Chuño, le patate liofilizzate degli Inca

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Per estendere la durata di alcuni alimenti facilmente deperibili i nostri antenati escogitarono numerose strategie di conservazione: disidratazione, salagione, stanze fredde e ventilate (come lo yakchal) o piccoli contenitori ad evaporazione funzionarono egregiamente per millenni prima dell’avvento dei frigoriferi moderni.

Precedentemente all’incontro con gli Europei, gli abitanti delle Ande, la cui alimentazione era tradizionalmente legata con le patate, escogitarono un sistema del tutto naturale per conservare a lungo i loro tuberi preferiti: il chuño.

Il chuño

Con il termine “chuño” si identificano le patate conservate tramite congelamento e liofilizzazione naturale. La tradizione del chuño ha origine da ben prima della formazione dell’ impero Inca (intorno al XIII secolo); in base ad alcuni ritrovamenti archeologici tra Bolivia e Perù, la produzione di chuño ebbe origine con la cultura Tiwanaku sviluppatasi lungo le sponde del lago Titicaca, circa tre millenni fa.

Il consumo di chuño viene descritto per la prima volta nel 1590 dal missionario gesuita José de Acosta. Si tratta di un cibo a lunga conservazione, facilmente trasportabile per una cultura priva di animali da soma e dotato di un discreto valore nutritivo, un mix di caratteristiche ideali per qualunque alimento di prima necessità.

Se conservato in un luogo fresco e asciutto, il chuño può rimanere commestibile anche per decadi, una proprietà che torna molto utile ad una cultura che vive a quasi 4.000 metri di altezza in un territorio notoriamente ostile, poco fertile e soggetto a siccità periodica.

Preparazione tradizionale del chuño
Preparazione tradizionale del chuño

Arrivando a pesare circa cinque volte meno di una patata, il chuño divenne ben presto un alimento dalla forte leva commerciale: in cambio di patate liofilizzate, la cultura di Tiwanaku otteneva materie prime e prodotti alimentari provenienti da ogni angolo del Sud America.

Ad ogni famiglia veniva assegnata una porzione di chuñochinapampa (in lingua Aymara, “luogo in cui si produce il chuño “) per un periodo compreso tra i 7 e i 10 giorni, in base al clima e alla temperatura notturna. Alla produzione di chuño partecipava tutta la famiglia, ma un ruolo particolarmente attivo veniva svolto da donne e bambini.

Congelamento naturale

Il procedimento necessario alla produzione di chuño è strettamente dipendente dall’escursione termica tra giorno e notte: al calar del sole le temperature crollano sotto lo zero ad altezze comprese tra i 3.500 e i 4.000 metri (il lago Titicaca si trova a 3.812 metri sopra il livello del mare), con un’umidità media prossima al 30%.

Gli antichi abitanti delle Ande impararono a sfruttare le temperature notturne e diurne a loro vantaggio per produrre cibo nutriente e a lunga conservazione. Dopo il raccolto di patate, i tuberi più piccoli vengono selezionati per la produzione di chuño, che si svolgerà tra maggio e luglio (mesi invernali nell’emisfero meridionale).

Le patate selezionate vengono disposte su una zona piatta di terreno, completamente esposte al clima andino. Durante la notte, le temperature scenderanno oltre i -5 °C, congelando l’acqua contenuta nelle patate; all’alba, le patate congelate inizieranno a scaldarsi e a rilasciare acqua, disidratandosi progressivamente sotto i 18 °C del sole invernale.

L’esposizione al gelo andino dura per circa tre notti. Una volta terminato il processo di congelamento naturale, le patate vengono portate nel chuñochinapampas e schiacciate con i piedi per eliminare tutta l’acqua residua e facilitare la rimozione della buccia dal tubero.

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Le patate verranno quindi lasciate sul posto per circa una settimana ed esposte nuovamente al ciclo di raffreddamento e scongelamento. In base al tipo di chuño da produrre, potranno subire un’ulteriore lavorazione:

Chuño bianco (o tunta)

Il chuño bianco si ottiene lavando le patate dopo l’ultima settimana di congelamento. In Bolivia, le patate vengono protette dall’esposizione solare diretta utilizzando coperte o paglia bagnate continuamente con acqua per idratare nuovamente i tuberi; in Perù, invece, le patate vengono portate nei pressi di un fiume e lasciate in acqua per circa una settimana.
Il passaggio finale per la produzione di chuño bianco è la disidratazione al sole.

Chuño nero

Per produrre il chuño nero non è necessaria alcuna lavorazione dopo la rimozione della buccia e l’ultima esposizione al clima andino. Il chuño nero ha meno variazioni regionali rispetto a quello bianco e veniva comunemente consumato dai contadini.

Un alimento alla base della dieta andina

Una patata da 100 grammi è in grado di produrre un chuño del peso approssimativo di 20 grammi, perdendo circa l’80% dell’acqua che conteneva in origine. Nei rimanenti 20 grammi di prodotto si concentrano tutti i valori nutrizionali della patata: si tratta sostanzialmente di un tubero liofilizzato.

Durante il processo di disidratazione, le sostanze idrosolubili (come alcuni minerali, le proteine e l’acido ascorbico) vengono parzialmente espulse dalle patate o decomposti da meccanismi ossidativi. Allo stesso tempo, il contenuto di calcio aumenta di circa due volte e viene ridotta notevolmente la tossicità di alcuni composti che rendono particolarmente amare le patate andine.

Il consumo di 100 grammi di chuño fornisce 375-400 Kcal, principalmente sotto forma di carboidrati. I valori nutrizionali non sono particolarmente alti, ma l’energia fornita dal chuño e la possibilità di conservarlo per lunghi periodi di tempo lo rendono un cibo ideale per riempire lo stomaco e fornire le energie necessarie a lavorare i campi durante le stagioni più difficili.

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One Comment on “Chuño, le patate liofilizzate degli Inca”

  1. Il valore nutrizionale della patata cosi’ disidratata e’ coerente con la modificazione subita, perche’ 100 g di patata fresca da’ infatti 80 calorie.
    Il prodotto essiccato definitivo ha calorie/ 100 g equivalenti a quelli dei legumi e dei cereali, cioe’ fra i 350 e i 370 x ettogrammo.La perdita dell’ acido ascorbico non e’ un danno reale, perche’ gia’ modesto nel tubero fresco e comunque facilmente compromesso dalla cottura, specialmente a ph alcalino.La buccia fresca a contatto con l’aria verdeggia e diventa leggermente tossica e causa della cattiva fama della patata : ancora oggi, si ritiene di non conservare il brodo ottenuto con le patate, che non a caso appartengono alle Solanacee.Interessante sarebbe studiare quali eventuali modifiche tale metodo andino esercita sul problema.

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