Jerky, carne secca di origine Inca

Carne secca jerky
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Le necessità alimentari dei primi esploratori del Nuovo Continente forzarono gli Europei ad adottare alcune delle tecniche di sopravvivenza delle popolazioni locali. La preparazione di alimenti a lunga conservazione si rivelò un’abilità estremamente utile in un territorio in cui l’approvvigionamento di cibo poteva essere difficile, se non addirittura impossibile, per una persona del tutto estranea ai nuovi ecosistemi americani.

L’adozione della carne secca, o jerky, contribuì ad alimentare migliaia di cacciatori di pelli, di esploratori e di carovane dirette verso la costa pacifica del Nord America durante il XVII e XVIII secolo. Il jerky (dalla parola Quechua ch’arki) è carne secca e salata nata in Sud America ottenere cibo a lunga conservazione a partire dalla carne di lama.

Ogni tipo di carne può essere impiegata per produrre jerky: negli Stati Uniti e in Canada il jerky di manzo è un cibo molto popolare e viene prodotto industrialmente o in modo casalingo anche in Argentina, Bolivia, Cile, Uruguai e Brasile.

L’origine del jerky

L’origine della carne secca jerky pare sia legata ai tampu (o tambo) degli Inca, magazzini dislocati lungo le vie commerciali dell’ impero andino allo scopo di rifornire di cibo i viaggiatori e fornire riparo in caso di necessità.

Il ch’akri era sempre abbondante nei tampu degli Inca: la carne di lama era un’ottimo alimento proteico, si prestava ottimamente all’essiccazione e, una volta seccata e salata, poteva conservarsi per mesi nel clima arido e freddo delle Ande. Si trattava quindi di cibo a lunga conservazione dall’alto valore nutritivo.

Quando gli Spagnoli ebbero modo di incontrare la cultura Inca, fecero loro il ch’akri modificando il metodo di produzione: i nativi sfruttavano infatti l’essiccamento a freddo, reso possibile dall’aria secca di montagna e dalla radiazione solare superiore a quella registrabile in pianura, mentre gli Spagnoli iniziarono ad utilizzare un’essiccazione “a caldo” o l’affumicatura per seccare la carne.

Jerky di manzo
Jerky di manzo

La carne secca non è un’invenzione Inca. La procedura più comune prevede l’esposizione a temperature relativamente basse (inferiori a 70°C) o l’utilizzo del fumo, metodi conosciuti in tutto il mondo da millenni. Nel corso dei secoli sono state create carni secche con ogni tipo di proteina animale: cervo, maiale, cinghiale, ovini, canguri, bisonti, tacchini, pesci, coccodrilli e cammelli sono solo alcuni degli animali utilizzabili per realizzare ottimo jerky.

In Botswana, Sud Africa, Zimbabwe e Namibia, ad esempio, si produce il biltong, una versione del jerky che prevede l’utilizzo di carne di selvaggina tagliata in strisce sottili. In Nepal invece si produce il sukuti, cibo tradizionale del popolo Limbu che viene realizzato ricoprendo fette sottili di carne con una mistura di sale, cumino, pepe e polvere di peperoncino.

I cavalieri mongoli agli ordini di Gengis Khan si nutrivano per mesi interi di borts, strisce di carne essiccata all’ aria spesse 2-3 centimetri e dure come il legno.

Produrre carne salata: il metodo Inca

Per produrre il loro ch’akri, gli Inca sfruttavano il clima delle Ande a loro vantaggio. Vivendo ad elevate altitudini e a temperature che scendevano sotto lo zero durante la notte, notarono ben presto che le patate, se ridotte in poltiglia, congelavano molto velocemente; con l’esposizione al sole battente d’alta quota perdevano l’acqua che contenevano, diventando una polpa secca che conservava tutte le sue proprietà nutrizionali.

Questo processo di liofilizzazione naturale produceva il chuno, un alimento comune in tutte le case Inca e che poteva essere consumato anche a distanza di mesi. I popoli andini utilizzarono questo sistema di conservazione su larga scala anche per la carne, un metodo che è stato riprodotto artificialmente solo negli anni ’30 del 1900.

La carne veniva tagliata in fette sottili e privata del grasso per evitare di farla diventare rancida. Veniva quindi esposta alle temperature rigide della notte andina per farla congelare in fretta ed evitare la crescita batterica, per poi lasciarla sotto il sole cocente per perdere ogni goccia di umidità contenuta nelle fibre muscolari dell’animale macellato.

Il jerky “moderno”
Preparazione del jerky con affumicatura
Preparazione del jerky con affumicatura

Gli Spagnoli, durante le loro esplorazioni del Nuovo Mondo, non avevano costantemente a disposizione le stesse condizioni climatiche degli Inca: i Caraibi, il Messico e le foreste sudamericane non sono noti per il clima rigido combinato ad aria secca. Furono quindi costretti ad escogitare un altro metodo per preservare la carne, creando la loro versione del jerky andino.

Mantenendo la procedura di rimozione del grasso, indispensabile per ottenere jerky in grado di durare mesi interi, decisero quindi di esporre la carne a calore basso (meno di 70°C) tramite esposizione diretta al sole o all’interno di contenitori appositamente studiati per consentire la circolazione dell’aria. L’affumicatura a bassa temperatura era un’altra ottima alternativa che conferiva alla carne un gusto particolare, oltre a renderla virtualmente inattaccabile dai batteri della decomposizione.

Un altro metodo per l’essiccamento della carne fu inventato durante la colonizzazione dell’ Africa: quando i primi coloni europei si insediarono nelle regioni meridionali dell’Africa, iniziarono ad utilizzare l’aceto e il nitrato di potassio per conservare ed essiccare la carne copiando i metodi tradizionali delle popolazioni indigene, come i Khoikhoi, e dando origine al biltong. Il nitrato di potassio uccide il batterio Clostridium botulinum, responsabile del botulismo, e l’aceto ne inibisce la crescita.

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Indipendentemente dal metodo di essiccazione utilizzato, il primo passo fondamentale è la rimozione del grasso, la parte più facilmente deperibile della carne. Per fare in modo che la carne possa seccarsi velocemente e senza proliferazione batterica, è necessario tagliarla in fette molto sottili.
L’aggiunta di sale favorisce la conservazione per lunghi periodi e velocizza l’eliminazione dell’umidità contenuta nelle fibre muscolari.

Se la carne viene esposta al sole, potrebbe richiedere 5-8 ore per essiccarsi completamente; l’uso del fumo velocizzerà il processo di 1-2 ore, ma le tempistiche potrebbero cambiare in base allo spessore delle fette di carne. L’affumicatura tradizionale prevede invece la costruzione di un treppiede da posizionare sopra a braci ardenti, senza esporre la carne ad una fiamma viva.

Per sapere se la temperatura è adatta all’essiccamento ed evitare di cuocere la carne, basta tenere una mano all’altezza del ripiano del treppiede su cui sarà posizionata la carne: se riuscite a resistere al calore per 5-10 secondi senza soffrire, la temperatura sarà perfetta.

Il jerky è pronto quando è rigido ma non così fragile da spezzarsi facilmente. Dovrebbe produrre crepe quando viene piegato, ma non sbriciolarsi come un cracker; se pressato, non deve fioriuscire liquido.

Valore nutritivo del jerky

Una fetta di 30 grammi di carne secca contiene da 10 a 15 grammi di proteine, meno di 1 grammo di grassi e 0-3 grammi di carboidrati, anche se questi valori possono cambiare in base al tessuto animale utilizzato e alle spezie impiegate per insaporire la carne. Molte versioni del jerky prevedono anche la salatura, per cui potrebbe contenere dosi massicce di sale, fino a 600 milligrammi, corrispondenti a circa il 30% della dose giornaliera consigliata.

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