Caccia preistorica al bradipo gigante raccontata dalle orme impresse su una distesa salata

Caccia al bradipo gigante Megatherium
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Comprendere nel dettaglio le tecniche di caccia dei nostri antenati del Pleistocene è una questione complessa. Possiamo fare deduzioni plausibili analizzando i cacciatori-raccoglitori moderni (come per la caccia di persistenza), esaminando le antiche armi da caccia oppure usando la logica e il buon senso; ma non è affatto semplice realizzare un quadro completo di come i nostri antenati cacciassero la megafauna, animali di grossa taglia come gli uri o i bradipi giganti.

In qualche occasione, tuttavia, abbiamo la fortuna di avere a disposizione indizi capaci di narrarci chiaramente il racconto della caccia, come nel caso delle orme del White Sands National Monument, un complesso di dune sabbiose a base di cristalli di gesso che in tempi recenti è stato il luogo di nascita del programma spaziale statunitense ma, in un passato preistorico, fu teatro di numerose battute di caccia.

Caccia al bradipo gigante

Una recente ricerca pubblicata sulla rivista Science Advances ha analizzato una serie di tracce rimaste impresse nella distesa salata di White Sands chiamata Alkali Flat, tracce risalenti a circa 10.000 anni fa e che documenterebbero con straordinaria precisione l’inseguimento e la lotta contro un bradipo gigante, un avversario formidabile per uomini che impugnavano armi di legno, osso e pietra.

Tracce del bradipo gigante (Megatherium) e degli esseri umani che lo inseguivano
Tracce del bradipo gigante (Megatherium) e degli esseri umani che lo inseguivano

Alkali Flat era un lago in epoca glaciale, ma con il progressivo riscaldamento climatico iniziò a ridursi fino a diventare una distesa salata che, in occasione delle piogge periodiche, si trasformava in una distesa fangosa, uno strato ideale per conservare le tracce del passaggio di uomini e animali.

Sulla distesa salata di Alkali Flat sono rimaste impresse numerosissime impronte appartenenti alla megafauna del Pleistocene come mastodonti, mammut, cammelli, metalupi e bradipi giganti; le loro “tracce fantasma” sono per lo più visibili solo in determinate condizioni atmosferiche (strato salato non troppo spesso e poco umido) e in alcuni casi sono state scavate ed esaminate nel dettaglio, rivelando informazioni incredibili.

Le tracce più interessanti sembrano essere quelle lasciate da un bradipo gigante: all’interno o intorno alle sue orme sono state trovate quelle di esseri umani, suggerendo che un gruppo di uomini preistorici si fosse messo all’inseguimento dell’animale fino a raggiungerlo, circondarlo e abbatterlo.

Tracce del bradipo gigante (Megatherium) e degli esseri umani che lo inseguivano

Alcune delle tracce umane si trovano all’interno di quelle del bradipo, altre invece sono posizionate attorno ad orme che sembrano indicare che l’animale avesse assunto una posizione difensiva, sollevandosi sulle due zampe posteriori per poter agitare quelle anteriori nel tentativo di colpire gli aggressori.

Agitando le potenti zampe anteriori artigliate, il bradipo gigante tendeva a perdere l’equilibrio finendo per appoggiarsi al terreno su 4 zampe prima di assumere nuovamente la posizione difensiva eretta.

Il bradipo gigante era un avversario temibile

Il Megatherium, comunemente chiamato bradipo gigante, fu uno dei più grandi mammiferi terrestri mai esistiti. Poteva misurare fino a 6 metri da unestremità all’altra ed era grande quanto un elefante moderno. Grazie alla sua coda, di fatto una “terza gamba”, poteva assumere una stazione eretta per raggiungere le fronde degli alberi inaccessibili alla maggior parte degli erbivori del suo tempo.

Affrontare in campo aperto un bradipo gigante non è affatto semplice: questo animale poteva superare i 4 metri in posizione eretta e raggiungere le 5 tonnellate di peso. Era inoltre dotato di artigli anteriori lunghi circa 30 centimetri e capaci di difenderlo efficacemente dalla maggior parte dei grandi predatori.

Tutte le armi da lancio disponibili all’epoca non erano in grado di ferire seriamente un bradipo gigante da una distanza di oltre 10 metri, anche perché l’animale disponeva di pelle spessa e resistente in grado di fermare l’impatto di un pesante proiettile di atlatl.

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Per cacciare un bradipo gigante, quindi, era necessario posizionarsi a distanza molto ravvicinata e giocare con la morte ad ogni affondo di lancia. Considerata la lentezza nei movimenti dell’animale e la disposizione delle orme sulla scena dello scontro, il bradipo di Alkali Flat fu probabilmente abbattuto cercando di attirare la sua attenzione verso un “uomo-esca” per consentire agli altri cacciatori di colpire il gigante alle spalle o alle zampe posteriori, indebolendolo fino a farlo crollare.

Le orme animali e umane di Alkali Flat sembrano confermare che i cacciatori-raccoglitori nordamericani conoscessero bene la megafauna che cacciavano e che stessero progressivamente raggiungendo l’apice della catena alimentare.

Il bradipo gigante era solo una delle prede di grandi dimensioni che venivano cacciate e uccise dai nostri antenati, prede di dimensioni tali da poter sfamare per mesi una piccola comunità e rifornirla di preziosissime materie prime come pelliccia, tendini e ossa.

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One Comment on “Caccia preistorica al bradipo gigante raccontata dalle orme impresse su una distesa salata”

  1. A mio avviso la caccia al bradipo gigante nel magdaleniano avveniva utilizzando la zagaglia come dimostrano i ritrovamenti archeologici sulle colline moreniche del lago di Garda.

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