vichinghi – VitAntica https://www.vitantica.net Vita antica, preindustriale e primitiva Thu, 01 Feb 2024 15:10:35 +0000 it-IT hourly 1 Gotlandsdricka, la bevanda vichinga dell’isola di Gotland https://www.vitantica.net/2020/11/16/gotlandsdricka-bevanda-vichinga-gotland/ https://www.vitantica.net/2020/11/16/gotlandsdricka-bevanda-vichinga-gotland/#respond Mon, 16 Nov 2020 00:10:52 +0000 http://www.vitantica.net/?p=5026 Gotlandsdricka, chiamata anche drikke, drikko o drikku in lingua Gutnish, è una bevanda alcolica prodotta da secoli sull’isola svedese di Gotland, un drink realizzato domesticamente del tutto simile a ciò che consumavano quotidianamente i popoli norreni durante i loro pasti.

Dal colore ambrato o bruno, il drikke (chiamato spesso “birra indigena” o “birra delle Gotland”) è una bevanda torbida consumata “giovane”, all’inizio del processo di fermentazione, aspetto che contribuirà a mutarne il sapore nel corso del tempo.

Storia del drikke

Il termine gotlandsdricka significa “bevanda di Gotland” ed è comunemente utilizzato dagli abitanti dell’isola per distinguere la loro bevanda da quelle provenienti dal continente europeo o da altre regioni scandinave. Essendo una bevanda prodotta tra le mura di casa, ogni regione dell’isola ha la sua personale ricetta, ma la base di ingredienti e il metodo di fermentazione è essenzialmente lo stesso.

Il drikke nasce come bevanda per d’uso comune. Produrre bevande a base di luppolo, considerate le migliori e le più saporite, richiedeva tempo e materie prime relativamente costose per l’abitante di Gotland di circa un millennio fa, prima che il luppolo potesse diventare una delle colture stabili scandinave.

Per non rimanere a bocca asciutta, i primi coloni dell’isola di Gotland escogitarono un metodo di produzione di bevande alcoliche basato sulle materie prime più facilmente reperibili sul posto: malto di cereali locali, ginepro, linfa di betulla e miele.

Non bisogna dimenticare che l’isola di Gotland è relativamente lontana dalla terraferma, posizione che di certo non favorisce i contatti con il continente. Nonostante questo, l’isola era un centro commerciale ben sviluppato già un millennio fa, e i residenti si abituarono a sopravvivere coltivando segale, bruciando kelp e producendo la loro bevanda personale alcolica.

Ricetta di base immutata per secoli

La cultura norrena dell’ epoca vichinga considerava il drikke una bevanda non alcolica, al contrario di birra e idromele, anche se può contenere una percentuale di alcol che varia dal 3 al 12%.

Il drikke veniva tradizionalmente preparato dalle donne tra i confini della propria abitazione, e veniva servito a bambini e adulti durante i pasti. Gli uomini potevano aiutare nel trasporto di acqua, legno e dei materiali necessari alla fermentazione, ma la preparazione della bevanda era affidata alla manualità femminile delle isolane.

La preparazione domestica del drikke nel corso degli ultimi 1.000 anni si è evoluta, ma gli ingredienti e il sapore sono rimasti sostanzialmente del tutto simili: malto, mazzetti di ginepro, acqua, miele e il “mirto di palude” (Myrica gale), una pianta da torbiera che cresce spontanea in Europa settentrionale, mescolati e fatti fermentare per ottenere una bevanda dal sapore unico.

Durante il XIII secolo il sapore del drikke fu arricchito dall’aggiunta delle infiorescenze femminili del luppolo, senza tuttavia sovrastare il sapore tipico del ginepro.

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Pare che, prima della metà del XIII secolo, le bevande a base di luppolo fossero poco diffuse in Scandinavia, probabilmente per un blocco commerciale tra le regioni europee settentrionali e l’Europa centrale. Nel 1283 Re Erik VI di Danimarca proibì a Copenhagen l’importazione e la vendita di birra a base di luppolo proveniente dalla regioni dell’attuale Germania; l’isola di Gotland e la Scandinavia si trovarono tagliate fuori dal traffico di birra a base di luppolo, ritardando di qualche decade l’introduzione e l’impiego su larga scala di questa pianta.

Tra il XIII e il XIV secolo, in Danimarca iniziano a spuntare piccole cittadine dai nomi associati al luppolo, come Humlebaek, Humlebakke e Humledal, segnale che il divieto di Erik VI trovava difficile applicazione nella realtà dei fatti. Nel 1268, infatti, il consiglio della città di Roskilde, a circa 30 km da Copenhagen, aveva già consentito la vendita di birra al luppolo agli agricoltori locali, suggerendo l’ipotesi che il luppolo stava ormai entrando nei gusti danesi da diverso tempo.

Tra il XIX e il XX secolo, il miele fu sostituito dallo zucchero, abbassando i costi di produzione e aumentando allo stesso tempo la resa della fermentazione domestica. Ancora oggi tuttavia molti produttori continuano a seguire la ricetta tradizionale usando il miele.

Produzione del drikke

La produzione del gotlandsdricka inizia dal malto prodotto da orzo (il cereale preferito per questo impiego), frumento, segale o avena, in base alla disponibilità locale. Dopo aver fatto germinare i cereali, il malto veniva essiccato all’aria, oppure in un piccolo capanno chiamato kölna, costruito sulla cima dell’edificio adibito alla fermentazione oppure separato dall’abitazione, grazie al fumo prodotto da un focolare alimentato da legna di ontano, betulla, pino o ginepro.

Il kölna era un capanno multiuso: non veniva impiegato esclusivamente per la produzione di malto, ma poteva essere utilizzato per affumicare carne e pesce o per conservare alcuni tipi di scorte alimentari.

Il malto veniva quindi macinato e mescolato ad un composto ottenuto dalla bollitura in acqua di mazzi di ginepro. La miscela, ispessita dall’aggiunta di malto, veniva lasciata riposare per circa due ore per poi essere trasferita nel rostbunn, la vasca in cui viene innescata la fermentazione.

Rostbunn. Wikimedia Commons
Rostbunn. Wikimedia Commons

La composizione e la stratificazione del rostbunn sono elementi fondamentali per una buona fermentazione del drikke. Gli strati devono essere sufficientemente compatti da lasciar passare un lento ma costante flusso di liquido senza ostruirlo.

Questo genere di stratificazione, tramandata oralmente da secoli, è soggetto a numerosi errori che possono vanificare svariate ore di lavoro e giorni di attesa. Per questa ragione sono nati anche molti tabù legati alle varie fasi di produzione della bevanda: alcuni produttori credono che sia necessario il silenzio più completo durante la stratificazione del rostbunn, altri invece che nella vasta occorra posizionare un pezzo d’acciaio o un’antica ascia di pietra per ottenere una buona fermentazione.

La vasca viene rivestita internamente di paglia prima di stratificarla. Il primo strato del rostbunn è composto da un reticolo di rametti di ginepro privati della loro corteccia, mentre lo strato superiore, il secondo, è composto da paglia pressata; gli strati vengono deposti in modo tale da lasciare uno spazio concavo al centro della vasca, spazio in cui verrà versata la miscela calda a base di malto e ginepro.

Dopo che la miscela versata nel rostbunn ha perso la sua parte liquida, il rubinetto sul fondo della vasca viene aperto per far uscire il wort (o lännu), un liquido zuccherino pronto per la fermentazione, che viene raccolto in un secchio. Il wort ottenuto dalla prima apertura del rubinetto viene talvolta lavorato separatamente per creare bevande più forti e saporite.

Il wort viene quindi bollito aumentarne il livello di dolcezza e arricchito da luppolo, bacche locali, zucchero o miele. Quando viene raggiunto il livello di dolcezza stabilito, il liquido viene fatto raffreddare, viene filtrato e addizionato di lieviti (kveik, il lievito domestico tradizionale scandinavo) per innescare la fermentazione, che durerà fino 14 giorni all’interno di barili di legno (e 5-7 giorni se si utilizza il lievito commerciale moderno).

Gotlandsdricke – an overview
Gotlandsdricka
To hop or not to hop: Early medieval beer brewing in Scandinavia and continental Europe
The Goodland island and its ancient beers
Kveik

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La famiglia vichinga https://www.vitantica.net/2020/01/27/la-famiglia-vichinga/ https://www.vitantica.net/2020/01/27/la-famiglia-vichinga/#comments Mon, 27 Jan 2020 00:13:39 +0000 https://www.vitantica.net/?p=4770 Nell’arco di pochi secoli i Vichinghi si conquistarono una fama di razziatori, navigatori, commercianti e abili combattenti. Ma anche i clan norreni più bellicosi trascorrevano la maggior parte del loro tempo tra le mura domestiche o nei campi.

Non conosciamo dettagli molto precisi sulla vita quotidiana dei vichinghi scandinavi, ma abbiamo a nostra disposizione le saghe islandesi e i resti ossei dei primi abitanti d’Islanda, due elementi che possono fornire un quadro abbastanza completo della tipica famiglia norrena.

Dalle saghe e dai resti scheletrici sappiamo, ad esempio, che i vichinghi islandesi vivevano in “case lunghe” occupate da diverse persone: i padroni di casa con i loro figli, i parenti più stretti e la servitù. Tipicamente, una casa lunga vichinga era occupata da 10-20 persone, tutte coinvolte (bambini inclusi) nelle attività necessarie a far sopravvivere ogni membro di queste famiglie allargate.

Aspettativa di vita

Per comprendere le ragioni che stanno alla base di alcune tradizioni domestiche norrene, come il non accettare un neonato in famiglia fino all’esecuzione di alcuni rituali scaramantici, occorre considerare l’aspettativa di vita di un giovane individuo norreno.

L’aspettativa di vita media era di circa 20 anni; i bambini sotto i 15 anni costituivano circa la metà della popolazione islandese e chi era così fortunato da raggiungere i 20 anni d’età aveva il 50% di probabilità di sopravvivere fino ai 50.

Una madre norrena partoriva mediamente 7 figli nell’arco della sua esistenza, continuando a lavorare in casa o nei campi prima e dopo il parto. Dato l’elevato tasso di mortalità, ogni coppia riusciva a far sopravvivere solo 2-3 figli e aveva ben poche possibilità di osservare la nascita dei propri nipoti.

Alla nascita, un bambino doveva essere soggetto ad una serie di azioni rituali prima di poter essere accettato a tutti gli effetti dalla famiglia e dalla società norrena: la madre doveva allattarlo al seno almeno una volta, e il padre doveva accettare esplicitamente il neonato, appoggiarlo sulle ginocchia e battezzarlo bagnandolo con acqua.

I neonati non accettati dai genitori, come accadeva spesso in caso di deformità o di difficoltà economiche, venivano semplicemente abbandonati nei boschi o gettati in fosse comuni.

In una fattoria norrena è stato scoperto un pozzo in cui furono gettati decine di bambini non accettati dalle famiglie, supportando l’idea che la pratica di uccidere o abbandonare un neonato non desiderato fosse relativamente comune.

La gioventù vichinga

Il tipico bambino norreno veniva trattato come un giovane adulto. Era tenuto a contribuire alle attività quotidiane e ad apprendere le abilità essenziali alla sopravvivenza della famiglia, come la lavorazione del legno o la cura degli animali.

Questo non significa che i bambini non avessero tempo per le attività ricreative: possedevano giocattoli e bambole, praticavano sport come nuovo e corsa, e occupavano il tempo libero casalingo con giochi da tavolo come l’hnefatafl. Ma allo stesso tempo apprendevano dai genitori ciò che sarebbe tornato loro utile da adulti, partecipando alle attività necessarie al sostentamento della casa.

Era abbastanza comune affidare uno dei propri figli ad un’altra famiglia. Considerata l’elevata mortalità infantile, quasi il 20% delle coppie non aveva figli viventi, ma poteva comunque allevare il figlio di un parente o di un suo superiore. Questo tipo di affidamento serviva anche a consolidare i legami tra famiglie alleate, e la famiglia adottiva riceveva supporto economico e pratico da parte dei genitori del bambino.

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Gli adulti apprezzavano molto i bambini in grado di prendere iniziative indipendenti, non solo nel gioco o nella vita quotidiana. Le saghe sono piene di esempi di bambini lodati per aver compiuto atti che oggi sarebbero giudicati sconsiderati, se non addirittura criminali: nella Saga di Gisla, Helgi and Bergr (rispettivamente 12 e 10 anni) vengono considerati degni di lode per aver vendicato la morte del padre uccidendo il suo assassino.

Un bambino veniva considerato ufficialmente adulto all’età di 16 anni, anche se in alcune circostanze l’età era inferiore: per poter essere qualificabile come giudice di una corte, occorreva avere soltanto 12 anni. Le donne prendevano marito a partire dai 12-13 anni, dipendentemente dagli accordi presi dai genitori delle due famiglie.

Fidanzamento e matrimonio

Il corteggiamento rappresenta da sempre una parte naturale dell’unione tra uomo e donna, ma spesso veniva interpretato come sconveniente dalla famiglia della ragazza. Il corteggiamento era costituito da visite continue alla casa della futura sposa, conversazione e letture di poesie; alcuni di questi atteggiamenti (come la lettura di versi di lode verso la ragazza) erano addirittura proibiti per legge, ma ci sono innumerevoli esempio di corteggiamento in versi, suggerendo che queste leggi venissero eluse o del tutto ignorate quotidianamente.

Il corteggiamento non era una faccenda da prendere sottogamba. Se anche la famiglia della futura sposa fosse riuscita a tollerare il corteggiamento, l’assenza di una formale proposta di matrimonio sarebbe stata interpretata come motivo di imbarazzo e un insulto per l’intera famiglia. Il rifiuto di una proposta di matrimonio aveva le stesse conseguenze per la famiglia del corteggiatore, e non era affatto raro che si scatenasse una vera e propria faida a seguito di un rifiuto.

Il corteggiamento e il successivo fidanzamento avvenivano quindi sotto la tutela dei genitori, i veri responsabili delle unioni. Il fidanzamento rappresentava un vero e proprio contratto tra il tutore della ragazza (solitamente il padre) e quello del ragazzo (idem), formulato in presenza di testimoni e suggellato da una stretta di mano.

La proposta di fidanzamento veniva avanzata dal tutore o da un suo rappresentante, e accettata o rifiutata dai genitori della ragazza; le parti coinvolte avevano poca voce in capitolo, specialmente se il matrimonio aveva forti risvolti politici o economici per le due famiglie coinvolte.

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La famiglia dello sposo si impegnava a pagare una determinata somma di denaro (mundr) per ottenere la ragazza, mentre il padre dello sposo si impegnava a versare una dote (heimangerð) al momento del matrimonio, che si sarebbe svolto a circa 1 anno di distanza dall’accordo.

Tradizionalmente la dote della sposa comprendeva una veste di lino e lana, un telaio, una macchina per filare e un letto; le ragazze provenienti da famiglie ricche potevano anche avere gioielli, bestiame o anche immobili. Tutto ciò che faceva parte della dote della sposa rimaneva proprietà della ragazza anche dopo il matrimonio.

Il divorzio era previsto nella società norrena per svariate ragioni (come l’impossibilità di avere figli) e si poteva dissolvere un matrimonio semplicemente annunciando le proprie intenzioni davanti ad un testimone. Non era insolito per una donna sposarsi diverse volte e ottenere parte delle risorse economiche del marito come risarcimento per un divorzio; questi risarcimenti spesso davano origine a faide sanguinarie tra le famiglie coinvolte, dispute che potevano durare diverse generazioni.

Patto di sangue

Oltre al matrimonio e ai legami di parentela, il mondo norreno aveva un altro metodo per unire due persone o due famiglie: il patto di sangue (leikr). Pratica comune tra commilitoni o famiglie alleate, il patto di sangue legava due persone o due clan tramite un giuramento solenne che seguiva un preciso rituale, descritto nella Saga di Gisla.

Nella saga, una striscia di zolla di torba viene sollevata tramite una lancia, in modo da creare un arco di terreno lasciando attaccate al suolo le due estremità della zolla. Sotto questo arco i due amici Thormodus e Thorgeir si tagliano con uno scramasax e fanno cadere il loro sangue a terra, mescolandolo con il terreno e pronunciando il giuramento solenne di vendicare il primo dei due che fosse morto.

I patti di sangue vengono menzionati anche in altre saghe, come la Saga di Örvar-Oddr, in cui Örvar-Oddr, dopo un lungo scontro con il guerriero Hjalmar terminato in parità, stringe un patto di sangue con il suo avversario diventando, di fatto, un fratello. Nel Lokasenna, infine, Loki e Odino mescolano il loro sangue creando di fatto un legame, motivo per cui Loki, figlio di jötunn , viene tollerato dalle altre divinità.

Families and Demographics in the Viking Age
Childhood in the Viking Age
Women’s Work and Family in the Viking Age
Children in the Viking period

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Uguaglianza di genere tra i popoli norreni https://www.vitantica.net/2019/11/08/uguaglianza-di-genere-popoli-norreni/ https://www.vitantica.net/2019/11/08/uguaglianza-di-genere-popoli-norreni/#comments Fri, 08 Nov 2019 00:10:59 +0000 https://www.vitantica.net/?p=4677 I Paesi scandinavi sono oggi considerati un modello di uguaglianza di genere, ma da dove deriva questo aspetto culturale? Secondo Laura Maravall e Jörg Baten, storici che lavorano per il Collaborative Research Center “ResourceCultures” dell’università di Tübingen, si tratta di una caratteristica delle società scandinave risalente all’epoca vichinga.

Secondo le analisi di ossa e denti appartenuti a individui norreni vissuti tra l’ VIII e l’ XI secolo, le donne di ogni età potevano vantare un livello di salute media pari o più alto rispetto agli uomini, pur disponendo delle stesse possibilità di accesso al cibo.

Global History of Health Project

Lo studio si basa sulle informazioni relative alla popolazione europea raccolte dal Global History of Health Project, un progetto che ha classificato i dati dei resti umani rinvenuti in oltre un centinaio di siti archeologici europei e che coprono un segmento temporale di circa 2.000 anni.

Secondo i ricercatori, se una persona è malnutrita o seriamente ammalata in giovane età, lo smalto dei denti sosterrà danni permanenti. “Abbiamo ipotizzato che se le bambine e le donne ricevevano meno cibo e attenzioni rispetto ai membri maschili della società, avrebbero mostrato più danni allo smalto” spiega Maravall.

“Il livello di differenza tra i valori di uomini e donne” continua la ricercatrice, “è quindi anche una misura dell’uguaglianza di genere all’interno della popolazione”. La corrispondenza tra i danni allo smalto e lo stato generale di salute è stato dimostrato dalle misurazioni effettuate sulle ossa; in particolare, la lunghezza dei femori ha fornito informazioni sull’altezza degli individui analizzati, un indicatore connesso ad una buona dieta e ad un buono stato di salute.

Donne di città e di campagna

“Queste donne dei paesi nordici potrebbero essere alla base del mito delle Valchirie: erano forti, in salute e alte” sostiene Baten. Ma secondo gli stessi ricercatori, la situazione negli insediamenti urbani scandinavi era differente.

Nelle città svedesi di Lund e Sigtuna, ad esempio, in corrispondenza dell’odierna Stoccolma, e nella città di Trondheim in Norvegia, si svilupparono dei sistemi di classi sociali con l’arrivo del Medioevo. Le donne di città non godevano degli stessi diritti di chi viveva in campagna.

L’uguaglianza tra i sessi all’esterno delle città sembra essere stata legata alle attività d’allevamento. “Curare i campi era un’attività principalmente svolta dagli uomini perché richiedeva una maggiore forza muscolare; ma allevare animali consentiva alle donne di contribuire molto all’economia familiare. Questo ha probabilmente innalzato la loro posizione nella società” afferma Baten.

Donne tutelate ma dai ruoli ben distinti

Anche se le donne norrene godevano di maggiori privilegi e libertà rispetto a quelle che vivevano sul bacino del Mediterraneo, il loro ruolo era ben differenziato da quello degli uomini.

Da una parte, le donne erano sempre sottoposte all’autorità del padre o del marito, con una libertà limitata su ciò che potevano possedere. Non potevano partecipare all’attività politica e non potevano diventare capi militari (goði), giudici, testimoni attendibili in procedimenti giudiziari e non avevano voce in capitolo nelle assemblee.

In ogni caso, le donne godevano di rispetto nella società norrena. Amministravano le finanze del nucleo familiare, dirigevano le attività quotidiane in assenza del marito, e una volta divenute vedove potevano mantenere le proprietà del marito e possedere terreni.

Uguaglianza di genere tra i popoli norreni

Uccidere una donna era considerato un atto spregevole, anche se accidentale, specialmente se condotto entro le mura di casa. Anche violenza “leggera” nei confronti delle donne era inaccettabile: nella saga di Droplaugarsona, uno degli uomini di Helgi lancia una palla di neve a Tordis, venendo immediatamente rimproverato perché “è stupido portare attacchi fisici ad una donna”.

La legge scandinava, inoltre, proteggeva le donne da attenzioni indesiderate, ad esempio prevedendo una serie di pene per contatti di natura sessuale non consenzienti. La saga di Kormáks racconta l’incontro tra Kormákr e Steingerðr: sedutosi vicino alla donna, Kormákr la bacia per ben quattro volte senza alcun accenno di assenso, causando le ire di Torvaldr e vedendosi costretto a pagare due once d’oro come multa per il suo atto sconsiderato.

Le donne avevano una vastissima gamma di responsabilità: preparare il cibo, tenere pulita la casa, fare il bucato, occuparsi dei figli, mungere e accudire il bestiame. La donna era responsabile di ogni cosa all’interno delle mura domestiche, mentre l’uomo si occupava di attività più propriamente maschili per la società norrena.

La magia era considerata un’attività pericolosa e prettamente femminile. Non sono rari i casi di donne uccise perché accusare di stregoneria, e la pratica della magia era qualcosa che nessun uomo avrebbe mai sperimentato per non veder messa in dubbio la propria mascolinità.

Le responsabilità e i sospetti di stregoneria, tuttavia, erano accoppiati a un’insolita libertà personale per il mondo antico. Potevano richiedere il divorzio quando volevano e trattenere i loro averi nel caso il matrimonio fosse terminato.

Anche se quasi tutti i matrimoni erano combinati dalle famiglie quando una ragazzina raggiungeva un’età compresa tra i 12 e 15 anni, le future spose avevano l’ultima parola nell’unione e potevano rifiutarsi di sposare un marito a loro non congeniale.

Una volta divenute vedove, le donne norrene potevano prendere il posto del marito e condurre affari come un uomo di pari livello sociale. Molte donne scandinave furono sepolte con ricchi corredi funerari, suggerendo che avessero conquistato una tale fame e un così alto ruolo nella società da essere considerate personaggi molto rilevanti e influenti, se non addirittura temuti.

Fonti per: “Uguaglianza di genere tra i popoli norreni”

Valkyries: Was gender equality high in the Scandinavian periphery since Viking times? Evidence from enamel hypoplasia and height ratios
The Role of Women in Viking Society
What Was Life Like for Women in the Viking Age?
VIKING GENDER ROLES

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Costruire una casa vichinga con utensili manuali: Bushcraft Project https://www.vitantica.net/2019/10/10/costruire-casa-vichinga-utensili-manuali-bushcraft-project/ https://www.vitantica.net/2019/10/10/costruire-casa-vichinga-utensili-manuali-bushcraft-project/#respond Thu, 10 Oct 2019 00:10:55 +0000 https://www.vitantica.net/?p=4577 In questi due video del canale YouTube TA Outdoors vengono riprese le fasi di costruzione di una casa vichinga, dalla lavorazione del legname alla realizzazione del telaio, fino alle fasi di rifinitura.

L’abitazione è stata realizzata utilizzando legname di cedro e utensili tradizionali come ascia, sega e martello. L’intera abitazione poggia su fondamenta costituite da 10 tronchi di cedro trattati con una tecnica ben poco norrena (la Shou-Sugi Ban, o yakisugi, tecnica giapponese per la conservazione del legno) per evitare la decomposizione del legname.

La semplicità della tecnica giapponese rende del tutto probabile che anche i popoli nordici fossero a conoscenza di questo metodo: si tratta di bruciare la superficie dei tronchi per carbonizzarla e renderla più resistente all’acqua.

Il terzo video si concentra sulla costruzione di un focolare a fossa da posizionare all’interno dell’abitazione. Le pietre del focolare sono state fissate utilizzando l’argilla estratta durante gli scavi; al termine del filmato, la casa vichinga inizia a prendere forma, con un focolare centrale e un telaio eretto.

Nella quinta parte i costruttori si dedicano alla realizzazione del tetto sfruttando i vantaggi offerti da un cavalletto da segatura costruito nel video precedente. Dopo aver realizzato il telaio con tronchi impermeabilizzati, si inizia la lavorazione della corteccia di cedro per ottenere tegole con cui rivestire l’esterno dell’abitazione, lavorazione che prosegue nel sesto video.

Nel settimo video i costruttori si prendono una pausa per trascorrere la notte nel rifugio appena terminato e cucinare un pasto norreno: agnello arrostito sulla fiamma viva e pane fresco cotto in una pentola di ferro battuto.

La costruzione della casa vichinga prosegue con la realizzazione di una staccionata perimetrale, finestre di legno e un comignolo per il tetto.

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https://www.vitantica.net/2019/10/10/costruire-casa-vichinga-utensili-manuali-bushcraft-project/feed/ 0
2 anni di VitAntica https://www.vitantica.net/2019/09/09/2-anni-di-vitantica/ https://www.vitantica.net/2019/09/09/2-anni-di-vitantica/#comments Mon, 09 Sep 2019 10:00:04 +0000 https://www.vitantica.net/?p=4524 Sono ormai trascorsi due anni da quando presi la decisione di pubblicare il blog VitAntica.net. Rosicchiando tempo prezioso ai miei impegni quotidiani, sono riuscito a pubblicare oltre 400 articoli che affrontano i temi più disparati, dalla vita quotidiana dei cacciatori-raccoglitori antichi e moderni ad alcune delle vicende più bizzarre verificatesi nell’arco della storia antica.

Ringrazio ovviamente tutti i lettori, affezionati o semplicemente di passaggio, che hanno contribuito a far conoscere VitAntica sulla Rete e hanno apprezzato i suoi contenuti; ringrazio naturalmente anche i lettori più critici, che con il loro apporto mi hanno consentito di migliorare e di correggere alcuni errori e inesattezze palesi o sottili che ho commesso durante la stesura degli articoli.

In questi due anni alcuni articoli hanno riscosso particolare successo; qui sotto riporto una piccola lista dei contenuti più letti nell’arco dei 12 mesi appena trascorsi.

Speranza di vita e longevità dei nostri antenati
Occorre fare una distinzione tra il concetto di longevità media e quello di speranza di vita: la prima stabilisce una media sull’età massima raggiungibile da un individuo in un determinato periodo storico; la seconda invece esprime una media basata sull’incrocio dei dati relativi alla longevità e quelli che descrivono la mortalità nelle varie fasi della crescita umana.

Selce e pietra focaia: utensili e fuoco
Come l ‘ossidiana, anche la selce è in grado di generare fratture concoidi se colpita con la giusta angolazione e la sua struttura criptocristallina contribuisce alla formazione di schegge affilate.
Queste caratteristiche la resero preziosissima fin dall’inizio dell’Età della Pietra e l’attività mineraria legata all’estrazione della selce risale al Paleolitico, anche se le miniere diventarono più comuni nell’arco del Neolitico.

Come si conservava il cibo in antichità?
Come facevano i nostri antenati a conservare gli alimenti facilmente deperibili? Non disponendo dei sistemi di refrigerazione moderni, nell’arco dei millenni sono nate diverse tecniche per la conservazione di carne, frutta e verdura, alcune ancora oggi largamente utilizzate per la produzione di cibi tradizionali.

Ragnar Lothbrok è un personaggio storico o frutto della fantasia norrena?
Quanto c’è di vero nella figura di Ragnar Lothbrok, il protagonista del telefilm Vikings? Quanto è storicamente accurata la sequenza di eventi rappresentata nel telefilm? Se facciamo riferimento alle saghe nordiche che parlano delle gesta di Ragnar, la serie TV non è così inaccurata; se invece pretendiamo fedeltà storica siamo ben lontani dall’ottenerla.

L’importanza del fuoco
La manipolazione del fuoco cambiò radicalmente lo stile di vita delle prime comunità di cacciatori-raccoglitori. Oltre a fornire calore durante l’inverno e luce nel corso delle ore più buie, il fuoco ebbe conseguenze enormi sulla quotidianità dei nostri antenati: qualità del cibo migliorata, metodologie di caccia, pesca e agricoltura più efficaci, nuove attività ricreative e sociali con ricadute dirette sull’evoluzione dell’intero genere umano.

Aquila di sangue norrena: realtà o finzione?
Uno dei miti vichinghi più persistenti è quello dell’ aquila di sangue, un metodo di esecuzione della pena capitale estremamente violento e brutale. I problemi sulla realtà storica dell’aquila di sangue iniziano a sorgere quando si pone sotto attenta analisi la quantità e la qualità delle fonti che citano questa pratica.

Il papiro nell’ antico Egitto
Per almeno due millenni il papiro non trovò rivali come superficie di scrittura fino all’arrivo della pergamena: il papiro è in fatti un materiale fragile e suscettibile a rottura in condizioni di umidità o eccessiva secchezza ambientale, anche se è relativamente facile ed economico da produrre e da lavorare.

La porpora: storia e produzione nell’antichità
Nei millenni passati la porpora, difficile da produrre per vie dalle enormi quantità di molluschi necessari alla sua preparazione, fu spesso associata all’idea di ricchezza, potere e prestigio e raggiunse di frequente un valore commerciale superiore a quello dell’oro e di alcune pietre preziose.

Qual era il vero aspetto dei vichinghi?
Potrà sorprendere sapere che i vichinghi erano tutt’altro che sporchi, ma tenevano molto al loro aspetto; erano forti e robusti, ma come qualunque altro popolo guerriero del loro tempo; ed erano etnicamente più eterogenei di quanto si possa immaginare, avendo esplorato quasi ogni angolo del mondo conosciuto e intrattenendo contatti commerciali con culture ben differenti dalla loro.

Quante calorie servono per sopravvivere?
Calcolare il fabbisogno calorico necessario a sopravvivere è quindi un problema complesso e che deve essere necessariamente adattato al grado di “fitness” di uno specifico individuo e all’ostilità dell’ambiente che lo ospita.

La ghianda: storia, preparazione, ricette
Il seme della ghianda è stato utilizzato per millenni come importante fonte di carboidrati prima dell’avvento della domesticazione dei cereali: una singola quercia adulta può produrre qualche centinaio di chilogrammi di ghiande in una sola stagione, un enorme numero di pasti per i nostri antenati cacciatori-raccoglitori e un’ottima fonte di energia.

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Danegeld, la tassa per tenere a bada i Vichinghi https://www.vitantica.net/2019/07/05/danegeld-la-tassa-per-tenere-a-bada-i-vichinghi/ https://www.vitantica.net/2019/07/05/danegeld-la-tassa-per-tenere-a-bada-i-vichinghi/#respond Fri, 05 Jul 2019 00:10:58 +0000 https://www.vitantica.net/?p=4331 I Vichinghi seminarono il terrore in Inghilterra e in Francia a partire dal IX secolo, depredando ogni prezioso su cui riuscivano a mettere le mani e uccidendo o rendendo schiavo chiunque si opponesse alle loro razzie.

Ma dopo i primi tempi di sgomento e di incapacità nel controllare l’avanzata vichinga, i regnanti inglesi e francesi iniziarono a prendere le dovute contromisure nei confronti dei saccheggiatori danesi e scandinavi.

Oltre a costituire forze di difesa in posizioni strategiche, fu introdotta la danegeld (“tassa danese”), una tassa ideata con lo scopo di pagare i Vichinghi per scoraggiarli dal devastare e depredare.

Il terrore dei Vichinghi

E’ ormai noto da tempo che l’Inghilterra e il nord della Francia furono le regioni più colpite dagli attacchi dei Vichinghi. A partire dal primo episodio di saccheggio, avvenuto nel 793 ai danni di una comunità monastica del tutto indifesa, il terrore dei raid norreni iniziò a diffondersi in tutta la Gran Bretagna.

Secondo la Cronaca anglosassone, una collezione di annali redatta durante il regno Alfredo il Grande, i Vichinghi ingaggiarono almeno 50 battaglie con gli Inglesi, distruggendo e depredando villaggi, città e monasteri.

Dublino divenne uno dei principali punti di scambio degli schiavi ottenuti dalle vittorie vichinghe in Irlanda, Scozia e Inghilterra meridionale. “Sotto molti aspetti i Vichinghi erano l’equivalente medievale del crimine organizzato” afferma Simon Keynes, professore della Cambridge University. “Praticavano estorsioni su scala massiccia, usando la minaccia della violenza per estorcere grandi quantità d’argento dall’Inghilterra e da altri stati europei vulnerabili”.

Dopo qualche decade di relativa pace, i Vichinghi ripresero i loro raid. Sotto Alfredo il Grande e suo figlio Edward, il Wessex, unico tra i regni inglesi che si opposero all’avanzata vichinga riappropriandosi delle terre sottratte dai norreni, era stato dotato di fortificazioni e di un esercito regolare per poter contrastare una futura invasione.

Ma invece di un regnante forte in grado di gestire efficacemente le risorse belliche a sua disposizione, i Vichinghi trovarono Æthelred II “lo Sconsigliato”, colui che inaugurò ufficialmente l’epoca delle grandi estorsioni norrene in Inghilterra.

La danegeld in Inghilterra

La “tassa danese” ha origine principalmente da quattro episodi in cui gli Inglesi, stanchi di dover costantemente temere le incursioni danesi sul loro territorio e guidati da un regnante probabilmente inadatto al suo ruolo, decisero di pagare una sorta di “pizzo” per evitare problemi o interrompere assedi e guerre. Questa tattica, usata anche da Alfredo il Grande, divenne quasi una consuetudine sotto Æthelred II.

Æthelred II "lo Sconsigliato" (Æthelred II "the Unready")
Æthelred II “lo Sconsigliato” (Æthelred II “the Unready”)

Nella prima circostanza, nel 991, Æthelred II decise di scoraggiare i Vichinghi da altre incursioni donando loro 3,3 tonnellate d’argento, l’equivalente di circa 10.000 sterline moderne. Sotto il comando di Olav Tryggvason, i Vichinghi avevano raggiunto l’Inghilterra con una flotta di 94 navi, la più vasta flotta d’invasione norrena mai vista da oltre un secolo.

Nella seconda, nel 994, l’assedio di Londra da parte di re Sveinn Haraldsson (“Barbaforcuta”) e Olav Tryggvason fu interrotto da un altro pagamento in argento, evento che convinse i Vichinghi che fosse più semplice estorcere pagamenti con la minaccia di raid e assedi piuttosto che sacrificare vite umane nel tentativo di portare a termine un saccheggio.

Gli attacchi vichinghi non cessarono, ma continuarono quasi costantemente. Nell’anno 1002 Æthelred II ordinò il massacro di tutti i norreni presenti sul suolo inglese: nella serie di omicidi perse la vita anche Gunhilde, sorella di Sveinn Haraldsson, scatenando un’altra invasione nel 1004 guidata proprio da Barbaforcuta e interrotta dopo le numerose perdite subite dai norreni.

Nell’anno 1007, Æthelred I si garantì due anni di pace con i Danesi pagando l’incredibile cifra di 13 tonnellate d’argento, una quantità destinata a salire qualche anno dopo per contrastare il ritorno di Sveinn Haraldsson.

Un tributo ideato con il preciso scopo di tenere a bada i Vichinghi iniziò ad essere richiesto in Inghilterra intorno all’inizio del XI secolo sotto il nome di gafol, parallelamente alla heregeld, una tassa per il mantenimento di un esercito di difesa inizialmente costituito da mercenari norreni.

Pietra runica U 344 a Orkesta, Svezia, per commemorare il pagamento di una danegeld a Thorkell
Pietra runica U 344 a Orkesta, Svezia, per commemorare il pagamento di una danegeld a Thorkell

Introdotta ufficialmente in Inghilterra da Æthelred II nel 1012, la gafol servì inizialmente a pagare una truppa di mercenari scandinavi, guidata da Thorkell l’Alto, ingaggiata per tenere a bada gli incursori danesi. Thorkell era stato lui stesso un saccheggiatore: dopo l’uccisione dell’arcivescovo Ælfheah, aveva ricevuto quasi 18 tonnellate d’argento come pagamento per lasciare in pace l’Inghilterra meridionale.

Intuendo una perdita di lealtà da parte dei suoi uomini, Thorkell riunì i suoi guerrieri più fedeli e decise di passare al nemico, portandosi dietro le 45 navi che avrebbe usato un anno dopo per fermare l’invasione di Sveinn Haraldsson e di suo figlio Cnut (Canuto).

Questo tipo di estorsione non fu un’esclusiva dell’Inghilterra: secondo Snorri Sturluson, anche la Finlandia e i regni del Baltico pagavano in argento gli Svedesi per evitare i loro attacchi. I Sami pagavano questo tributo sotto forma di pelle e pellicce, mentre gli inglesi pagavano in penny, monete da 1,3-1,5 grammi d’argento puro: si calcola che furono prodotti, sotto il regno di Æthelred II, oltre 40 milioni di penny per pagare i Vichinghi.

La raccolta dei tributi per la tassa danese era basata sullo hide, l’unità di misura che determinava laquantità di terra sufficiente a supportare una famiglia. Nel Kent, invece, si utilizzava il sulung, la quantità di terra arabile in una stagione da 4 gioghi.

La danegeld in Francia

La prima raccolta di denaro per una danegeld avvenne in Frisia nell’810: i Danesi sbarcarono nella regione con circa 200 navi e sconfissero i locali in tre differenti occasioni, chiedendo un pesante tributo ai regnanti della regione.
Non sappiamo con esattezza la cifra del pagamento, ma sappiamo per certo che la somma fu raccolta grazie all’imposizione di tasse, con un primo pagamento di circa 40 kg d’argento.

Questo episodio fu il precursore di una stagione di tributi e riscatti chiesti dai Danesi a partire dall’anno 836 fino al termine del regno di Ludovico il Pio (840). L’ultima danegeld documentata raccolta in Frisia risale all’852, anno in cui 252 navi vichinghe gettarono l’ancora sulla costa e domandarono un tributo: non si conosce l’ammontare del tributo, ma sappiamo che fu pagato e che i Vichinghi lasciarono pacificamente la Frisia.

Nella Francia Occidentale, la prima danegeld fu pagata a Ragnar Lothbrok per interrompere l’assedio di Parigi: quasi sei tonnellate d’argento convinsero i Vichinghi a ritirarsi per qualche tempo. Nell’anno 858 un’altra danegeld fu raccolta probabilmente per pagare Bjorn, figlio di Ragnar, che aveva condotto diversi raid lungo la Senna.

Non esiste invece una documentazione storica che supporti l’idea di una danegeld statale in Bretagna; è più probabile che si trattasse di una raccolta di fondi locale attuata in periodi di emergenza.

Nell’anno 847 il leader bretone Nominoe fu sconfitto tre volte dai Vichinghi danesi, sconfitta che lo costrinse ad aprire un negoziato con gli invasori per convincerli a lasciare la Bretagna in cambio di denaro e preziosi.

Una situazione simile accadde nell’anno 869 e fu documentata dal monaco benedettino Regino di Prüm: i raid vichinghi furono arrestati con il pagamento di 500 capi di bestiame.

In Bretagna i Vichinghi iniziarono a chiedere riscatti per la restituzione di prigionieri illustri: nell’854 rilasciarono su compenso il vescovo Courantgenus, mentre nell’855 i monaci di Redon offrirono ai danesi un calice e un piatto d’oro in cambio della vita del conte Pascweten.

Danegeld
Danegeld – The Vikings and money in England
The Collection of Danegeld and Heregeld in the Reigns of Aethelred II and Cnut
A Viking Mystery

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Ahmad ibn Fadlan e l’incontro con i Variaghi https://www.vitantica.net/2019/06/12/ahmad-ibn-fadlan-incontro-variaghi/ https://www.vitantica.net/2019/06/12/ahmad-ibn-fadlan-incontro-variaghi/#respond Wed, 12 Jun 2019 00:10:30 +0000 https://www.vitantica.net/?p=4293 La conoscenza moderna che abbiamo sui Vichinghi non si basa esclusivamente sui resoconti delle loro scorrerie redatti dagli antichi abitanti d’Europa invasi dai popoli scandinavi, ma anche su testi nati dall’incontro tra la cultura musulmana e quella norrena.

Ibn Fadlan (Aḥmad ibn Faḍlān ibn al-ʿAbbās ibn Rāšid ibn Ḥammād), celebre viaggiatore del X secolo, fu uno dei primi a trascrivere con dovizia di particolari una descrizione dei Variaghi, gente di origine norrena che intratteneva rapporti commerciali tra il Mar Baltico e il Mar Nero.

Chi era Ahmad ibn Fadlan

Si hanno ben poche informazioni certe sull’origine di Ahmad ibn Fadlan, sulla sua etnicità e sulla sua educazione; non abbiamo nemmeno informazioni sulla sua data di nascita o di morte.

Sappiamo che Ahmad ibn Fadlan era un esperto di giurisprudenza islamica (faqih) alla corte del califfo abbaside al-Muqtadir e che, nell’anno 921, si imbarcò verso la Russia per incontrare Almis, primo regnante musulmano della regione.

Ibn Fadlan fu probabilmente un personaggio minore nella società araba del tempo: non ci sono poemi che celebrino il suo viaggio e non esistono citazioni del suo nome nella documentazione del tempo. Il fatto che sia stato inviato verso Nord a trattare con un alleato minore fa pensare che non ricoprisse un ruolo rilevante nella corte abbaside.

Per molto tempo il resoconto di viaggio di Ibn Fadlan fu citato solo parzialmente nel dizionario geografico di Yaqut al-Hamawi, geografo arabo del XII-XIII secolo. Nel 1923 fu scoperto in Iran un manoscritto, risalente al XIII secolo, che contiene una versione più completa del resoconto di viaggio di Ibn Fadlan; alcuni passi non presenti nel documento sono invece citati nell’opera “Sette Climi” (Haft Iqlim, XVI secolo) del geografo persiano Amin Razi.

Il viaggio verso Nord

A seguito della spedizione dell’eunuco e diplomatico Susan al-Rassi, Ahmad ibn Fadlan lasciò Baghdad il 21 giugno 921 con l’obiettivo di illustrare la legge islamica ai Bulgari che vivevano sulla riva orientale del fiume Volga, recentemente convertiti all’Islam.

I Bulgari sotto il regno di Almis, chiamati Bulgari del Volga, erano una popolazione distinta da quella che fondò lo stato conosciuto in tempi moderni come Bulgaria: intorno al VI secolo i discendenti dei bulgari moderni si spostarono verso ovest, convertendosi successivamente al Cristianesimo.

L’ambasceria fu una risposta alle richieste di Almis al califfato abbaside, richieste volte a trovare sostegno nella sua campagna contro i Cazari, una confederazione di tribù in perenne lotta contro i Bulgari del Volga per il predominio nella regione.

Pagina del diario di Ibn Fadlan
Pagina del diario di Ibn Fadlan

Per raggiungere i Bulgari del Volga la spedizione si servì di alcune rotte commerciali verso Bukhara (nell’attuale Uzbekistan), per poi cambiare direzione prima di raggiungere la città proseguendo verso nord, in Iran, il territorio dei Cazari e dei Turchi Oghuz.

Dopo circa 4.000 chilometri di viaggio, Ibn Fadlan raggiunse la capitale dei Bulgari del Volga, Bolghar, il 12 maggio 922, presentando doni al regnante locale e consegnando una lettera da parte del califfato.

Almis non prese molto bene il fatto che l’ambasceria non aveva portato il denaro richiesto al califfato per la costruzione di una fortezza difensiva per arrestare l’avanzata dei Cazari; di fatto, l’alleanza tra il califfato e i Bulgari del Volga non venne mai stipulata a causa dei finanziamenti non pervenuti.

I Bulgari del Volga

Durante il suo viaggio, Ibn Fadlan ebbe modo di osservare a lungo i popoli che incontrò, annotando critiche, aspetti per lui straordinari e descrizioni accurate del loro stile di vita.

Nel suo diario di viaggio Ibn Fadlan appare particolarmente critico nei confronti della dottrina religiosa praticata dai Bulgari del Volga. Sembra provare disgusto e rabbia nella loro errata interpretazione dell’Islam e tende a giudicare gli incontri con i locali in base alla loro pratica della religione.

Secondo Ibn Fadlan, molte delle culture islamiche incontrate lungo il Volga sono “come somari smarriti. Non hanno alcun legame religioso con Dio, e nemmeno fanno ricorso alla ragione”. I Bulgari non avrebbero accettato l’Islam per fede, come mostrerebbero alcuni retaggi della loro precedente religione pagana, ma solo come mezzo per ottenere sostegno dal califfato.

Uno degli aspetti più sorprendenti per l’ambasciatore arabo (perché sovvertiva completamente il rituale islamico) fu il pianto degli uomini durante i funerali pagani di una personalità importante tra i Bulgari: “Stanno di fronte alla porta della tenda e piangono, emettendo suoni orrendi e selvaggi. Così si fa tra gli uomini liberi”.

I Rus / Variaghi

I Variaghi intrattenevano nella regione attività commerciali e belliche (sia come pirati, sia come mercenari) e crearono diverse stazioni commerciali o fortificate che andarono a comporre il primo Stato slavo orientale, il Rus’ di Kiev. I Variaghi erano di fatto partner commerciali dei Bulgari del Volga.

L’esistenza dei Variaghi (che Ibn Fadlan chiamava Rusiyyah) non rappresentava una grossa novità per il mondo islamico, contrariamente allo sconvolgente primo impatto tra i popoli norreni e le culture cristiane nordeuropee. Ibn Fadlan fu tuttavia uno dei primi a mettere per iscritto le usanze dei popoli Rus, dipingendoli come mercanti ed esploratori armati la cui attività principale era quella del commercio.

Il mondo arabo forniva ai Variaghi l’argento che tanto desideravano in cambio di pelli, cera d’api, miele, falconi, noci, corteccia di betulla, armi e ambra, un materiale pagato a caro prezzo nei mercati musulmani. La vendita di prigionieri slavi costituiva una buona fetta della ricchezza commerciale dei Rus, che commerciavano schiavi dall’Egitto alla Spagna.

Sepoltura Rus di un capo riprodotta da Henryk Siemiradzki nel 1883 secondo la descrizione di Ibn Fadlan
Sepoltura Rus di un capo riprodotta da Henryk Siemiradzki nel 1883 secondo la descrizione di Ibn Fadlan
Il vestiario dei Rus

Ibn Fadlan approfondisce la conoscenza dei Variaghi incontrandoli a Wisu, rimanendone affascinato e dedicando a loro circa 1/5 del suo resoconto di viaggio. Li descrive alti quanto palme da dattero, biondi e rubicondi, ricoperti di tatuaggi blu e verdi dal collo ai piedi e armati di ascia, spada e un lungo pugnale.

Le donne Rus indossano gioielli come collane d’oro, d’argento, di rame o di ferro, monili che rappresentavano la ricchezza del loro marito. Tra i gioielli più gettonati ci sarebbero state anche delle perle di vetro verde, spille, chiavi e pettini, e ciò che Ibn Fadlan descrive come “dischi da portare sul petto”.

“Ho visto i Rusiyyah quando arrivarono dai loro viaggi commerciali e si accamparono lungo il fiume Atil [il Volga]. Non ho mai visto esemplari così fisicamente perfetti, alti come palme da dattero, biondi e rubicondi; non indossano tuniche o caffetani, ma gli uomini indossano una veste che copre un lato del corpo e lascia una mano libera.
Ogni uomo possiede un’ascia, una spada e un coltello, e li tiene con sé in ogni momento. Ogni donna indossa sul petto un disco di ferro, argento, rame o oro; il valore del disco indica la ricchezza o lo status del marito. Ogni disco ha un anello da cui pende un coltello. Le donne indossano collane d’oro e d’argento. Il loro ornamento più pregiato sono perle di vetro verde.”.

Fisicamente perfetti ma sporchi

Secondo Ibn Fadlan, i Rus sono esemplari umani “perfetti” in quanto a condizione fisica, ma le loro abitudine igieniche sono disgustose anche se, ogni giorno, trascorrono diverso tempo a pettinarsi. Sono volgari, poco sofisticati e sporchi.

“Sono i più sporchi di tutte le creature di Allah: non si puliscono dopo aver defecato o urinato e non si lavano quando sono in uno stato di impurità rituale e nemmeno si lavano le mani dopo aver consumato del cibo […] Non possono evitare di lavarsi faccia e testa ogni giorno, cosa che fanno con l’acqua più sporca e torbida immaginabile”.

Ibn Fadlan non lesina critiche verso i Rus che hanno deciso di convertirsi all’Islam, facendo notare che continuano a consumare carne di maiale e sostenendo che “molti di quelli che hanno intrapreso la via dell’Islam hanno perso la giusta direzione”.

Secondo Ibn Fadlan i Rus sono dipendenti dall’alcol e bevono giorno e notte. Capita anche che “uno di loro muoia con la coppa nelle mani”.

Religione, legge e funerali

Ibn Fadlan dedica parte della sua descrizione dei Variaghi ai loro usi e costumi, come i sacrifici rituali alle loro divinità pagane, il trattamento riservato ai malati e il funerale di un capo tribù, dato alle fiamme a bordo della sua nave riempita dei suoi possedimenti più preziosi, cani, cavalli, buoi e il corpo di una schiava che si offrì volontaria per accompagnare il suo padrone nell’aldilà.

“Quando qualcuno si ammala, erigono una tenda lontano dall’accampamento e lo portano dentro, dandogli pane e acqua. Non si avvicinano a lui e nemmeno gli parlano, non hanno alcun contatto con lui per tutta la durata della malattia, specialmente se è socialmente inferiore o uno schiavo. Se si riprende ed è in grado di rialzarsi, si unirà ai suoi compagni. Se muove, lo seppelliscono, ma se è uno schiavo lo lasciano sul posto come cibo per i cani e per gli uccelli”.

Non appena sbarcati dopo un viaggio, i Rus si recavano immediatamente nei pressi di idoli di legno per offrire ai loro dei parte delle mercanzie e ingraziarsi il favore divino nelle trattative per il prezzo della merce. Una volta ottenuto un prezzo di favore al termine delle trattative, i Rus sacrificavano una pecora o un bue di fronte agli idoli, lasciando un’offerta di carne come ringraziamento alle divinità.

Nel caso in cui qualcuno fosse stato sorpreso a sottrarre parte del carico o a rubare da una delle tende dell’accampamento dei Variaghi, la pena era estremamente severa:

“Se catturano un ladro o un bandito, lo portano ad un grande albero e gli legano una corda attorno al collo. Legano la corda all’albero e lo lasciano appeso fino a quando la corda non si rompe per l’esposizione alla pioggia o al vento”.

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Anche se la morte di un uomo di basso rango aveva ben poco peso nella comunità, il decesso di un capo tribù era un evento che prevedeva uno specifico rituale composto dalla preparazione del corpo e del corredo funebre, il sacrificio di animali e schiavi e l’abbondante consumo di alcol. Alcuni elementi riportati da Ibn Fadlan nella sua dettagliata descrizione del funerale vichingo di un comandante non trovano riscontro nella tradizione norrena e non possono essere considerati attendibili al 100%.

“Quando muore un uomo povero costruiscono una piccola barca, collocano il corpo al suo interno e le danno fuoco. Nel caso di un uomo ricco, radunano i suoi averi e li dividono in tre, un terzo alla famiglia, un terzo come corredo funerario e un terzo per comprare alcol da bere nel giorno in cui la sua schiava si suiciderà venendo bruciata insieme al padrone”.

Il rituale sembra essere guidato da una figura chiamata “Angelo della Morte”, una donna anziana probabilmente associata al culto di Freyr, divinità della fertilità spesso associata al culto della morte. Per la descrizione completa della cerimonia, consiglio la lettura di questo documento.

Among the Norse Tribes: The Remarkable Account of Ibn Fadlan
IBN FADLAN AND THE R£USIYYAH
Black banner and white nights: The world of Ibn Fadlan
IBN FADLAN’S ACCOUNT OF A RUS FUNERAL: TO WHAT DEGREE DOES IT REFLECT NORSE MYTH?

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Hnefatafl, il gioco di strategia dei popoli norreni https://www.vitantica.net/2019/05/08/hnefatafl-gioco-strategia-popoli-norreni/ https://www.vitantica.net/2019/05/08/hnefatafl-gioco-strategia-popoli-norreni/#respond Wed, 08 May 2019 00:10:52 +0000 https://www.vitantica.net/?p=4096 Con il termine tafl (“tavolo”, “tavoletta”) i popoli norreni identificavano una serie di giochi di strategia praticati su una tavola di legno suddivisa in quadranti. Derivati probabilmente dai ludus latrunculorum romani, questi giochi di strategia assunsero nel tempo diverse forme, soppiantando il tradizionale gioco degli scacchi in diverse culture nordiche.

Giochi da tavolo per i gusti vichinghi

Verso la fine dell’età vichinga, i giochi da tavolo iniziarono ad essere genericamente definiti con il termine hnefatafl per distinguerli da altri giochi di strategia, come gli scacchi (skáktafl) e il “gioco della volpe e dell’oca” (halatafl).

Non è chiara l’etimologia del termine hnefatafl, ma inizialmente fu chiamato “gioco da tavolo del primo pezzo”, indicando come “primo pezzo” il pezzo che rappresenta il re. Il termine hnefi si riferisce alla pedina del re, da qui la traduzione di hnefatafl in “Gioco del Re Norreno”.

Gli “scacchi vichinghi” divennero un gioco molto popolare in Scandinavia tra l’ VIII e l’ XI secolo e furono citati in numerose saghe norrene. Alcune saghe menzionano versioni di hnefatafl giocate con l’uso di dadi, ma non citano le regole del gioco. Se il gioco prevedeva l’uso di dadi, non esiste alcun riferimento documentale su come venissero usati.

La scacchiera veniva generalmente realizzata con legno o pelle, mentre per le pedine si utilizzavano materiali di ogni genere: legno, vetro, osso, corno, ambra o terracotta.

Anche se sono state rinvenute circa un centinaio di pedine attribuibili a giochi da tavolo, è difficile distinguere quelle destinate al gioco del hnefatafl da quelle impiegate per altri giochi di strategia contemporanei.

 

Hnefatafl nelle saghe e nella cultura nordica

Hnefatafl nelle saghe e nella cultura nordica

Il hnefatafl viene menzionato in diverse saghe, come la Saga di Orkneyinga e la Saga di Hervör and Heidrek, offrendo importanti indizi su come si svolgesse il gioco. Sappiamo che fu tra i più popolari dell’ età vichinga e la sua citazione nelle documentazione storica indicherebbe una certa importanza nella vita quotidiana dei popoli norreni.

Nella Saga di Frithiof, una conversazione tra Frithiof e il suo amico Bjorn rivela che i pezzi difensivi fossero rossi, mentre gli attaccanti colorati di bianco. Nella Saga di Hervör and Heidrek, Odino pone una serie di indovinelli legati al hnefatafl, suggerendo che una colorazione consistente con quella indicata nella Saga di Frithiof.

Il hnefatafl aveva certamente un ruolo importante nella formazione di un guerriero, quasi quanto l’abilità marziale. Nella Saga di Orkneyinga, Kali Kolsson scrive un poema in cui si vanta di poter battere chiunque in nove discipline: gioco del tafl, conoscenza delle rune, lettura e scrittura, sciare, tirare con l’arco, remare, suonare strumenti musicali e parlare in versi.

L’importanza del hnefatafl è testimoniata anche dai ritrovamenti di scacchiere e pedine all’interno di sepolture di guerrieri norreni, come una tavoletta di legno corredata di pedina in corno scoperta all’interno di un’imbarcazione a Gokstad, Norvegia. A Orkneys, invece, sono stati rinvenuti ben 22 pezzi da gioco in ossa di balena.

E’ possibile che ci fosse un collegamento tra l’abilità di un guerriero nel gioco e il suo status sociale; è altrettanto plausibile che fosse una sorta di allenamento alla strategia e che la bravura dimostrata sulla scacchiera fosse un elemento preferenziale nella scelta di un capo militare.

La giocabilità del hnefatafl

La giocabilità delle varie versioni di hnefatafl è stata messa in dubbio durante il passato perché, apparentemente, il gioco sembrava favorire chi giocava in difesa.

Riproduzione moderna del tafl
Riproduzione moderna del tafl

I dubbi sulla giocabilità derivano da un’errata traduzione delle regole della versione lappone trascritta da Linneo; traduzioni più recenti dei suoi scritti evidenziano invece un quadro differente: è l’attaccante ad avere un leggero vantaggio sul difensore, con un margine di vittoria superiore del 9%.

Nel corso del tempo sembra siano state introdotte molte modifiche alle regole di gioco per creare bilanciamenti, o situazioni di svantaggio per i difensori o per gli attaccanti in grado di rendere il gioco più interessante.

In una variante del hnefatafl, il re non poteva contribuire a catturare una pedina (“re disarmato”), mentre in un’altra il re non aveva possibilità di mettersi in salvo in uno dei rifugi previsti dalla versione lappone: il gioco si concludeva dopo un numero massimo di movimenti da parte dei due giocatori.

Nel hnefatafl, tutti i pezzi si muovono solo in linea retta, come la torre degli scacchi, senza alcun limite nel numero di caselle che possono coprire con i loro spostamenti. Se lungo il percorso si incontra un pezzo avversario, si è costretti ad interrompere il movimento.

I quattro angoli della scacchiera sono chiamati rifugi o santuari, mentre la casella centrale può essere occupata solo dal re; gli altri pezzi potranno soltanto attraversarla. Se il re riesce a raggiungere uno dei quattro santuari, il giocatore che lo manovra vincerà la partita.

Ogni pezzo può essere mangiato chiudendolo tra due pedine avversarie posizionate su due lati opposti, o se viene bloccato da due pezzi nemici in corrispondenza di un rifugio. Il re viene invece catturato se gli viene preclusa ogni via di fuga da 4 pedine avversarie.

Se il re si trova in una casella adiacente al castello, potrà essere catturato utilizzando solo tre pedine; all’interno del castello o in qualunque altra posizione (ad esclusione dei santuari), dovrà essere catturato sfruttando 4 pedine.

Le varianti di hnefatafl

L’unica variante di tafl con un set di regole ben definite sopravvissuta fino ad oggi è quella giocata dai Sami. Le regole del loro gioco da tavolo furono messe per iscritto da Linneo durante la sua spedizione in Lapponia del 1732.

Per quanto riguarda le altre varianti, non esiste un regolamento preciso su come i pezzi possano muoversi o su quali interazioni possano avere con gli altri elementi della scacchiera; l’unica costante è che il re deve tentare di sopravvivere all’assalto dell’avversario, fuggendo dalla cattura o usando i pezzi a sua disposizione per tentare di eliminare le pedine dell’attaccante.

Tablut, la versione Sami del tafl
Tablut, la versione Sami del tafl
Tablut

Il tablut è la versione di hnefatafl nata in Lapponia e trascritta da Linneo. Era molto popolare tra i Sami fino alla fine del 1700, ma è possibile che sia sopravvissuta fino al tardo XIX secolo sotto forma del gioco da tavolo Sami chiamato “Svedesi e Russi”, un gioco che segue la stessa terminologia del tablut.

Il vero nome del gioco lappone non è tablut: Linneo assegnò questo nome alla versione Sami del hnefatafl senza comprendere che la traduzione del termine tablut sia essenzialmente “giocare a giochi da tavolo”.

Il tablut veniva giocato su una scacchiera di 9×9 quadranti disegnata su pelle di renna. Nel suo Lachesis Lapponica, Linneo sostiene che i giocatori chiamassero “svedesi” i pezzi di difesa e “moscoviti” quelli di attacco.

Linneo non fa alcun riferimento a pezzi differenziati per colore, ma dai suoi disegni si deduce che un lato delle pedine veniva inciso in modo distintivo in base al loro ruolo sulla scacchiera.

Lo scopo del gioco era quello di condurre in salvo il re aprendogli la strada verso uno dei lati della scacchiera, un santuario. Se il re riusciva a fuggire, gli “svedesi” vincevano la partita; se il re veniva catturato bloccandolo tra quattro pezzi, i “moscoviti” vincevano la partita.

Tawlbwrdd

La variante tawlbwrdd ha origine gallese e veniva giocata con 8 pezzi in difesa del re e 16 pedine d’attacco. Un manoscritto del 1587 (Manoscritto 158 di Robert ap Ifan) menziona la scacchiera 11×11 su cui veniva praticato il tawlbwrdd, ma sostiene che le pedine difensive fossero 12, mentre quelle d’attacco 24.

Ard Rí

Ard Rí è la versione scozzese dell’ hnefatafl. Veniva giocata su una scacchiera di 7×7 quadranti, con un re difeso da 8 pedine contro 16 pezzi d’attacco. E’ la variante di hnefatafl meno documentata tra tutte quelle esistenti e si sa molto poco su come veniva praticato.

Brandub

Versione irlandese di hnefatafl chiamata originariamente bran dubh (“corvo nero”). Sappiamo da due poemi che veniva giocata con 5 pedine contro 9, e che una delle cinque pedine veniva chiamata “Branán” (capo). la tavola da gioco era composta da una scacchiera 7×7, generalmente realizzata in legno e dotata di fori per l’inserimento di pezzi dotati di piolo, probabilmente per favorire la portabilità del gioco.

Tafl games
Hnefatafl – the Strategic Board Game of the Vikings

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Nábrók, le “necromutande” della stregoneria islandese https://www.vitantica.net/2019/05/01/nabrok-necromutande-stregoneria-islandese/ https://www.vitantica.net/2019/05/01/nabrok-necromutande-stregoneria-islandese/#respond Wed, 01 May 2019 00:10:33 +0000 https://www.vitantica.net/?p=4044 Nel tranquillo villaggio di pescatori di Hólmavík si trova un museo che ospita la riproduzione di un oggetto leggendario della stregoneria islandese: il nábrók, “necromutande” (o “necropantaloni” che dir si voglia) la cui creazione prevedeva un rituale così complesso da risultare irrealizzabile.

Il Museo della Magia e della Stregoneria Islandese

Il Museo della Magia e della Stregoneria Islandese combina interessanti fatti storici relativi alla caccia alle streghe condotta in Islanda nel XVII secolo ed elementi folkloristici legati alla magia islandese di discendenza norrena, una pratica che spesso prevedeva sacrifici di sangue e rituali della tradizione magica popolare nordeuropea.

Nel 2014 gli utenti di TripAdvisor hanno classificato questo museo tra i primi dieci musei più interessanti d’Islanda, lasciando stupito e soddisfatto il curatore Sigurður Atlason, un appassionato di folklore e storia della sua isola.

“Il nostro museo è qualcosa che esula da un museo tradizionale, caratteristica che lo rende particolare. Mandare avanti il museo è stata una sfida: questo è il primo anno dall’apertura in cui siamo in grado di assumere personale. Siamo finalmente diventati un business solido” spiega Atlason.

L’idea di un museo incentrato sulla stregoneria islandese è nata nel 1996 per attrarre più visitatori in un’area così remota d’Islanda, il distretto di Strandasýsla. Nel 2000 il museo ha finalmente aperto le sue porte e anno dopo anno ha attratto sempre più visitatori provenienti da tutto il mondo.

La raccapricciante stregoneria islandese

Durante il XVII secolo l’Islanda fu coinvolta in una vera e propria caccia ai praticanti di stregoneria: l’accusa di esercitare magia nera portò alla morte diverse persone, generalmente uomini. La magia islandese, diretta discendente di quella norrena, prevedeva inoltre rituali violenti o disgustosi, come quello previsto per l’evocazione di un tilberi.

Un tilberi, o snakkur, era una creatura soprannaturale creata dai praticanti di magia nera di sesso femminile con il preciso scopo di rubare latte. Il primo riferimento letterario ad un tilberi appare solo nel XVII secolo, ma lo stesso riferimento cita una donna del 1500 punita per aver dato origine a questa mostruosità.

Un tilberi, o snakkur, veniva creato per sottrarre latte ai vicini di casa
Un tilberi, o snakkur, veniva creato per sottrarre latte ai vicini di casa

Il rituale per la creazione di un tilberi era basato su oggetti ottenuti tramite l’inganno: era necessario sottrarre durante il giorno di Pentecoste una costola da un cadavere seppellito di recente, avvolgerlo in lana grigia rubata appositamente per lo scopo e tenere il rotolo così ottenuto tra i seni per tre settimane.

Ogni domenica, durante la comunione, la donna doveva sputare il vino santo sul rotolo, vedendolo prendere vita e muoversi sempre più ad ogni messa. Al termine del rituale, la donna doveva alimentare la creatura lasciandole succhiare sangue dalla coscia: a questo punto, il tilberi era pronto per essere inviato a rubare latte dalle fattorie vicine, latte che avrebbe rigurgitato dopo il suo ritorno a casa.

Gli incantesimi islandesi erano del tutto simili ai galdrar norreni, versi usati nella magia popolare in svariate circostanze, dal rendere più semplice il parto al portare alla follia un avversario. Pare che Odino conoscesse ben 18 galdrar, tra i quali uno per creare tempeste e un altro per evocare i morti.

I galdrar e la tradizione magica popolare furono le basi per la stregoneria islandese: secondo la leggenda, intorno al XVI secolo Gottskálk grimmi Nikulásson, vescovo di Holar, raccolse tutte le conoscenze magiche e i galdrar norreni (tra i quali la procedura di creazione del nábrók) in un libro, il Rauðskinna,noto anche come Il Libro del Potere, un volume apparentemente sepolto con la salma del prelato e per secoli obiettivo della ricerca di molti praticanti della magia norrena.

Il pezzo forte: nábrók

L’oggetto più popolare del museo è la riproduzione in legno di un nábrækur, detto anche nábrók. Si tratta di mutande magiche che, secondo la magia vichinga islandese, potevano garantire un flusso infinito di monete a patto di realizzarle seguendo un rituale specifico e sanguinolento.

Nabrok

Come molti altri oggetti del museo, anche le necromutande sono state realizzate dall’artista di scena Árni Páll Jóhannsson, ottenendo l’attenzione dei media fino a raggiungere la notorietà in uno show della BBC condotto da Stephen Fry. “Lo show ha creato il caos” sostiene Atlason. “La gente entrava chiedendo se questa fosse la casa dei pantaloni magici mostrati alla BBC”.

Per quanto costituiscano il pezzo forte del museo, questi necropantaloni sono in realtà solo un oggetto leggendario, mai realizzato da nessun vichingo islandese per ovvie ragioni pratiche che saranno ben evidenti qualche paragrafo più sotto. “Ogni volta che qualcuno mi chiede se sono reali o se siano mai esistiti, devo dire la verità: i pantaloni magici sono esistiti soltanto nelle leggende popolari locali”.

La creazione e l’utilizzo del nábrók

Creare un nábrók non era soltanto difficile, ma tecnicamente impossibile. La procedura poteva iniziare anche molti anni prima di procedere con l’effettiva realizzazione dell’oggetto magico: occorreva infatti stipulare un patto con un amico convincendolo a cedere il suo corpo al futuro utilizzatore dopo una morte per cause naturali.

Alla morte dell’amico, l’indossatore delle necromutande doveva attendere la sepoltura del cadavere, riesumarlo senza farsi notare e, solo a quel punto, procedere con la preparazione vera e propria dell’oggetto magico.

Il procedimento era il seguente: occorreva scorticare il corpo dai fianchi ai piedi prestando la massima attenzione a mantenere perfettamente intatta la pelle. Ogni taglio o buco sulla pelle estratta dal cadavere (pelle che comprendeva ovviamente anche quella dei genitali) avrebbe irrimediabilmente compromesso il rituale, vanificando ogni sforzo.

Una volta ottenuti dei veri e propri pantaloni di pelle umana, era necessario indossarli a contatto diretto con la propria pelle, momento in cui avrebbero aderito con forza al corpo dell’indossatore.

Lo scopo del nábrók era quello di ottenere una riserva illimitata di denaro; per innescare questa “generazione spontanea” di monete era necessario inserire nello scroto delle necromutande una moneta sottratta ad una vedova mendicante e il simbolo magico nábrókarstafur scritto su un pezzo di pergamena.

Simbolo Nábrókarstafur
Simbolo Nábrókarstafur

A patto di non rimuovere la moneta, lo scroto del nábrók si sarebbe costantemente riempito di monete senza sosta. Ma liberarsi di questi necropantaloni ed evitare la dannazione eterna non era semplice: occorreva seguire un altro rituale.

In caso di morte imminente, era fondamentale togliersi il nábrók per non incorrere in una sorte terribile nell’aldilà. Per separarsi dalle necromutande occorreva trovare un’altra persona disposta ad indossarle ed effettuare la transizione da un indossatore all’altro in modo tale da lasciare almeno una gamba all’interno dell’oggetto magico.

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Necropants and Other Tales of 17th-Century Icelandic Sorcery

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9 cose poco note su Thor, il dio del tuono https://www.vitantica.net/2019/04/24/9-cose-poco-note-thor/ https://www.vitantica.net/2019/04/24/9-cose-poco-note-thor/#comments Wed, 24 Apr 2019 20:00:10 +0000 https://www.vitantica.net/?p=4149 Scrivo questo post in attesa di Avengers:Endgame, un film che ho atteso a lungo e che spero caldamente non riesca a deludermi. Vi prego di evitare ogni forma di spoiler almeno fino al 26 aprile.

Spero che la pellicola abbia un enorme successo: davvero, me lo auguro, sia per la quantità di ore che ho “investito” nel guardare ben 21 film prima di questo, epico finale, sia per il fatto che si tratta dell’unica saga cinematografica che veda come protagonista uno tra i miei supereroi preferiti di sempre: Thor, una delle divinità più celebri della mitologia norrena.

Sappiamo tutti che Thor è il dio del tuono, del fulmine, delle tempeste, della forza e di un’altra manciata di elementi naturali. Il figlio di Odino è anche il protettore dell’umanità intera e impugna un martello magico, Mjölnir, un’arma capace di radere al suolo intere montagne.

Thor era, come tutte le divinità di ogni religione del pianeta, il tentativo di dare un senso all’esistenza umana e a quella di tutta la materia che ci circonda, vivente e non.

E come ogni divinità norrena che si rispetti, la storia di Thor, come la sua origine e il suo destino, sono ricchi di retroscena e informazioni curiose.

I molti nomi di Thor

Thor è una divinità documentata fin dall’antica Roma: Tacito, nella sua opera Germania, associa Thor a Mercurio nel descrivere la religione degli Suebi (o Svevi), un popolo germanico proveniente dal Baltico.

Essendo una divinità comune in molte culture nordiche, Thor era conosciuto con almeno 15 nomi differenti. Giusto per citarne alcuni: in antico norreno era Þórr (ᚦᚢᚱ), ðunor in antico inglese, Donar in Germania, thunar tra i Sassoni.

L’origine di “Thursday” si deve proprio alla divinità nordica: “Thor’s day” (in proto-germanico Þonares dagaz) fu accostato al giovedì quando i popoli del Centro-Nord Europa iniziarono ad adottare il calendario settimanale romano.

Il nome di Thor divenne così comune in epoca vichinga da essere un prefisso (Thórr) abbastanza diffuso nei nomi di persona e di villaggi.

Mjölnir, un martello multiuso
A sinistra, Thor e Mjölnir sulla pietra di Altuna, in Svezia. A destra, una pietra runica con la raffigurazione del martello di Thor.
A sinistra, Thor e Mjölnir sulla pietra di Altuna, in Svezia. A destra, una pietra runica con la raffigurazione del martello di Thor.

Oltre ad alcuni aspetti tipici di una divinità, come un’immortalità di base, una forza sovrumana e la capacità di evocare fulmini e scatenare tempeste, una delle caratteristiche più note di Thor è la sua capacità di impugnare Mjölnir, un martello da guerra unico e straordinariamente potente.

Intorno al culto di Thor sorsero numerosi rituali magici incentrati su Mjölnir. Repliche più o meno stilizzate del martello divino venivano utilizzate in cerimonie religiose, matrimoni, nascite e funerali.

Piccoli Mjölnir erano comuni per benedire l’unione tra due persone, per propiziare una nascita senza complicazioni, per dare addio ai cari estinti o per favorire un raccolto abbondante.

Il martello simboleggiava la sconfitta dei giganti (incarnazione del male) da parte di Thor (il campione delle forze del bene) e rappresentava un amuleto multiuso largamente diffuso.

Non solo martelli magici

Thor non impugnava soltanto un martello. In una delle differenti versioni della divinità nordica, il figlio di Odino, chiamato Thunor, era in grado di scagliare saette contro le forze del male usando un’ ascia da battaglia.

Thor inoltre indossava altri oggetti dotati di proprietà magiche, tra i quali una cintura che raddoppiava la forza (Megingjarðar) e un paio di guanti magici che gli permettevano di recuperare Mjölnir dopo un lancio.

Come mezzo di locomozione, Thor non volava in modo spettacolare come il personaggio del Marvel Cinematic Universe: sfruttava un carro trainato da due capre, Tanngnjóstr e Tanngrisnir, di cui Thor si cibava durante i suoi viaggi perché avevano la straordinaria capacità di poter rinascere il giorno dopo, a patto di mantenere ossa e pelle intatte.

Un destino legato al Ragnarök

Nel poema Völuspá, una veggente (völva) narra la storia dell’universo a Odino. In questa storia, viene citata la morte di Thor: il figlio di Odino dovrà combattere contro il serpente Jörmungandr, una creatura marina di proporzioni colossali che verrà rilasciata durante il Ragnarök, una serie di eventi che segna la distruzione e la rinascita della Terra (Midgard).

Il serpente di Midgard ha fatto di recente la sua apparizione videoludica nel gioco God of War
Il serpente di Midgard ha fatto di recente la sua apparizione nel gioco God of War.

Thor riuscirà a sconfiggere il serpente di Midgard, ma avrà solo il tempo di nove passi prima di soccombere al veleno della bestia.

A quel punto, secondo la veggente il cielo diventerà nero, il fuoco avvolgerà la Terra, spariranno le stelle, si solleverà un gran vapore e il mondo verrà ricoperto d’acqua, per poi rinascere dalle sue ceneri, verde e fertile.

Divinità d’importazione?

La figura di Thor sembra somigliare ad alcune divinità centro-nordeuropee, come il celtico Taranis, ma anche ad alcuni personaggi mitologici orientali, come Indra, divinità induista dai capelli rossi che lanciava fulmini con la sua arma.

Indra era anche il creatore di tempeste, il portatore di pioggia, il regolatore del livello dei fiumi e il dio della guerra, celebrato per i suoi poteri e la sua capacità di abbattere il male.

I punti in comune con Indra del pantheon indiano non finiscono qui: anche questa divinità, come Thor, è destinata a combattere e sconfiggere un serpente/drago gigante, Vritra. Anche l’arma di Indra, come Mjölnir, è in grado di tornare tra le mani del suo proprietario.

L’arte del travestimento
A sinistra, disegno di Thor islandese risalente al XVIII secolo; a destra, statua di Thor a Stoccolma
A sinistra, disegno di Thor islandese risalente al XVIII secolo; a destra, statua di Thor a Stoccolma.

Thor è stato protagonista di innumerevoli leggende, alcune davvero bizzarre. Una delle più particolari vede il dio del tuono impegnato in un curioso tentativo di recuperare Mjölnir.

Il martello magico, sottratto dai giganti, era stato seppellito a oltre 10 km di profondità; sarebbe stato restituito solo nel caso Freya avesse accettato il matrimonio con Thrym, il re dei giganti.

Heimdall, il dio che vigila il ponte arcobaleno Bifrost che porta ad Asgard, suggerisce quindi questo piano d’azione: Thor, travestito da Freya, sarebbe entrato nella fortezza dei giganti in compagnia di Loki, travestito da servitrice.

Thrym accolse Thor e Loki con gentilezza, offrendo un ricco banchetto per celebrare le nozze che avrebbero celebrato il giorno seguente, ma Thor si tradì velocemente divorando un intero bue, otto salmoni e ogni altro cibo presente sulla tavola, bevendo interi barili di idromele.

I sospetti di Thrym vengono fugati dalla parlantina di Loki. Si giunge quindi al momento del matrimonio: quando Mjölnir viene offerto a Thor per benedire l’unione, il dio del tuono lo afferra e inizia a uccidere ogni singolo invitato, terminando velocemente la faccenda e liberandosi finalmente degli abiti femminili che indossava.

Sangue di gigante

Asgardiani e Giganti non sono mai andati molto d’accordo; strano, considerando che Thor è nipote di giganti. Odino infatti è mezzo-gigante: sua madre Jord (“Terra”) era una gigante purosangue.

Le entità di sangue misto non sono rare nella mitologia nordica: giganti ed Æsir (una delle due tribù di divinità, assieme ai Vanir, del pantheon nordico) intrattengono rapporti non solo come nemici, ma anche come amanti o semplici popoli differenti per cultura e scopi.

Quasi imbattibile

Thor non era imbattibile. Le leggende che lo riguardano lo vedono spesso vittima di tranelli tesi dai suoi nemici; la scarsità di astuzia veniva spesso colmata dalla sagacia di Loki.

Giant Skrymir and Thor, di Louis Huard (1813-1874)
Giant Skrymir and Thor, di Louis Huard (1813-1874)

Il dio del fulmine non era imbattibile nemmeno dal punto di vista fisico, anche se ben pochi potevano competere con lui. Lo Snorra Edda di Snorri Sturluson cita la leggenda di Thor e Utgarda-Loki (noto anche come Skrimir), uno jötnar (gigante) che sfida Thor ad una gara di forza e ad una competizione alcolica.

La prova di forza non va a buon fine, e nemmeno quella di bevute (leggi questo post per qualche dettaglio in più sulla storia). Thor, sconfitto e infuriato, dichiara che avrebbe battuto chiunque nella lotta (glima); Utgarda-Loki accetta la sfida offrendo come avversario Elli, la sua nutrice, che lo sconfigge più e più volte.

Sposato con Sif

Thor non era un guerriero divino solitario, ma aveva una compagna; contrariamente a quanto rappresentato nel Marvel Cinematic Universe, non si invaghì di una terrestre, ma faceva coppia con Sif, la dea della fertilità.

Thor e Sif vivevano insieme nel Thrudheim, un’enorme residenza di 540 stanze oltre ad essere la casa più grande di Asgard. I figli del dio del tuono, Trud e Modi, vivevano insieme al figlio adottivo di Thor, Ullr, e ad un figlio illegittimo di nome Magni, nato dall’unione del dio con la jötunn Jarnsaxa.

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