Mongoli – VitAntica https://www.vitantica.net Vita antica, preindustriale e primitiva Thu, 01 Feb 2024 15:10:35 +0000 it-IT hourly 1 Miglio e impero mongolo https://www.vitantica.net/2020/06/01/miglio-impero-mongolo/ https://www.vitantica.net/2020/06/01/miglio-impero-mongolo/#respond Mon, 01 Jun 2020 14:00:24 +0000 http://www.vitantica.net/?p=4872 Dare alla luce un impero richiede diversi elementi fondamentali: occorre avere un esercito potente, versatile e mobile; è necessario utilizzare un pensiero tattico e strategico, una dote non comune e che va coltivata attraverso sconfitte e vittorie; è indispensabile, inoltre, un’industria metallurgica e un artigianato in grado di produrre su larga scala tutto l’equipaggiamento necessario ai soldati durante le campagne di conquista.

Un altro elemento fondamentale è rappresentato dal cibo: sfamare un esercito richiede enormi risorse alimentari, risorse che in alcune regioni, a causa del clima o delle tecnologie agricole utilizzate, non era possibile produrre in abbondanza o in quantità tale da sostenere un intero esercito durante una lunga campagna militare.

Se analizziamo la nascita e la costruzione dell’impero mongolo di Gengis Khan, una domanda che sorge spontanea, e del tutto lecita, è come sia stato possibile per un popolo di pastori nomadi sostenere una lunga e faticosa campagna militare in una terra tipicamente poco fertile, spazzata da venti estremi, dagli estremi termici brutali, e che offre poche risorse alimentari.

Secondo uno studio condotto dal dottor Shevan Wilkin del Max Planck Institute for the Science of Human History, il segreto delle risorse alimentari mongole durante la costruzione dell’impero di Gengis Khan fu il miglio.

La scarsa fertilità della Mongolia

Il clima mongolo limita fortemente l’attività agricola. Se in tempi moderni la stagione agricola dura da 90 a 110 giorni, in passato era probabilmente più breve; solo l’ 1% del suolo mongolo è effettivamente coltivabile, e ancora oggi l’attività più produttiva in campo agricolo rimane la pastorizia, con il 75% delle terre coltivabili dedicate al pascolo.

In Mongolia si possono oggi coltivare mais, grano, orzo e patate, ma sia mais che patate erano colture del tutto sconosciute in Asia durante la nascita dell’impero mongolo. In corrispondenza di inverni particolarmente severi, ancora oggi (ad esempio, tra il 2009 e il 2010) è possibile perdere una parte consistente del raccolto, con influenze anche sul mercato dei prodotti di origine animale (senza pascoli e mangimi, l’allevamento ne risente).

La Mongolia ai tempi di Gengis Khan

Mobilità esercito mongolo

Alla nascita del celebre condottiero, in Mongolia risiedevano cinque confederazioni tribali, tra le quali la confederazione Khamag Mongol sotto la guida di Khabul Khan, il bisnonno di Gengis. La Mongolia si trovava sotto la costante pressione della dinastia cinese Jin, che non perdeva occasione per mettere le tribù mongole una contro l’altra per trovare l’occasione di occupare una parte dei territori sotto il loro dominio.

Dopo l’esecuzione di Ambaghai Khan, successore di Khabul, per mano della dinastia Jin grazie al tradimento della confederazione dei Tatar (i Tatari), i Khamag Mongol scatenarono un attacco alla frontiera cinese. L’attacco ebbe probabilmente l’effetto sperato: quattro anni dopo, nel 1147, i Jin firmarono un trattato di pace con i Khamag Mongol.

Dopo la firma del trattato, i Khamag attaccarono i Tatar per vendicarsi dell’esecuzione del proprio comandante, aprendo un periodo di ostilità che si concluse con la sconfitta dai Khamag nel 1161 da parte di un esercito composto da Tatar e Jin.

Temüjin nacque l’anno successivo, nel 1162, nel bel mezzo di un cambiamento climatico locale del tutto fortunato per i suoi futuri piani di conquista: le steppe aride e fredde dell’ Asia centrale poterono godere di un clima mite e umido, favorendo le attività agricole e l’allevamento che furono alla base del successo militare di Gengis Khan. In aggiunta, la confederazione Khamag, ormai disgregata, aveva occupato da diverse decadi le zone più fertili della Mongolia, fornendo una buona base di partenza per il futuro supporto all’esercito conquistatore di Gengis Khan.

Il miglio

Wilkin e i suoi colleghi della National University of Mongolia e dell’Istituto di Archeologia di Ulaanbaatar hanno analizzato il contenuto di isotopi di azoto e carbonio nelle ossa e nei denti di 137 individui rinvenuti in alcuni siti archeologici mongoli, ricostruendo la dieta delle popolazioni locali dall’ Età del Bronzo all’epoca della nascita dell’ impero di Gengis Khan.

I ricercatori hanno scoperto una differenza significativa tra gli antichi popoli mongoli e quelli del XII-XIII secolo: la dieta. L’alimentazione tipica dell’ Età del Bronzo era basata su latte e carne, con un piccolo apporto di verdure fornite dalle poche piante spontanee locali; intorno all’epoca della tregua con i Jin, invece, alcuni mantennero la dieta estremamente proteica dei loro antenati, ma molti altri iniziarono a consumare alimenti a base di miglio.

A partire dal IX secolo d.C., i popoli delle steppe mongole iniziarono a modificare la loro dieta includendo miglio e altri cereali: si passò da un contributo calorico da cereali pari al 2,5-5% della dieta al 26% nelle aree centro-settentrionali della Mongolia, un incremento che non può essere spiegato con soli fenomeni naturali senza includere nell’equazione commercio e agricoltura.

Le ossa rinvenute nei pressi di insediamenti più vicini ai confini dell’impero Jin contenevano isotopi di carbonio (riconducibili al consumo di granaglie) in quantità significativamente superiore agli individui vissuti in regioni più remote, suggerendo che alcune aree della Mongolia, specialmente quelle vicine alle regioni cinesi, godessero di una produzione agricola ben strutturata.

Buona parte delle granaglie necessarie ad alimentare le orde mongole provenivano probabilmente da un’economia agricola basata sia sulla produzione locale, sia sugli scambi commerciali o sui saccheggi di prodotti della terra nelle aree limitrofe più fertili.

Non solo pastori

Questo scenario è in contrasto con la concezione tradizionale della storia mongola: un popolo di nomadi dall’economia scarsamente centralizzata, tecnologia agricola quasi inesistente e un’alimentazione quasi interamente basata su proteine animali e derivati del latte.

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In realtà, il contrasto non è così forte: è vero, i Mongoli erano un popolo nomade che non conosceva le tecniche agricole dei regni confinanti, e alimentava il suo esercito con carne di cavallo e derivati del latte, ma è altrettanto vero che la vicinanza con i territori Jin forniva loro l’opportunità di ottenere alimenti non facilmente disponibili nella steppa, alimenti con cui nutrire i propri figli e le proprie mandrie.

La storia tende spesso a semplificare l’economia delle civiltà passate, commettendo l’errore di creare dualismi non storicamente corretti. Un esempio sono le civiltà precolombiane e la loro economia apparentemente basata solo sul granturco: è vero che il mais costituiva la base dell’economia agricola di alcuni imperi americani, ma nei mercati aztechi o nordamericani era possibile trovare una gamma relativamente vasta di prodotti della terra, come tacchini, fagioli, zucche, cassava, patate, pomodori e cacao.

La pastorizia moderna in Mongolia è sempre stata identificata come un residuo del passato e l’indicatore di come un impero potesse fiorire in assenza di un’organizzazione politica, economica e agricola ben strutturata; ma l’esempio mongolo ha sempre rappresentato un’eccezione storica basata sull’analisi parziale dei resti archeologici. Grazie alle moderne tecniche di analisi dei reperti archeologici, stiamo pian piano realizzando, anche nel caso dell’ impero mongolo, che la realtà storica è spesso ben più complessa di semplici generalizzazioni facili da ricordare.

Economic Diversification Supported the Growth of Mongolia’s Nomadic Empires
How Millets Sustained Mongolia’s Empires

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La yurta, o ger https://www.vitantica.net/2020/02/17/yurta-ger/ https://www.vitantica.net/2020/02/17/yurta-ger/#respond Mon, 17 Feb 2020 00:18:45 +0000 https://www.vitantica.net/?p=4798 Per condurre uno stile di vita nomade è indispensabile adattarsi ai continui spostamenti del proprio accampamento in base ai ritmi stagionali o alle necessità alimentari del bestiame. I continui smantellamenti e ricostruzioni di abitazioni temporanee costringono a trasportare solo lo stretto indispensabile, per evitare di muovere in continuazione carichi eccessivi che rallenterebbero o renderebbero impossibili gli spostamenti periodici di un popolo non stanziale.

La yurta (in turco), detta anche ger in lingua mongola, è stata pensata per rispondere alle necessità delle popolazioni non sedentarie che hanno come loro territori tradizionali le steppe asiatiche. E’ un rifugio relativamente solido, abbastanza affidabile, sufficientemente veloce da costruire e fondato sul riutilizzo di materiali facilmente ottenibili in natura, come legno e fibre vegetali o animali.

Il successo della yurta

Yurte e ger fanno parte della tradizione asiatica da almeno tremila anni. Secondo le analisi storiche, i nomadi indoeuropei furono i primi ad utilizzare tende molto simili alla yurta in Russia e in Ucraina, ma la prima descrizione scritta di questo tipo di abitazione temporanea fu redatta dallo storico greco Erodoto.

La yurta si rivelò essere il rifugio ideale per popoli nomadi o seminomadi che facevano della pastorizia la loro attività principale. Si tratta di una struttura in grado di ospitare un’intera famiglia, facile da costruire e altrettanto semplice da smontare e da caricare su animali da soma.

Una yurta degna di questo nome può essere smontata in circa un’ora, e costruita in meno di 3 ore, da sole 2-3 persone, fornendo riparo per una famiglia allargata di 5-15 persone.

La ger è in grado di resistere facilmente ai forti venti che si manifestano durante la primavera mongola. La flessibilità risultante dai materiali e dalla tecnica costruttiva fornisce alla struttura un’insospettabile robustezza, anche in presenza di forti precipitazioni nevose che si accumulano sul tetto.

Non essendoci pareti solide, la yurta non è esente da difetti, ma è sufficientemente isolata da riuscire a mantenere l’ambiente interno caldo o fresco in base alla stagione: le steppe mongole raggiungono facilmente i -35°C durante l’inverno, e possono registrare quasi 40°C nell’arco dell’estate.

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La yurta ha un forte valore simbolico per i popoli nomadi delle steppe. Anche il solo ingresso nella struttura prevede un rituale tradizionale: occorre entrare con il piede destro facendo attenzione a non calpestare la soglia; una volta all’interno, occorre sedersi immediatamente ed evitare di passare tra i due pilastri centrali (se presenti), che simboleggiano il punto d’incontro tra il cielo e la terra.

Struttura della yurta

La ger è sostanzialmente una tenda circolare munita di un’apertura centrale sul soffitto. Le yurte tradizionali hanno uno scheletro circolare ricoperto da feltro ottenuto dal bestiame su cui si basa la pastorizia mongola, come pecore, capre e yak.

Il legno che compone il telaio è molto difficile da reperire nella steppa, un ambiente notoriamente privo di alberi; il legname viene quindi importato da località boschive tramite lo scambio di prodotti della pastorizia.

La ger mongola dispone di una o più colonne di supporto alla struttura (bagana) e una serie di costole di legno (uni) che formano il telaio portante del tetto. La tenda è tenuta insieme da corde e nastri, aiutati dalla compressione generata dal peso del telaio e della copertura di feltro.

Struttura interna di una ger
Struttura interna di una ger

L’apertura centrale (toono), o corona, viene realizzata in legno ed è simile ad una ruota. Consente al fumo del focolare di uscire e all’aria fresca di circolare all’interno della tenda, ma non causa un’eccessiva dispersione termica, contribuendo a creare un ambiente isolato e libero da fumi nocivi. La corona, inoltre, lascia entrare la luce solare, rendendo superfluo l’uso di illuminazione artificiale durante le ore diurne.

La porta d’ingresso alla yurta viene generalmente orientata verso sud per godere della massima esposizione solare. Il telaio della porta è in legno, talvolta ricoperta da uno strato di feltro che funge da isolante.

Al centro della ger si trova la stufa metallica che fornisce calore al rifugio. Sopra la stufa vengono solitamente appesi i prodotti della pastorizia, come carne salata o affumicata e la tradizionale bevanda di latte di giumenta fermentato (kumis o ajrag)

Le yurte sono tradizionalmente decorate con motivi ornamentali legati al simbolismo religioso mongolo. Le decorazioni più comuni sono quelle legate alla forza, come la khas (svastica) o le “quattro bestie” (leone, tigre, garuda e drago).

I motivi connessi ai cinque elementi naturali sono molto comuni: si ritiene che ogni raffigurazione stilizzata degli elementi possa donare forza o protezione agli abitanti della yurta.

Molto frequenti sono anche i motivi geometrici, spesso presenti alle estremità della yurta: il simbolo “alkhan khee” rappresenta la continua necessità di spostarsi, mentre l’ “ulzii” simboleggia la longevità e la felicità.

Khibitkha

Durante il periodo medievale alcuni esploratori europei documentarono l’osservazione di un particolare tipo di yurta, chiamata khibitkha o ger tergen. Si trattava di tende montate in modo permanente su grossi carri trainati da squadre di buoi.

Guglielmo di Rubruck, missionario fiammingo ed esploratore dell’Asia durante il XIII secolo, registrò nel suo resoconto di viaggio un carro dorato di un’asse largo quanto l’albero maestro di una nave e trainato da 22 buoi.

Khibitkha
Khibitkha

La khibitkha non era alla portata di tutti: la quantità di legno necessaria alla realizzazione del carro e della tenda, e la necessità di avere qualche dozzina di animali da soma dedicati al trasporto di questa struttura rendevano le ger tergen una prerogativa dei capi tribù.

Alcuni individui particolarmente potenti e ricchi potevano permettersi decorazioni degne di un palazzo imperiale: nel XIII secolo il governatore mongolo di Samarcanda, Mas’ud Beg, aveva a disposizione una khibitkha ricoperta da seta e fili d’oro; si narra che il governatore di Khorasan, invece, abitasse in una yurta tenuta insieme da 1.000 chiodi d’oro.

Yurt – National Geographic
What is Mongolia Ger?
YURT AND TINY LIVING TIPS FROM EXPERTS

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Boodog, il barbecue della tradizione mongola https://www.vitantica.net/2018/12/29/boodog-il-barbecue-della-tradizione-mongola/ https://www.vitantica.net/2018/12/29/boodog-il-barbecue-della-tradizione-mongola/#respond Sat, 29 Dec 2018 12:00:21 +0000 https://www.vitantica.net/?p=3446 Il boodog (noto anche come bodog) è il barbecue di montone della cucina tradizionale mongola. Il boodog tradizionale usa le carcasse di capre o marmotte come contenitori per la cottura del cibo; le marmotte possono tuttavia ospitare pulci in grado di trasmettere la peste bubbonica, quindi le capre costituiscono sempre la prima scelta.

Barbecue per nomadi delle steppe

Per fare un boodog seguendo il metodo tradizionale sono necessarie diverse ore per svuotare la carcassa animale, allestirla nel modo corretto e preparare il contenuto (principalmente carne ed erbe aromatiche); ma l’attesa viene ricompensata con una cottura uniforme e carne succulenta e saporita.

Dall’abbattimento della capra fino al termine della cottura possono trascorrere anche più di 5 ore. Il processo di cottura dura da solo 2 ore o poco più, ma la preparazione iniziale richiede diverso tempo, specialmente se effettuata da persone non esperte.

Un grosso vantaggio del boodog è che la sua preparazione non richiede utensili specifici ad eccezione di un coltello affilato e del fuoco. E’ nato in un tempo in cui trasportare utensili da cucina a cavallo avrebbe aumentato il carico, una situazione per nulla ideale per un popolo che fece del nomadismo il suo stile di vita.

Preparazione della carcassa

La preparazione del bodog inizia abbattendo una capra attraverso un metodo particolarmente cruento: il cranio dell’animale viene colpito ripetutamente con un martello fino a quando la povera bestia smette di respirare.

L’uso del martello sembra essere motivato dall’intenzione di evitare di dissanguare l’animale, donandogli una morte più veloce, e limitare i tagli e le perforazioni sulla pelle, che verrà utilizzata come “pentola a pressione”.

Il corpo dell’animale viene quindi appeso per le corna e con un coltello affilato si pratica un’incisione all’altezza della gola, prestando attenzione a non decapitare l’animale. Con un movimento circolare, la pelle e la carne del collo vengono staccate mantenendo la testa attaccata al resto del corpo attraverso la colonna vertebrale.

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Dopo l’incisione sul collo, la spina dorsale viene spezzata perché la maggior parte dei muscoli di supporto sono staccati dalla testa e la sola colonna vertebrale non è in grado di sostenere a lungo il peso dell’intera carcassa.

Dopo aver deposto a terra il corpo dell’animale, gli uomini coinvolti nella preparazione del boodog iniziano ad asportare con precisione pezzi di carne e di organi dal corpo dell’animale, assicurandosi che la pelle non venga forata per evitare la fuoriuscita di calore e liquidi durante la cottura.

Tutto ciò che si trova all’interno della pelle viene completamente rimosso, comprese le ossa e gli organi. Le ossa delle zampe vengono rotte e asportate e le aperture della pelle alle quattro estremità vengono sigillate usando fili metallici.

Ingredienti e cottura
Riempimento del boodog con pietre roventi
Riempimento del boodog con pietre roventi e carne

Una volta rimasta soltanto la pelle dell’animale, la carne e gli organi commestibili vengono puliti, tagliati e mescolati con condimenti come sale, paprika, erbe aromatiche, patate, pepe e cipolle.

A questo punto si accende un fuoco collocando vicino ad esso delle pietre allo scopo di scaldarle, ma facendo attenzione a non renderle eccessivamente calde da esplodere. Le pietre calde saranno impiegate per cuocere il boodog dall’interno.

Quando le pietre avranno raggiunto la giusta temperatura, la pelle viene riempita di pietre roventi fino alle estremità. Ad ogni strato di pietre viene inserito uno strato di carne, ripetendo questo procedimento fino al riempimento completo della pelle.

Quando la farcitura è completa, vengono aggiunti 1-2 litri d’acqua all’interno della carcassa e l’apertura del collo viene sigillata usando fili metallici per intrappolare tutto il calore e l’aria calda all’interno della sacca della pelle.

La fase successiva prevede la rimozione del pelo presente sulla superficie esterna della pelle utilizzando una torcia. I peli bruciati vengono quindi rimossi raschiando la pelle con la lama di un coltello fino ad ottenere una “busta” di pelle sbiancata imbottita di carne.

Bruciatura del pelo e cottura esterna
Bruciatura del pelo e cottura esterna

Un ultimo passaggio di torcia servirà ad imbrunire la pelle e a renderla più rigida, aumentandone la resistenza e contribuendo al mantenimento della temperatura interna. Le pietre calde inserite in precedenza nella carcassa avranno già iniziato a cuocere il contenuto del bodog: la pressione del vapore che si accumula all’interno renderà la carne morbida e conserverà ogni liquido grasso fuoriuscito dalla carne in cottura.

Una volta che i liquidi iniziano a fuoriuscire dalla zona del collo, la carne interna del boodog può considerarsi interamente cotta e pronta per essere servita.

Il boodog viene quindi aperto avendo cura di versare tutti i succhi grassi prodotti dalla cottura all’interno di una ciotola. Questi liquidi non sono altro che grasso sciolto e saranno utilizzati per intingere la carne e migliorarne ulteriormente il sapore.

In base all’organo o al tessuto muscolare scelto, la carne ha una combinazione unica di tenacia e tenerezza e un leggero sapore affumicato donato dalla tecnica di cottura.

Il Boodog è un alimento molto apprezzato dai Mongoli durante l’ inverno. La scodella di grasso liquido, che alcuni potrebbero ritenere disgustosa e per nulla salutare, fornisce calorie ed energie fondamentali per la sopravvivenza durante i freddi inverni mongoli.

Boodog
20 INTERESTING BOODOG FACTS – A MONGOLIAN BARBECUE

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Il successo dell’esercito mongolo di Gengis Khan https://www.vitantica.net/2018/11/07/esercito-mongolo-gengis-khan/ https://www.vitantica.net/2018/11/07/esercito-mongolo-gengis-khan/#respond Wed, 07 Nov 2018 00:10:12 +0000 https://www.vitantica.net/?p=2535 I Mongoli riuniti sotto il comando di Gengis Khan furono in grado di conquistare buona parte dell’Asia fino a raggiungere le porte d’Europa. Il loro successo non fu esclusivamente legato all’abilità del loro comandante in capo, ma derivò in larga parte dall’organizzazione militare che i nomadi mongoli seppero padroneggiare e sfruttare a loro vantaggio contro avversari di ogni genere.

L’esercito mongolo che portò al successo Gengis Khan era caratterizzato da un’estrema mobilità, una discreta autonomia decisionale dei generali e dalla straordinaria resistenza e attitudine alla guerra dei suoi soldati.

Mobilità

Mobilità esercito mongolo

Ogni soldato mongolo disponeva di 3-4 cavalli ed era suo compito mantenerli in salute e pronti alla battaglia in ogni momento. Cambiare cavallo durante gli spostamenti consentiva ai Mongoli di effettuare traversate lunghissime in tempi da record e senza mai fermarsi.

Durante l’invasione dell’ Ungheria, i cavalieri mongoli furono in grado di coprire 160 chilometri di terreno accidentato in un solo giorno; anche se i cavalli non utilizzati dovevano comunque percorrere decine o centinaia di chilometri, lo facevano senza alcun carico sul dorso, rimanendo relativamente freschi fino al loro impiego da parte del cavaliere.

I Mongoli effettuavano spesso ricognizioni durante l’inverno, periodo in cui moltissimi popoli antichi preferivano interrompere ogni attività militare a causa delle condizioni impraticabili del territorio. Durante le esplorazioni e lo scouting delle regioni dell’odierna Russia, sfruttavano i fiumi ghiacciati come strade percorribili, abbattendo i tempi di spostamento necessari seguendo le tradizionali rotte invernali.

Disciplina militare e cavalli resistenti
Bökh, la lotta libera mongola
Bökh, la lotta libera mongola

I soldati mongoli erano abilissimi cavalieri, arcieri formidabili e combattevano in piccole unità capaci di coordinarsi tra loro in modo incredibilmente efficace. Tutto questo era reso possibile da un regime d’addestramento al combattimento che iniziava in tenera età e da una certa libertà di gestione delle risorse umane da parte dei comandanti.

Ogni uomo era direttamente responsabile per i suoi cavalli e le sue armi; la fuga di un solo uomo dalla battaglia avrebbe condannato a morte tutta la squadra di 10 uomini a cui apparteneva; i guerrieri erano tenuti alla lealtà suprema nei confronti dei loro superiori, anche se i cambiamenti di schieramento non erano rari e le lotte tra clan e familiari tutt’altro che inusuali.

Ogni gruppo di 10 uomini era composto da sei arcieri a cavallo e 4 cavalieri armati di lancia e dotati di protezioni più robuste per lo scontro corpo a corpo. Ogni cavallo era protetto da corazze lamellari composte da cinque sezioni; i cavalli mongoli erano relativamente piccoli ma estremamente resistenti e adattati alla vita nella steppa. Erano capaci di sopravvivere senza una razione giornaliera di cibo e di percorrere decine di chilometri senza risentire troppo della fatica.

Il cavallo non era solo un mezzo da combattimento ma anche una vera e propria miniera di risorse: forniva latte e carne (in casi estremi), pelle per vestiti, corde di archi e armature, i suoi escrementi erano ottimi per mantenere un fuoco vivo durante la notte e il crine poteva essere impiegato per costruire cordame robusto.

Logistica
Borts, carne essiccata dei nomadi mongoli
Borts, carne essiccata dei nomadi mongoli

Le armate mongole viaggiavano leggere: ogni soldato sapeva come sopravvivere ottenendo dalla terra o dai cavalli tutto ciò che gli serviva. Ogni guerriero viaggiava con ami da pesca e strumenti per la caccia, rendendosi di fatto autonomo nel procacciarsi il cibo. In casi estremi, un soldato mongolo poteva sopravvivere per circa un mese nutrendosi di latte di cavallo e sangue estratto dalle cavalcature non utilizzate che lo seguivano.

Il cibo da viaggio in dotazione ad ogni cavaliere mongolo era il borts, strisce di carne essiccata all’aria spesse 2-3 centimetri e dure come il legno. Una volta tritata in pezzi molto fini, la carne essiccata può preservarsi intatta per mesi, se non per anni.

L’equipaggiamento più pesante veniva trasportato con carovane di carri, specialmente quando si trattava delle decine di migliaia di frecce da usare in battaglia. Il fattore limitante di queste carovane era l’ approvvigionamento di cibo e acqua per gli animali da soma, specialmente nei territori più aridi come in Siria o le grandi pianure ungheresi.

Armi

Arcieri mongoli

L’arma principale dei cavalieri mongoli era l’ arco composito, un mix di legno, corno e tendine capace di prestazioni straordinarie. Ogni arciere mongolo trasportava almeno 2 archi, uno più pesante per l’uso a piedi e l’altro relativamente leggero per l’impiego a dorso di cavallo. La faretra mongola conteneva tipicamente 60 frecce e sia l’arciere che il cavallo ne trasportavano almeno una.

Un arciere mongolo poteva effettuare tiri precisi fino a 150-175 metri, mentre il tiro non mirato poteva raggiungere i 400 metri creando una barriera di frecce temuta da molti eserciti del passato e difficilmente contrastabile. Il tiro da cavallo avveniva generalmente durante il galoppo, nel momento in cui tutte le quattro zampe del cavallo non toccavano il terreno.

Come arma per lo scontro ravvicinato, i Mongoli usavano scimitarre, lance e alabarde. La scimitarra consentiva colpi di taglio letali, ma anche affondi, ed era lunga in totale circa 1 metro.

Una delle innovazioni di Gengis Khan fu l’introduzione massiccia di armi d’assedio, indispensabili per la conquista di città e roccaforti. Le macchine d’assedio non venivano costruite, smontate e trasportate sul luogo dello scontro, come facevano gli Europei, ma costruite direttamente nella località dell’assedio con materiali reperiti sul posto sfruttando le conoscenze di ingegneri reclutati tra i prigionieri di guerra.

Tattica e strategia

Le armate mongole facevano largo uso del kharash, una tattica che prevedeva l’invio in prima linea di prigionieri di guerra. In questo modo i prigionieri subivano tutta la forza dello scontro iniziale o la grandinata di frecce nemica, preservando le preziose vite dei guerrieri mongoli pronti ad un contrattacco feroce e repentino.

I Mongoli davano molta importanza alle ricognizioni del campo di battaglia e dell’accampamento nemico. Spiavano a lungo le regioni da invadere per essere preparati ad ogni sorpresa: prima dell’invasione dell’ Europa orientale, Batu e Subutai inviarono spie quasi 10 anni prima di spingersi in Europa, ottenendo la mappatura delle vie di comunicazione principali e informazioni sulla capacità di resistenza delle varie regioni.

L’esercito mongolo era creativo e adattabile: in diversi casi si spinse a deviare il corso di fiumi per costringere alla resa città virtualmente inespugnabili, o lasciò volutamente fuggire parte della popolazione per fare in modo che venisse accolta da città che intendeva conquistare allo scopo di indebolirne le riserve di cibo e il morale.

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I Mongoli offrivano spesso la possibilità di arrendersi e pagare un tributo per evitare la distruzione totale e il saccheggio. Sapevano perfettamente che le popolazioni sedentarie avevano molto da perdere dalla distruzione di una città e dal saccheggio dei beni preziosi o di prima necessità.

Gli eserciti mongoli erano inoltre maestri dell’inganno: per far credere al nemico di essere in numero superiore, legavano rami e cespugli ai loro cavalli per sollevare polvere in abbondanza, dando l’impressione di essere più numerosi e che si stessero spostando a migliaia verso il fronte.

In caso di necessità, le truppe potevano velocemente essere divise in formazioni da 10, 100, 1000 o 10000 unità, e riunificate altrettanto velocemente. Queste operazioni consentivano di confondere il nemico, di cambiare facilmente manovra offensiva e di fingere la ritirata per poi attaccare in massa o tramite imboscate.

Mongol military tactics and organization

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