pietra – VitAntica https://www.vitantica.net Vita antica, preindustriale e primitiva Thu, 01 Feb 2024 15:10:35 +0000 it-IT hourly 1 Tumulo di Barnenez, una delle più antiche strutture megalitiche del pianeta https://www.vitantica.net/2019/05/20/tumulo-barnenez-strutture-megalitiche/ https://www.vitantica.net/2019/05/20/tumulo-barnenez-strutture-megalitiche/#comments Mon, 20 May 2019 00:10:27 +0000 https://www.vitantica.net/?p=4226 Stonehenge è sicuramente un sito megalitico di estremo fascino, in grado di catalizzare l’attenzione del grande pubblico grazie anche alle innumerevoli ipotesi, scientifiche e non, sulla sua reale natura.

Stonehenge tuttavia costituisce un problema di visibilità per tutti i siti archeologici neolitici presenti in Europa. Per quanto straordinaria, questa struttura megalitica non è la più antica conosciuta, e nemmeno la più imponente.

Il Tumulo di Barnenez, nella penisola di Kernéléhen, Francia, è un sito neolitico probabilmente sconosciuto ai più ma che rappresenta una delle più antiche e grandi strutture di pietra del mondo.

La storia del Tumulo di Barnenez

La costruzione del tumulo iniziò tra il 4850 a.C. e il 4250 a.C. e si svolse in più fasi: la seconda fase, secondo la datazione al radiocarbonio dei resti di carbone rinvenuti nel sito, iniziò in un periodo compreso tra il 4450 a.C. e il 4000 a.C.

Gli archeologi ritengono più corretta una datazione collocabile intorno ai primi secoli del V millennio a.C. per la prima fase di costruzione. La struttura, nella sua forma osservabile oggi, potrebbe aver richiesto diversi secoli per essere terminata.

© Gerhard Huber
© Gerhard Huber

I resti di vasellame trovati all’interno e attorno al monumento lasciano pensare che questa struttura sia stata utilizzata dai nostri antenati per oltre un migliaio di anni, almeno fino all’ inizio dell’ Età del Bronzo.

Il tumulo fece la sua prima apparizione sulle mappe nel 1807 all’interno di un catasto d’epoca napoleonica, ma non fu identificato come tumulo archeologico prima del 1850, anno in cui si tenne il congresso di Morlaix e l’importanza storica del tumulo fu riconosciuta ufficialmente.

Il tumulo di Barnenez finì nelle mani di privati fino agli anni ’50 del 1900; fu impiegato principalmente come cava per l’estrazione di pietre da pavimentazione, attività che non contribuì di certo a preservarlo intatto.

L’estrazione di roccia si arrestò bruscamente quando si scoprì quasi accidentalmente la presenza di alcune camere interne. La scoperta di queste camere innescò i primi lavoro di ristrutturazione, compiuti tra il 1954 e il 1968.

La costruzione di Barnenez
Ingressi del tumulo di Barnenez. © Moth Clark
Ingressi del tumulo di Barnenez. © Moth Clark

Un singolo metro cubo di pietra del tumulo di Barnenez pesa circa 1.500 kg. Secondo le stime degli archeologi, l’attività di estrazione, modellazione, trasporto ed edificazione di una quantità tale di pietra richiedeva quattro giorni-lavoro per un singolo individuo (calcolando giornate di lavoro da 10 ore).

La struttura originale ha un volume di circa 2.000 metri cubi di roccia e fu realizzata con 1.000 tonnellate di granito e 3.000 tonnellate di diabase; da questi dati si è ipotizzato che furono necessari da 15.000 a 20.000 giorni-lavoro per erigere il monumento, traducibili in 200 operai in attività per circa 3 mesi.

Il monumeto visibile oggi, circa 3 volte più grande del tumulo iniziale, è composto da quasi 7.000 metri cubi di pietra, per un peso complessivo compreso tra le 12.000 e le 14.000 tonnellate.

La struttura del sito di Barnenez

Il tumulo attualmente è lungo 72 metri, largo da 20 a 25 metri e alto circa 9. L’intera struttura fu realizzata utilizzando 13-14.000 tonnellare di roccia sotto forma di blocchi di dimensioni relativamente piccole, ad eccezione di alcune stanze, nelle quali furono impiegate pietre più grandi.

La struttura del sito di Barnenez
La struttura del sito di Barnenez

Il tumulo è suddiviso in 11 stanze connesse tra loro da una serie di corridoi. Alcune pareti interne fungevano da muri separatori tra le camere o da strutture portanti e stabilizzanti.

Durante la prima fase costruttiva, il tumulo, costituito principalmente da diabase, aveva una forma trapezoidale lunga 32 metri, larga 9 e alta 13 metri; conteneva 5 camere ed era circondata da doppio lastricato.

Durante la seconda fase, la struttura fu estesa aggiungendo altre 6 stanze verso occidente e circondando il tumulo più antico con una costruzione più larga e alta. Anche i cunicoli di collegamento tra le camere furono estesi, utilizzando prevalentemente granito.

Una delle 11 camere di Barnenez. © Chris Bickerton
Uno dei corridoi di Barnenez. © Chris Bickerton

Inizialmente le 11 camere erano totalmente racchiuse dal tumulo, ma l’attività di estrazione della pietra a cavallo tra il XIX e il XX secolo lasciarono esposte alcune stanze. Una delle stanze è un vero e proprio tholos, una struttura di solito impiegata per le sepolture e costituita da una finta cupola.

Molti corridoi e stanze riportano incisioni che raffigurani archi, asce, serpenti o simboli a forma di onda, motivi ricorrenti anche in altri siti megalitici francesi. Una delle lastre di pietra incise sembra essere stata parte di una struttura differente, mentre altre rocce riportano la raffigurazione stilizzata di quella che viene definita “la dea dei Dolmen”.

La "dea dei Dolmen". © Moth Clark
La “dea dei Dolmen”. © Moth Clark

Solo tre stanze del tumulo più recente contenevano reperti neolitici: vasellame, asce di pietra di diabase, lame di selce e punte di freccia litiche. All’esterno del monumento, invece, sono stati trovati frammenti di vasellame, una daga di rame e una punta di freccia seghettata, oggetti che supporterebbero l’ipotesi di un riutilizzo del sito intorno al III millennio a.C.

Barnenez
CAIRN DE BARNENEZ
Barnenez

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Ascia di pietra, bronzo e acciaio a confronto https://www.vitantica.net/2019/05/10/ascia-pietra-bronzo-acciaio-confronto/ https://www.vitantica.net/2019/05/10/ascia-pietra-bronzo-acciaio-confronto/#comments Fri, 10 May 2019 00:10:40 +0000 https://www.vitantica.net/?p=4116 E’ difficile riuscire a trovare informazioni corrette e accurate sull’efficacia degli utensili utilizzati in epoca preistorica. Non molti ricercatori si dedicano alla ricostruzione pratica delle antiche tecnologie, ancora meno rivolgono la loro attenzione alla realizzazione di utensili d’uso quotidiano.

L’ archeologia sperimentale e gli “esperimenti imitativi”, con tutti i loro limiti che qualcuno più competente di me potrebbe elencare, forniscono tuttavia alcuni preziosi indizi sull’ingegno dei nostri antenati e sulle risorse da loro utilizzate per semplificarsi la vita.

Con l’inizio della lavorazione della pietra, l’ascia iniziò a costituire un utensile e un’arma estremamente versatile: poteva essere ovviamente impiegata per recuperare legname, ma trovava impiego in moltissimi altri ambiti in un contesto di vita a stretto contatto con la natura.

Dipendentemente dalla sua tecnologia costruttiva e dai materiali impiegati, l’ascia rappresentò anche uno strumento multiuso per lavori di precisione, per la caccia, per la guerra, o un semplice “spaccaossa” per la lavorazione delle carcasse animali.

Quanto è realmente efficace un’ascia di pietra?

Quali sono le reali prestazioni di un’ascia di pietra in confronto a bronzo e acciaio? Ogni ascia è dotata di una testa, una lama spessa, resistente e talvolta molto affilata. E’ facilmente intuibile che la testa di un’ascia costituisca un elemento importante per l’efficacia dell’utensile; anche il manico è rilevante, ma una testa degna di tale nome può essere all’occorrenza facilmente adattata ad una nuova impugnatura, più performante, resistente o leggera.

Una comparazione sul campo tra asce di pietra, bronzo e acciaio è stata fatta nel 2010 da James R. Mathieu e Daniel A. Meyer della Boston University e pubblicata sulla rivista Journal of Field Archaeology. Il metodo adottato nella ricerca prevede l’abbattimento di alcune specie di alberi tipiche dell’emisfero settentrionale utilizzando asce realizzate con diversi materiali.

Asce di bronzo (a sinistra) e asce di pietra (a destra) impiegate nell'esperimento
Asce di bronzo (a sinistra) e asce di pietra (a destra) impiegate nell’esperimento

Ciò che hanno fatto i ricercatori aveva un obiettivo fondamentale: mettere a confronto pietra, bronzo e acciaio in termini di efficienza per comprendere nel miglior modo possibile la praticità di questi utensili.

Calcolare con esattezza i tempi di abbattimento di un albero pare non sia così semplice: fin dal 1960 sono state effettuate diverse comparazioni nelle tempistiche di abbattimento utilizzando diversi tipi di acciaio; talvolta si è anche tentato di paragonare le asce moderne a quelle di pietra, ma il confronto di efficienza non si basa soltanto sul tempo necessario ad abbattere un tronco.

L’efficienza nell’abbattimento di un albero si calcola tenendo in considerazione anche il rapporto di kilocalorie consumate per ogni centimetro di taglio (pollice, in questo caso). Negli anni ’70 del 1900, ad esempio, Stephen Sarayadar e Izumi Shimada hanno calcolato che l’acciaio fosse quasi 4 volte più efficiente della pietra in quanto a tempistiche e circa 3 volte più efficiente in termini di calorie consumate.

Asce di pietra, bronzo e acciaio alla prova sul campo

Le asce di bronzo utilizzate nell’esperimento erano repliche di utensili risalenti al 1400-900 a.C., realizzate con una lega di bronzo al 90% da rame e al 10% di stagno e modellate sulla base di alcuni reperti custoditi allo University Museum of Archaeology and Anthropology.

Differenza di prestazioni tra asce di bronzo e asce di acciaio
Differenza di prestazioni tra asce di bronzo e asce di acciaio

Anche le asce di pietra sono state realizzate partendo da esemplari di teste d’ascia di pietra custoditi nello stesso museo e rinvenuti nei pressi del lago di Costanza, in Svizzera. Due teste d’ascia erano in selce, altre due invece di pietra afanitica, un tipo di roccia ignea criptocristallina composta da cristalli dal diametro inferiore agli 0,5 millimetri (come il basalto o l’andesite).

I test sono stati condotti con 4 teste d’ascia in acciaio (dal peso compreso tra i 600 grammi e i 2,3 kg), 4 teste di bronzo tra 1 kg e 1,9 kg e 8 teste di pietra (con peso compreso tra i 2 kg e i 2,7 kg). Sono state impiegate lame di larghezza differente e manici di lunghezza compresa tra i 30 e i 91 cm.

Gli alberi selezionati per l’abbattimento avevano un diametro da 8 centimetri a quasi 34 centimetri; sono stati utilizzati pioppi, pini, aceri, olmi, querce e betulle, esemplari rappresentativi della flora europea e nordamericana del Neolitico.

Come era facilmente prevedibile, l’ascia d’acciaio ha prestazioni differenti da quella di bronzo, ma la differenza di efficienza tra i due utensili non è così evidente: la lega di rame e stagno riesce comunque ad abbattere un tronco del diametro di 30 centimetri in meno di 15 minuti, una velocità poco differente a quella raggiunta con l’acciaio.

Il bronzo in realtà può ottenere un’affilatura efficace con l’indurimento, ma la sua morbidezza rispetto all’acciaio non gli consente di mantenere a lungo una filo tagliente. Questa scarsa durezza non sembra tuttavia aver pregiudicato l’abbattimento di alberi di diametro medio-piccolo in tempi competitivi a quelli di un’ascia di acciaio.

L’efficienza dell’ascia di pietra

Con la pietra il discorso è un po’ differente, ma il materiale litico può avere sorprendenti doti di durezza e resistenza. Nei confronti di tronchi di 30 centimetri, l’ascia di pietra può richiedere ben 30-50 minuti per completare un abbattimento; ma nel caso di alberelli di 10-20 centimetri, l’abbattimento risulta relativamente semplice in 5-15 minuti, tempistiche che variano in relazione alla specie di albero selezionata.

Differenza di prestazioni tra asce di pietra e asce di metallo
Differenza di prestazioni tra asce di pietra e asce di metallo

Una differenza sostanziale è stata osservata nel tipo di taglio. L’ascia di acciaio effettua tagli ben definiti e stacca brandelli di legno dai profili spigolosi e netti; quella di bronzo crea frammenti più piccoli e sottili, e con l’usura tende a ad avere meno efficacia.

L’ascia di pietra è in grado di effettuare tagli relativamente precisi, dipendentemente dal materiale della testa e dalla sua lavorazione. Ma i frammenti che stacca tendono ad essere sfibrati, senza spigoli ben delineati, risultando quasi “masticati”.

E’ sicuramente possibile realizzare pietre taglienti come rasoi utilizzando materiali come l’ossidiana o la selce, ma non si potrà ottenere un utensile utilizzabile per il lavoro pesante a causa della fragilità del materiale litico.

Le conclusioni che i ricercatori hanno tratto sono le seguenti: in primo luogo, asce di bronzo e acciaio possono essere considerate come appartenenti alla stessa categoria di “teste d’ascia di metallo” per via delle loro prestazioni simili.

Anche il manico ha giocato un ruolo rilevante nell’efficienza di un’ascia: un’impugnatura più lunga non consente di mantenere un ritmo veloce, ma compensa la sua lentezza con un’ efficienza energetica maggiore e tempi ridotti per l’abbattimento.

I tronchi di 10-15 centimetri di diametro possono essere velocemente abbattuti da un’ascia di pietra, con tempistiche molto simili a quelle di un’ascia metallica. Con alberi dal diametro di 20 centimetri o superiore, i punti di forza delle asce metalliche emergono sull’efficacia di un utensile di pietra, specialmente sotto l’aspetto di calorie consumate per albero e nella definizione dei tagli effettuati.

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Comparing Axe Heads of Stone, Bronze, and Steel: Studies in Experimental Archaeology

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Esseri umani dell’ età della pietra: non chiamiamoli cavernicoli https://www.vitantica.net/2019/03/13/esseri-umani-eta-pietra-cavernicoli/ https://www.vitantica.net/2019/03/13/esseri-umani-eta-pietra-cavernicoli/#comments Wed, 13 Mar 2019 00:10:32 +0000 https://www.vitantica.net/?p=3767 Quando viene utilizzato il termine “età della pietra” ci si riferisce generalmente ad uno stereotipo della primitività: l’essere umano, secondo una concezione comune e fin troppo diffusa, viveva allo stato primitivo all’interno di caverne o cavità naturali, si aggirava nudo o seminudo per lande densamente popolate dalla natura selvaggia e possedeva ben pochi aspetti di una civiltà vera e propria.

Si tratta di realtà o di uno stereotipo basato sull’errata interpretazione (da parte dei non esperti) dello stile di vita umano dell’età della pietra? Potrà sorprendere sapere che oggi ben pochi antropologi e archeologi concordano nel definire l’età della pietra come un periodo selvaggio e non civilizzato.

Breve storia dell’età della pietra

Quella che viene definita “età della pietra” è in realtà un periodo estremamente lungo, iniziato circa 3,4 milioni di anni e terminato tra l’anno 8.700 a.C. e il 2.000 a.C. in base alla regione geografica; in alcune culture, inoltre, la pietra è rimasta il materiale di base della loro tecnologia fino a tempi più recenti.

Questo lasso temporale fu caratterizzato da una lavorazione della pietra progressivamente sempre più avanzata e complessa, a partire dai primi esponenti del genere Homo, che si limitavano a sfruttare prevalentemente pietre modellate dagli agenti naturali, fino all’uomo anatomicamente moderno, un vero e proprio esperto nella scheggiatura della pietra.

La prima testimonianza di lavorazione della pietra da parte di un ominide è indiretta: si tratta di ossa animali fossilizzate, risalenti a circa 3,4 milioni di anni fa, che recano impressi segni di lavorazione tramite strumenti litici; la pietra consentì ai primi rappresentanti del genere Homo di estrarre il preziosissimo midollo dalle ossa di animali morti, un alimento saporito e ad alto contenuto energetico.

Per il più antico strumento di pietra giunto fino ad oggi occorre aspettare circa 100.000 anni. Questo strumento e tutti quelli scoperti in Kenya, databili tra 3,3 e 2,5 milioni di anni fa, dimostrano quanto i nostri antenati fossero diventati abili nel manipolare materiali litici per produrre utensili grossolani ma efficaci.

Tecnica Levallois
Tecnica Levallois

Per circa due milioni di anni, i principali strumenti di pietra del paleolitico inferiore furono pietre scheggiate a forma di mandorla (bifacciali o amigdale) e i choppers. Tra i 300.000 e i 120.000 anni fa (paleolitico medio) si assiste ad un’evoluzione degli strumenti di pietra con la nascita di nuovi metodi di lavorazione, come la tecnica Levallois, che consentono di produrre lame più affilate, piccole e rifinite, e una vasta gamma di strumenti d’utilità quotidiana, come punte per trapani.

Circa 50.000 anni fa, nel paleolitico superiore, la tecnologia litica si evolve ulteriormente: i manufatti risalenti a questo periodo sono ancora più piccoli e rifiniti, tanto da definirli “microliti”, e la precisione nella lavorazione della pietra diventa tale da consentire la creazione di utensili precisi utili a lavorare finemente altri materiali come legno, corno e avorio.

Il problema delle “età”

Suddividere il passato remoto in “età della pietra”, “età del bronzo” e “età del ferro” è una limitazione non indifferente: tramite questa separazione, l’evoluzione della cultura umana viene esclusivamente distinta attraverso la capacità umana di manipolare pietra e metalli.

La cultura umana tuttavia è un insieme complesso di elementi tra cui: organizzazione sociale, sfruttamento delle risorse naturali e delle fonti d’acqua, uso dei materiali naturali, adattamento al clima, abilità nella caccia, nella raccolta e nell’agricoltura, capacità di cucinare il cibo, sedentarietà, per terminare con le credenze religiose.

Associare automaticamente “età della pietra” a concetti come “cavernicolo” o “non civilizzato” non è quindi corretto. Si possono citare molte civiltà del passato che non conoscevano la manipolazione di metalli e leghe come rame, bronzo e ferro (per citarne due, i Maya e gli Aztechi), ma questo non significa affatto che non avessero aspetti culturali e sociali estremamente complessi.

Lavorare la pietra per ottenere strumenti utili non è affatto semplice. Anche i più esperti “knappers” moderni, che spesso lavorano nel campo dell’archeologia sperimentale ricreando gli antichi strumenti di pietra dei nostri antenati, incontrano innumerevoli difficoltà nel replicare lame, chopper, punte di freccia e lancia che, durante il paleolitico medio o superiore, venivano realizzati fin dalla giovane età da comunità che ancora oggi molti di noi considerano selvagge.

Gli esseri umani erano davvero cavernicoli e incivili?

E’ necessario una volta per tutte sfatare il mito dei “cavernicoli primitivi” dell’età della pietra. Se parliamo dei primi ominidi, ben lontani dall’essere umano anatomicamente più simile a quello moderno (Sapiens, Neanderthal, Denisova, “hobbit” e gli altri parenti non ancora scoperti), possiamo probabilmente parlare di vita selvaggia e di inciviltà, ma il discorso cambia radicalmente quando si ha a che fare con individui in grado di creare oggetti come quello raffigurato nell’immagine qui sotto:

Propulsore in corno decorato con un stambecco che partorisce, scoperto nelle grotte di Mas d'Azil, Francia, e risalente a circa 14.000 anni fa
Propulsore in corno decorato con un stambecco che partorisce, scoperto nelle grotte di Mas d’Azil, Francia, e risalente a circa 14.000 anni fa

E’ vero che, in alcune circostante, l’essere umano anatomicamente moderno trovò rifugio all’interno di caverne, ma non è affatto scontato che utilizzasse sistematicamente le grotte come casa, o che si rifugiasse al loro interno per mancanza della tecnologia e dell’ingegno necessari a costruirsi un rifugio.

Non bisogna dimenticare che una caverna non è sempre un luogo sicuro in cui risiedere: spesso ospitava grandi predatori come orsi e grandi felini, era particolarmente umida e propensa al cedimento strutturale, oppure era occupata da piccoli animali che la rendevano del tutto inabitabile (come i pipistrelli, che hanno la spiacevole tendenza a rendere irrespirabile l’aria di una caverna con il loro guano).

Seguendo l’evoluzione culturale degli uomini del paleolitico ci accorgiamo che, in realtà, molte delle tecnologie e degli aspetti sociali su cui si basarono intere civiltà sorte posteriormente erano già nate, e talvolta erano così ben sviluppate da sorprendere anche antropologi e archeologi.

L’uso di abiti, ad esempio, è ormai accertato ben 170.000 anni fa e probabilmente ebbe inizio qualche centinaio di migliaia di anni prima. Abbiamo aghi da cucito in osso appartenuti a individui Denisova e realizzati oltre 50.000 anni fa, e altri aghi africani risalenti ben 60.000 anni fa che dimostrano come lame e trapani di pietra utilizzati da mani esperte potessero creare oggetti minuti e rifiniti.

Non possiamo inoltre escludere (anzi, a supporto di questa ipotesi ci sono molti indizi) che i primi abiti non fossero semplicemente frammenti di pelli e pellicce animali cuciti insieme, ma oggetti ben più elaborati e realizzati con fibre di differente natura, come il lino.

Pitture rupestri nella grotta Chauvet
Pitture rupestri nella grotta Chauvet

Questi abiti venivano probabilmente decorati da piccole perline di conchiglia, perforare e lavorate anche per realizzare collanine come quelle scoperte a Taforalt, Marocco, e risalenti a circa 82.000 anni fa.

Diecimila anni più tardi, gli esseri umani della caverna di Blombos, in Sud Africa, perforavano anch’essi piccole conchiglie decorative mentre effettuavano i primi esperimenti di arte astratta e simbolica incidendo alcune rocce con griglie e croci.

Le sorprese del paleolitico superiore

Durante il paleolitico superiore, definibile “tarda età della pietra”, la cultura e la tecnologia umana compiono un salto di qualità straordinario, definendo caratteristiche dell’ Homo sapiens che costituiranno le fondamenta delle future civiltà.

A partire da 30-35.000 anni fa inizia una serie di conquiste umane che hanno ben poco a che fare con i “cavernicoli primitivi” generalmente associati all’età della pietra:

  • 36.000 anni fa: la grotta Chauvet viene decorata principalmente da un solo individuo, che realizza disegni straordinariamente accurati;
  • 30.000 anni fa: nelle caverne di Bhimbetka vengono prodotte oltre 500 pitture rupestri;
  • 29.000 anni fa: in Europa Centrale vengono costruiti i primi forni per arrostire carne o creare stufati;
  • 28.000 anni fa: primo esempio di cordame moderno ritorto; nello stesso periodo erano presenti arpioni e seghe, venivano prodotte statuette di terracotta;
  • 26.000 anni fa: largo impiego di fibre vegetali e animali per fare borse, canestri, abiti, reti da pesca e zainetti;
  • 25.000 anni fa: il più antico insediamento umano permanente viene costruito a Dolni Vestonice, Repubblica Ceca. Le casupole furono realizzate in pietra e zanne di mammut;
  • 15-14.000 anni fa: maiali addomesticati si aggirano negli insediamenti umani permanenti; circa 2.000 anni dopo, anche le pecore verranno addomesticate;
  • 10.000 anni fa: inizia in Mesopotamia la coltivazione di orzo e grano per realizzare birra, pane e zuppe;

Anche nei casi in cui l’essere umano usava caverne come rifugio, la tecnologia che esprimeva nella realizzazione di oggetti d’uso quotidiano era avanzata, nonostante la disponibilità di materiali considerati primitivi.

Nelle caverne di Jerimalai, ad esempio, si è scoperto che gli occupanti di 42.000 anni fa possedevano le conoscenze e la tecnologia per la pesca di tonni e altri pesci di profondità, oltre a disporre di mezzi marittimi per raggiungere l’Australia.

Uomo-leone
“uomo-leone” di Löwenmensch

L’arte era ormai diffusa nella maggior parte delle comunità umane, come dimostra l’ “uomo-leone” di Löwenmensch, una statuetta d’avorio di mammut realizzata 35-40.000 anni fa esclusivamente con strumenti di selce.

Nello stesso periodo veniva realizzata anche la Venere di Hohle Fels, anch’essa in avorio e prodotta utilizzando soltanto strumenti di pietra; poco più tardi furono realizzate altre veneri, come quella di Willendorf, di Dolní Vestonice e di Galgenberg.

Se ci spostiamo nell’ambito delle pitture rupestri, è difficile non accorgersi del’impressionante livello artistico delle raffigurazioni che decorano alcune grotte europee. Gli animali rappresentati nella grotta Chauvet oltre 30.000 anni fa sono incredibilmente dettagliati e proporzionati e lasciano ragionevolmente supporre che la caverna non fosse un semplice “rifugio per cavernicoli” particolarmente portati per il disegno, ma un vero e proprio luogo iniziatico in cui si svolgevano riti e cerimonie legate ad una società molto più evoluta di quanto viene solitamente attribuito ad una cultura dell’età della pietra.

78,000 year cave record from East Africa shows early cultural innovations
Tools (stone, wood, bone)
The Paleolithic Cave Art of France

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Come affilare una lama usando una cote https://www.vitantica.net/2019/03/01/come-affilare-lama-cote/ https://www.vitantica.net/2019/03/01/come-affilare-lama-cote/#respond Fri, 01 Mar 2019 00:10:34 +0000 https://www.vitantica.net/?p=3706 Ogni strumento da taglio che si rispetti deve essere dotato di un filo tagliente adatto allo scopo. Usare una lama non affilata non solo è poco efficiente, ma anche molto pericoloso: la mancanza di un filo tagliente costringe ad applicare una pressione eccessiva sul materiale da lavorare, diminuendo la precisione e aumentando le possibilità di ferirsi.

Il filo di una lama può danneggiarsi per varie ragioni, ma il danneggiamento più frequente è causato dall’eccessiva pressione esercitata su un oggetto duro. In queste circostanze, il filo tende a piegarsi su se stesso, rendendo sempre meno efficace il taglio. Le coti vengono utilizzate per ripristinare la corretta geometria della lama tramite un processo di abrasione.

I tipi di cote: whetstone, waterstone e oilstone

Fino ad un passato relativamente recente, l’unico modo per affilare una lama era utilizzare una pietra dotata di particolari caratteristiche per realizzare quella che viene definita una cote.

La cote può presentarsi sotto svariate forme e dimensioni: può essere piatta per affilare lame dritte o sagomata per le necessità di affilatura più particolari, piccola per essere facilmente trasportabile o “da tavolo” (di dimensioni più grandi).

In inglese si utilizzano tre termini per definire le coti: whetstone, waterstone e oilstone. Le waterstone e le oilstone sono pietre il cui utilizzo è necessariamente legato all’impiego di un lubrificante: acqua per le prime e olio per le seconde.

Tipica whetstone da tavolo
Tipica whetstone da tavolo

Whetstone, invece, è un termine generico per identificare una cote. Il termine “to whet” significa “affilare” e non ha alcuna affinità con il termine “wet” (bagnato, umido). Per l’impiego di alcune whetstone potrebbe non essere richiesto l’uso di lubrificante (occorre verificare le istruzioni del produttore): l’ acqua o l’olio diminuirebbero le capacità abrasive della pietra con la conseguenza di ottenere lame poco affilate.

Cote naturale o artificiale?

L’utilizzo in antichità di coti in pietra naturale è testimoniato da Plinio, che oltre a descrivere le tipologie di roccia impiegate per realizzare strumenti per l’affilatura indica anche le località da cui venivano estratte.

L’uso di pietre naturali, al giorno d’oggi, non garantisce risultati superiori rispetto all’impiegodi coti artificiali; anzi, è vero il contrario. Le coti artificiali prodotte in tempi moderni vengono realizzate controllando le dimensioni delle particelle ceramiche che le compongono, per mantenere la superficie abrasiva uniforme e consistente in tutta la sua lunghezza.

Ad esempio, in una cote artificiale si può controllare la proporzione tra particelle abrasive (generalmente composte da carburo di silicio o ossido di alluminio) e il materiale legante che le tiene unite, realizzando pietre che erodono il metallo più o meno velocemente in base a necessità specifiche.

Ogni pietra naturale, invece, è differente, anche se apparentemente identica ad altre. La sua composizione (a base di quarzo o novacolite) può variare millimetro dopo millimetro e costringere a continui adattamenti di pressione, angolo e velocità d’ abrasione.

Coticula Belga
Coticula Belga

Una delle pietre più apprezzate nella storia fu la “Coticula Belga“, dalla grana estremamente fine e apprezzata fin dall’epoca romana per l’affilatura di strumenti da taglio di precisione.

La sua colorazione giallastra la distingueva dalla “Blu Belga“, una pietra dalla grana più spessa che veniva estratta dagli strati sottostanti a quelli che ospitavano la Coticula Belga.

In Giappone, le miniere di Nakayama, Okudo e Shoubudani entrarono in attività circa 800 anni fa ed erano depositi di pietre per coti considerati quasi leggendari. Dalle cave di Nakayama si estraevano pietre destinate alla casa imperiale per la loro qualità superiore; fecero la loro apparizione sul mercato solo alla fine del XVI secolo, consentendo ad artigiani e fabbri di realizzare strumenti da taglio estremamente affilati.

Grana e capacità abrasiva di una cote

Le dimensioni delle particelle che compongono una cote non sono gli unici fattori determinanti nell’affilatura. Con il termine “grana” non si identifica generalmente il diametro delle particelle abrasive, ma il risultato dell’affilatura; altri elementi entrano in gioco durante l’uso di una cote:

  • La forma delle particelle abrasive;
  • Come le particelle sono legate tra loro;
  • La friabilità delle particelle, la loro capacità di fratturarsi in pezzi più piccoli sotto pressione;
  • La durezza delle particelle abrasive e la loro composizione chimica.

Una serie di linee guida approssimative per l’affilatura di una lama possono essere le seguenti:

Grana 200: utilizzata per rimuovere imperfezioni evidenti sul filo di una lama.
Grana 500: Affilatura grossolana di una lama per nulla affilata.
Grana 1.000: Affilatura di una lama per uso non di precisione (es. ascia o falce).
Grana 4.000: Affilatura di coltelli per la carne.
Grana 8.000: Affilatura per il taglio di pesce o verdura (le zone tendinee della carne rischiano di creare piccole pieghe nella lama)
Grana 30.000: Stumenti da taglio di grandissima precisione e molto fragili.

La tua lama ha bisogno di essere affilata?

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Per verificare l’affilatura di una lama esistono diversi metodi, alcuni molto semplici. Il primo prevede il passaggio del pollice perpendicolarmente al filo della lama (se si segue il filo si rischia di tagliarsi).

Una lama affilata verrà percepita come uno spigolo accentuato che spesso “canta” al passaggio del pollice emettendo una leggera vibrazione acuta; una lama non affilata, invece, farà semplicemente scivolare il dito senza produrre alcuna vibrazione.

Si può inoltre verificare se la lama “morde” cercando di tagliare un oggetto senza applicare pressione. In commercio esistono bastoncini specifici per questa operazione, ma è possibile utilizzare la plastica di una penna Bic, un’unghia, un foglio di carta o ortaggi come carote, pomodori e cetrioli. Ogni imperfezione della lama verrà percepita come un piccolo ostacolo.

Come affilare una lama usando una cote

Affilare la lama di un coltello usando una cote può sembrare semplice, ma è un’attività che richiede un po’ di pratica per essere affinata. La procedura usata per un coltello è simile a quella impiegata anche per oggetti più pesanti, come spade o asce (anche se in questi casi si usa di frequente una cote manovrata a mano libera).

Per evitare di risultare eccessivamente prolisso, riporterò soltanto i passi necessari ad affilare una lama ad uso generico, come quella di un coltello multiuso o da caccia/sopravvivenza.

L’affilatura di una lama prevede la rimozione di metallo per ottenere una geometria più performante. Se la lama ha perso quasi totalmente il proprio filo, è necessario procedere per gradi usando coti dalla grana più grossolana per terminare con quelli dalla grana più sottile. Usare una cote a grana fine su una lama priva di filo sarà solo uno spreco di tempo e non farà mai ottenere un risultato ottimale.

Valutazione della lama e preparazione della cote
Una lama può assumere diversi profili. Ogni profilo richiede diverse angoli d'attacco sulla cote per essere affilato correttamente.
Un bisello può assumere diversi profili. Ogni profilo richiede diverse angoli d’attacco sulla cote per essere affilato correttamente.

Per prima cosa occorre considerare la geometria della lama: alcune lame hanno profili più acuti, altre sono dotate di “cunei di taglio” (chiamati “biselli“) più spessi.

Di solito una lama destinata ad un uso generico, come un coltello multiuso o un coltello da caccia/sopravvivenza, ha un bisello inclinato di circa 15-21°; lame più taglienti (ma tendenzialmente più fragili) possono avere angoli di 10-15°; lame per lavori pesanti, come la lama di un’ascia, hanno angoli di 25-30°.

Se la vostra cote ha bisogno di acqua per funzionare correttamente, sarà necessario lasciarla in immersione per qualche minuto per saturarla di liquido; la saturazione è completa quando non si vedranno più bollicine fuoriuscire dalla pietra. Durante l’utilizzo la pietra perderà acqua per un naturale processo di evaporazione: sarà sufficiente spruzzare acqua sulla sua superficie per proseguire con l’affilatura.

Su strumenti da taglio destinati a lavori pesanti è buona norma passare carta vetrata o una lima sul bisello prima di procedere all’affilatura vera e propria, per rimuovere ruggine o grandi imperfezioni come ammacature generate dall’impatto contro oggetti duri.

Affilatura: angolazione della lama e movimento
Le varie fasi dell'affilatura di una lama dal profilo triangolare
Le varie fasi dell’affilatura di una lama dal profilo simmetrico piatto

Dopo aver posizionato la cote su una superficie piana e stabile, possibilmente immobilizzandola, occorre posizionare il filo sulla superficie abrasiva inclinando la lama di circa 20-22° (o con l’angolazione più adatta al tipo di lama da affilare).

Come sapere se si sta utilizzando la corretta angolazione? Un trucco molto semplice è quello di usare un pennarello per colorare il bisello: se il colore sparisce durante l’abrasione sulla cote, l’angolazione della lama è corretta; se rimangono zone di colore dopo i primi passaggi sulla cote, è necessario correggere l’angolo d’incontro tra la lama e la pietra.

L’angolo di 20-22°, ideale per molte lame, può essere mantenuto appoggiando il dorso della lama con il pollice a circa metà altezza del dito, oppure utilizzando appositi cunei reperibili in negozi specializzati.

Alcuni trovano più confortevole spingere la lama verso l’esterno, altri invece sono più a loro agio con un movimento verso l’interno; qualunque siano le vostre preferenze, l’obiettivo del movimento della lama sulla cote è quello di simulare la “sfogliatura” della pietra, applicando una pressione tale da permettere un movimento continuo e gentile.

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Ray Mears mostra come affilare un coltello usando cote e coramella

Se la pressione applicata sulla lama è corretta, il coltello non si fermerà durante il movimento lungo la pietra e inizierà a formarsi una sorta di fanghiglia sulla superficie della cote, un miscuglio di acqua/olio e particelle abrasive frutto dell’erosione della pietra.

Questa fanghiglia agevola il processo di abrasione della lama e può essere utilizzata anche per ripulire l’acciaio da difetti superficiali semplicemente sfregandola con le dita sul corpo della lama. Ho personalmente rimosso incisioni molto superficiali e macchie presenti sui miei coltelli usando soltanto la fanghiglia ceramica generata durante l’affilatura di una lama.

Dopo aver fatto scivolare il coltello sulla cote per una dozzina di volte, occorre ripetere la stessa operazione per il lato opposto della lama avendo cura di mantenere l’angolo corretto e applicare la stessa pressione esercitata in precedenza.

Dopo l’affilatura di entrambi i lati, verificare lo stato del bisello: se non presenta grandi imperfezioni per la grana del cote che state utilizzando (grane meno fini produrranno ovviamente imperfezioni più evidenti ma rimuoveranno quelle più grandi e gravi), potete passare ad una cote di grana più ridotta, altrimenti occorrerà ripetere l’affilatura su entrambi i lati fino ad ottenere un risultato soddisfacente.

Rifinitura con coramella

Le fasi finali dell’affilatura consistono nell’utilizzo di una coramella, una striscia di cuoio o tessuto duro utilizzata per rifinire il filo della lama da eventuali sbavature e riallinearlo.

Durante l’uso o dopo l’affilatura su una cote il filo di una lama tende a formare dei piccoli “dentini”: il passaggio sulla coramella ha lo scopo di appianare questi solchi microscopici, rendendo il filo più dolce e scorrevole.

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Ossidiana polacca d’importazione https://www.vitantica.net/2019/02/27/ossidiana-polacca-importazione/ https://www.vitantica.net/2019/02/27/ossidiana-polacca-importazione/#respond Wed, 27 Feb 2019 00:10:21 +0000 https://www.vitantica.net/?p=3791 Per interi millenni l’ossidiana ha rappresentato un materiale di prima scelta per la realizzazione di lame estremamente affilate, così taglienti da essere impiegate ancora oggi in campo chirurgico per praticare incisioni sottili in grado di rimarginarsi in fretta senza lasciare segni evidenti.

Col tempo, l’ossidiana iniziò ad assumere anche connotati magio-rituali. Il suo aspetto vetroso e luccicante fece nascere leggende sull’origine del vetro vulcanico (leggi questo post sull’ossidiana), considerato un materiale esotico e come tale molto richiesto in ogni parte del mondo.

Di recente gli archeologi dell’Accademia Polacca delle Scienze di Varsavia hanno iniziato l’analisi di alcuni artefatti di ossidiana rinvenuti in Polonia. L’ossidiana, introvabile in Polonia, veniva probabilmente trasportata lungo il fiume Vistola dalla Slovacchia o dall’Ungheria; è possibile che alcuni campioni analizzati dagli archeologi provengano invece dalla Turchia.

“Non posso raccontare una storia in grado di competere col ruolo dell’ossidiana nell’universo del Trono di Spade, in cui punte di freccia realizzate con questo materiale vengono impiegate per uccidere i White Walkers. Ma la gente ha da sempre rivolto attenzioni speciali nei confronti di prodotti esotici e materiali grezzi provenienti da terre lontane. Dev’essere stato lo stesso per l’ossidiana” spiega Dagmara H. Werra, a capo del gruppo di archeologi impegnati nell’analisi dell’ossidiana polacca.

Ossidiana scoperta in Polonia
Ossidiana scoperta in Polonia

Molti degli artefatti di ossidiana scoperti in Polonia risalgono a circa 20.000 anni fa, ma è possibile che alcuni siano ben più antichi; è tuttavia difficile determinare l’età esatta di un oggetto di pietra, non databile secondo i metodi impiegati per la datazione di campioni biologici.

Dopo l’analisi microscopica condotta dal Poznan Archeological Museum, è stato determinato che le punte di freccia di ossidiana scoperte in Polonia venivano utilizzate in modo molto simile alla selce: venivano assicurate ad un’asta usando colla e strisce di pelle.

Le lame di ossidiana non erano impiegate soltanto per realizzare punte di lancia o di freccia, ma anche per raschiare la pelle (la fase iniziale della sua preparazione) o per il taglio della carne.

Secondo Werra, l’ossidiana era considerata un materiale speciale, nonostante la tecnica di lavorazione usata per plasmarla fosse identica a quella della selce. Anche in località in cui l’ossidiana si trovava in natura, come in Messico, tendeva a rimanere un materiale impiegato in occasioni speciali.

“Per ora, non abbiamo alcuna applicazione confermata dell’ossidiana polacca in un contesto rituale o cerimoniale” spiega Werra, sottolineando che l’analisi degli artefatti è soltanto in fase preliminare.

Fino ad ora sono stati scoperti in Polonia circa un centinaio di oggetti di ossidiana risalenti al Paleolitico e al Mesolitico. “Questi oggetti probabilmente raggiungevano la nostra terra come prodotti finiti. Ci sono pochi esempi di lavorazione dell’ossidiana in Polonia”.

A partire dal Neolitico, tuttavia, ci fu un vero e proprio boom dell’ossidiana negli insediamenti polacchi. Il vetro vulcanico veniva importato in forma grezza seguendo il corso del fiume Vistola e lavorato una volta giunto a destinazione; ad oggi sono stati rinvenuti oltre 2.000 oggetti d’ossidiana prodotti nel Neolitico e migliaia di frammenti vetrosi, scarti della scheggiatura dell’ossidiana.

“Dragon glass” in the territories of present-day Poland was already known over 20 thousand years ago

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Video: Stone Age Hunter Gatherers https://www.vitantica.net/2018/11/24/video-stone-age-hunter-gatherers/ https://www.vitantica.net/2018/11/24/video-stone-age-hunter-gatherers/#respond Sat, 24 Nov 2018 00:10:21 +0000 https://www.vitantica.net/?p=2845 L’esperto di storia primitiva Martin Patterson condivide la sua vasta conoscenza delle tecnologie impiegate dalle comunità di cacciatori-raccoglitori vissute durante l’ Età della Pietra.

La sua passione e la sua capacità di riprodurre gli antichi utensili preistorici utilizzati dai nostri antenati è ovvia osservando come descrive l’equipaggiamento che lui stesso ha fabbricato utilizzando esclusivamente materiali naturali.

Tra gli utensili mostrati nel video ci sono asce dalla punta di pietra, un falcetto realizzato con palchi di cervo, un bastone da scavo indurito sulla fiamma e una serie di lance da caccia.

Patterson spiega anche come si svolgeva la manutenzione ordinaria di questi strumenti, per mantenerli sempre efficaci e pronti all’uso.

Nel video è presenta anche una dimostrazione di come si possa ottenere un adesivo a partire da cera d’api e fuliggine, e come utilizzare le fibre del fusto di ortica per ottenere cordame resistente.

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Il mistero delle caverne di Longyou https://www.vitantica.net/2018/11/23/caverne-di-longyou/ https://www.vitantica.net/2018/11/23/caverne-di-longyou/#respond Fri, 23 Nov 2018 00:10:44 +0000 https://www.vitantica.net/?p=2853 Nei pressi del villaggio cinese di Shiyan Beicun, nella provincia di Zhejiang e lungo il fiume Qu, esiste una serie di strutture sotterranee di proporzioni incredibili costruite dall’essere umano circa 200 anni prima di Cristo. La storia delle caverne di Longyou rimane tutt’oggi un mistero difficile da decifrare: non esistono documenti che parlino della loro realizzazione e ogni traccia degli strumenti usati per scavarle è totalmente assente.

L’esistenza delle caverne di Longyou è nota solo dal 1992 e nei successivi 25 anni sono state portate alla luce ben 24 camere totali, una delle quali è oggi accessibile ai turisti. Le camere sono state ricavate scavando con perizia l’arenaria della Collina della Fenice, un’altura che si trova nella contea di Longyou.

mistero delle caverne di Longyou

Le tradizioni locali sostenevano da tempi immemori che i piccoli stagni sulla Collina della Fenice fossero senza fondo: per testare questa diceria, nel 1992 le comunità locali si riunirono sotto la guida di un curioso concittadino chiamato Wu Anai e presero la decisione di drenare gli stagni senza fondo installando pompe alcune idrauliche. Dopo ben 17 giorni di rimozione dell’acqua, si iniziarono ad intravedere gli ingressi di uno dei complessi di pietra più curiosi del pianeta.

mistero delle caverne di Longyou

Nelle decadi successive le caverne di Longyou emersero lentamente dall’acqua in tutti i loro 30.000 metri quadrati di superficie totale. Gli archeologi che analizzarono le caverne giunsero alla conclusione che si trattava di strutture artificiali scavate dall’essere umano con modalità e per ragioni oggi sconosciute.

Le caverne di Longyou contengono scalinate, ponti, piscine e piccoli ruscelli artificiali, oltre a complesse incisioni nella roccia. Le varie camere non sono connesse l’una all’altra: ogni caverna ha un solo ingresso e nessun collegamento alle grotte vicine.

mistero delle caverne di Longyou

I pilastri di sostegno sono stati realizzati ad arte e riportano ancora i segni lasciati dallo scalpello; lo stesso vale per le pareti, solcate da una serie di linee parallele scolpite a mano.

mistero delle caverne di Longyou

Secondo recenti stime, fu necessario rimuovere 1 milione di metri cubi di roccia per ottenere le vaste camere delle caverne di Longyou, alcune alte fino a 30 metri. In media, la pavimentazione di ogni caverna copre una superficie di 1.000 metri quadrati.

mistero delle caverne di Longyou

Calcolare le ore-lavoro necessarie a realizzare le caverne di Longyou è difficile, ma secondo le stime degli archeologi occorrerebbero 1.000 persone al lavoro 24 ore su 24 per terminare l’intero complesso in circa 6 anni.

Uno degli elementi più singolari delle grotte di Longyou è l’assenza totale di qualunque strumento di scavo. Il numero di operai coinvolti e le migliaia di utensili da loro utilizzati avrebbero dovuto lasciare qualche traccia, ma finora non è stato scoperto alcun artefatto.

mistero delle caverne di Longyou

Le caverne sono sopravvissute straordinariamente bene allo scorrere del tempo, all’azione erosiva dell’acqua e alla predisposizione sismica della regione in cui si trovano. Per oltre 2.000 anni non hanno subito cedimenti e non c’è alcun segno di danni strutturali alle pareti o ai pilastri, anche nel caso delle pareti spesse “soltanto” 50 centimetri che separano una grotta dall’altra.

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Mystery of the Longyou Grotto Caves

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Il sale dei Maya https://www.vitantica.net/2018/10/10/sale-maya/ https://www.vitantica.net/2018/10/10/sale-maya/#respond Wed, 10 Oct 2018 02:00:30 +0000 https://www.vitantica.net/?p=2266 Il sale è stato uno degli ingredienti principali della cucina e dell’economia di molti popoli antichi (come spiegato in questo post sulla storia del sale). I Maya non rappresentarono un’eccezione: le analisi condotte su alcuni strumenti di pietra utilizzati in Belize circa 1300 anni fa sembrano dimostrare che anche questo popolo precolombiano sfruttasse il sale per la conservazione del cibo e come importante supporto per l’economia alimentare.

Non sappiamo con certezza come e quando ebbe origine l’estrazione del sale da giacimenti e salamoie, ma la sua importanza biologica e la sua capacità di conservare alimenti facilmente deperibili fu osservata migliaia di anni fa dalle prime società cacciatrici-raccoglitrici e sfruttata su vasta scala da quelle agricole.

Nel picco della loro civiltà, gli abitanti di ciò che oggi viene chiamato Paynes Creek Salt Works, un antico insediamento Maya in Belize risalente al 300-900 d.C., non solo estraevano sale in grandi quantità ma lo utilizzavano per la salagione di carne e pesce.

Heather McKillop e il suo team del Department of Geography & Anthropology della LSU hanno analizzato i reperti di pietra rinvenuti in un’area sottomarina di 5 chilometri quadrati, un tempo emersa e occupata da un insediamento Maya ma oggi sommersa e circondata da mangrovie. L’ambiente acido creato dalle mangrovie non permette la conservazione di ossa o tessuti animali perché tende a dissolvere il carbonato di calcio, ma preserva in modo ottimale il legname.

Questi sono tra i 20 utensili analizzati per verificare le micro-incisioni da utilizzo.
Questi sono tra i 20 utensili analizzati per verificare le micro-incisioni da utilizzo.

“Dato che non abbiamo trovato alcun osso di pesce o di altri animali sul fondo del mare durante i nostri scavi, siamo rimasti sorpresi dai segni microscopici scoperti sugli utensili di pietra, segni che noi chiamiamo ‘da utilizzo’ e che mostravano che questi strumenti sono stati utilizzati per tagliare e raschiare pesce o carne” spiega McKillop.

I Maya di Paynes Creek Salt Works si servivano di strumenti di pietra, principalmente calcedonio, per le loro attività quotidiane. I segni osservati sul alcuni di questi utensili sono coerenti con la lavorazione del legno, ma la maggior parte dei frammenti litici (dal 90% al 98%) mostra micro-incisioni provocate dalla lavorazione di carne, pesce e pelli.

Strumenti Maya per la produzione di sale

Nel sito sono stati trovati oltre 4.000 pali di legno che sembrano delimitare una serie di edifici molto probabilmente utilizzati come centri per la salagione di carne e pesce, o per la produzione di sale con metodi utilizzati da moltissimi popoli antichi di tutto il pianeta.

I Maya producevano sale facendo evaporare l’acqua salata all’interno di recipienti di pietra o d’argilla, creando “torte” di sale che venivano successivamente sbriciolate per ricoprire gli alimenti. Il sale veniva fatto evaporare naturalmente grazie all’esposizione al sole, o tramite fuochi posti sotto i recipienti d’argilla.

La salagione del cibo avrebbe permesso ai Maya di trasportare i prodotti della terra su lunghe distanze e fu certamente uno dei fattori che contribuì alla formazione di rotte commerciali fluviali o costiere che si diramavano per oltre 20 chilometri dal sito di Paynes Creek Salt Works.

Salt: Mover and shaker in ancient Maya society

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Arco e frecce con strumenti dell’ Età della Pietra https://www.vitantica.net/2018/10/09/arco-frecce-eta-della-pietra/ https://www.vitantica.net/2018/10/09/arco-frecce-eta-della-pietra/#respond Tue, 09 Oct 2018 02:00:00 +0000 https://www.vitantica.net/?p=2235 Il più antico arco completo viene dalle torbiere di Holmegård e risale a circa 10.000 anni fa. Era realizzato in legno di olmo, aveva una sezione a D ed era lungo circa 150 centimetri. Potrà sorprendere sapere che quest’arma fu realizzata in un periodo in cui il bronzo era pressoché sconosciuto: l’abbattimento del tronco e la sua lavorazione furono possibili tramite primitivi ma sofisticati strumenti di pietra.

E’ possibile oggi realizzare un arco funzionante usando soltanto pietra e legno? Certamente! Ray Mears, esperto di bushcraft, spiega in questo video come sfruttare selce, legno, fuoco e resina di pino per ottenere un kit di arco e frecce in grado di abbattere le tipiche prede dell’uomo del Neolitico.

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Archeologia sperimentale: creazione di un’amigdala https://www.vitantica.net/2018/09/28/archeologia-sperimentale-creazione-amigdala/ https://www.vitantica.net/2018/09/28/archeologia-sperimentale-creazione-amigdala/#respond Fri, 28 Sep 2018 06:33:22 +0000 https://www.vitantica.net/?p=2210 “Amigdala” è un termine che, nell’ambito dell’archeologia, viene utilizzato per indicare alcuni tipi di pietre bifacciali. Generalmente le amigdale vengono prodotte a partire dalla selce o da altre pietre dure.
Il primo Homo ad utilizzare le amigdale come strumenti d’uso quotidiano fu l’ Homo erectus.

Riproduzione di una amigdala, gennaio 2015 – Amigdala Biface- Archeologia Sperimentale. Percussione diretta dura e tenera.

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