inverno – VitAntica https://www.vitantica.net Vita antica, preindustriale e primitiva Thu, 01 Feb 2024 15:10:35 +0000 it-IT hourly 1 Il kit di sopravvivenza delle popolazioni dell’Artide https://www.vitantica.net/2020/06/08/kit-sopravvivenza-popolazioni-artide/ https://www.vitantica.net/2020/06/08/kit-sopravvivenza-popolazioni-artide/#respond Mon, 08 Jun 2020 00:12:35 +0000 http://www.vitantica.net/?p=4905 Per giugno 2020 avevo previsto un breve weekend a Londra per una visita al British Museum in occasione della mostra “Arctic“, un’esposizione incentrata sugli stili di vita tradizionali dei popoli che vivono nei pressi del circolo polare artico. Per ragioni legate al coronavirus questo viaggio è stato rimandato a data indefinita, se non del tutto annullato, ma il sito del British Museum ha reso disponibile una raccolta di foto e informazioni relativi alla mostra, come l’articolo “10 things you need to live in the Arctic“.

Cosa serve per sopravvivere all’ecosistema artico? Le popolazioni che tradizionalmente occupano le regioni più fredde del pianeta sono eccellenti nello sfruttare i pochi materiali naturali a loro disposizione per realizzare oggetti fondamentali per la sopravvivenza nella tundra o tra i ghiacci polari, come indumenti e utensili.

Stivali
Stivali Gwich'in in pelle d'alce, renna e castoro, cuciti con cotone e tendine e decorati con perle di vetro.
Stivali Gwich’in in pelle d’alce, renna e castoro, cuciti con cotone e tendine e decorati con perle di vetro.

Un buon paio di stivali è fondamentale per la sopravvivenza nell’Artico, non solo per tenere al caldo le estremità inferiori, ma anche per facilitare l’attraversamento di ghiaccio o di spesse coltri di neve.

Il popolo Gwich’in, che vive tra il Canada e l’Alaska, realizza splendidi stivali dalla pelliccia di castoro e di caribù, decorandoli con piccole perline ottenute da piccole pietre, vetro o conchiglie. Le suole degli stivali sono invece realizzate in pelle d’alce affumicata, un trattamento che la rende spessa, resistente e simile al velluto.

Gli Inuit, gli Inupiat e gli Yupic fabbricano da secoli i mukluks (o kamik), stivali soffici in pelle di renna o di foca tenuti insieme da filamenti di tendine animale, un materiale particolarmente resistente e adatto al clima artico.

Questi stivali rappresentavano lo strato intermedio della calzatura: sotto di essi si trovava uno strato di pelliccia, con il pelo rivolto verso l’interno per migliorare l’isolamento termico, mentre il piede veniva rivestito esternamente da una soletta semi-rigida in pelle conciata e affumicata.

Occhiali da neve
Occhiali da neve in poelle di renna, metallo e perle di vetro e uranio, realizzati in Russia prima del 1879.
Occhiali da neve in pelle di renna, metallo e perle di vetro e uranio, realizzati in Russia prima del 1879.

Uno dei pericoli più sottovalutati durante le escursioni tra il ghiaccio o la neve è l’esposizione alla luce solare. La cecità da neve è una patologia che si sviluppa a seguito dell’esposizione prolungata della cornea alla luce ultravioletta riflessa dai cristalli di ghiaccio.

Gli occhi iniziano a lacrimare senza sosta, il dolore nella zona oculare diventa persistente e si può arrivare alla cecità totale momentanea. I sintomi di solito non sono permanenti: dolore e cecità possono svanire entro una o due settimane, a patto di evitare ulteriore esposizione alla luce ultravioletta.

I Dolgan della Russia settentrionale e centrale fabbricano occhiali da neve in pelle di renna. Pur essendo privi di lenti ottiche, offrono una semplice ma efficace protezione per gli occhi: le fessure limitano l’ingresso dei raggi ultravioletti ma garantiscono un buon grado di visibilità.

Parka
Parka per bambino in cotone e pelli di topo muschiato, ghiottone, castoro e lontra.
Parka per bambino in cotone e pelli di topo muschiato, ghiottone, castoro e lontra.

L’abbigliamento necessario nelle regioni artiche deve essere resistente all’usura, isolante ma allo stesso tempo traspirante, per evitare che si formi della pericolosa umidità tra gli indumenti e il corpo umano. L’umidità condensata abbassa la temperatura corporea, condizione non ideale in un ecosistema in cui il calore è raro ed estremamente prezioso.

I parka, eskimo o anorak sono originari delle popolazioni Inuit, Inupiat e Yupik e venivano generalmente realizzati con pelli di renna o di foca, materiali che ancora oggi sono competitivi, in quanto a resistenza e isolamento termico, con i tessuti più moderni.

Alcuni parka, anche se non molto efficienti nell’ isolamento termico, erano completamente impermeabili: il materiale con cui venivano realizzati, interiora di foca, è totalmente idrorepellente, offre una buona protezione dall’umidità atmosferica e costituisce una barriera invalicabile per le zanzare che popolano l’estate della tundra.

Slitte
Slitta groenlandese del 1818, in osso, avorio, legno e pelle di foca.
Slitta groenlandese del 1818, in osso, avorio, legno e pelle di foca.

Viaggiare sulla neve o sul ghiaccio è faticoso e pericoloso. Le popolazioni nomadi o seminomadi, inoltre, devono muovere grandi quantità di materiale durante i loro spostamenti stagionali: cibo, tende, utensili e indumenti non possono essere trasportati su lunghe distanze con la sola forza di braccia e gambe.

Dopo aver compreso che più la superficie a contatto con la neve o il ghiaccio è estesa, più si ottiene stabilità e movimento fluido, i popoli dell’Artico iniziarono a realizzare slitte capaci di coprire distanze notevoli scivolando sulle superfici che il piede umano affronta con difficoltà.

Per le loro slitte i popoli artici sfruttavano ogni materiale a loro disposizione: ossa di animali marini o terrestri per il telaio, tendine, cuoio o fibre vegetali per il cordame, e pelle di foca per creare una copertura isolante.

Aghi
Aghi d'avorio dellla prima metà del 1800, Yupiit o Inupiat.
Aghi d’avorio dellla prima metà del 1800, Yupiit o Inupiat.

Gli Inuit e le popolazioni dell’Artico sono abili costruttori di meravigliosi aghi d’osso e di legno, con i quali possono riparare tende, indumenti e oggetti di varia natura. Gli aghi d’osso e di legno, per la natura stesse del materiale da cui vengono realizzati, non hanno le dimensioni e le caratteristiche meccaniche degli aghi moderni, ma sono incredibilmente efficaci.

Gli aghi sono utensili utilissimi per la vita quotidiana dei popoli artici: parka, stivali, canoe e tende (come i tupiq Inuit) richiedevano l’impiego di fibre resistenti (come il tendine) e di strumenti in grado di perforare con facilità cuoio e pelliccia.

Ottenere un ago efficace da un osso è un’operazione lunga e tediosa; gli aghi erano quindi beni preziosi, e venivano conservati in appositi contenitori generalmente portati sulla cintura, per essere pronti all’uso e limitare la possibilità di perderli.

Ulu e coltelli
Ulu in rame e corno realizzato in Canada prima del 1835.
Ulu in rame e corno realizzato in Canada prima del 1835.

Per gli Inuit e gli Yupik, l’ ulu non è un semplice coltello, ma un utensile multiuso impiegato per recidere, per la pulizia delle pelli, per il taglio dei capelli o per rifinire blocchi di neve in assenza di un vero e proprio coltello da ghiaccio.

Gli ulu moderni sono in acciaio, ma la lama veniva anticamente realizzata con corno di renna o avorio di tricheco. Il tipico ulu ha dimensioni che variano in base all’impiego a cui è destinato: gli ulu più piccoli (circa 5 centimetri di lunghezza della lama) sono utilizzati per il taglio dei tendini o per la decorazione della pelle, mentre quelli più grandi trovano molteplici applicazioni nella vita quotidiana degli Inuit.

Nelle regioni artiche in cui veniva praticata la metallurgia, il coltello rappresentava l’utensile di prima scelta per la maggior parte delle attività quotidiane. Gli allevatori di renne lo usavano per castrare o macellare i loro animali, per marchiare le orecchie dei capi di bestiame in modo da riconoscerli, per incidere il legno e, se necessario, per la difesa personale.

Utensili da cucina
Bollitore inuit in pietra, realizzato in Canada all'inizio del 1900.
Bollitore inuit in pietra, realizzato in Canada all’inizio del 1900.

Buona parte della dieta dei popoli artici è composta da nutrienti di origine animale. Alcuni possono essere consumati crudi, altri invece necessitano di cottura prima di essere ingeriti. Anche alcune delle poche fonti vegetali di nutrienti, come erbe, tuberi, bacche e alghe necessitano di cottura per risultare commestibili o gradevoli al palato.

La cottura non consisteva esclusivamente nell’esposizione degli alimenti alla fiamma vita: gli Inuit utilizzavano bollitori di roccia metamorfica, blocchi di pietra che venivano scavati con pazienza e perizia per consentire la bollitura di cibo e acqua.

10 things you need to live in the Arctic

Eskimo Lamps and Pots

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Antiche strategie per la sopravvivenza invernale https://www.vitantica.net/2019/12/16/antiche-strategie-sopravvivenza-invernale/ https://www.vitantica.net/2019/12/16/antiche-strategie-sopravvivenza-invernale/#respond Mon, 16 Dec 2019 00:08:31 +0000 https://www.vitantica.net/?p=4705 Vivere lungo le rive del Mediterraneo ha indubbi vantaggi: cibo in abbondanza, rotte commerciali marittime sempre a disposizione e una situazione climatica in grado di mitigare il freddo dell’inverno. Ma a latitudini sempre più prossime al Nord, l’essere umano è stato costretto ad escogitare sistemi in grado di proteggerlo dai pericoli invernali.

L’organismo umano, se esposto al gelo, cerca di regolare la temperatura corporea in modo tale che gli organi interni siano sempre in grado di funzionare correttamente. L’ipotermia insorge quando la temperatura interna scende a 35°C o meno: questa circostanza è molto più comune nei Paesi più settentrionali rispetto a quelli che godono di climi più miti, non solo d’inverno ma anche in presenza di vento o forte umidità.

Durante le passate glaciazioni, inoltre, la vasta copertura di ghiaccio che ricopriva buona parte dell’emisfero nord spinse il freddo verso limiti quasi intollerabili, costringendo i nostri antenati a difendersi dal clima rigido sfruttando ogni risorsa a disposizione.

Sopravvivere all’inverno durante i secoli passati richiedeva duro lavoro e una lunga preparazione. Tra le attività di primaria importanza c’erano la conservazione dei prodotti della terra, estivi e autunnali, la raccolta del legname necessario ad alimentare il focolare domestico e la messa all’ingrasso del bestiame, specialmente i maiali.

Pseudo-ibernazione

Sonno

Fino a non molto tempo fa, in Francia e in Russia era usanza dormire svariate ore durante la sezione diurna della giornata. Un documento del 1844 spiega che la maggior parte della gente “spende la giornata a letto, stringendosi l’uno con l’altro per stare caldi e mangiando meno cibo”.

Sulle Alpi era consuetudine dormire con vacche e maiali durante i mesi invernali per sfruttare il calore prodotto dal bestiame, mentre il British Medical Journal riportò agli inizi del 1900 che nella regione russa di Pskov gli abitanti dormivano circa metà giorni dell’anno, alzandosi dal letto solo per mangiare qualche pezzo di pane e badare al focolare.

Dormire nello stesso letto fu una strategia molto comune in tutto il mondo: i bambini dormivano insieme per tenersi al caldo, indossando uno strato aggiuntivo di vestiario adatto a proteggerli dal freddo della notte.

Zuppe e grasso

Timeline e storia del cibo e delle ricette

Durante il Medioevo russo le temperature crollavano così rapidamente col sopraggiungere dell’inverno che era di fatto impossibile lavorare nei campi da fine settembre a inizio febbraio.

I contadini erano in grado di sopravvivere nutrendosi di ciò che avevano raccolto durante i mesi più caldi: granaglie, verdure e frutta erano gli ingredienti più comuni per realizzare zuppe calde, ma venivano impiegati anche formaggi, uova e carne di ogni tipo (se disponibile).

Secondo la teoria umorale, l’umore dominante dell’inverno era il flegma, capace di causare pigrizia e malattie associate al freddo. Il testo del XIV secolo Secretum Secretorum consiglia di consumare fichi, uva, vino rosso e pasti caldi per combattere gli effetti del flegma, e di evitare salassi, lassativi e rapporti sessuali.

Gli alimenti ad elevato contenuto di grasso, grazie al loro apporto energetico, erano l’ideale per i freddi inverni. Il grasso animale, inoltre, poteva essere impiegato come unguento “antigelo”: ricoprendo il corpo di grasso d’orso o d’anatra si respinge l’umidità e si contribuisce a trattenere il calore corporeo.

Diversi tipi di casa
Il wigwam (o wikiup), la capanna dei nativi americani
Il wigwam (o wikiup), la capanna dei nativi americani

Charles Hudson, autore del libro “The Southeastern Indians” (Knoxville: Univ. of Tennessee Press, 1976), sostiene che nonostante le temperature delle Smoky Mountains scendessero sotto lo zero durante l’inverno, i nativi Cherokee indossavano pochi indumenti, ben poco adatti a proteggerli dal gelo.

La loro principale strategia di sopravvivenza durante l’inverno consisteva nella costruzione di residenze estive e case più adatte alla vita invernale, come i wigwam descritti in questo post.

Le case invernali venivano isolate utilizzando corteccia, erba e foglie incastrate in telai di legno resistente alla putrefazione. Nel Massachusetts, ad esempio, i nativi utilizzavano legno di cedro, che impiega da 15 a 20 anni per iniziare a decomporsi se inserito nel terreno, e corteccia estratta dallo stesso albero; in questo modo, la temperatura interna dei wigwam poteva rimanere costantemente sopra i 20 gradi.

Ogni abitazione invernale era dotata di panche ricoperte da stuoie di canne di fiume e pelli animali, e veniva riscaldata da un focolare centrale che distribuiva calore in tutta la struttura.

Il compito di mantenere il fuoco era spesso affidati agli anziani, che generalmente trascorrevano più tempo tra le mura domestiche, ed era un’attività di primaria importanza. “Gli esploratori europei che visitarono queste case invernali si lamentarono del fumo e della scarsa ventilazione, ma queste abitazioni erano in grado di mantenere efficientemente il calore” spiega Hudson. “Una piccola brace manteneva la casa invernale calda come un forno. Sotto i letti si conservavano zucche e altre verdure per proteggerle dal gelo”.

Abbigliamento

Abbigliamento invernale

La fabbricazione di abbigliamento fu uno degli elementi che consentirono l’espansione dell’essere umano verso Nord. Man mano che si spostavano dalle regioni equatoriali, i nostri antenati si trovarono ad affrontare il susseguirsi delle stagioni per la prima volta.

Se in primavera e in estate la natura forniva loro tutto il necessario per sopravvivere, durante l’inverno la disponibilità di cibo calava drasticamente, a tal punto da non consentire ad alcun primate (ad eccezione dell’essere umano) di sopravvivere.

Oltre ad essere forzati ad immagazzinare provviste per la stagione fredda, i nostri antenati furono anche costretti a realizzare indumenti in grado di proteggerli dalle intemperie e dalle basse temperature, specialmente considerando che alcuni dei primi esploratori delle regioni più settentrionali non conoscevano la manipolazione del fuoco.

I primi Sapiens

L’analisi degli antichi insediamenti umani dell’ Età della pietra hanno rivelato una presenza massiccia di ossa appartenute ad animali da pelliccia, come conigli, volpi e visoni. In una cinquantina di siti sono state rinvenute anche ossa di ghiottoni, la cui pelliccia viene ancora oggi utilizzata per realizzare i parka dei popoli artici.

“La pelliccia di ghiottone è la miglior pelliccia naturale per fabbricare i parka” spiega Mark Collard, professore di archeologia all’ Università di Aberdeen. “Fornisce una protezione eccellente contro il vento, ripara bene dalla brina ed è estremamente durevole”.

Gli abiti dei primi Sapiens venivano cuciti utilizzando aghi d’osso e utensili di pietra per raschiare le pelli. L’abbigliamento invernale non solo consentiva di sopravvivere all’inverno, ma anche di rendere più efficiente la caccia: dato che il principale metodo venatorio era l’agguato, un indumento in grado di tenere al caldo si rivelò un oggetto vincente durante i lunghi appostamenti che precedevano l’attacco ad una preda.

Prima dell’età del ferro

Grazie a Ötzi sappiamo come i suoi contemporanei dell’Età del rame si proteggevano dal freddo. L’ abbigliamento di Ötzi è interamente realizzato in pelle, pelliccia e materiale vegetale, materiali cuciti insieme da fibre vegetali o tendini.

La sopravveste di Ötzi lo copriva fino quasi al ginocchio e fu realizzata con pelliccia di capra e di pecora, avendo cura di tenere il pelo rivolto verso l’esterno. I gambali, una sorta di calzoni, sono anch’essi di capra e pecora, con i bordi rinforzati da strisce di pelle; venivano mantenuti in posizione grazie a legacci agganciati alla cintura e una linguetta che li fissava alle calzature.

Le scarpe di Ötzi furono realizzate a strati: la struttura interna era costituita da una rete di fibre di tiglio imbottita con erba secca, per ottenere un discreto isolamento termico. Il rivestimento esterno era in pelle di cervo, mentre la suola fu realizzata con pelliccia rivolta verso l’interno.

Romani

Nell’immaginario collettivo i Romani indossavano sandali e tuniche, un vestiario adatto al clima Mediterraneo ma ben poco efficace nelle regioni periferiche dell’impero. In Gallia o in Gran Bretagna, l’abbigliamento dei Romani era ben differente.

Il primo degli indumenti utilizzati per proteggersi dal freddo era il mantello, che si presentava in due principali varianti: la paenula, un mantello dotato di cappuccio, e il sagum, largo e pesante, capace di trattenere il calore corporeo.

Gli udones (calzini) erano fondamentali per la sopravvivenza nei climi più rigidi e venivano spesso inviati dalle famiglie ai parenti dislocati nelle regioni fredde. I pantaloni, considerati a Roma un indumento barbaro tipicamente indossato da tribù celtiche e germaniche, furono particolarmente apprezzati dai legionari romani in Gallia e in Dacia per la loro capacità di mantenere calde le gambe.

Medioevo

L’abbigliamento invernale di un contadino medievale era semplice: uno strato esterno di lana e indumenti intimi di lino. Lo strato di lino consentiva di tollerare il prurito causato dalla lana a contatto con la pelle e veniva lavato relativamente spesso, contrariamente allo strato esterno.

Il fumo del focolare, grazie alle numerose ore trascorse in casa, permeava gli indumenti di lana, contribuendo a ridurre gli odori molesti della lana non lavata. Se mantenuta con cura, la lana non trattata risulta parzialmente impermeabile, ma finisce inevitabilmente per inzupparsi sotto una pioggia abbondante.

Guanti, mantelli e cappelli di lana erano indumenti abbastanza comuni. Le scarpe erano generalmente prerogativa dei più abbienti, mentre gli stivali di cuoio non erano una rarità. I contadini generalmente non indossavano calzature.

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Fonti per “Antiche strategie per la sopravvivenza invernale”:

Surviving Winter in the Middle Ages
Surviving the Winter: Medieval-Style
How Did People Survive the Winter Hundreds of Years Ago?
L’abbigliamento di Ötzi
Ancient Cherokees found protection from the cold
How humans evolved to live in the cold
Early Europeans unwarmed by fire
How Parka jackets saved early humans from the chilly fate of the Neanderthals

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https://www.vitantica.net/2019/12/16/antiche-strategie-sopravvivenza-invernale/feed/ 0
Come si preparano all’inverno gli animali? https://www.vitantica.net/2017/12/14/sopravvivenza-inverno-animali/ https://www.vitantica.net/2017/12/14/sopravvivenza-inverno-animali/#respond Thu, 14 Dec 2017 21:00:49 +0000 https://www.vitantica.net/?p=1095 La domanda potrà apparire banale: tutti sappiamo che alcuni animali vanno in letargo mentre altri si spostano in cerca di climi più caldi; la realtà è come sempre più articolata, bizzarra e interessante.

Alcune strategie per la sopravvivenza invernale nate nel regno animale si sono rivelate così efficaci da essere imitate per migliaia di anni anche dall’essere umano:

  • Migrazione: durante la fase da cacciatore-raccoglitore, l’uomo tendeva a compiere regolari spostamenti stagionali per rendere più semplice la vita durante l’inverno;
  • Adattamento: le risorse alimentari invernali sono differenti da quelle estive e generalmente più scarse. I nostri antenati furono costretti quindi a cambiare la loro dieta in base alla stagione;
  • Scorte di cibo: l’accumulo di provviste durante le stagioni più calde consente di superare l’inverno continuando a mantenere la propria dieta, primaverile o estiva

Altre strategie per superare l’inverno sono invece direttamente connesse alla fisiologia di alcuni animali e difficilmente replicabili dall’ uomo: l’organismo umano non è “cablato” per il letargo o la diapausa e per ovvie ragioni non può sopravvivere nel minuscolo ecosistema che si sviluppa tra lo strato nevoso e il terreno.

Adattamento fisico e comportamentale
 pelliccia estiva e invernale
Differenza tra pelliccia estiva e invernale dell’ermellino

Per sopravvivere all’inverno, molti animali si adattano alle condizioni climatiche stagionali modificando la loro dieta o utilizzando altre strategie: alcuni accumulano riserve di grasso o sviluppano una spessa pelliccia per far fronte alle basse temperature invernali, altri invece cambiano totalmente le loro abitudini alimentari basando la loro dieta sulle scarse risorse disponibili; altri ancora modificano le loro tecniche di caccia o cambiano il colore del manto per camuffarsi meglio nell’ambiente che li circonda.

Gli animali che rimangono attivi durante l’inverno sono spesso forniti di sistemi di conservazione del calore: alcuni uccelli e mammiferi sono dotati di un meccanismo interno che riduce il sangue diretto verso le estremità allo scopo di diminuire il calore disperso.

Più ci si sposta verso Nord, più la pelliccia invernale di molti mammiferi tende ad allungarsi e a disporsi a strati isolanti di diversa lunghezza che trattengono l’aria riscaldata dal calore corporeo, limitando il rischio di ipotermia.

Come l’essere umano, l’arrivo dell’inverno costringe molto animali che non vanno in letargo a svolgere alcune opere di ristrutturazione della loro tana invernale: alcuni scavano nuove camere sotterranee specificamente progettate per mantenere stabile la temperatura, altri riempiono le loro residenze di materiali isolanti come muschio o foglie.

Migrazione invernale

Animali migratori inverno

Quando la temperatura inizia ad abbassarsi e i primi segni del gelo invernale fanno la loro comparsa, alcuni animali decidono di intraprendere una migrazione nella speranza di raggiungere climi più caldi dove trascorrere i mesi invernali, talvolta superando ostacoli potenzialmente letali e superando enormi distanze.

Molti uccelli sono noti per le loro migrazioni, come il rondone maggiore (Tachymarptis melba) che trova una compagna e si riproduce in Svizzera durante l’estate per poi migrare verso l’Africa occidentale prima che sopraggiunga l’inverno.

Una delle migrazioni più spettacolari è invece quella della farfalla monarca nordamericana (Danaus plexippus): durante la migrazione che precede l’inverno, oltre 14 milioni di farfalle monarca migrano verso una piccola valle messicana a 3.000 metri di altitudine per trascorrere l’inverno lontane dai rigori invernali del Nord America.

Tra gli animali migratori ci sono innumerevoli specie di insetti, pesci, uccelli e mammiferi. I grandi mammiferi del Serengeti compiono regolarmente una migrazione stagionale in cerca di pascoli verdi e climi meno torridi: ogni anno, quasi 2 milioni di gnu si spostano in massa accompagnati da centinaia di migliaia di gazzelle, antilopi e zebre.

Nascondersi sotto la neve

subnivium invernale

Animali ed esseri umani nativi delle regioni temperate notarono velocemente che la neve non è soltanto un ostacolo, ma può essere sfruttata per convivere con la durezza del gelo invernale: la neve può essere utilizzata per realizzare uno strato isolante, come dimostrano gli igloo degli Inuit canadesi.

In natura, tra la neve e il terreno sottostante esiste in realtà un vero e proprio ecosistema chiamato subnivium in cui sopravvivono o prosperano invertebrati, piccoli mammiferi e addirittura animali a sangue freddo come alcuni rettili e anfibi.

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Il subnivium è un microclima relativamente caldo e isolato tutt’altro che immobile: oltre ai piccoli animali che vanno il letargo o in ibernazione, decine e decine di altre specie cacciano e socializzano in questo ambiente protetto dal gelo invernale.

Alcuni predatori invernali di taglia media o piccola come i gufi o le volpi possono percepire il movimento dei piccoli mammiferi che si spostano nel subnivium, mentre l’ermellino caccia attivamente penetrando in questo ecosistema e seguendo le tracce odorose lasciate dalle sue prede.

Antigelo naturale
rana lignea antigelo invernale
Rana sylvatica. Photo by Drew R. Davis.

La rana lignea (Rana sylvatica) è comune in tutta l’ America settentrionale. Le sottospecie dell’ Alaska devono tuttavia affrontare temperature molto più rigide delle loro cugine che vivono più a Sud, specialmente durante l’inverno quando il termometro rimane quasi costantemente sotto i -20°C.

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Anche se le rane lignee si rifugiano in buchi nel terreno o nel subnivium per superare all’inverno, spesso questa strategia non è sufficiente per sopravvivere al gelo dell’Alaska: le rane lignee sono quindi costrette ad utilizzare urea e glucosio per creare una sorta di antigelo naturale che consente a questi anfibi di sopravvivere fino alla primavera anche se il 65% della loro acqua corporea dovesse congelare.

Fare provviste
Scoiattolo rosso e scoiattolo grigio nordamericano (Sciurus carolinensis)

Questa strategia è di solito adottata da tutti gli animali che non entrano in uno stato di quiescenza, ma che sopravvivono grazie a fonti di cibo non più disponibili durante l’inverno.

L’esempio perfetto di questa strategia di sopravvivenza all’inverno è lo scoiattolo: questo animale non è capace di digerire la cellulosa e si è quindi adattato a nutrirsi principalmente di proteine, carboidrati e grassi contenuti in ghiande, noci, funghi, bacche e frutta, alimenti non disponibili durante la stagione più fredda. Non andando in letargo, lo scoiattolo deve quindi fare provviste di cibo nei mesi temperati per poter superare l’inverno.

Vita latente

ghiro in letargo

Lo stato di vita latente è una condizione in cui un animale riduce al minimo ogni processo metabolico allo scopo di preservare energie. La vita latente si presenta sotto varie forme, dal sonno profondo e ininterrotto lungo mesi interi fino all’ibernazione dei vertebrati a sangue freddo.

Il letargo, tipico dei mammiferi, prevede l’immobilità quasi totale e nessuna assunzione di cibo o liquidi. Il battito cardiaco si riduce fino a 1-2 pulsazioni al minuto, il grasso corporeo viene utilizzato per rifornire l’organismo di nutrienti e liquidi e il metabolismo rallenta ad una frazione del suo ritmo normale.

In base alla specie d’appartenenza, l’animale in letargo può rimanere immerso in un sonno profondo per tutto l’arco dell’inverno oppure svegliarsi a intervalli irregolari per poi tornare a dormire (come l’ orso bruno).

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L’ ibernazionesvernamento è invece un meccanismo spesso sfruttato dai vertebrati a sangue freddo come rettili, anfibi e pesci. Non si tratta di un sonno profondo, ma di un intorpidimento duraturo dovuto all’abbassamento della temperatura corporea.

Nel mondo degli insetti è comune la diapausa, una specie di letargo tipica anche di alcune specie di crostacei e lumache. Durante la diapausa l’animale non si alimenta e rimane in assoluta immobilità, una condizione simile alla quiescenza dei mammiferi ma in cui l’organismo blocca ogni tipo di crescita cellulare.

Letargo e Vita Latente

Eight ways that animals survive the winter

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