archeologia sperimentale – VitAntica https://www.vitantica.net Vita antica, preindustriale e primitiva Thu, 01 Feb 2024 15:10:35 +0000 it-IT hourly 1 Experimental Archaeology Lab: il laboratorio di archeologia sperimentale della Kent State University https://www.vitantica.net/2019/11/28/experimental-archaeology-lab-il-laboratorio-di-archeologia-sperimentale-della-kent-state-university/ https://www.vitantica.net/2019/11/28/experimental-archaeology-lab-il-laboratorio-di-archeologia-sperimentale-della-kent-state-university/#respond Thu, 28 Nov 2019 00:13:21 +0000 https://www.vitantica.net/?p=4672 I resti archeologici d’osso, di pietra o di ceramica sono risorse per nulla illimitate, spesso fragili e il più delle volte difficili da quantificare economicamente. Si tratta di oggetti che gli archeologi trattano con estremo riguardo per non compromettere la loro stabilità e consentire alle generazioni future di poter effettuare osservazioni e analisi utili a comprenderne l’utilizzo e le società che li hanno creati.

Per ottenere più informazioni da un reperto è spesso necessario, tuttavia, danneggiare queste preziose risorse archeologiche, mandando letteralmente in frantumi gli sforzi di ricerca e conservazione compiuti in precedenza.

Per evitare di rovinare preziosissimi artefatti dal valore incalcolabile, i ricercatori dell’ Experimental Archaeology Lab alla Kent State University si dedicano alla realizzazione di repliche identiche a reperti archeologici rinvenuti in ogni angolo del pianeta, in modo tale da scoprire come venivano realizzati, la loro reale efficacia e le tecnologie che portarono alla loro costruzione.

In questo modo è possibile mettere alla prova la durabilità di contenitori di terracotta, utensili di pietra, comprendere la capacità di penetrazione di proiettili e armi bianche, e ricostruire antiche tecniche ormai perdute.

Gizmodo e Atlas Obscura hanno recentemente visitato la Kent State University per filmare il lavoro dei ricercatori dell’ Experimental Archaeology Lab, un laboratorio noto per il suo lavoro di archeologia sperimentale.

Tra gli esempi di archeologia sperimentale visibili nel filmato è possibile trovare anche il “coltello di feci” menzionato in questo post.

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Medieval Myth Busting: arco lungo inglese e armatura https://www.vitantica.net/2019/11/21/medieval-myth-busting-arco-lungo-armatura/ https://www.vitantica.net/2019/11/21/medieval-myth-busting-arco-lungo-armatura/#comments Thu, 21 Nov 2019 00:04:17 +0000 https://www.vitantica.net/?p=4679 L’arco lungo inglese è un’arma estremamente potente che, nel tempo, ha assunto aspetti quasi leggendari. Ogni elemento relativo alle sue origini, alla sua efficacia e alla sua potenza distruttiva è stato oggetto di numerosissimi studi e analisi da parte di archeologi o semplici appassionati di storia della guerra.

Talvolta, alcune caratteristiche dell’arco lungo inglese sono state ingigantite, finendo per essere vittime di ciò che chiamo “l’inganno della katana”: si trattava sicuramente di armi incredibilmente sofisticate, estremamente potenti per l’epoca storica in cui sono state inventate, ma ogni arma è soggetta a limiti derivanti dal design, dai materiali impiegati per costruirla o dalla funzionalità per cui è stata concepita.

Nel video qui sotto, Tod Todeschini mette alla prova le prestazioni dell’arco lungo inglese grazie all’aiuto di esperti di arcieria, ricercatori ed esperti di metallurgia antica.

L’arco utilizzato nei test è la riproduzione di un’arma in legno di tasso rinvenuta all’interno del relitto della Mary Rose, affondata nel 1545, e capace di esercitare una potenza di 160 libbre. Estremamente difficile da tendere per una persona non allenata (e richiede molto sforzo anche ai più esperti), si trattava di un libbraggio apparentemente comune tra il XV e il XVI secolo.

I bersagli sono stati posizionati a distanze di 10 e 25 metri e rivestiti con tessuto protettivo, maglia di ferro e la riproduzione di un pettorale d’acciaio raffreddato ad aria e di spessore variabile: 2,5 millimetri al centro e 1,5 mm alle estremità.

I risultati sono interessanti: per quanto potente, l’arco lungo si dimostra sostanzialmente inefficace contro un bersaglio protetto da pettorale d’acciaio, dimostrando scarsissimo potere di penetrazione anche a distanze ravvicinate.

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Il problema fondamentale è che il bersaglio di un arciere era generalmente un soldato protetto da armature di maglia di ferro, cuoio rinforzato o tessuto. Sotto i dardi scagliati a pioggia da un manipolo di arcieri, ben pochi soldati si sentivano al sicuro o ben protetti.

La maglia metallica posta sotto i bersagli dell’esperimento è stata penetrata con relativa semplicità da una freccia da 80 grammi, dimostrando quando l’arco lungo inglese potesse dimostrarsi letale in uno scenario reale. Anche chi era così fortunato da poter indossare pettorali d’acciaio, spesso lasciava esposte braccia e gambe, protette da pezzi meno rigidi e costosi.

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Modern History TV: essere un arciere medievale https://www.vitantica.net/2019/10/21/modern-history-tv-essere-un-arciere-medievale/ https://www.vitantica.net/2019/10/21/modern-history-tv-essere-un-arciere-medievale/#comments Mon, 21 Oct 2019 00:01:44 +0000 https://www.vitantica.net/?p=4615 Essere un buon arciere non è affatto semplice: dopo qualche ora di pratica ininterrotta ci si rende conto di quanto sia faticoso un gesto apparentemente semplice quale tendere una corda.

Gli arcieri inglesi iniziavano il loro addestramento fin da giovanissimi, un addestramento utile a sviluppare la precisione necessaria alla battaglia ma anche la muscolatura indispensabile per resistere a ore e ore di lanci verso obiettivi specifici.

Un arco lungo inglese risultava difficile da tendere anche per gli standard bellici medievali, esercitando forze superiori al 70-80 libbre. Anche essendo in buona forma fisica, muscolatura e tendini si affaticano molto velocemente a scapito di potenza e precisione.

La struttura scheletrica degli arcieri medievali mostra tutti gli effetti che una pratica continua e di lunga durata può provocare in un individuo: braccio sinistro più grande e massiccio, ossa irrobustite in corrispondenza del polso sinistro, della spalla sinistra e delle dita della mano destra.

La gittata dell’arco lungo inglese, secondo alcuni storici, poteva superare i 300 metri. Sappiamo che nel 1542 Enrico VIII stabilì che la distanza minima di pratica per gli adulti dovesse essere di 200 metri per le frecce “da volo” (più leggere di quelle da guerra), di poco inferiore per quelle pesanti.

La dotazione militare di un arciere medievale prevedeva da 60 a 72 frecce. Nessun arciere scagliava tutte le sue frecce alla massima velocità: anche il combattente più fisicamente preparato si sarebbe affaticato in pochissimo tempo. Usando gli archi da guerra più pesanti, la media di lancio era di 6-8 frecce al minuto.

La difficoltà nell’utilizzo dell’arco lungo inglese viene mostrata in questo video in cui Luke Woods, esperto  nell’impiego dell’arco lungo inglese, insegna l’uso dell’arco lungo a Jason Kingsley, presentatore del canale Modern History TV.

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Costruire una casa vichinga con utensili manuali: Bushcraft Project https://www.vitantica.net/2019/10/10/costruire-casa-vichinga-utensili-manuali-bushcraft-project/ https://www.vitantica.net/2019/10/10/costruire-casa-vichinga-utensili-manuali-bushcraft-project/#respond Thu, 10 Oct 2019 00:10:55 +0000 https://www.vitantica.net/?p=4577 In questi due video del canale YouTube TA Outdoors vengono riprese le fasi di costruzione di una casa vichinga, dalla lavorazione del legname alla realizzazione del telaio, fino alle fasi di rifinitura.

L’abitazione è stata realizzata utilizzando legname di cedro e utensili tradizionali come ascia, sega e martello. L’intera abitazione poggia su fondamenta costituite da 10 tronchi di cedro trattati con una tecnica ben poco norrena (la Shou-Sugi Ban, o yakisugi, tecnica giapponese per la conservazione del legno) per evitare la decomposizione del legname.

La semplicità della tecnica giapponese rende del tutto probabile che anche i popoli nordici fossero a conoscenza di questo metodo: si tratta di bruciare la superficie dei tronchi per carbonizzarla e renderla più resistente all’acqua.

Il terzo video si concentra sulla costruzione di un focolare a fossa da posizionare all’interno dell’abitazione. Le pietre del focolare sono state fissate utilizzando l’argilla estratta durante gli scavi; al termine del filmato, la casa vichinga inizia a prendere forma, con un focolare centrale e un telaio eretto.

Nella quinta parte i costruttori si dedicano alla realizzazione del tetto sfruttando i vantaggi offerti da un cavalletto da segatura costruito nel video precedente. Dopo aver realizzato il telaio con tronchi impermeabilizzati, si inizia la lavorazione della corteccia di cedro per ottenere tegole con cui rivestire l’esterno dell’abitazione, lavorazione che prosegue nel sesto video.

Nel settimo video i costruttori si prendono una pausa per trascorrere la notte nel rifugio appena terminato e cucinare un pasto norreno: agnello arrostito sulla fiamma viva e pane fresco cotto in una pentola di ferro battuto.

La costruzione della casa vichinga prosegue con la realizzazione di una staccionata perimetrale, finestre di legno e un comignolo per il tetto.

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Video: la produzione di birra nel Medioevo https://www.vitantica.net/2019/08/01/video-produzione-birra-nel-medioevo/ https://www.vitantica.net/2019/08/01/video-produzione-birra-nel-medioevo/#respond Thu, 01 Aug 2019 00:10:07 +0000 https://www.vitantica.net/?p=4460 La qualità, la diversità e la popolarità della birra sono aumentate vertiginosamente grazie all’industria moderna. Innovazioni nella creazione, nel gusto, nell’aspetto, nel marketing e nel design delle etichette hanno elevato la birra e la sua produzione a una forma d’arte.

La birra è stata documentata archeologicamente e storicamente in varie culture fin dalla preistoria. I ricercatori hanno esplorato e interpretato il ruolo sociale della birra e della sua produzione. Questo video documenta gli esperimenti di produzione della birra secondo le tecniche medievali condotti da Brian Costello e Reanna Phillips ed esposti nel 2018 alla 40° Theoretical Archaeology Group Conference.

Nel video viene mostrato il procedimento, gli ingredienti e il gusto della birra medievale paragonati alla produzione moderna di questa bevanda. Lo scopo dei ricercatori è stato quello di riprodurre l’arte della produzione di birra nel Medioevo.

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Team giapponese replica l’antica (e ipotetica) migrazione da Taiwan a Okinawa https://www.vitantica.net/2019/07/15/antica-migrazione-taiwan-okinawa/ https://www.vitantica.net/2019/07/15/antica-migrazione-taiwan-okinawa/#comments Mon, 15 Jul 2019 00:10:10 +0000 https://www.vitantica.net/?p=4419 Secondo i maggiori esperti del Paleolitico giapponese, i primi insediamenti umani in Giappone risalirebbero a circa 30.000 anni fa. Ad oggi non abbiamo alcuna certezza su come le isole nipponiche siano state popolate dall’uomo in epoca paleolitica, ma gli studiosi della preistoria giapponese hanno formulato tre differenti ipotesi.

La prima ipotesi prevede che i primi abitanti del Giappone siano giunti dalla Corea attraverso lo stretto di Tsushima; la seconda, invece, sostiene che le comunità paleolitiche eurasiatiche abbiano attraversato il lembo di mare tra la Russia e Hokkaido per poi superare lo stretto di Tsugaru, che separa l’isola di Hokkaido da quella di Honshu.

La terza ipotesi, invece, afferma che gli esseri umani giunti in Giappone intorno a 30-40.000 anni fa provenissero da Taiwan. Per dimostrare la fattibilità dell’impresa, un team di ricercatori giapponesi e taiwanesi ha percorso il tratto di mare che separa Taiwan dall’isola giapponese di Yonaguni a bordo di una canoa a scafo monossilo.

Una traversata senza strumenti

La traversata di 200 km è stata compiuta a bordo di una canoa ricavata da un singolo tronco d’albero, lunga 7,6 metri e larga 70 centimetri. I cinque membri dell’equipaggio, un taiwanese e 4 giapponesi, hanno solcato il mare per due giorni consecutivi orientandosi esclusivamente con il sole, le stelle e i venti seguendo i metodi tradizionali di navigazione utilizzati nel Pacifico, come il sistema di navigazione polinesiano.

Il progetto, iniziato nel 2017 grazie alla collaborazione del National Museum of Nature and Science giapponese e del National Museum of Prehistory di Taiwan, aveva l’obiettivo di verificare la fattibilità di un viaggio simile utilizzando la tecnologia paleolitica.

“E’ stato un viaggio perfetto” spiega Koji Hara, uno dei 5 membri dell’equipaggio. “La Corrente Nera ha trasportato la canoa e ci siamo limitati a manovrarla un pochino”. All’arrivo sull’isola di Yonaguni, la spedizione è stata accolta dalle celebrazioni dei residenti, lieti di vedere il progetto concludersi con successo.

Prima di questa spedizione erano stati effettuati altri due tentativi, uno nel 2017 e un altro nel 2018, partendo dall’isola di Yonaguni a bordo di imbarcazioni realizzate con paglia, bambù e rattan. La prima spedizione ha coperto solo 66 km, mentre la seconda ha resistito poco al mare aperto, costringendo l’equipaggio ad interrompere l’impresa.

Kuroshio, la Corrente Giapponese

Quella che viene definita come “Corrente Nera”, “Kuroshio” o “Corrente Giapponese” è una corrente oceanica nel Pacifico settentrionale che ha inizio nelle Filippine e fluisce verso Nord lungo la costa orientale del Giappone. Si tratta essenzialmente di una corrente che svolge una funziona analoga alla Corrente del Golfo atlantica, trasportando acqua calda tropicale verso le regioni polari.

La spedizione poco dopo la partenza da Taiwan
La spedizione poco dopo la partenza da Taiwan

Durante il suo passaggio, la Corrente Giapponese crea vasti vortici del diametro di 100-300 km che possono persistere per mesi interi. Questi vortici sembrano rappresentare un ambiente ideale per la sopravvivenza di molte specie di larve di pesce e favorire l’accumulo di plankton.

L’isola di Yonaguni, appartenente alla prefettura di Okinawa, si trova nel bel mezzo della corrente Kuroshio. Essendo l’ultima isola giapponese a Sud prima di Taiwan, potrebbe aver rappresentato il primo approdo per raggiungere le isole maggiori giapponesi.

Yonaguni costituisce infatti il primo passo per raggiungere Okinawa: superando tratti di mare di 50-100 km seguendo la Corrente Nera, è possibile raggiungere l’isola di Ishigaki, quella di Miyakojima e infine Okinawa. Spingendosi ancora più a nord sospinti dalla Kuroshio si raggiunge il Kyūshū, una delle isole maggiori del Giappone.

Diverse ondate migratorie

La maggior parte delle ricerche antropologiche sugli antichi abitanti del Giappone suggeriscono che le isole nipponiche siano state occupate in almeno due ondate migratorie; la più recente si è verificata circa 2.300 anni fa tra Corea e Giappone.

Per quanto riguarda il flusso migratorio più antico, le analisi della morfologia dentale degli antichi giapponesi suggerirebbero che le isole maggiori siano state popolate circa 30.000 anni fa da individui provenienti da Okinawa; la genetica, invece, propone l’ipotesi di un arrivo precedente, circa 40.000 anni fa, frutto di un’ondata migratoria partita dalla Siberia.

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Lo scenario più probabile è che le isole maggiori del Giappone siano state occupate da migrazioni provenienti dalla Siberia, dalla Corea e da Taiwan, e non da un singolo evento migratorio localizzabile con precisione. Alcuni archeologi ritengono inoltre che i primi abitanti giapponesi siano giunti 100.000 anni fa sfruttando ponti di terre emerse che collegavano la penisola coreana con Honshu e Hokkaido.

Team successfully replicates imagined ancient sea migration from Taiwan to Okinawa
Advanced maritime adaptation in the western Pacific coastal region extends back to 35,000-30,000 years before present
EARLY MAN IN JAPAN

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Ascia di pietra, bronzo e acciaio a confronto https://www.vitantica.net/2019/05/10/ascia-pietra-bronzo-acciaio-confronto/ https://www.vitantica.net/2019/05/10/ascia-pietra-bronzo-acciaio-confronto/#comments Fri, 10 May 2019 00:10:40 +0000 https://www.vitantica.net/?p=4116 E’ difficile riuscire a trovare informazioni corrette e accurate sull’efficacia degli utensili utilizzati in epoca preistorica. Non molti ricercatori si dedicano alla ricostruzione pratica delle antiche tecnologie, ancora meno rivolgono la loro attenzione alla realizzazione di utensili d’uso quotidiano.

L’ archeologia sperimentale e gli “esperimenti imitativi”, con tutti i loro limiti che qualcuno più competente di me potrebbe elencare, forniscono tuttavia alcuni preziosi indizi sull’ingegno dei nostri antenati e sulle risorse da loro utilizzate per semplificarsi la vita.

Con l’inizio della lavorazione della pietra, l’ascia iniziò a costituire un utensile e un’arma estremamente versatile: poteva essere ovviamente impiegata per recuperare legname, ma trovava impiego in moltissimi altri ambiti in un contesto di vita a stretto contatto con la natura.

Dipendentemente dalla sua tecnologia costruttiva e dai materiali impiegati, l’ascia rappresentò anche uno strumento multiuso per lavori di precisione, per la caccia, per la guerra, o un semplice “spaccaossa” per la lavorazione delle carcasse animali.

Quanto è realmente efficace un’ascia di pietra?

Quali sono le reali prestazioni di un’ascia di pietra in confronto a bronzo e acciaio? Ogni ascia è dotata di una testa, una lama spessa, resistente e talvolta molto affilata. E’ facilmente intuibile che la testa di un’ascia costituisca un elemento importante per l’efficacia dell’utensile; anche il manico è rilevante, ma una testa degna di tale nome può essere all’occorrenza facilmente adattata ad una nuova impugnatura, più performante, resistente o leggera.

Una comparazione sul campo tra asce di pietra, bronzo e acciaio è stata fatta nel 2010 da James R. Mathieu e Daniel A. Meyer della Boston University e pubblicata sulla rivista Journal of Field Archaeology. Il metodo adottato nella ricerca prevede l’abbattimento di alcune specie di alberi tipiche dell’emisfero settentrionale utilizzando asce realizzate con diversi materiali.

Asce di bronzo (a sinistra) e asce di pietra (a destra) impiegate nell'esperimento
Asce di bronzo (a sinistra) e asce di pietra (a destra) impiegate nell’esperimento

Ciò che hanno fatto i ricercatori aveva un obiettivo fondamentale: mettere a confronto pietra, bronzo e acciaio in termini di efficienza per comprendere nel miglior modo possibile la praticità di questi utensili.

Calcolare con esattezza i tempi di abbattimento di un albero pare non sia così semplice: fin dal 1960 sono state effettuate diverse comparazioni nelle tempistiche di abbattimento utilizzando diversi tipi di acciaio; talvolta si è anche tentato di paragonare le asce moderne a quelle di pietra, ma il confronto di efficienza non si basa soltanto sul tempo necessario ad abbattere un tronco.

L’efficienza nell’abbattimento di un albero si calcola tenendo in considerazione anche il rapporto di kilocalorie consumate per ogni centimetro di taglio (pollice, in questo caso). Negli anni ’70 del 1900, ad esempio, Stephen Sarayadar e Izumi Shimada hanno calcolato che l’acciaio fosse quasi 4 volte più efficiente della pietra in quanto a tempistiche e circa 3 volte più efficiente in termini di calorie consumate.

Asce di pietra, bronzo e acciaio alla prova sul campo

Le asce di bronzo utilizzate nell’esperimento erano repliche di utensili risalenti al 1400-900 a.C., realizzate con una lega di bronzo al 90% da rame e al 10% di stagno e modellate sulla base di alcuni reperti custoditi allo University Museum of Archaeology and Anthropology.

Differenza di prestazioni tra asce di bronzo e asce di acciaio
Differenza di prestazioni tra asce di bronzo e asce di acciaio

Anche le asce di pietra sono state realizzate partendo da esemplari di teste d’ascia di pietra custoditi nello stesso museo e rinvenuti nei pressi del lago di Costanza, in Svizzera. Due teste d’ascia erano in selce, altre due invece di pietra afanitica, un tipo di roccia ignea criptocristallina composta da cristalli dal diametro inferiore agli 0,5 millimetri (come il basalto o l’andesite).

I test sono stati condotti con 4 teste d’ascia in acciaio (dal peso compreso tra i 600 grammi e i 2,3 kg), 4 teste di bronzo tra 1 kg e 1,9 kg e 8 teste di pietra (con peso compreso tra i 2 kg e i 2,7 kg). Sono state impiegate lame di larghezza differente e manici di lunghezza compresa tra i 30 e i 91 cm.

Gli alberi selezionati per l’abbattimento avevano un diametro da 8 centimetri a quasi 34 centimetri; sono stati utilizzati pioppi, pini, aceri, olmi, querce e betulle, esemplari rappresentativi della flora europea e nordamericana del Neolitico.

Come era facilmente prevedibile, l’ascia d’acciaio ha prestazioni differenti da quella di bronzo, ma la differenza di efficienza tra i due utensili non è così evidente: la lega di rame e stagno riesce comunque ad abbattere un tronco del diametro di 30 centimetri in meno di 15 minuti, una velocità poco differente a quella raggiunta con l’acciaio.

Il bronzo in realtà può ottenere un’affilatura efficace con l’indurimento, ma la sua morbidezza rispetto all’acciaio non gli consente di mantenere a lungo una filo tagliente. Questa scarsa durezza non sembra tuttavia aver pregiudicato l’abbattimento di alberi di diametro medio-piccolo in tempi competitivi a quelli di un’ascia di acciaio.

L’efficienza dell’ascia di pietra

Con la pietra il discorso è un po’ differente, ma il materiale litico può avere sorprendenti doti di durezza e resistenza. Nei confronti di tronchi di 30 centimetri, l’ascia di pietra può richiedere ben 30-50 minuti per completare un abbattimento; ma nel caso di alberelli di 10-20 centimetri, l’abbattimento risulta relativamente semplice in 5-15 minuti, tempistiche che variano in relazione alla specie di albero selezionata.

Differenza di prestazioni tra asce di pietra e asce di metallo
Differenza di prestazioni tra asce di pietra e asce di metallo

Una differenza sostanziale è stata osservata nel tipo di taglio. L’ascia di acciaio effettua tagli ben definiti e stacca brandelli di legno dai profili spigolosi e netti; quella di bronzo crea frammenti più piccoli e sottili, e con l’usura tende a ad avere meno efficacia.

L’ascia di pietra è in grado di effettuare tagli relativamente precisi, dipendentemente dal materiale della testa e dalla sua lavorazione. Ma i frammenti che stacca tendono ad essere sfibrati, senza spigoli ben delineati, risultando quasi “masticati”.

E’ sicuramente possibile realizzare pietre taglienti come rasoi utilizzando materiali come l’ossidiana o la selce, ma non si potrà ottenere un utensile utilizzabile per il lavoro pesante a causa della fragilità del materiale litico.

Le conclusioni che i ricercatori hanno tratto sono le seguenti: in primo luogo, asce di bronzo e acciaio possono essere considerate come appartenenti alla stessa categoria di “teste d’ascia di metallo” per via delle loro prestazioni simili.

Anche il manico ha giocato un ruolo rilevante nell’efficienza di un’ascia: un’impugnatura più lunga non consente di mantenere un ritmo veloce, ma compensa la sua lentezza con un’ efficienza energetica maggiore e tempi ridotti per l’abbattimento.

I tronchi di 10-15 centimetri di diametro possono essere velocemente abbattuti da un’ascia di pietra, con tempistiche molto simili a quelle di un’ascia metallica. Con alberi dal diametro di 20 centimetri o superiore, i punti di forza delle asce metalliche emergono sull’efficacia di un utensile di pietra, specialmente sotto l’aspetto di calorie consumate per albero e nella definizione dei tagli effettuati.

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Comparing Axe Heads of Stone, Bronze, and Steel: Studies in Experimental Archaeology

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La spedizione Kon-Tiki https://www.vitantica.net/2019/04/03/spedizione-kon-tiki/ https://www.vitantica.net/2019/04/03/spedizione-kon-tiki/#respond Wed, 03 Apr 2019 00:10:35 +0000 https://www.vitantica.net/?p=3832 Chi raggiunse per primo le isole polinesiane? Ad oggi, questa domanda non ha una risposta certa. Ma i tentativi di ricostruire l’arrivo dei primo esseri umani sulle isole del Pacifico, avvenuto intorno al 1200, non sono stati pochi nel corso della storia recente: è ormai oltre un secolo che gli archeologi cercano di spiegare come i primi abitanti della Polinesia avessero potuto percorrere una distanza così vasta via mare per sbarcare su atolli sperduti.

L’ipotesi di Thor Heyerdahl

Una delle ipotesi più affascinanti viene dall’archeologia sperimentale e da un viaggio compiuto dall’esploratore norvegese Thor Heyerdahl: Heyerdahl sosteneva che i primi abitanti polinesiani fossero giunti dal Sud America in epoca precolombiana partendo dal Perù e viaggiando via mare su imbarcazioni semi-primitive, basando la sua ipotesi su un’antica leggenda degli abitanti dell’Isola di Pasqua, quella relativa alla lotta tra gli Hanau epe (“orecchie lunghe”) e gli Hanau momoko (“orecchie corte”).

Secondo l’interpretazione di Heyerdahl, il mito narra che gli Hanau momoko facessero parte di una seconda ondata migratoria di nativi americani provenienti dalla costa occidentale peruviana, preceduta da una prima ondata che portò gli Hanau epe sulle stesse isole; dopo un periodo di convivenza pacifica, i due gruppi entrarono in conflitto nel XVII secolo per ragioni ancora parzialmente misteriose.

La maggior parte degli storici moderni è concorde sul fatto che, in realtà, il mito di Hanau epe sia soltanto una leggenda legata a scontri tribali e lotte di classe degli abitanti dell’isola. L’analisi genetica dei nativi di Rapa Nui, tuttavia, ha evidenziato che esiste nel loro genoma l’8% di DNA nativo americano, penetrato nel loro patrimonio genetico tra il XIII e il XV secolo.

E’ possibile che Heyerdahl avesse ragione? Non possiamo dichiararlo con certezza. Possiamo tuttavia affermare che il viaggio dal Perù alle isole polinesiane era alla portata degli antichi peruviani, come dimostrerebbe la spedizione Kon-Tiki.

La spedizione Kon-Tiki

Per aggiungere una prova sperimentale alla sua ipotesi, Heyerdahl decise di imbarcarsi in un’impresa senza precedenti: attraversare il Pacifico a bordo di un’imbarcazione realizzata con tecnologie e materiali a disposizione dei peruviani del XIII secolo.

La zattera Kon-Tiki esposta al Museo di Oslo
La zattera Kon-Tiki esposta al Museo di Oslo

Il corpo principale dell’imbarcazione era composto da nove tronchi di balsa lunghi 14 metri e dal diametro di 60 centimetri, legati tra loro con corde di canapa. Per mantenere solida la struttura, altri tronchi di balsa lunghi oltre 5 metri e larghi 30 centimetri furono disposti trasversalmente a intervalli di 91 centimetri.

L’albero principale era alto 8 metri e sorretto da un telaio a forma di “A”. La vela era lunga 4,6 metri, alta 5,5 e sorretta da fusti di bambù, un materiale utilizzato anche per ricoprire il ponte dell’imbarcazione.

A poppa fu costruita una cabina di bambù lunga 4,3 metri, larga 2,4 metri e alta da 1,2 a 1,5 metri, dotata di un tetto di foglie di banano. Il timone, realizzati in legno di mangrovia e abete, era lungo quasi sei metri.

Per costruire la zattera non furono impiegati chiodi, viti o materiali metallici, ma solo legname, bambù e corde di canapa. Gli unici elementi moderni a bordo erano la radio, le batterie che la alimentavano, un generatore elettrico a manovella, un sestante e una bussola, tecnologia di certo non disponibili ai navigatori polinesiani del 1200 ma indispensabili per garantire la sopravvivenza dell’equipaggio

Per garantire la sopravvivenza dei sei membri dell’equipaggio, a bordo furono immagazzinati 1.040 litri d’acqua in 56 contenitori e diversi fusti di bambù, per testare l’efficacia di contenitori antichi e moderni. Furono inoltre caricati decine di noci di cocco, patate dolci e frutta assortita; l’esercito americano fornì anche razioni di cibo di sopravvivenza.

Il viaggio della Kon-Tiki

La Kon-Tiki partì da Callao, Perù, il 28 aprile 1947 scortata per circa 80 km dalla marina peruviana per evitare il traffico costiero. Trasportata dalla corrente di Humboldt, iniziò quindi a navigare verso Ovest a vela spiegata solcando il Pacifico in solitaria.

Il percorso della spedizione Kon-Tiki
Il percorso della spedizione Kon-Tiki

Il primo avvistamento di un’isola si verificò il 30 luglio: l’equipaggio riuscì ad intravedere l’atollo di Puka-Puka, ma non sbarcò preferendo proseguire verso l’atollo di Angatau, dove furono impossibilitati a sbarcare per via della conformazione dell’isola.

Il 7 agosto il viaggio giunse al termine quando la zattera colpì il reef che circondava l’isola disabitata di Raroia, facente parte del gruppo di atolli di Tuamotu. L’equipaggio aveva percorso quasi 7.000 chilometri in 100 giorni ad una velocità media di 1,5 nodi (circa 2,8 km/h).

L’equipaggio era stanco ma in salute: durante la navigazione aveva avuto occasione di pescare pesce in abbondanza e il consumo di scorte alimentari era in linea con le previsioni di Heyerdahl.

Dopo qualche giorno sull’atollo deserto, l’equipaggio fu raggiunto dalle canoe degli abitanti di un villaggio posto su un atollo vicino, allarmati dallo spiaggiamento sulle loro spiagge di alcune parti della Kon-Tiki. Heyerdahl e i suoi compagni furono condotti in salvo nel villaggio per poi essere trasferiti a Tahiti dalla goletta Tamara.

Una spedizione apripista

La Kon-Tiki aprì la strada ad altre spedizioni simili: nel 1954 William Willis si imbarcò sulla zattera Seven Little Sisters viaggiando dal Perù a Samoa, percorrendo 10.800 km; in un secondo viaggio dieci anni dopo, la stessa imbarcazione viaggiò per 12.000 km dal Sud America all’Australia.

La Kantuta, ideata dall’esploratore ceco Eduard Ingris, tentò di replicare il viaggio della Kon-Tiki nel 1955 ma fallì; quattro anni dopo costruì la Kantuta II, riuscendo a raggiungere la Polinesia.

spedizione Kon-Tiki

Il navigatore francese Éric de Bisschop tentò invece di fare il viaggio da Tahiti al Cile a bordo di una zattera polinesiana, la Tahiti-Nui. Partì nel novembre del 1956 da Papeete in compagnia di altre cinque persone e raggiunse le Isole di Juan Fernandez cilene nel maggio 1957.

Nel 1973 lo spagnolo Vital Alsar condusse la “spedizione Las Balsas”, l’unica spedizione di zattere multiple sul Pacifico nella storia recente volta a dimostrare che gli antichi navigatori conoscessero le correnti oceaniche quanto gli esseri umani moderni conoscono la rete stradale.

Nel novembre 2015 è stata organizzata una spedizione commemorativa della Kon-Tiki, la Kon-Tiki2, composta da due imbarcazioni, la Rahiti Tane e la Tupac Yupanqui, ed altrettanti equipaggi internazionali. L’obiettivo era quello di replicare il viaggio effettuato da Heyerdahl aggiungendo il percorso di ritorno.

Ognuna delle due zattere era composta da 11 tronchi di balsa tenuti insieme da circa 2 km di corde di canapa. Dopo aver incontrato condizioni avverse e onde alte fino a sei metri, gli equipaggi furono costretti ad abbandonare le imbarcazioni salendo a bordo della Hokuetsu Ushaka dopo 115 giorni di navigazione.

Le obiezioni alla spedizione

Lo scetticismo sulla capacità di navigazione degli antichi polinesiani è sempre vivo, fin da prima della spedizione di Thor Heyerdahl.

Dal punto di vista geografico, la Polinesia è la nazione più vasta del pianeta: si tratta di oltre un migliaio di isole disperse in milioni di chilometri quadrati di oceano, ben più grande della superficie Russia, Canada e Stati Uniti.

Gli abitanti delle isole sono linguisticamente connessi da idiomi comprensibili anche a migliaia di chilometri di distanza, tra culture che apparentemente non hanno mai avuto contatti per svariati secoli.

James Cook dimostrò questa connessione linguistica portando Tupaia, il gran sacerdote di Tahiti, fino all’isola di Ra’iatea, ad oltre 3.000 chilometri di distanza, scoprendo che poteva comprendere perfettamente il linguaggio degli isolani.

E’ quindi indubbio che ci siano affinità non solo linguistiche ma anche culturali tra le popolazioni delle isole polinesiane. E’ tuttavia molto più difficile dimostrare il perché esistano queste connessioni e come si siano originate.

Sir Peter Buck, in origine noto col nome maori Te Rangi Hiroa, presentò nel 1938 una prima ipotesi sulla migrazione di popoli dal sud-est asiatico, popoli che divennero in seguito gli abitanti della Polinesia. Le sue teorie non fugarono i dubbi degli antropologi, ma ad oggi sembrano più fondate dell’ipotesi di Heyerdahl.

La Hōkūle‘a
La Hōkūle‘a

Sappiamo infatti che i polinesiani raggiunsero le Americhe, ma non abbiamo alcuna prova di un viaggio in direzione opposta se non una componente genetica presente nella popolazione delle isole del Pacifico.

I polinesiani riuscivano a navigare per lunghissime distanze orientandosi con il sole, le stelle e una profonda conoscenza delle correnti oceaniche, elementi che, come dimostrato dal viaggio di Mau Piailug del 1976, erano sufficienti a coprire migliaia di miglia marine.

Mau Piailug, esperto di navigazione senza strumenti, si imbarcò sulla Hōkūle‘a (una canoa a doppio scafo costruita dalla Polynesian Voyaging Society) nelle Hawaii senza alcuno strumento di navigazione e riuscì a raggiungere Tahiti, fornendo ulteriore supporto ad un’ipotesi differente da quella di Heyerdahl: i polinesiani provenivano dall’ Asia, non dalle Americhe.

Kon-Tiki expedition
How the Voyage of the Kon-Tiki Misled the World About Navigating the Pacific

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Scoperte e curiosità archeologiche del 2018 https://www.vitantica.net/2018/12/28/scoperte-curiosita-archeologia-2018/ https://www.vitantica.net/2018/12/28/scoperte-curiosita-archeologia-2018/#respond Fri, 28 Dec 2018 00:10:10 +0000 https://www.vitantica.net/?p=3346 Il 2018 è stato un anno ricco di avvenimenti di notevole rilevanza archeologica. Ripercorriamo alcune tappe dell’anno che volge al termine evidenziando alcune delle scoperte e delle curiosità emerse durante il 2018.

Il gioco del cane e dello sciacallo scoperto in una caverna in Azerbaijan

Come trascorrevano il tempo libero gli antichi Egizi? Giocando a “il cane e lo sciacallo”, un gioco da tavolo chiamato anche “58 buchi” rinvenuto in diverse tombe datate al XIX secolo a.C. e che si diffuse rapidamente fino al Mar Caspio.

Anche se le regole di “58 buchi” non sono giunte fino a noi, lo scopo era probabilmente quello di arrivare all’estremità del piano di gioco con tutti i 5 pezzi prima che l’avversario potesse fare lo stesso.

Denny: madre Neanderthal, padre Denisova
Denny, ibrido neanderthal e denisova
Denny, ibrido neanderthal e denisova

Una ragazzina vissuta 80-90.000 anni fa sui monti Altaj è il primo ibrido tra due differenti specie di esseri umani arcaici, Neanderthal e Denisova. “Trovare una persona di origini miste è assolutamente straordinario” sostiene Pontus Skoglund del Francis Crick Institute di Londra. “E’ scienza ai massimi livelli con un pizzico di fortuna”.

Cheddar Man: l’antenato europeo dagli occhi azzurri e la pelle scura

Che aspetto avevano i nostri antenati preistorici vissuti in Europa circa 10.000 anni fa? L’essere umano anatomicamente moderno si separò dagli altri rappresentati del genere Homo oltre 300.000 anni fa e la “modernità comportamentale” si sviluppò tra i 50.000 e i 40.000 anni fa.

E’ quindi facile pensare che i nordeuropei del Pleistocene fossero in tutto e per tutto simili a quelli attuali: carnagione chiara e talvolta occhi dai pigmenti azzurri; la realtà sembra però essere diversa.

Scoperti tre libri avvelenati in una biblioteca danese
Libri avvelenati con arsenico
Libri avvelenati con arsenico

Una recente analisi dei manoscritti custoditi nella libreria della University of Southern Denmark ha rivelato che tre volumi rari custoditi all’interno della collezione e risalenti al XVI-XVII secolo hanno copertine intrise di arsenico, un veleno noto fin dai tempi antichi per la sua mortalità.

Digitalizzato il planisfero del XVI secolo di Urbano Monte

Nel gennaio 2018 il David Rumsey Map Center della Stanford Libraries ha digitalizzato la mappa di Monte e ha assemblato i 60 pannelli secondo il progetto originale, creando una simulazione computerizzata dell’opera composta secondo l’idea del suo autore.

Lo scacciapensieri unno di 1.700 anni fa (ancora funzionante)

Una serie di 5 antichi scacciapensieri scoperti lo scorso 9 gennaio nella Repubblica dell’ Altaj hanno sorpreso gli archeologi che conducevano scavi presso due siti di origine unna (Cheremshanka e Chultukov Log 9): uno di questi strumenti, risalenti a circa 1.700 anni fa e realizzati in osso, è ancora in grado di produrre suoni.

Il coltello multiuso degli amanuensi medievali
Coltello da amanuense scoperto in Polonia
Coltello da amanuense scoperto in Polonia

Gli archeologi dell’ Università di Varsavia hanno scoperto questo raro coltello da amanuense durante gli scavi condotti nell’insediamento fortificato di Pasym, nel distretto di Szczycień. Il coltello, lungo poco meno di 10 centimetri, è dotato di due lame: la prima è lunga 42 millimetri mentre la seconda 27 mm.

Cocoliztli, l’epidemia che sterminò gli Aztechi

I biologi moderni hanno cercato per intere decadi di determinare il responsabile dell’epidemia che causò il collasso della popolazione azteca.

E’ ormai noto da tempo che gli Europei scaricarono nel Nuovo Mondo una pletora di agenti patogeni del tutto sconosciuti nel continente, come il vaiolo e la febbre tifoide; ma nessuna di queste malattie sembra riconducibile alla serie di epidemie che decimò gli Aztechi, una sequenza di eventi definiti cocoliztli (parola generica usata nella lingua Nahuatl per definire una pestilenza).

La misteriosa sega a pendolo dell’ Età del Bronzo
Ricostruzione di una sega a pendolo micenea
Ricostruzione di una sega a pendolo micenea

Nicholas Blackwell, archeologo della Indiana University Bloomington, ha ricostruito con l’aiuto di suo padre una sega a pendolo funzionante, misurando le prestazioni di diverse lame appositamente create da un fabbro di Creta specializzato nella lavorazione del bronzo.

Per costruire la sega, Blackwell ha analizzato sette differenti design ideati negli anni passati, concludendo di aver bisogno di uno schema costruttivo totalmente nuovo e relativamente semplice per ottenere un attrezzo funzionante.

Il tesoro di Araldo “Dente Azzurro”

L’archeologo dilettante Rene Schön e il suo aiutante tredicenne Luca Malaschnitschenko hanno scoperto sull’isola di Rügen un bottino degno di un re: perle, braccialetti, anelli, un martello di Thor in miniatura e circa 600 monete.

Circa cento monete risalgono all’epoca del regno di Araldo “Bluetooth” (910-987): sembrano essere state sepolte intorno al 980, periodo in cui Dente Azzurro fuggì in Pomerania dopo aver perso una battaglia contro il figlio Sweyn Forkbeard.

Il più antico disegno rupestre di un animale

La più antica pittura rupestre raffigurante un animale si trova in una caverna del Borneo e risale a circa 40.000 anni fa. L’animale dipinto sembra essere una sorta di bovino selvatico che viveva nella giungla indonesiana proprio come il babirussa, un altro animale usato come soggetto di pitture rupestri indonesiane risalenti a circa 35.000 anni fa.

La punta di lancia della discordia

Gli archeologi hanno scoperto quella che sembra essere la più antica punta di lancia mai rinvenuta in Nord America: vecchia di circa 15.500 anni, se la datazione venisse confermata questa punta di lancia costringerebbe a rivedere gli attuali modelli migratori con i quali spieghiamo il popolamento del continente americano da parte della cultura Clovis.

L’impero Maya sepolto nella foresta

Utilizzando le immagini lidar, gli archeologi hanno scoperto la presenza di oltre 61.000 edifici e strutture agricole nascoste dalla foresta pluviale che ricopre buona parte del Guatemala. Secondo i ricercatori, nelle immagini è possibile distinguere campi coltivati, centri di culto e piramidi; si ritiene che tra il 650 e l’800 d.C. in questa regione vivessero fino a 11 milioni di persone.

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Documentario: Borneo Death Blow https://www.vitantica.net/2018/12/01/documentario-borneo-death-blow/ https://www.vitantica.net/2018/12/01/documentario-borneo-death-blow/#respond Sat, 01 Dec 2018 00:10:27 +0000 https://www.vitantica.net/?p=2891 I Penan sono una popolazione indigena che vive in Malesia, tra lo stato di Sarawak e il Brunei, e una delle ultime società di cacciatori-raccoglitori del mondo. I Penan praticano il “molong”, un principio secondo il quale non si preleva dalla natura circostante più del necessario per sopravvivere dignitosamente.

Anche se le nuove generazioni di Penang si stanno convertendo sempre più ad uno stile di vita sedentario e agricolo basato su riso e palme, in origine i Penang vivevano principalmente di caccia: cacciavano qualunque animale di grossa taglia e non disdegnavano insetti, rettili, anfibi e uccelli.

I Penang cacciano utilizzando una cerbottana che chiamano “kelepud“, ricavata dal legname dell’albero Eusideroxylon zwageri e scavata a mano utilizzando un trapano primitivo d’osso. L’operazione di perforazione deve avvenire con precisione estrema, dato che le cerbottane raggiungono lunghezze di circa 3 metri.

I proiettili delle loro cerbottane sono realizzate con schegge di sago imbevute del lattice di un albero (albero Tajem). La tossina ha una potenza sufficiente ad uccidere un essere umano nell’arco di pochi minuti.

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