La realtà della caccia al bisonte dei nativi americani

Caccia al bisonte
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Cacciare bisonti non è semplice, anche armati di fucili di grosso calibro. Nonostante questo, i nativi americani che tradizionalmente cacciavano bisonti per ottenere carne, pelle e tendini si dedicavano all’attività venatoria senza disporre di armi da fuoco o cavalli. Come era possibile, per una civiltà priva di armi moderne, uccidere animali di grossa taglia senza il supporto della tecnologia?

L’immagine dell’indiano americano rispettoso della natura è di certo molto affascinante e seducente (leggi questo post sulla presunta “vita nel rispetto della natura” dei nativi americani), ma non bisogna dimenticare che, per quanto i nativi venerassero la fauna che li circondava, erano individui molto pratici ed estremamente abili nella manipolazione del territorio che li circondava.

I nativi nordamericani contenevano il numero di bisonti

La caccia al bisonte era un’attività pericolosa: il bisonte americano è un animale che può avvicinarsi ai due metri di altezza e caricare un bersaglio con tutti i suoi 500-1.000 kg di peso; nel XVII secolo, enormi mandrie di questi animali percorrevano incostrastate le praterie nordamericane, forti dei loro numeri e della loro prestanza fisica che intimoriva qualunque predatore.

Osservando qesto gigantesco quadrupede nordamericano e la sua immensità corporea, una domanda dovrebbe sorgere spontanea: come facevano i nativi ad cacciare il bisonte limitando le perdite umane e rendendo il processo il più semplice possibile?

Per i nativi nordamericani che vivevano nelle Grandi Praterie, il bisonte era la seconda fonte di cibo dopo il mais e probabilmente la prima sorgente di materie di origine animale. Secondo alcuni storici, prima dell’arrivo degli Europei sul suolo americano i nativi controllavano il numero dei bisonti sfruttando tecniche di caccia in grado di decimare questi animali.

Fu solo con la riduzione della popolazione nativa causata dalle malattie importate dal Vecchio Continente che il bisonte riuscì a riprodursi a ritmi sfrenati, creando le grandi mandrie descritte dagli esploratori del XVII e XVIII secolo.

Secondo il ricercatore Charles C. Mann, “La spedizione di Hernando de Soto attraversò il Sudest per quattro anni nel XVI secolo e osservò grandi masse di persone ma apparentemente non vide alcun bisonte”. In base alle sue analisi della documentazione storica, le enormi mandrie di bisonte osservate dagli esploratori europei erano in realtà il sintomo di un grande squilibrio dell’ecosistema causato dall’assenza dell’attività venatoria umana, che conteneva il numero di questi animali, e da anni di piogge più abbondanti della norma che causarono la crescita incontrollata dell’erba delle Grandi Praterie, un tempo mantenute spoglie dagli incendi controllati appiccati dagli indiani.

La realtà della caccia al bisonte
Una delle colline utilizzate per il “salto del bisonte” durante la caccia

La tecnica di caccia al bisonte propagata da film e letteratura moderna è molto simile a quella impiegata dai coyote con prede più piccole: si separa un individuo dalla mandria e lo si fa affaticare al punto da farlo collassare dalla fatica, una strategia molto simile alla caccia di persistenza ancora oggi praticata da alcune comunità di cacciatori-raccoglitori. Funziona per i coyote, questo è certo; ma per l’essere umano intento a cacciare una mandria di bisonti le cose sono un po’ più complesse.

Prima dell’arrivo degli Europei, in Nordamerica non esistevano cavalli. I nativi erano costretti a cacciare i bisonti e altri grandi animali usando le gambe, il lavoro di squadra e strumenti di legno e pietra, esponendosi a rischi mortali anche affrontando bisonti di piccola taglia.

Il salto del bisonte

Per limitare i rischi della caccia al bisonte, le popolazioni indigene escogitarono una serie di strategie tutt’altro che compassionevoli se analizzate da un osservatore moderno. Una di queste tecniche di caccia, chiamata “il salto del bisonte”, prevedeva di condurre una mandria verso un dirupo spaventandola con urla, pelli e fuochi controllati, nella speranza che il maggior numero di bisonti si facesse prendere dal panico e corresse verso una caduta mortale.

Secondo i racconti tramandati oralmente dagli indiani Crow, questa strategia poteva fornire ben 700 carcasse di bisonti in una sola battuta di caccia; solo pochi corpi venivano effettivamente scuoiati e lavorati per ottenere pelle, carne, tendini e ossa, lasciando il resto dei cadaveri agli animali spazzini che popolavano l’ecosistema delle praterie.

L’esploratore americano del XVIII secolo Meriwether Lewis descrive in questo modo il salto del bisonte:

Viene selezionato uno degli uomini più attivi e veloci, che si camuffa con una pelle di bisonte…si piazza ad una certa distanza tra la mandria e un precipizio adatto allo scopo; gli altri indiani circondano la mandria da dietro e dai fianchi e ad un segnale stabilito si rendono visibili e iniziano a muoversi insieme verso i bisonti; l’indiano camuffato ha avuto cura di posizionarsi sufficientemente vicino ai bisonti da essere notato quando iniziano a scappare e si fa seguire dagli animali a piena velocità verso il precipizio; l’indiano-esca nel frattempo ha avuto cura di nascondersi in qualche fessura della collina…mi hanno detto che il ruolo dell’esca è estremamente pericoloso.

Ghiaccio sottile

Non era affatto raro condurre un’intera mandria verso la morte utilizzando vari espedienti in grado di semplificare la caccia. Alcune tribù, utilizzando una serie di recinti improvvisati o dando fuoco alla prateria, conducevano una parte della mandria su terreno difficile, come ai piedi di una rupe o sul ghiaccio sottile, per poi uccidere il maggior numero di animali utilizzando lance o archi e senza porsi alcun problema sul numero di bisonti che stavano ammazzando.

Gli Hidatsa, che vivevano lungo il fiume Missouri, cacciavano il bisonte durante l’inverno per sfruttare il ghiaccio sottile che si formava sulla superficie del fiume: con il peso della mandria, il ghiaccio si rompeva trascinando gli animali sotto il ghiaccio più spesso. I corpi dei bisonti venivano recuperati quando emergevano in prossimità delle sezioni di fiume non coperte dal ghiaccio.

Il recinto per bisonti

Un’altra tecnica relativamente comune per la caccia al bisonte era il recinto. I nativi Cree erano probabilmente i più efficienti nell’utilizzo di questa strategia basata sull’avversione dei bisonti a sfondare una barriera apparentemente solida.

I Cree costruivano recinti di legno alti 3-5 metri all’interno di una piccola radura, avendo cura non non lasciare buchi nel telaio della recinzione per impedire che i bisonti si accorgessero che, dall’altra parte della palizzata, era possibile trovare una via di fuga.

Per convogliare la mandria verso la trappola, i Cree costruivano una sorta di percorso ad imbuto lungo un centinaio di metri dotato di una curva ad angolo retto poco prima della recinzione, per evitare che i bisonti si accorgessero di essere diretti verso una strada senza uscita. La mandria veniva spinta nella direzione della trappola usando coperte o pelli sbattute contro il terreno o sulla neve.

Una volta intrappolati nella recinzione, i bisonti iniziavano a girare in senso orario lungo il perimetro, mentre i cacciatori più abili nel tiro con l’arco li colpivano nei punti vitali. Seguendo questa strategia di caccia, era possibile abbattere decine di bisonti con un singolo sforzo collettivo della comunità, ottimizzando i tempi e limitando al minimo le perdite umane.

La caccia del bisonte a cavallo

L’arrivo dei cavalli semplificò molto la caccia al bisonte. Il cavallo rese possibile l’avvicinamento alle mandrie in corsa e limitava il rischio di essere calpestati da un gruppo di bisonti inferociti o spaventati; rese inoltre più efficace la caccia condotta da piccoli gruppi di nativi, facilitati nel compito dell’abbattimento di bisonti dalla maggiore mobilità e dalla possibilità di usare archi primitivi a distanze ravvicinate.

Gli indigeni nordamericani valutavano l’efficacia di un arco per la caccia in base a quanti bisonti poteva abbattere con una singola freccia: benché lontani dagli standard moderni di arcieria, alcuni archi indiani potevano attraversare il corpo di un bisonte da parte a parte e i migliori esemplari riuscivano addirittura ad traffiggere due bisonti con un colpo solo.

I nativi preferivano tuttavia che le loro frecce rimanessero attaccate all’animale il più a lungo possibile: l’uso di teste di freccia di pietra, larghe e taglienti, consentiva di dissanguare l’animale durante la sua fuga, indebolendolo progressivamente e rendendolo meno combattivo una volta esaurite le energie per correre.

Caccia in sovrannumero e rispetto del bisonte

I metodi finora descritti (che non furono i soli utilizzati tradizionalmente dai nativi nordamericani) non sono i più umani e compassionevoli se osservati da un’ottica moderna, ma questo non significa che i nativi non rispettassero le loro prede: uccidere in sovrannumero non era fonte di vergogna o la conseguenza di un mancato rispetto verso gli animali, ma il segno evidente che tutti i riti della caccia erano stati eseguiti correttamente e che le divinità animali avevano accolto di buon grado gli sforzi degli esseri umani.

Dopo una battuta di caccia terminata con successo era possibile ottenere centinaia di corpi di bisonti, un numero enorme rispetto alle reali necessità di una tribù di cacciatori-raccoglitori. Un bisonte adulto può fornire da 100 a 200 kg di carne e l’uccisione di 50 animali portava ad un enorme spreco di carne e materie prime, un atteggiamento spesso criticato dai primi Europei che osservavano la caccia tradizionale al bisonte.

Lo spreco di risorse dei nativi nordamericani non si limitava all’uccisione di molti più animali del necessario: a volte, intere mandrie venivano sterminate solo per estrarre le lingue degli animali, molto saporite e ricche di grassi; altre volte si uccidevano gli esemplari in fuga dal gruppo di caccia per evitare che avvertissero del pericolo altri bisonti.

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