser parlano il Titsch, una variante del dialetto tedesco meridionale chiamata “altissimo alemanno” presente in tre forme: il titsch di Gressoney-Saint-Jean e La-Trinité, il töitschu di Issime e il titzschu di Alagna Valsesia e Rimella in Valsesia.

Le comunità Walser si stabilirono in Piemonte, Valle d’Aosta e Svizzera nel XIII secolo. Il più antico documento che cita un insediamento Walser risale al 10 maggio 1253 ed è stato redatto nella colonia di Bosco Gurin, nel Canton Ticino.

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L’origine della comunità walser viene spiegata sul sito Monterosa4000.it:

“Spinte da ristrettezze economiche e da eccessiva concentrazione di popolazione, intere comunità Walser sin dal 1200 lasciarono la terra d’origine vallese e, attraverso dure e spesso inesplorate vie alpine, si crearono nuove patrie in un’ampia zona che va dalla Savoia francese al Vorarlberg austriaco, quasi sempre ad altitudini superiori ai 1000 metri. […]”

“[…]Le dure condizioni ambientali li costrinsero ad integrare sempre più la loro attività rurale con quella di allevatori che consentiva loro di entrare in commercio con le popolazioni più vicine, offrendo giovani capi di bestiame, oltre agli svariati prodotti della lavorazione del latte.Si tratta di un popolo nel quale sono altissimi il valore della libertà, dell’indipendenza e il senso dell’avventura; anche quando il prezzo da pagare è altissimo[…]”

“[…] La necessità di garantirsi un’alimentazione autonoma (latte, formaggi, carne salata ed essicata all’aria) ed il foraggio per il bestiame, li costrinsero ad una durissima opera di dissodamento del terreno, utilizzando scure e fuoco, ed ottenendo delle radure coltivabili chiamate macchie (Fleche). I walser furono portatori di una cultura del legno molto più avanzata e raffinata di quella delle popolazioni originarie.”

L’abilità dei walser nella lavorazione del legno fu alla base della costruzione dei primi stadel, le case tradizionali della Valle del Lys.

Lo stadel
Stadel walser nella Valle del Lys
Stadel walser nella Valle del Lys. Fonte

I walser erano contadini e allevatori e necessitavano di un’abitazione in grado di proteggere esseri umani e animali in egual modo: senza il bestiame, la sopravvivenza all’isolamento invernale sarebbe stata estremamente difficile.

La stadel risponde alle esigenze pratiche dei walser con un edificio su due livelli isolati l’uno dall’altro. Il piano più basso, in pietra, rappresentava allo stesso tempo la stalla, la residenza “di lavoro”, il locale della stufa e la cucina: le zone destinate alla vita quotidiana umana, chiamate collettivamente “wongade“, erano il cuore dello stadel.

La cucina, chiamata firhus, non era un locale per il soggiorno diurno o notturno, ma una stanza in cui si lavoravano i prodotti caseari, su preparavano le carni o si cucinava il pasto della giornata. La stalla era separata dal wongade da una parete di legno chiamata “läno”, utile a mantenere un certo livello d’igiene pur lasciando filtrare all’interno della casa il calore prodotto dal bestiame.

L’accesso al piano superiore era possibile grazie ad una scala interna. Al primo piano si trovava il fienile e le camere da letto all’interno di una struttura interamente lignea, realizzata con assi di larice unite a incastro.

Il larice è il legno dominante nella stadel: veniva impiegato non solo per realizzare la struttura del piano superiore, ma anche per rivestire il pavimento e le pareti del piano inferiore.

Le camere del primo piano si trovano in corrispondenza del wongade per sfruttare il calore generato dalle attività svolte al piano inferiore e dal bestiame.

Il tetto, dalla struttura portante il legno di larice, era ricoperto da lose di pietra, tegole ottenute da ardesia o altri materiali di natura scistosa (propensi a fratturarsi in lastre).

I “funghi” di supporto
Colonne dalla tipica forma a fungo
Colonne di supporto dello stadel, dalla tipica forma a fungo. Fonte

Il piano superiore e quello inferiore, in un tipico stadel, non si toccano e non condividono pavimento e soffitto, ma sono separati da piccole colonne dalla tipica forma a fungo.

Queste colonne vengono realizzate con legno e pietra: il gambo è costituito da un tronco di legno, mentre il cappello viene ottenuto da un disco di pietra (chiamato “musblatte” in dialetto walser) su cui poggia il primo piano.

Questa separazione aveva due scopi principali: il primo era quello di isolare il fienile e la zona notte per evitare l’infiltrazione di umidità dal piano sottostante; il secondo, invece, era prevenire l’ingresso dei roditori, amanti dei fienili e tipici coinquilini di molte strutture rurali.

Fonti:

Cultura Walser della Valle d’Aosta
Casa walser
La civiltà Walser
Gli stadel, antiche costruzioni walser
Architettura Walser

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https://www.vitantica.net/2019/10/16/stadel-casa-walser-a-due-piani/feed/ 2
Costruire una casa vichinga con utensili manuali: Bushcraft Project https://www.vitantica.net/2019/10/10/costruire-casa-vichinga-utensili-manuali-bushcraft-project/ https://www.vitantica.net/2019/10/10/costruire-casa-vichinga-utensili-manuali-bushcraft-project/#respond Thu, 10 Oct 2019 00:10:55 +0000 https://www.vitantica.net/?p=4577 In questi due video del canale YouTube TA Outdoors vengono riprese le fasi di costruzione di una casa vichinga, dalla lavorazione del legname alla realizzazione del telaio, fino alle fasi di rifinitura.

L’abitazione è stata realizzata utilizzando legname di cedro e utensili tradizionali come ascia, sega e martello. L’intera abitazione poggia su fondamenta costituite da 10 tronchi di cedro trattati con una tecnica ben poco norrena (la Shou-Sugi Ban, o yakisugi, tecnica giapponese per la conservazione del legno) per evitare la decomposizione del legname.

La semplicità della tecnica giapponese rende del tutto probabile che anche i popoli nordici fossero a conoscenza di questo metodo: si tratta di bruciare la superficie dei tronchi per carbonizzarla e renderla più resistente all’acqua.

Il terzo video si concentra sulla costruzione di un focolare a fossa da posizionare all’interno dell’abitazione. Le pietre del focolare sono state fissate utilizzando l’argilla estratta durante gli scavi; al termine del filmato, la casa vichinga inizia a prendere forma, con un focolare centrale e un telaio eretto.

Nella quinta parte i costruttori si dedicano alla realizzazione del tetto sfruttando i vantaggi offerti da un cavalletto da segatura costruito nel video precedente. Dopo aver realizzato il telaio con tronchi impermeabilizzati, si inizia la lavorazione della corteccia di cedro per ottenere tegole con cui rivestire l’esterno dell’abitazione, lavorazione che prosegue nel sesto video.

Nel settimo video i costruttori si prendono una pausa per trascorrere la notte nel rifugio appena terminato e cucinare un pasto norreno: agnello arrostito sulla fiamma viva e pane fresco cotto in una pentola di ferro battuto.

La costruzione della casa vichinga prosegue con la realizzazione di una staccionata perimetrale, finestre di legno e un comignolo per il tetto.

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https://www.vitantica.net/2019/10/10/costruire-casa-vichinga-utensili-manuali-bushcraft-project/feed/ 0
Video: 6 days solo bushcraft https://www.vitantica.net/2019/09/16/video-6-days-solo-bushcraft/ https://www.vitantica.net/2019/09/16/video-6-days-solo-bushcraft/#respond Mon, 16 Sep 2019 00:10:13 +0000 https://www.vitantica.net/?p=4504 L’utente YouTube Rune Malte Bertram-Nielsen ha pubblicato nel 2018 un filmato della sua esperienza di sopravvivenza in solitario nelle foreste danesi, durata 6 giorni.

Il video è stato girato senza l’aiuto di operatori o altri escursionisti. Lo zaino pesava circa 25 chilogrammi e conteneva anche il cibo cucinato nel filmato attraverso un fuoco da campo accesso con un acciarino moderno.

Tra la dotazione di strumenti da taglio era incluso anche un puukko, un coltello tradizionale finlandese molto versatile e robusto.

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https://www.vitantica.net/2019/09/16/video-6-days-solo-bushcraft/feed/ 0
Documentario: come intagliare un kuksa https://www.vitantica.net/2019/09/13/documentario-intagliare-kuksa/ https://www.vitantica.net/2019/09/13/documentario-intagliare-kuksa/#respond Fri, 13 Sep 2019 00:10:44 +0000 https://www.vitantica.net/?p=4514 Il guksi (in finlandese, kuksa) è una coppa tradizionale del popolo Sami ottenuta da legno di betulla, generalmente utilizzando come materia prima un grosso nodo presente sul tronco dell’albero.

L’utente YouTube Zed Outdoors spiega in questo video il procedimento per la creazione di un kuksa, dalla selezione del legno all’impermeabilizzazione del prodotto finito.

La selezione del nodo è fondamentale per ottenere un kuksa di lugna durata. Se è troppo umida, occorre farla seccare per 2-3 estati; se è troppo secca e presenta crepe, non produrrà un buon guksi; se è troppo irregolare, troppo piccola o troppo grande, sarà scartata.

Traditional Sami Kuksa
Traditional Sami Kuksa

Il nodo dell’albero viene plasmato in modo grezzo e lasciato ad essiccare per evitare che si manifestino fratture durante la lavorazione. I kuksa realizzati con nodi di betulla durano più a lungo di quelli ottenuti a partire dal semplice legno del tronco.

Se lasciato seccare all’aria dopo l’utilizzo, e con una breve pulizia regolare con acqua, il kuksa può durare una vita intera. L’utilizzo di detergenti potrebbe danneggiarlo irreparabilmente, creando fratture o rovinando la venatura del legno.

Il tipico kuksa ha un manico allo stesso livello del bordo della coppa, una forma caratteristica dei guksi finlandesi. Il manico consente una presa comoda e salda della mano; talvola, in base alle dimensioni della coppa, è dotato di più fori per l’inserimento delle dita.
La coppa del kuksa può resistere senza problemi all’acqua bollente e non risente degli sbalzi di temperatura.

Per evitare che il legno si secchi eccessivamente, il guski viene modellato nell’arco delle prime 24 ore dal taglio del nodo o del tronco. Prima di rifinirlo, viene immerso in acqua salata per circa 1 ora o avvolto in fogli di carta o tessuto per due settimane; in questo modo si evita che il legno perda umidità troppo velocemente, causando fratture.

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Dopo la rifinitura e l’eventuale decorazione, il kuksa viene levigato e oliato per impregnare il legno e renderlo impermeabile. Anche se inizialmente ciò che si beve potrebbe avere un sapore “legnoso”, con il passare del tempo e l’utilizzo costante ogni resto vegetale scomparirà, lasciando inalterato l’aroma della bevanda.

Kuksa
KUKSA – CRAFTING THE TRADITIONAL WOODEN CUP
Guksi

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