coltello – VitAntica https://www.vitantica.net Vita antica, preindustriale e primitiva Thu, 01 Feb 2024 15:10:35 +0000 it-IT hourly 1 Coltello da feci ghiacciate: fantasia o realtà? https://www.vitantica.net/2019/09/17/coltello-da-feci-ghiacciate-fantasia-o-realta/ https://www.vitantica.net/2019/09/17/coltello-da-feci-ghiacciate-fantasia-o-realta/#respond Tue, 17 Sep 2019 00:10:36 +0000 https://www.vitantica.net/?p=4536 Nel suo libro “Shadows in the Sun” (1998), Wade Davis (autore, tra le altre opere, del libro “The Serpent and the Rainbow“, la fonte d’ispirazione per il film “Il serpente e l’arcobaleno“) descrive uno degli aneddoti etnografici più bizzarri di sempre:

“Esiste un resoconto molto conosciuto che riguarda un anziano inuit che si rifiutò di spostarsi in un nuovo insediamento urbano. Contro le obiezioni della famiglia, decise di rimanere a vivere sul ghiaccio. Per fermarlo, i parenti sottrassero tutti i suoi utensili. Quindi, nel bel mezzo di una tempesta invernale, l’anziano uscì dal suo igloo, defecò e plasmò le sue feci in una lama ghiacciata, che affilò usando la sua saliva. Con quel coltello uccise un cane. Usando la gabbia toracica dell’animale come slitta e la sua pelle per imbrigliare altri cani, sparì nell’oscurità.”

Quanto è realistico fabbricare un coltello dalle proprie feci? E’ possibile ottenere uno strumento funzionale sfruttando materia organica e temperature estreme? Una ricerca pubblicata recentemente sulla rivista Journal of Archaeological Science ha tentato di replicare il “coltello di feci” riportato nel libro di Davis.

L’origine della storia

Secondo Davis, la fonte dell’aneddoto fu un inuit di nome Olayuk Narqitarvik, residente nella British Columbia. Fu proprio il nonno di Olayuk, negli anni ’50 del 1900, a rifiutarsi di stabilirsi in un insediamento urbano. Inizialmente, Davis considerò il racconto come frutto dell’immaginazione locale, ma il resoconto autobiografico di Peter Freuchen, esploratore artico di origine danese, sembrò confermare la possibilità che ci fosse qualcosa di reale nella storia.

Freuchen, dopo essersi ricavato una nicchia nella neve per dormire al riparo dagli agenti atmosferici del circolo polare artico, si svegliò accorgendosi di essere in trappola: non poteva più uscire dal suo rifugio improvvisato a causa della quantità di neve compatta accumulatasi durante la notte.

Ricordandosi di aver osservato le feci dei suoi cani da slitta completamente ghiacciate e dure come la roccia, defecò nella sua mano, modellò le sue deiezioni per ottenere uno scalpello improvvisato e attese che si congelassero. Utilizzando l’utensile di fortuna, riuscì a liberarsi dal ghiaccio che lo intrappolava e fece ritorno alla civiltà.

Sia il racconto di Freuchen che quello riportato da Davis hanno sollevato molteplici dubbi per diverso tempo. Sono i soli testimoni (il primo diretto, il secondo indiretto) di due episodi così curiosi; è per questa ragione che alcuni ricercatori della Kent State University hanno tentato di riprodurre un “coltello di feci” basandosi sui dettagli riportati dall’antropologo canadese.

La prova sul campo
Prova sul campo del coltello di feci (Image: © Eren et al.)
Prova sul campo del coltello di feci (Image: © Eren et al.)

Per poter ottenere il materiale necessario all’esperimento, uno dei ricercatori ha seguito per otto giorni una dieta ricca consistente con l’alimentazione degli Inuit, ricca di proteine e grassi animali. A partire dal quarto giorno sono iniziati i prelievi quotidiani di materiale fecale, in seguito modellato a forma di coltello manualmente o tramite stampi di ceramica e conservato a -20 °C fino al giorno dei test.

Per testare l’efficacia degli utensili, i ricercatori si sono procurati pelle, muscoli e tendini di maiale conservati a -20 °C fino a 2 giorni prima dell’esperimento, lasciandoli quindi scongelare fino a raggiungere la temperatura di 4 °C per simulare il cadavere di un animale ucciso da poco tempo.

Appena prima della prova sul campo, i coltelli sono stati sepolti in uno strato di ghiaccio secco a -50 °C per ottenere la massima durezza possibile in un clima glaciale, per poi essere estratti al momento dell’utilizzo.

L’esperimento è iniziato con i test sulla pelle di maiale. Nessuna delle due tipologie di coltelli (modellati a mano o tramite stampo) sono state in grado di tagliare la pelle animale: il filo della lama si è sciolto a contatto con la superficie del materiale, lasciando strisce di materia fecale e non riuscendo ad incidere il bersaglio.

I tentativi di tagliare il grasso sottocutaneo hanno ottenuto risultati di poco superiori: i ricercatori sono riusciti ad ottenere fettine irregolari e sottili, ma la lama si è velocemente deteriorata diventando presto inservibile.

Coltello di feci poco funzionale

Il risultato degli esperimenti è che un coltello di feci ghiacciate risulta ben poco utile nel gelo dell’ Artico. In condizioni di laboratorio, queste lame hanno ottenuto risultati scarsi o del tutto insoddisfacenti, diventando inefficaci pochi secondi dopo il contatto con il “corpo” relativamente caldo dell’animale.

Occorre osservare inoltre che l’esperimento è stato condotto su parti di maiale preparate per ottenere un taglio ottimale. In condizioni reali, la carcassa di un animale ucciso da pochi minuti si presenterebbe più calda e ricoperta di pelo, elementi che limiterebbero ulteriormente l’utilità di un coltello di feci ghiacciate.

L’aneddoto di Davis viene spesso utilizzato per dimostrare quanto i cacciatori-raccoglitori di tutto il mondo si dimostrino pieni di inventiva in situazioni di necessità; ma non esiste alcuna documentazione attendibile sulla praticità di un coltello ottenuto dalle feci, solo resoconti di dubbia autenticità e attendibilità smentiti in modo definitivo dalla ricerca della Kent State University.

Fonti per “Coltello da feci ghiacciate: fantasia o realtà?”

Experimental replication shows knives manufactured from frozen human feces do not work

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Puukko, il coltello tradizionale finlandese https://www.vitantica.net/2019/09/11/puukko-il-coltello-tradizionale-finlandese/ https://www.vitantica.net/2019/09/11/puukko-il-coltello-tradizionale-finlandese/#respond Wed, 11 Sep 2019 00:10:20 +0000 https://www.vitantica.net/?p=4508 Avere a disposizione un ottimo strumento da taglio, sia esso un coltello, un machete o un’ascia, è un prerequisito fondamentale per la sopravvivenza in ambienti selvaggi. Oltre che per ovvi scopi offensivi e difensivi, una buona lama si rivela utile in miriadi di circostanze, dalla lavorazione del legno alla preparazione della selvaggina che rappresenta la principale fonte di proteine in un’esistenza da cacciatore-raccoglitore.

Nelle regioni più settentrionali d’Europa i coltelli hanno progressivamente assunto una serie di caratteristiche che li hanno resi uno strumento d’utilità quotidiana e carico di significato, indossato da uomini e donne e impiegato in innumerevoli circostanze da chi ancora conduce una vita tradizionale o si trova immerso nella vasta e feroce natura scandinava.

Il puukko

Il puukko è un coltello tradizionale finlandese a filo singolo e curvo e dotato di una lama lunga da 50 a 130 millimetri. Lo spessore della lama, generalmente tra i 2 e i 6 millimetri, e il dorso piatto, lo rendono un coltello ideale per l’intaglio e la caccia.

Il termine puukko ha come radice il verbo puukottaa, che significa “accoltellare”, derivato probabilmente dal sassone “pook“. Durante il I secolo a.C., i finlandesi entrarono in contatto con alcune popolazioni germaniche, condividendo tratti della loro cultura e assorbendo elementi dei popoli sassoni.

Il puukko è per gli scandinavi un coltello d’uso quotidiano, impiegato per la caccia, la pesca, il lavoro di giardinaggio, la lavorazione di legno e pelle e la preparazione del cibo. Il dorso piatto consente di far leva col pollice o con la mano libera per effettuare tagli di precisione o di potenza.

Fonte
Variety of traditonal Finnish puukko-knives

Il coltello indossato dalle donne non è per nulla differente da quello utilizzato dagli uomini se non per la decorazione del fodero: l’unica, reale differenza sta nelle dimensioni del manico, che devono essere adatte alle mani del possessore.

Il base al suo utilizzo principale, la lama di un puukko può assumere forme diverse. I coltelli da caccia hanno generalmente un dorso incurvato verso il basso in corrispondenza della punta, per facilitare le operazioni di preparazione di una carcassa; i puukko da pesca invece hanno invece una leggera curvatura verso l’alto, utile per la raschiatura dei pesci.

La costruzione di un puukko

Il video qui sotto mostra la realizzazione di un puukko, dalla costruzione della lama fino al fodero.

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In Finlandia, la costruzione di un puukko è considerata una vera e propria arte. Non è solo necessario saper lavorare l’acciaio con destrezza e precisione, ma occorre avere competenze di intaglio e di lavorazione della pelle, un set di abilità non propriamente facile da padroneggiare.

Il puukko come status symbol

Donare un coltello in Scandinavia non è un gesto insolito. Anche se oggi la tradizione sta lentamente svanendo, il dono di un puukko è stato considerato per secoli un gesto dai forti connotati simbolici.

Era consuetudine regalare un puukko al proprio figlio al raggiungimento dell’età adulta, rivolgendo il manico verso il ragazzo in segno di rispetto e fiducia. Ancora oggi i bambini di 6-7 che vivono nelle regioni più remote della Finlandia iniziano ad apprendere i segreti dell’intaglio non appena ricevono il loro primo puukko.

Il pukko è considerato un oggetto molto personale e viene costruito tenendo a mente le esigenze del futuro proprietario. L’esercito finlandese consente ai suoi soldati di indossare il loro personale puukko anche in servizio, l’unico oggetto civile ammesso nella dotazione da combattimento.

Fonti per “Puukko, il coltello tradizionale finlandese”

Puukko
Nordiska Knivar – Traditional Nordic Knives

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Come affilare una lama usando una cote https://www.vitantica.net/2019/03/01/come-affilare-lama-cote/ https://www.vitantica.net/2019/03/01/come-affilare-lama-cote/#respond Fri, 01 Mar 2019 00:10:34 +0000 https://www.vitantica.net/?p=3706 Ogni strumento da taglio che si rispetti deve essere dotato di un filo tagliente adatto allo scopo. Usare una lama non affilata non solo è poco efficiente, ma anche molto pericoloso: la mancanza di un filo tagliente costringe ad applicare una pressione eccessiva sul materiale da lavorare, diminuendo la precisione e aumentando le possibilità di ferirsi.

Il filo di una lama può danneggiarsi per varie ragioni, ma il danneggiamento più frequente è causato dall’eccessiva pressione esercitata su un oggetto duro. In queste circostanze, il filo tende a piegarsi su se stesso, rendendo sempre meno efficace il taglio. Le coti vengono utilizzate per ripristinare la corretta geometria della lama tramite un processo di abrasione.

I tipi di cote: whetstone, waterstone e oilstone

Fino ad un passato relativamente recente, l’unico modo per affilare una lama era utilizzare una pietra dotata di particolari caratteristiche per realizzare quella che viene definita una cote.

La cote può presentarsi sotto svariate forme e dimensioni: può essere piatta per affilare lame dritte o sagomata per le necessità di affilatura più particolari, piccola per essere facilmente trasportabile o “da tavolo” (di dimensioni più grandi).

In inglese si utilizzano tre termini per definire le coti: whetstone, waterstone e oilstone. Le waterstone e le oilstone sono pietre il cui utilizzo è necessariamente legato all’impiego di un lubrificante: acqua per le prime e olio per le seconde.

Tipica whetstone da tavolo
Tipica whetstone da tavolo

Whetstone, invece, è un termine generico per identificare una cote. Il termine “to whet” significa “affilare” e non ha alcuna affinità con il termine “wet” (bagnato, umido). Per l’impiego di alcune whetstone potrebbe non essere richiesto l’uso di lubrificante (occorre verificare le istruzioni del produttore): l’ acqua o l’olio diminuirebbero le capacità abrasive della pietra con la conseguenza di ottenere lame poco affilate.

Cote naturale o artificiale?

L’utilizzo in antichità di coti in pietra naturale è testimoniato da Plinio, che oltre a descrivere le tipologie di roccia impiegate per realizzare strumenti per l’affilatura indica anche le località da cui venivano estratte.

L’uso di pietre naturali, al giorno d’oggi, non garantisce risultati superiori rispetto all’impiegodi coti artificiali; anzi, è vero il contrario. Le coti artificiali prodotte in tempi moderni vengono realizzate controllando le dimensioni delle particelle ceramiche che le compongono, per mantenere la superficie abrasiva uniforme e consistente in tutta la sua lunghezza.

Ad esempio, in una cote artificiale si può controllare la proporzione tra particelle abrasive (generalmente composte da carburo di silicio o ossido di alluminio) e il materiale legante che le tiene unite, realizzando pietre che erodono il metallo più o meno velocemente in base a necessità specifiche.

Ogni pietra naturale, invece, è differente, anche se apparentemente identica ad altre. La sua composizione (a base di quarzo o novacolite) può variare millimetro dopo millimetro e costringere a continui adattamenti di pressione, angolo e velocità d’ abrasione.

Coticula Belga
Coticula Belga

Una delle pietre più apprezzate nella storia fu la “Coticula Belga“, dalla grana estremamente fine e apprezzata fin dall’epoca romana per l’affilatura di strumenti da taglio di precisione.

La sua colorazione giallastra la distingueva dalla “Blu Belga“, una pietra dalla grana più spessa che veniva estratta dagli strati sottostanti a quelli che ospitavano la Coticula Belga.

In Giappone, le miniere di Nakayama, Okudo e Shoubudani entrarono in attività circa 800 anni fa ed erano depositi di pietre per coti considerati quasi leggendari. Dalle cave di Nakayama si estraevano pietre destinate alla casa imperiale per la loro qualità superiore; fecero la loro apparizione sul mercato solo alla fine del XVI secolo, consentendo ad artigiani e fabbri di realizzare strumenti da taglio estremamente affilati.

Grana e capacità abrasiva di una cote

Le dimensioni delle particelle che compongono una cote non sono gli unici fattori determinanti nell’affilatura. Con il termine “grana” non si identifica generalmente il diametro delle particelle abrasive, ma il risultato dell’affilatura; altri elementi entrano in gioco durante l’uso di una cote:

  • La forma delle particelle abrasive;
  • Come le particelle sono legate tra loro;
  • La friabilità delle particelle, la loro capacità di fratturarsi in pezzi più piccoli sotto pressione;
  • La durezza delle particelle abrasive e la loro composizione chimica.

Una serie di linee guida approssimative per l’affilatura di una lama possono essere le seguenti:

Grana 200: utilizzata per rimuovere imperfezioni evidenti sul filo di una lama.
Grana 500: Affilatura grossolana di una lama per nulla affilata.
Grana 1.000: Affilatura di una lama per uso non di precisione (es. ascia o falce).
Grana 4.000: Affilatura di coltelli per la carne.
Grana 8.000: Affilatura per il taglio di pesce o verdura (le zone tendinee della carne rischiano di creare piccole pieghe nella lama)
Grana 30.000: Stumenti da taglio di grandissima precisione e molto fragili.

La tua lama ha bisogno di essere affilata?

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Per verificare l’affilatura di una lama esistono diversi metodi, alcuni molto semplici. Il primo prevede il passaggio del pollice perpendicolarmente al filo della lama (se si segue il filo si rischia di tagliarsi).

Una lama affilata verrà percepita come uno spigolo accentuato che spesso “canta” al passaggio del pollice emettendo una leggera vibrazione acuta; una lama non affilata, invece, farà semplicemente scivolare il dito senza produrre alcuna vibrazione.

Si può inoltre verificare se la lama “morde” cercando di tagliare un oggetto senza applicare pressione. In commercio esistono bastoncini specifici per questa operazione, ma è possibile utilizzare la plastica di una penna Bic, un’unghia, un foglio di carta o ortaggi come carote, pomodori e cetrioli. Ogni imperfezione della lama verrà percepita come un piccolo ostacolo.

Come affilare una lama usando una cote

Affilare la lama di un coltello usando una cote può sembrare semplice, ma è un’attività che richiede un po’ di pratica per essere affinata. La procedura usata per un coltello è simile a quella impiegata anche per oggetti più pesanti, come spade o asce (anche se in questi casi si usa di frequente una cote manovrata a mano libera).

Per evitare di risultare eccessivamente prolisso, riporterò soltanto i passi necessari ad affilare una lama ad uso generico, come quella di un coltello multiuso o da caccia/sopravvivenza.

L’affilatura di una lama prevede la rimozione di metallo per ottenere una geometria più performante. Se la lama ha perso quasi totalmente il proprio filo, è necessario procedere per gradi usando coti dalla grana più grossolana per terminare con quelli dalla grana più sottile. Usare una cote a grana fine su una lama priva di filo sarà solo uno spreco di tempo e non farà mai ottenere un risultato ottimale.

Valutazione della lama e preparazione della cote
Una lama può assumere diversi profili. Ogni profilo richiede diverse angoli d'attacco sulla cote per essere affilato correttamente.
Un bisello può assumere diversi profili. Ogni profilo richiede diverse angoli d’attacco sulla cote per essere affilato correttamente.

Per prima cosa occorre considerare la geometria della lama: alcune lame hanno profili più acuti, altre sono dotate di “cunei di taglio” (chiamati “biselli“) più spessi.

Di solito una lama destinata ad un uso generico, come un coltello multiuso o un coltello da caccia/sopravvivenza, ha un bisello inclinato di circa 15-21°; lame più taglienti (ma tendenzialmente più fragili) possono avere angoli di 10-15°; lame per lavori pesanti, come la lama di un’ascia, hanno angoli di 25-30°.

Se la vostra cote ha bisogno di acqua per funzionare correttamente, sarà necessario lasciarla in immersione per qualche minuto per saturarla di liquido; la saturazione è completa quando non si vedranno più bollicine fuoriuscire dalla pietra. Durante l’utilizzo la pietra perderà acqua per un naturale processo di evaporazione: sarà sufficiente spruzzare acqua sulla sua superficie per proseguire con l’affilatura.

Su strumenti da taglio destinati a lavori pesanti è buona norma passare carta vetrata o una lima sul bisello prima di procedere all’affilatura vera e propria, per rimuovere ruggine o grandi imperfezioni come ammacature generate dall’impatto contro oggetti duri.

Affilatura: angolazione della lama e movimento
Le varie fasi dell'affilatura di una lama dal profilo triangolare
Le varie fasi dell’affilatura di una lama dal profilo simmetrico piatto

Dopo aver posizionato la cote su una superficie piana e stabile, possibilmente immobilizzandola, occorre posizionare il filo sulla superficie abrasiva inclinando la lama di circa 20-22° (o con l’angolazione più adatta al tipo di lama da affilare).

Come sapere se si sta utilizzando la corretta angolazione? Un trucco molto semplice è quello di usare un pennarello per colorare il bisello: se il colore sparisce durante l’abrasione sulla cote, l’angolazione della lama è corretta; se rimangono zone di colore dopo i primi passaggi sulla cote, è necessario correggere l’angolo d’incontro tra la lama e la pietra.

L’angolo di 20-22°, ideale per molte lame, può essere mantenuto appoggiando il dorso della lama con il pollice a circa metà altezza del dito, oppure utilizzando appositi cunei reperibili in negozi specializzati.

Alcuni trovano più confortevole spingere la lama verso l’esterno, altri invece sono più a loro agio con un movimento verso l’interno; qualunque siano le vostre preferenze, l’obiettivo del movimento della lama sulla cote è quello di simulare la “sfogliatura” della pietra, applicando una pressione tale da permettere un movimento continuo e gentile.

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Ray Mears mostra come affilare un coltello usando cote e coramella

Se la pressione applicata sulla lama è corretta, il coltello non si fermerà durante il movimento lungo la pietra e inizierà a formarsi una sorta di fanghiglia sulla superficie della cote, un miscuglio di acqua/olio e particelle abrasive frutto dell’erosione della pietra.

Questa fanghiglia agevola il processo di abrasione della lama e può essere utilizzata anche per ripulire l’acciaio da difetti superficiali semplicemente sfregandola con le dita sul corpo della lama. Ho personalmente rimosso incisioni molto superficiali e macchie presenti sui miei coltelli usando soltanto la fanghiglia ceramica generata durante l’affilatura di una lama.

Dopo aver fatto scivolare il coltello sulla cote per una dozzina di volte, occorre ripetere la stessa operazione per il lato opposto della lama avendo cura di mantenere l’angolo corretto e applicare la stessa pressione esercitata in precedenza.

Dopo l’affilatura di entrambi i lati, verificare lo stato del bisello: se non presenta grandi imperfezioni per la grana del cote che state utilizzando (grane meno fini produrranno ovviamente imperfezioni più evidenti ma rimuoveranno quelle più grandi e gravi), potete passare ad una cote di grana più ridotta, altrimenti occorrerà ripetere l’affilatura su entrambi i lati fino ad ottenere un risultato soddisfacente.

Rifinitura con coramella

Le fasi finali dell’affilatura consistono nell’utilizzo di una coramella, una striscia di cuoio o tessuto duro utilizzata per rifinire il filo della lama da eventuali sbavature e riallinearlo.

Durante l’uso o dopo l’affilatura su una cote il filo di una lama tende a formare dei piccoli “dentini”: il passaggio sulla coramella ha lo scopo di appianare questi solchi microscopici, rendendo il filo più dolce e scorrevole.

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Costruzione di un coltello Yakut https://www.vitantica.net/2019/01/03/costruzione-coltello-yakut/ https://www.vitantica.net/2019/01/03/costruzione-coltello-yakut/#respond Thu, 03 Jan 2019 00:10:58 +0000 https://www.vitantica.net/?p=3463 Il coltello della Jacuzia, o coltello Yakut, è il coltello tradizionale del gruppo etnico Jakuta (o Sacha), che vive nella Siberia settentrionale. Gli Jakuti sono nati come popolo di cacciatori e pescatori: la disponibilità di lame affidabili e di facile realizzazione consentì loro di sopravvivere in uno degli ambienti più ostili del pianeta.

Il coltello Yakut veniva utilizzato per lavorare il legno, la pelle, e per la preparazione di pesce e carne. Questo tipo di lama è stato sfruttato dagli Jakuti per secoli senza cambiamenti significativi nel suo design.

Il tipico coltello Yakut ha una lama lunga 10-18 centimetri e larga da 2,5 a 4 centimetri. La caratteristica distintiva di questo coltello è la lama asimmetrica: un lato della lama è dotato di una larga scanalatura, mentre il lato opposto è totalmente piatto.

Il coltello Yakut viene tradizionalmente forgiato utilizzando minerali ferrosi locali fusi dai fabbri jakuti ed è fornito di un’impugnatura il legno di betulla, un albero che abbonda nelle foreste russe. Il fodero del coltello viene generalmente realizzato con la pelle ottenuta dalla coda di un bovino.

L’utente YouTube Rune Malte Bertram-Nielsen ha realizzato un coltello Yakut a partire da una vecchia lima metallica. Il procedimento segue metodi tradizionali e non è molto differente da quello seguito dai fabbri jakuti a partire da un piccolo lingotto di ferro grezzo.

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https://www.vitantica.net/2019/01/03/costruzione-coltello-yakut/feed/ 0
Lo scramasax https://www.vitantica.net/2018/05/22/scramasax-seax/ https://www.vitantica.net/2018/05/22/scramasax-seax/#comments Tue, 22 May 2018 02:00:06 +0000 https://www.vitantica.net/?p=1698 Lo scramasax era una lama a filo singolo tipica delle popolazioni germaniche e norrene. Più comunemente definito seax (definito anche sax, kramasak hadseax, seaxe o scramaseax),  si trattava di un coltello dalla lama lunga tra i 30 e i 60 centimetri e dall’impugnatura in materiali poveri come legno, corno o osso.

Nel corso dei secoli il sax divenne uno status-symbol, specialmente nelle culture del Nord Europa: solo gli uomini liberi potevano indossare armi in pubblico e la presenza di un sax alla cintura rendeva immediatamente identificabile il rango sociale di un individuo.

Scramasax: lama economica per la gente comune

In epoca vichinga, la spada era un lusso che molti uomini liberi non potevano permettersi: il ferro era un materiale prezioso, i fabbri in grado di lavorarlo per realizzare una spada degna di tale nome (leggi questo articolo sui miti e i luoghi comuni legati alle spade antiche) erano pochi e la creazione di una lama lunga, resistente, flessibile e affilata richiedeva mesi di duro lavoro e un investimento economico fuori dalla portata di moltissimi combattenti.

Anche disponendo di fondi sufficienti per l’acquisto una spada, l’arma sarebbe stata sprecata per usi quotidiani e pesanti come il taglio materiali duri o la lavorazione di una carcassa animale; per questo tipo di lavoro pesante è necessaria una lama più corta, resistente, pesante ed economica, un coltello di dimensioni medio-lunghe e versatile al punto tale da poter essere usato sia quotidianamente come utensile sia in battaglia come ultima arma d’offesa.

Tutti i sax rinvenuti fino ad oggi hanno caratteristiche distintive comuni, ma si presentano sotto forme anche molto differenti: come lama lunga o corta, dal filo dritto o ricurvo, dotata o meno di decorazioni di bronzo o rame.

Intorno al VII secolo d.C. ad esempio fecero la loro apparizione i primi langseax (sax lunghi), più simili a spade che a coltelli ma dotati di una lama a doppio filo e più leggera rispetto agli esemplari più corti. La maggior parte dei sax tuttavia ha un solo lato tagliente e una singola curvatura del dorso o del filo.

Il seax di Beagnoth (o seax del Tamigi), un'arma risalene al X secolo e attualmente custodita al British Museum of London. E' lunga in totale 72 centimetri, pesa quasi 1 kg e riporta per intero l'alfabeto runico anglosassone.
Il seax di Beagnoth (o seax del Tamigi), un’arma risalene al X secolo e attualmente custodita al British Museum of London. E’ lunga in totale 72 centimetri, pesa quasi 1 kg e riporta per intero l’alfabeto runico anglosassone.

Il sax aveva due forme tipiche: la prima prevedeva una dolce curvatura del dorso dalla punta dell’arma fino all’estremità opposta del codolo; la seconda invece era composta da un codolo centrale, una lama dritta per buona parte della sua lunghezza e un’interruzione brusca del dorso in prossimità della punta (“dorso spezzato”), fornendo una particolare angolatura nei centimetri finali dell’arma.

Considerata la sua larga diffusione tra gli uomini liberi dell’Europa centrale e settentrionale, la maggior parte degli esemplari di seax veniva realizzata da fabbri locali e non da armaioli specializzati.

Un coltello robusto e affidabile

La lama di un sax era di fattura più semplice e grossolana, tendeva ad essere più pesante e spessa di quella di una spada realizzata da un esperto armaiolo, con un dorso (il lato non tagliente) spesso fino a 8 millimetri.

La funzione principale del sax era quella di tagliare o troncare con velocità ed efficienza; il suo costo di fabbricazione ridotto, la sua semplicità e la facilità di riparazione lo resero quindi uno strumento d’uso quotidiano resistente e riparabile dalla maggior parte dei fabbri non specializzati che vivevano nelle piccole comunità rurali.

Seax a lama larga e dorso troncato, circa VIII secolo
Seax a lama larga e dorso troncato, circa VIII secolo

L’impugnatura in legno, corno o osso poteva essere facilmente sostituita da chiunque avesse il livello di manualità necessario a sopravvivere nelle comunità nordeuropee. Il dorso massiccio e pesante veniva impiegato anche come martello, ad esempio per rompere ossa animali ed estrarre il nutriente midollo.

Qualche seax fu tuttavia realizzato con estrema cura e da mani esperte: alcuni esemplari risalenti all’ VIII secolo sono stati realizzati con la tecnica del “Damasco saltato”, che prevede la battitura e ripiegatura continue del ferro che compone la lama allo scopo di formare un motivo decorativo che emerge quando il corpo dell’arma viene immerso in una soluzione acida. Queste armi dimostrano l’utilizzo di tecniche di forgiatura sofisticate e costose che solo gli uomini liberi più ricchi potevano permettersi.

Arma versatile e “riciclabile”

Il sax era generalmente indossato orizzontalmente all’altezza della cintura, con il filo della lama rivolto verso l’alto per impedire che l’estrazione ripetuta e quotidiana dell’arma tagliasse il fodero.

Per quanto il suo utilizzo fosse principalmente estraneo alla battaglia, il sax si rivelò un’ottima arma da combattimento ravvicinato in numerosissime occasioni, divenendo per alcuni guerrieri un’arma preferibile alla spada quando il nemico raggiungeva il suo raggio d’azione.

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In linea di massima, molte delle tecniche di combattimento norrene che prevedono l’uso di spada e scudo si adattano bene all’impiego di un seax. Questo lungo coltello è facilmente occultabile dietro uno scudo, aprendo il campo ad attacchi a sorpresa imprevedibili e letali.

La forma del sax restringeva tuttavia la sua versatilità nel combattimento: l’unico filo tagliente limitava la varietà di fendenti letali e la pesantezza dell’arma poteva facilmente stancare chi la impugnava.

La versatilità del sax non risiedeva esclusivamente nei suoi molteplici utilizzi come arma o utensile. Il ferro era un materiale prezioso nell’antichità e veniva continuamente riciclato sotto forme differenti.

Un sax danneggiato poteva, in alcune circostanze, essere riparato da un fabbro esperto, ma non era affatto raro che venisse invece utilizzato come fonte di metallo per la realizzazione di utensili agricoli o coltelli corti (che in epoca vichinga differivano dai sax principalmente per la loro lunghezza, inferiore ai 20 centimetri).

The Anglo Saxon Broken Back Seax
Viking Sax
Seax of Beagnoth

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Il coltello multiuso degli amanuensi medievali https://www.vitantica.net/2018/02/09/coltello-multiuso-amanuensi-medievali/ https://www.vitantica.net/2018/02/09/coltello-multiuso-amanuensi-medievali/#respond Fri, 09 Feb 2018 02:00:24 +0000 https://www.vitantica.net/?p=1373 Scrivere un libro o copiare un testo antico era una faccenda piuttosto complicata nel Medioevo: produrre e riempire una pagina era un processo che richiedeva innumerevoli ore-lavoro e gli errori di trascrizione erano sempre in agguato.

Tutto partiva dalla pergamena, una superficie relativamente delicata che doveva essere preparata con attenzione e maneggiata con cura; a complicare il tutto c’erano gli inchiostri, talvolta basati su componenti tossici (come il solfato di mercurio per il rosso) e che andavano sempre dosati con cura e fissati per evitare che creassero macchie o penetrassero troppo profondamente all’interno delle fibre che componevano la pagina.

Il lavoro di copiatura era reso ancora più difficile dall’assenza di due strumenti che oggi diamo per scontati: la matita e la gomma per cancellare. Un amanuense non poteva permettersi il lusso di commettere errori, ma le sviste erano sempre dietro l’angolo, specialmente quando i copisti non si servivano di un leggio ma appoggiavano sulle ginocchia il volume da trascrivere.

Come si poteva rimediare ad uno sbaglio quando l’inchiostro stava già facendo presa sulla pergamena?

Il coltello multiuso dei copisti

La soluzione dei copisti medievali fu semplice e brutale: usare un coltello affilato per raschiare la pergamena e rimuovere l’inchiostro.

I coltelli degli amanuensi sono scoperte rare ma di recente ne è stato rinvenuto uno nel castello di Pasym, Polonia, un oggetto a doppia lama realizzato probabilmente tra l’ VIII e il IX secolo.

Gli archeologi dell’ Università di Varsavia hanno scoperto questo raro coltello da amanuense durante gli scavi condotti nell’insediamento fortificato di Pasym, nel distretto di Szczycień.

Il coltello, lungo poco meno di 10 centimetri, è dotato di due lame: la prima è lunga 42 millimetri mentre la seconda 27 mm.

“Nessun oggetto simile è mai stato scoperto in Polonia fino ad ora” sostiene Sławomir Wadyl, direttore degli scavi. “La ricerca di artefatti simili ci ha condotto sulle isole britanniche, dove i coltelli circolari sono tipici di questo periodo”.

Taglio, correzioni e cancellazioni

I ricercatori ritengono che le due lame di precisione fossero utilizzare per raschiare le fibre delle pergamene allo scopo di rimuovere l’inchiostro in corrispondenza di errori di trascrizione.

“Sappiamo che coltelli dotati di una varietà di lame accompagnavano ogni passo della creazione di un manoscritto: erano usati per tagliare la pergamena, per tracciare linee, per controllare la forma delle lettere e per cancellare errori“.

Scriptorium e copisti

“Sembra che in origine fossero utilizzati dai copisti” continua Wadyl, “ma col tempo si sono probabilmente adattati ad altri utilizzi che richiedevano precisione e in cui le possibilità offerte da coltelli dotati di due lame sono le benvenute. Potrebbero quindi essere stati impiegati anche per lavorare la pelle, il legno o l’osso”.

I coltelli degli amanuensi venivano utilizzati anche per appuntire le penne d’oca o i calami, operazione che doveva essere ripetuta fino a 60 volte nell’arco di una giornata.

Il duro lavoro dell’amanuense

Riassumendo brevemente e in modo generico il procedimento che portava alla realizzazione della pagina di un libro, si partiva dal fabbricante di pergamena, che creava le pagine lavorando la pelle di vitello, montone o capretto immergendola inizialmente in un bagno di calce, poi raschiandola accuratamente per eliminare residui organici indesiderati, infine sbiancando la superficie dei fogli con gesso o talco.

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La pergamena giungeva quindi in uno scriptorium, dove i novizi si occupavano di tagliare e lisciare i fogli, tracciare le linee orizzontali parallele (di solito 26) che avrebbero guidato il copista e definire gli spazi destinati alle miniature.

Il tavolo di un copista era inizialmente una semplice superficie orizzontale, ma col tempo venne dotato di un leggio e di un piano inclinato.

Il resto del tavolo era occupato dagli strumenti d’uso comune: il calamaio, alcune penne d’oca (o di altri grossi volatili), uno stilo generalmente dotato di una punta in piombo usato per tracciare le righe e i margini, un righello, un coltello e una serie di pietre pomici per fissare l’inchiostro sulla pergamena o per lisciare la superficie del foglio dopo la raschiatura degli errori con il coltello.

Unique knife of an early medieval scribe discovered in Pasym

Opificium Librorum (Fabbrica del Libro)

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10 metodi di esecuzione più crudeli dell’antichità https://www.vitantica.net/2017/09/28/10-metodi-di-esecuzione-piu-crudeli-dellantichita/ https://www.vitantica.net/2017/09/28/10-metodi-di-esecuzione-piu-crudeli-dellantichita/#comments Thu, 28 Sep 2017 02:00:56 +0000 https://www.vitantica.net/?p=508 Nel corso dei millenni, l’essere umano ha speso un tempo insolitamente lungo e fin troppe risorse mentali e fisiche per ideare metodi di tortura e di esecuzione esemplari, ritualizzati o semplicemente troppo crudeli per essere immaginati da una mente sana.

Qui sotto elenco alcune procedure di esecuzione della pena capitale, forse meno note di altre più recenti, ma non per questo meno cruente.

Scorticamento

Scorticamento

Lo scorticamento prevede la rimozione della pelle dal resto del corpo, tentando di preservarla integra il più possibile. Ciò che porta alla morte (nell’arco di qualche ora o giorno) è un mix di elementi: shock, perdita di sangue, ipotermia e infezioni causate dall’esposizione dei tessuti sottocutanei.

Gli Assiri, particolarmente legati a questa pratica, erano soliti scorticare vivi i capi dei nemici catturati come esempio per chiunque osasse nuovamente ribellarsi in futuro.

Lingchi – Morte dai mille tagli

Il Lingchi era una forma di esecuzione utilizzata in cina dal 900 d.C. fino ai primi del ‘900, periodo in cui fu abolita. Il condannato moriva sperimentando un dolore atroce e costante mentre gli venivano asportati pezzi di carne in modo metodico con un coltello.

Questa condanna era riservata generalmente ai traditori; talvolta veniva somministrato oppio al condannato per prevenire che svenisse dal dolore e consentire al carnefice di proseguire con l’asportazione di altri tessuti.

E’ l’unico metodo di esecuzione della pena capitale elencato in questo post che ha testimonianze fotografiche reperibili sulla Rete (che ho volontariamente omesso perché troppo forti anche per un testo che parla di condanne capitali crudeli).

La sega

Le esecuzioni praticate con l’uso di una sega sono state innumerevoli nel corso della storia e se ne hanno tracce fin dall’ Impero Romano, periodo in cui l’esecuzione veniva condotta tagliando il condannato all’altezza della vita. In altre località del pianeta, il condannato veniva segato a partire dall’inguine o dalla testa.

La “Caverna delle Rose”

Metodo svedese risalente al XIII° secolo d.C. che prevedeva di rinchiudere il condannato in una caverna piena di creature velenose come serpenti, scorpioni o altri insetti. Nell’oscurità totale e impossibilitata ad uscire, la vittima veniva più e più volte avvelenata da ogni animale in cui si imbatteva, soffrendo atrocemente fino a morire. La Caverna delle Rose è stata abolita nel 1772.

Il toro di Falaride

Toro di Falaride

Il toro di Falaride è una forma di esecuzione nata nell’ Antica Greca e istituita da Falaride, tiranno della città siciliana di Agrigento, per punire i criminali in modo esemplare.

Si trattava di una statua di bronzo che raffigurava un toro e munita di una botola su un lato dell’addome dell’animale: tramite la botola, i prigionieri accedevano alla struttura cava della statua, progettata per trasformare i lamenti dei condannati nei versi di un toro infuriato, e il carnefice accendeva un fuoco sotto al toro per arroventare il metallo. I condannati venivano letteralmente arrostiti fino a morire.

Scafismo

Lo scafismo è probabilmente una delle torture più brutali dell’antichità: nato in Persia, questa condanna a morte prevedeva l’inserimento del condannato in un tronco cavo (o due barche disposte a “sandwich”) lasciando esposte all’aria le braccia, le gambe e la testa; il prigioniero era poi alimentato a latte e miele per provocare una forte diarrea, e arti e testa venivano cosparsi di miele per attirare gli insetti.

Ogni animaletto strisciante e presente nel raggio di qualche chilometro iniziava a pungere il condannato e a deporre le sue uova all’interno della vittima, causando infezioni che ben presto degeneravano in cancrena e che causavano la morte del condannato dopo giorni di dolori indescrivibili.

Elefante

L’elefante era utilizzato come metodo di esecuzione oltre 4000 anni fa in India, ma questa pratica è probabilmente ancora più antica. La “morte per elefante” prevedeva di uccidere il condannato usando elefanti specificamente addestrati per torturare più o meno lentamente il prigioniero per poi ucciderlo calpestandolo o smembrandolo.

Bambù

Il bambù è noto per crescere con velocità sorprendente: alcune specie crescono di quasi un metro in 24 ore, mentre le specie più comuni possono crescere di 3-5 centimetri al giorno.

L’esecuzione col bambù sfrutta la capacità di crescita di questa pianta per uccidere il condannato a morte: il prigioniero veniva legato e fatto sedere su un germoglio di bambù, attendendo per giorni che il germoglio crescesse penetrando nel corpo della vittima fino ad impalarla.

“Hanged, drawn and quartered” (Impiccato, squartato e smembrato)

Condanna capitale istituita nel 1351 in Inghilterra per i detenuti per alto tradimento. Il condannato veniva legato ad un cavallo e trascinato fino al patibolo, dove veniva impiccato fino quasi a morire; veniva quindi privato degli organi genitali, smembrato, decapitato e infine ridotto in quarti, come un animale. I quattro pezzi del detenuto venivano spesso esposti in località molto frequentate, come sul London Bridge.

Poena cullei (“la pena del sacco”)

Poena cullei

Pena dalla Roma antica prevista per i responsabili di parricidio. Il condannato veniva cucito (si, cucito) all’interno di un sacco di cuoio insieme ad un cane (considerato un animale vile e disprezzabile), un cappone (ritenuto particolarmente feroce) e una vipera (che, secondo Plinio, veniva uccisa dai piccoli che uscivano bucando il fianco della madre.

In alternativa c’era la scimmia (“strangolata d’amore” dai figli); il prigioniero era poi condotto fino al Tevere o al mare a bordo di un carro trainato da un bue nero e gettato nell’acqua per farlo affogare.

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