egitto – VitAntica https://www.vitantica.net Vita antica, preindustriale e primitiva Thu, 01 Feb 2024 15:10:35 +0000 it-IT hourly 1 Il nilometro egiziano https://www.vitantica.net/2020/06/16/nilometro-egiziano/ https://www.vitantica.net/2020/06/16/nilometro-egiziano/#respond Tue, 16 Jun 2020 07:15:45 +0000 http://www.vitantica.net/?p=4874 Per le antiche popolazioni che vivevano lungo il Nilo, le inondazioni stagionali erano una vera e propria benedizione. Il fiume riempiva d’acqua e limo i terreni nei pressi delle sponde, fertilizzandoli e consentendo il mantenimento di un’economia agricola sufficientemente sviluppata da alimentare faraoni e persone comuni.

Ogni inondazione significava vita: vita per i raccolti, vita per la fauna e la flora che sopravvivevano in un clima arido come quello nordafricano. Inondazioni scarse, tuttavia, si traducevano in raccolti magri e un’economia agricola sensibilmente rallentata; lo stesso valeva per inondazioni dalla portata eccessiva e distruttiva.

Per questo motivo gli Egizi e i popoli che vennero dopo di loro hanno sempre considerato fondamentale il saper prevedere con accuratezza le future inondazioni del Nilo; per farlo, si servirono dei nilometri (noti come miqyas).

Le inondazioni del Nilo

Le inondazioni stagionali del Nilo hanno origine negli altipiani etiopi. Tra giugno e novembre, le abbondanti precipitazioni degli altipiani si riversano nel Nilo Azzurro, uno dei due principali affluenti del Nilo.

Nella stagione delle piogge il Nilo accumula acqua anche grazie ad altri affluenti, come il fiume Atbarah, il Sobat e il Nilo Bianco, riversando più a nord quantità immense di acqua e sedimenti.

Questo complesso sistema di piogge stagionali e affluenti era del tutto sconosciuto agli Egizi, che si limitavano ad osservare il cambiamento del livello del Nilo senza tuttavia conoscerne le vere ragioni. Tramite l’osservazione attenta del fiume, gli Egizi riuscirono comunque ad individuare i segni precursori di un’inondazione.

Il Nilo era così importante per gli Egizi da portarli a dividere l’anno in tre stagioni: Inondazione (Akhet), Crescita (Peret) e Raccolta (Shemu). La stagione delle inondazioni era così stabile e prevedibile che gli Egizi erano in grado di calcolare il suo inizio osservando il moto della stella Sirio.

La prima osservazione sul livello del fiume all’inizio della stagione delle inondazioni avveniva ad Assuan, nei pressi delle cateratte del Nilo, intorno al mese di giugno. Le acque continuavano a salire fino all’inizio di settembre, momento in cui generalmente si mantenevano stabili per circa 2-3 settimane per poi risalire tra ottobre e novembre, mesi che segnavano il picco del volume d’acqua.

Assuan era una sorta di postazione-vedetta che metteva in allerta il resto dell’ Egitto: le inondazioni raggiungevano la città circa una settimana prima del Cairo, alzando il livello delle acque fino a oltre 13 metri; una volta risalita più a nord, l’inondazione perdeva intensità e, giunta al Cairo, aveva un livello medio di 7,5 metri.

Le inondazioni stagionali del Nilo erano ciò che rendeva fertile l’arido terreno egizio, ma potevano anche portare a distruzione o carestie: secondo i resoconti stilati tra l’anno 622 e l’anno 1000, le inondazioni di scarsa intensità si verificavano 1 volta ogni 4 anni, esponendo l’intera popolazione al rischio di fame.

Raccolti e tasse

Una scarsa inondazione del Nilo poteva mettere letteralmente in ginocchio le economie fluviali presenti lungo le sue sponde; lo stesso valeva per un’inondazione particolarmente intensa, capace di devastare i raccolti dell’anno. Prevedere l’intensità delle inondazioni rappresentava quindi un’abilità di importanza strategica per le economie che si erano sviluppate lungo il Nilo.

Essendo una civiltà ben strutturata, anche quella egizia aveva in cima alla piramide sociale alcune classi non produttive dal punto di vista economico, come sacerdoti, governanti locali e faraoni.

Gli esponenti di queste classi privilegiate vivevano letteralmente sulle spalle delle classi produttive grazie ad un sistema di tassazione, meno complesso del nostro ma non per questo meno interessante. Questo sistema si basava principalmente sul calcolo dei tributi in base alla terra posseduta e al raccolto prodotto, due elementi strettamente legati all’attività del Nilo.

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Nessuna famiglia contadina il cui campo abbia goduto di un’ottima annata grazie al Nilo è contenta di cedere una parte del raccolto come tributo ai potenti; la stessa famiglia potrebbe reagire in modo spiacevole (e con essa tutte le altre nelle stesse condizioni) se si esige da essa lo stesso tributo anche nelle annate peggiori.

Il nilometro era lo strumento utilizzato per calcolare “equamente” i tributi dell’anno corrente. Se il nilometro locale avesse registrato un livello delle acque del Nilo troppo basso, presagio di inondazioni scarse e potenziali carestie, le tasse sarebbero state abbassate rispetto ad una normale stagione d’inondazione.

Lo stesso valeva nel caso di livello delle acque troppo alto: inondazioni troppo intense avrebbero distrutto i raccolti e le strutture fondamentali per la vita quotidiana della gente comune.

Il nilometro

Nel corso della storia sono esistiti tre fondamentali tipologie di nilometro, alcune sopravvissute fino ad oggi come testimonianza dell’ingegno locale. Il primo tipo è sostanzialmente una colonna di pietra o marmo sorretta in verticale da una trave di legno in cima e posizionata all’interno di un pozzo.

La colonna veniva suddivisa in cubiti (un cubito equivale a circa 58 centimetri) incidendo una serie di tacche: l’altezza dell’acqua in cubiti forniva una buona indicazione del livello futuro del Nilo e della portata delle inondazioni in arrivo.

Nilometro di Rawda
Nilometro di Rawda

Il livello ideale delle acque nel nilometro di Rawda, realizzato secondo questo design, era intorno ai 16 cubiti; un livello inferiore poteva indicare un periodo di crisi dovuto a scarse inondazioni, mentre un livello superiore ai 19 cubiti era presagio di inondazioni catastrofiche in grado di distruggere campi e abitazioni.

All’avvicinarsi delle inondazioni, i sacerdoti incaricati di monitorare il flusso del Nilo scendevano sul fondo del nilometro usando una scalinata ed esaminavano la colonna per calcolare la portata delle future inondazioni.

Il nilometro era un luogo ad accesso riservato: solo i governanti locali, i sacerdoti e i faraoni potevano avere accesso alla struttura, spesso collocata all’interno di un tempio. La previsione delle inondazioni del Nilo era un’abilità che la politica sfruttava a suo vantaggio per calcolare la tassazione e impressionare le masse.

Il secondo tipo di nilometro, come quello visibile sull’Isola Elefantina, era costituito invece da una lunga scalinata (52 scalini nel caso di Elefantina) che scendeva direttamente sul fiume e provvista di indicatori che segnalavano il livello delle acque. Il nilometro di Elefantina era spesso uno dei primi a fornire previsioni sulle inondazioni, dato che si trovava presso il confine meridionale.

Nilometro di Kom Ombo
Nilometro di Kom Ombo

Il terzo tipo di nilometro, osservabile nel Tempio di Kom Ombo, era un sistema di canali che prelevava l’acqua dal Nilo e la depositava in una cisterna provvista di tacche. Il riempimento della cisterna forniva una buona indicazione della portata delle future inondazioni.

Diversi nilometri sono decorati da iscrizioni propiziatorie spesso ispirate da versi coranici relativi all’acqua, alla vegetazione e alla prosperità. Dai nilometri iniziavano anche alcune delle più grandi festività dell’ Egitto medievale, come il Fath al-Khalij (“Apertura del Canale”), un festival con cui si celebrava l’apertura del canale che collegava il fiume a campi e giardini.

L’importanza dei nilometri

La popolazione dell’ antico Egitto iniziò a convivere con le inondazioni cicliche del fiume circa 7.000 anni fa, architettando un ingegnoso sistema di fertilizzazione e irrigazione.

Le terre coltivabili, generalmente troppo aride prima delle inondazioni, venivano suddivise in campi circondati da dighe di terra fornite di canali d’ingresso e d’uscita. Quando il Nilo era in piena, si inondavano i campi più in alto rispetto al livello del fiume e li si lasciavano colmi d’acqua per circa 45 giorni, in modo tale da saturare d’acqua il terreno e permettere al limo di depositarsi.

Terminati i 45 giorni, venivano aperte le chiuse e l’acqua defluiva verso i campi più in basso. Al termine di questo ciclo di fertilizzazione, l’acqua tornava nuovamente nel Nilo. I campi appena svuotati venivano immediatamente arati e seminati: il raccolto sarebbe arrivato entro 3-4 mesi dalla semina.

Questo sistema agricolo è indissolubilmente legato ai capricci del Nilo: nei periodi di grandi inondazioni, le dighe venivano distrutte, il limo non riusciva a depositarsi e i campi erano sostanzialmente inutilizzabili; dopo inondazioni scarse o durante la stagione secca, era di fatto impossibile coltivare qualunque cosa. Ogni speranza di mangiare, allevare e commerciare per il resto dell’anno era quindi legata alle inondazioni stagionali e alla loro portata.

Nonostante la ristretta stagione di semina e raccolto, dopo un’inondazione di media intensità, la più frequente e desiderata dagli agricoltori egizi, era possibile sfamare dai 2 ai 12 milioni di abitanti.

Nilometer – Wikipedia
Nilometer
Exploring Nilometers in Egypt
Nilometers: Ancient Egypt’s Ingenious Invention Used Until Modern Times

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Incubatrici per uova in Egitto https://www.vitantica.net/2020/04/20/incubatrici-uova-egitto/ https://www.vitantica.net/2020/04/20/incubatrici-uova-egitto/#comments Mon, 20 Apr 2020 00:10:52 +0000 https://www.vitantica.net/?p=4852 Gli Egizi avevano una particolare debolezza per i volatili di ogni tipo: struzzi, oche, anatre, altri uccelli acquatici e non, erano tutti parte integrante della dieta di chiunque potesse permettersi la carne di questi animali.

A partire dal IV secolo a.C., polli e galline iniziarono a soppiantare altri tipi di volatili: erano più semplice da allevare, meno delicati e suscettibili a problemi di salute rispetto ad altri animali, si adattavano bene alla cattività, fornivano buona carne magra e singola gallina poteva produrre una media di 1-2 uova ogni 2-3 giorni, meno frequentemente delle galline moderne ma comunque un gran quantitativo di proteine di ottima qualità.

Produrre pulcini per ottenere carne, tuttavia, presenta alcuni aspetti negativi, specialmente se si ha intenzione di produrli in quantità sufficienti da sfamare una discreta fetta della popolazione. In primo luogo, far schiudere un uovo di gallina richiede normalmente 21 giorni, periodo in cui il volatile che ha dato alla luce le uova è costretto a covarle per svariate ore ogni giorno, prendendosi piccole pause per mangiare.

Questo significa che la gallina deve prima di tutto decidere di restare quasi 24 ore al giorno a covare le uova, decisione che potrebbe richiedere qualche giorno. Quando prevale l’istinto della cova, la gallina rimane sostanzialmente inutilizzabile per tre settimane, non depone altre uova e non può essere utilizzata per la produzione di carne.

Antiche incubatrici

Gli Egizi, ottimi osservatori e straordinari innovatori, iniziarono a incubare artificialmente le uova di volatili usando cumuli di letame in grado di mantenere una temperatura costante per i 21 giorni necessari alla schiusa. Ma questo metodo, raccontato da Aristotele, si rivelò non molto efficiente: il letame si secca col tempo e perde la sua capacità di isolante, oltre al fatto che può contenere solo una quantità limitata di uova e non può essere riutilizzato dopo il primo impiego.

Aristotele e, 200 anni più tardi, Diodoro Siculo, descrissero per la prima volta un nuovo tipo di incubatrice per uova ideato dagli Egizi: un sistema di “forni” di argilla o mattoni di fango progettati per replicare le condizioni di cova di una gallina.

Disegno di un'antica incubatrice per uova egiziana
Disegno di un’antica incubatrice per uova egiziana

Mantenendo stabile il calore e l’umidità, e rigirando le uova a intervalli regolari, una piccola struttura contenente 10 incubatrici era in grado di far schiudere fino a 4.500 uova in 2-3 settimane. Non solo poteva ridurre i tempi di schiusa, ma lasciava libere le galline (e i loro allevatori) di produrre e gestire altre uova.

Secondo Salima Ikram, professoressa di Egittologia alla American University del Cairo, l’incubatrice per uova di gallina egizia è un’invenzione relativamente recente. Le galline non sono native dell’Egitto e giunsero in Africa settentrionale probabilmente 10.000 anni fa attraverso la Mesopotamia; fu solo durante la dinastia Tolemaica che polli e galline diventarono una parte stabile della dieta egizia.

Funzionamento inizialmente misterioso

La base delle incubatrici per uova dell’antico Egitto è il forno di mattoni impiegato anche per la cottura del pane. Disposti solitamente in due file da 5 forni all’interno di un edificio grande quanto un’abitazione multifamiliare, queste strutture erano dotate di ciminiere coniche in corrispondenza del tetto per generare un flusso d’aria costante.

La documentazione storica non ci riporta con esattezza il funzionamento di queste incubatrici, anche se oggi possiamo farci un’idea di come potessero operare. Gli Egizi e i popoli che vennero dopo di essi erano molto gelosi delle loro incubatrici, e secondo gli osservatori europei, sempre ricchi di immaginazione, si trattava di strutture dai poteri soprannaturali.

Il frate inglese Simon Fitzsimons, durante il XIV secolo, descrisse in questo modo le incubatrici osservate in Egitto:

“Al Cairo, fuori dalla Porta e quasi immediatamente sulla destra […] c’è una casa lunga e stretta in cui le galline vengono generate col fuoco da uova di chioccia, senza galli, e in numero così grande da non poterle contare”.

Durante il Medioevo la nozione che in Egitto si producessero uova “tramite il fuoco” e senza l’uso di galli divenne sempre più popolare, e fu solo dopo il Rinascimento che furono condotte osservazioni più approfondite delle incubatrici, osservazioni non viziate da leggende e superstizioni.

Nel 1609 Conelis Drebbel inventò l’ “Athenor“, una incubatrice realizzata a partire da un armadietto alimentato a carbone in cui l’aria calda poteva circolare attorno ad un contenitore per le uova. L’invenzione sembrò funzionare, ma non fu mai portata avanti da Drebbel.

Descrizione del funzionamento di un'antica incubatrice per uova egiziana
Descrizione del funzionamento di un’antica incubatrice per uova egiziana

Nel 1750, René Antoine Ferchault de Réaumur ebbe modo di osservare dall’interno una di queste incubatrici, sciogliendo ogni dubbio sul loro presunta legame con la magia e descrivendone il funzionamento nella seconda edizione del suo libro “Art de faire éclorre et d’élever en toute saison des oiseaux domestiques“.

Secondo Réaumur, queste strutture avevano due ali simmetriche separate da un corridoio centrale; ogni ala conteneva fino a 5 camere su due livelli: le uova fertilizzate venivano posizionate in basso e mantenute al caldo da braci ardenti posizionate sul secondo livello e alimentate da sterco secco, un combustibile molto più facile da recuperare in Egitto rispetto al legname.

La sezione superiore e quella inferiore scambiavano aria tramite un’apertura circolare centrale. Lungo i lati della sezione superiore venivano posizionati blocchi di sterco di vacca o dromedario mescolati con paglia e compressi fino ad ottenere dei mattoncini di combustibile. Il fuoco veniva acceso due volte al giorno, al mattino e alla sera, e solo nei primi 8-10 giorni d’incubazione.

Le uova venivano girate ogni giorno e trasferite in zone più fredde o calde della camera d’incubazione in base alla necessità di esporle a più o meno calore. Quando il fuoco non era acceso potevano essere spostate nella sezione superiore per tenerle al caldo.

Gli addetti all’incubazione

Gli operai di queste incubatrici si occupavano di mantenere le braci costantemente accese, di controllare la temperatura e l’umidità delle camere d’incubazione e di girare le uova 3-5 volte al giorno, un’attività fondamentale per evitare che la membrana dell’embrione si attacchi al guscio e generi deformità nel pulcino.

Gli operai dovevano anche capire il momento adatto per terminare il processo di incubazione: prima della schiusa, i pulcini iniziano a generare sufficiente calore interno da non aver più bisogno della cova. La gallina intuisce il momento adatto per smettere di covare tramite l’istinto, saggiando la temperatura delle uova; gli operai delle incubatrici facevano lo stesso tenendo le uova tra le dita e intuendone lo stato di maturazione appoggiandole contro la palpebra.

Incubatrice per uova egiziana basata sull'antico design
Incubatrice per uova egiziana basata sull’antico design

Il rapporto di Réaumur ci dice che la maggior parte degli operai delle incubatrici proveniva da Berma, sul delta del Nilo. Il termine usato per definire questi lavoratori, bermawy, significherebbe proprio “uomo dal villaggio di Berma”. Gli operai delle incubatrici venivano quasi visti come una casta e il lavoro veniva trasmesso da padre in figlio.

Un solo operaio era sufficiente a far funzionare un’incubatrice a 10 camere d’incubazione. Il periodo di lavoro era di circa sei mesi, per un totale di 8 turni di schiusa. Secondo le statistiche di Réaumur, due terzi delle uova si schiudevano con successo.

Differenze con la produzione di uova europea

Usando le incubatrici, in Egitto era possibile produrre pulcini tutto l’anno. Gli allevatori europei, invece, potevano produrre pulcini solo in primavera e in estate, dato che la maggior parte delle galline non è in grado di generare sufficiente calore durante i mesi più freddi.

Réaumur tentò di replicare le incubatrici nordafricane in Francia, ma senza alcun risultato soddisfacente: richiedevano molto più calore e combustibile di quelle egiziane a causa del clima europeo più rigido. Réaumur sperimentò il letame di cavallo come combustibile, ma non si rivelò sufficientemente efficace, costringendolo ad utilizzare lo stesso legname impiegato dai forni parigini.

L’idea di Réaumur fu successivamente migliorata da Abbé Copineau, sfruttando lo stesso design ma impiegando lampade ad alcol per regolare la temperatura interna delle incubatrici. I tentativi di costruire un’incubatrice efficiente ed economica continuarono nei secoli successivi fino al 1897, anno in cui Lyman Byce, allevatore canadese, inventò l’incubatrice a lampada a carbone, che manteneva costante la temperatura tramite un regolatore elettrico.

Nonostante la modernità, l’incubatrice tradizionale è ancora in uso in Egitto e segue le antiche procedure di incubazione, con una sostanziale differenza: a generare calore non sono più braci prodotte dal letame, ma lampade a gas o kerosene. Secondo un report della FAO stilato da Ali Abdelhakim, presidente dell’ Organizzazione Generale dei Servizi Veterinari in Egitto, ancora oggi ci sono in attività circa 200 incubatrici per uova che seguono il sistema tradizionale.

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Breve storia della rasatura e del rasoio da barba https://www.vitantica.net/2020/03/30/breve-storia-rasatura-rasoio-da-barba/ https://www.vitantica.net/2020/03/30/breve-storia-rasatura-rasoio-da-barba/#comments Mon, 30 Mar 2020 00:10:05 +0000 https://www.vitantica.net/?p=4817 Quando è iniziata l’usanza di radersi la barba? Quale fu il primo utensile usato come rasoio? L’uso di strumenti per rasare barba e i capelli è più antico della storia scritta: nel corso dei millenni, l’essere umano è passato dall’impiego di strumenti rudimentali e poco efficaci, come bronzo e osso, a rasoi metallici sempre più affilati, resistenti ed efficaci.

Mediamente, il viso di un essere umano maschio e adulto è coperto da 25 centimetri quadrati di barba, l’equivalente ci circa 25.000 peli tra mento, guance e collo. La rimozione di questa peluria prevede l’uso di strumenti particolarmente affilati, in grado di scivolare sulla pelle con l’ausilio di acqua, creme o saponi.

In un remoto passato, tuttavia, ciò che si aveva a disposizione era pietra, ossa o metalli e leghe oggi considerate troppo “morbide” per la produzione di lame affilate e durature.

L’origine del rasoio da barba

L’atto di radersi è più antico della storia stessa. Ancora prima della nascita del rasoio, i peli facciali venivano probabilmente rimossi utilizzando due conchiglie come pinzette per estirparli, o impiegando frammenti di pietra tagliente (come la selce o l’ossidiana) o d’osso per tagliare la peluria indesiderata.

Rasoi di ossidiana prodotti da culture precolombiane in Messico
Rasoi di ossidiana prodotti da culture precolombiane in Messico

Alcune pitture rupestri raffigurano uomini con e senza barba, suggerendo la possibilità che circa 30.000 anni fa la rasatura o la rimozione della peluria facciale fosse una pratica relativamente comune. Selce e ossidiana (specialmente la seconda) possono consentire una rasatura facciale sorprendentemente efficace, anche se possono esporre al rischio concreto di tagli superficiali o incisioni più profonde della cute.

In alcune regioni asiatiche e in Medio Oriente non si usavano rasoi rudimentali, ma si eseguiva un’estirpazione dei peli corporei e facciali utilizzando fili ritorti che intrappolavano la peluria e la strappavano dalla pelle.

Fu tuttavia in Egitto che si stabilì la pratica regolare della rasatura tra le attività quotidiane di igiene personale. Lo storico greco Erodoto non mancò di far notare l’ossessione degli Egizi per l’igiene: si lavavano diverse volte al giorno e si rasavano volto e testa con regolarità, specialmente in ambito sacerdotale, dove i capelli e la barba erano considerati impuri e motivo di vergogna.

La rimozione dei capelli e della barba non era una pura questione estetica: il clima nordafricano e l’umidità del Nilo erano l’ambiente ideale per provocare irritazioni cutanee o infezioni accentuate dalla presenza di peli corporei, e un corpo glabro era generalmente più fresco di uno peloso.

Pulci e pidocchi erano inoltre molto comuni e molto difficili da combattere senza disporre di saponi specifici. La maggior parte degli Egizi non poteva permettersi unguenti e saponi profumati, e preferiva rimuovere totalmente l’ambiente ideale per i parassiti (capelli e peli) per impedire sul nascere la colonizzazione del proprio cuoio capelluto o di altre regioni del corpo più delicate.

I corredi funebri delle personalità egizie più prominenti prevedevano spesso la presenza di strumenti per la cura delle mani e dei piedi, oltre che cosmetici e rasoi da barba. Solo i contadini, gli schiavi, i criminali e i barbari portavano la barba, spesso considerata un segnale di trascuratezza e di scarsa igiene personale.

Rasoio e specchio egizi in bronzo
Rasoio e specchio egizi in bronzo

Le uniche eccezioni erano rappresentate dagli esponenti di famiglie particolarmente potenti: dato che Osiride aveva la barba, alcuni personaggi di spicco mantenevano i peli facciali come segno di vicinanza con il mondo divino.

I rasoi egizi erano generalmente in bronzo o in rame e avevano una forma ricurva, spesso a mezzaluna o a forma di piccola ascia, ma il loro utilizzo era sostanzialmente identico a quello dei rasoi moderni. Anche se più tenero del ferro o dell’acciaio, il bronzo può essere facilmente modellato per ottenere una lama sottile e tagliente, ideale per il taglio dei peli corporei.

La pietra pomice era un materiale comune per la depilazione: applicando “creme depilatorie” e sfregandola contro la pelle, eliminavano la maggior parte dei peli visibili attraverso un processo di abrasione.

Il rasoio nell’ Europa antica

Alcuni scavi condotti in tumuli funebri scandinavi risalenti al 1500-1200 a.C. hanno riportato alla luce alcuni rasoi di bronzo molto elaborati, con manici a forma di testa di cavallo. Questo suggerirebbe che anche in Europa alcune culture considerassero importante l’atto di radersi, ma questa attenzione per la rimozione dei peli facciali non era affatto condivisa da tutti.

Nella Grecia antica, ad esempio, i cittadini di sesso maschile davano molto valore alla propria barba, considerata simbolo di saggezza e di elevato status sociale. Molte divinità ed eroi greci avevano la barba (come Zeus o Ercole), e il taglio della barba era previsto solo durante periodi di lutto.

Fu durante il IV secolo a.C. che, promossa da Alessandro Magno, la rasatura iniziò a diffondersi in Grecia: secondo il condottiero macedone, la barba poteva essere usata dal nemico per afferrare un soldato durante il combattimento corpo a corpo.

Anche i Romani apprezzavano la barba, ma al contrario dei Greci cercavano di mantenerla costantemente corta e ben curata, oppure optavano per una rasatura completa. Secondo Livio, il rasoio fu introdotto a Roma durante il VI secolo a.C. dal re Tarquinio Prisco, ma ci volle oltre un secolo perché questo strumento diventasse d’uso comune tra la popolazione.

Rasoio romano in ferro datato tra il I e il V secolo d.C.
Rasoio romano in ferro datato tra il I e il V secolo d.C.

Nel III secolo a.C., i giovani romani celebravano il passaggio alla vita adulta sottoponendosi a rasatura della barba. Contrariamente a quanto facevano i Greci, era consentito lasciar crescere incolta la propria barba solo in caso di lutto.

Prima dell’introduzione del rasoio, i Romani erano soliti utilizzare pinzette metalliche, di legno o d’osso per estrarre i peli facciali uno ad uno. La rimozione della barba era una questione relativamente seria: una barba ben curata o una rasatura completa era uno degli elementi fisici che distinguevano un Romano da un barbaro o da un Greco.

I rasoi romani erano generalmente di ferro, ma la disponibilità di ossidiana e selce nei territori sotto il dominio di Roma consentiva di creare lame efficaci per la rasatura anche da pietra vulcanica o da materiale litico in grado di produrre fratture concoidi.

Sia ferro che ossidiana, tuttavia, presentano un problema cruciale: i rasoi di metallo e di pietra vulcanica rispettivamente si ossidano o tendono a frammentarsi a causa della fragilità del materiale, portando alla perdita del filo della lama ed esponendo il volto al rischio di ferite superficiali. I barbieri romani applicavano sui tagli facciali una lozione a base di sostanze profumate e tela di ragno impregnata d’olio d’oliva e aceto.

Dal Medioevo in poi

A partire dalle prime incursioni vichinghe dell’ VIII-IX secolo, la moda della rasatura cambiò di frequente. All’arrivo dei primi norreni sulle coste britanniche, gli invasori furono immediatamente accusati, tra le altre ingiurie, di essere sudici e dall’aspetto poco curato, con barbe e capelli molto lunghi.

Questo ritratto dei Vichinghi, che oggi consideriamo del tutto inaccurato, rilanciò la pratica della rasatura in tutta Europa, per distinguere gli uomini timorati di Dio dagli infedeli figli del demonio.

L’uso del rasoio rimase altalenante per secoli sotto l’influsso delle mode degli strati più elevati della società del tempo: Enrico VII viene annoverato tra i sovrani senza barba, ma Enrico VIII, suo successore, portava una barba corta e ben curata.

A partire dalla protesta di Martin Lutero, invece, alcuni protestanti iniziarono a lasciar da parte il rasoio in favore di una barba in grado di affermare la propria condivisione delle idee luterane.

Durante il Medioevo e oltre, l’uomo comune si rasava a casa con rasoi di ferro o bronzo; il rasoio rimarrà sostanzialmente immutato fino alla seconda metà del 1700. Chi poteva permetterselo, si recava da un barbiere o ne aveva uno tra la servitù domestica, ma la tecnologia a disposizione dei migliori barbieri del tempo rimaneva la stessa che l’uomo comune usava per tenere a bada la barba.

Rasoio in ferro del XV secolo
Rasoio in ferro del XV secolo

Tra il 1769 e il 1772 il barbiere francese Jean-Jacques Perret scrive “La Pogonotomie, ou L’art d’apprendre à se raser soi-même” (“Pogotomia, o l’Arte dell’Apprendere a Radersi”), un testo in cui analizza approfonditamente ogni minuzia della rasatura. Pochi anni prima, Perret aveva sviluppato il design moderno del rasoio a mano libera da barbiere, dotato di una lama estremamente affilata.

Tra i meriti di Perret c’è anche l’aver immaginato e creato il primo rasoio di sicurezza: si trattava di una lama dello stesso acciaio del rasoio a mano libera, ma incastrata in un telaio di legno per tenerla a distanza di sicurezza dalla pelle.

Il segreto dei rasoi di Perret era l’acciaio di Sheffield, un tipo di acciaio particolarmente duro e adatto alla fabbricazione di lame taglienti ideato da Benjamin Huntsman. Questo acciaio riscosse molto successo anche in Francia per la produzione di lame da barbiere.

Ben consapevole di sfondare il limite dell’età preindustriale, mi è impossibile non citare King C. Gillette, l’inventore del primo rasoio di sicurezza a lame rimovibili. Nel 1895, Gillette rivoluzionò il mercato dei rasoi creando un modello di business basato sulla vendita di milioni di lame economiche e sostituibili attaccate ad un manico venduto ad un prezzo pari o inferiore al costo di produzione.

Le vendite nel primo anno (1903) furono terribili: 51 rasoi e 168 lame. Nell’arco del secondo anno, invece, le vendite decollarono superando i 90.000 rasoi e oltre 123.000 lamette. Nel 1908, a sei anni dall’ apertura della Gillette Safety Razor Company, l’azienda possedeva fabbriche negli Stati Uniti, in Canada e in Europa; Nel solo 1915, la Gillette ha venduto 450.000 rasoi e oltre 70 milioni di lamette.

The History of Shaving – From Prehistoric Times to Modern Day
Shaving History
THE HISTORY OF SHAVING AND BEARDS
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How did men in ancient times shave?

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Marijuana e hashish nel medioevo arabo https://www.vitantica.net/2020/03/16/marijuana-hashish-medioevo-arabo/ https://www.vitantica.net/2020/03/16/marijuana-hashish-medioevo-arabo/#respond Mon, 16 Mar 2020 00:10:34 +0000 https://www.vitantica.net/?p=4808 Il problema di uso e abuso di sostanze psicotrope, siano esse droghe leggere o pesanti, non è un fenomeno moderno. Anche se nell’antichità era molto più facile trovare sostanze (oggi illegali) nei mercati cittadini o dal proprio speziale di fiducia, la loro legalità e i comportamenti originati dal loro abuso furono per secoli oggetto di dibattito.

La marijuana, nel XXI secolo come in passato, ha conosciuto oppositori e sostenitori incalliti. Nel mondo medievale arabo era conosciuta sotto diversi nomi, primo tra tutti “l’ Erba”; la si poteva trovare nei mercati egiziani medievali e veniva impiegata per produrre hashish, consumato quotidianamente da una fetta di popolazione locale tra il XIII e il XV secolo.

Nel suo libro “The Herb: Hashish versus Medieval Muslim Society” (1971), Franz Rosenthal esamina l’uso della marijuana nella società medievale islamica, mostrando un quadro sociale e giuridico non molto differente da quello moderno.

Le droghe nell’ Egitto medievale

I reperti archeologici suggerirebbero che la cannabis fosse presente in Egitto già 5.000 anni fa, ma non si ha alcuna prova del suo utilizzo psicoattivo o ricreativo. La divinità egizia Seshat, dea della saggezza, della scrittura, delle scienze e dell’architettura, viene quasi sempre raffigurata con un emblema a sette punte sopra la testa, un emblema che per alcuni sarebbe riconducibile alla foglia di cannabis.

Secondo H. Peter Aleff, nell’articolo “Seshat and her tools” in cui sostiene che l’emblema della dea sia in realtà una foglia di cannabis:

“Molti egittologi hanno speculato a lungo sull’emblema che Seshat indossa sulla testa. Sir Alan Gardiner lo descrisse nel suo libro ‘Egyptian Grammar’ come un ‘fiore stilizzato (?) sormontato da corna’. Il suo punto interrogativo dopo ‘fiore’ riflette il fatto che non c’è alcun fiore che somiglia a quello. Altri lo hanno chiamato ‘stella sormontata da un arco’, ma le stelle nell’antica iconografia egizia avevano cinque punte, non sette come l’emblema di Seshat. Questo numero era così importante che portò il faraone Tutmosi III a chiamare questa dea ‘Sefkhet-Abwy’, o ‘Quella dalle sette punte'”.

Sappiamo per certo, invece, che l’Egitto iniziò a produrre hashish dalla canapa almeno 9 secoli fa. La prima testimonianza della parola “hashish” appare in un opuscolo pubblicato al Cairo nel 1123 d.C.. Il documento accusava i musulmani del ramo Nizaris, attualmente il più grande gruppo di ismailiti sciiti, di essere dei “mangiatori di hashish”. Il consumo di hashish tramite la combustione, infatti, non divenne comune fino all’introduzione del tabacco nel Vecchio Mondo: fino al 1500 l’hashish prodotto nel mondo islamico veniva ingerito e non fumato.

Storia dell'hashish
Storia dell’hashish

Nel 1596 Jan Huyghen van Linschoten usa tre pagine della sua opera “Reys-gheschrift vande navigatien der Portugaloysers in Orienten” (“Resoconti di viaggio della navigazione portoghese in Oriente”) per descrivere la “bangue” (bhang, una preparazione commestibile della cannabis in uso nel subcontinente indiano).

“Come in India, la bangue è usata anche in Turchia e in Egitto, e viene prodotta in tre qualità chiamate con altrettanti nomi. La prima varietà è quella chiamata Assis (hashish) dagli Egiziani, fatta di polvere o foglie di canapa con l’aggiunta di acqua per ottenere una pasta o un impasto; ne mangiano cinque pezzi, ciascuno grande quanto una noce. L’hashish è usato dalla gente comune per via del suo prezzo basso”

Nell’arco dei secoli i governanti d’Egitto e gli ufficiali locali hanno spesso cambiato idea sul livello di tolleranza da applicare alla marijuana e all’hashish, specialmente per i sottoprodotti della canapa chiamata “canapa indiana”, la più coltivata nei giardini privati egiziani.

In alcuni periodi storici si decise di seguire una linea molto dura, dalla pena di morte per il possesso di hashish ad una procedura estremamente violenta e dolorosa prevista per i consumatori: la rimozione di tutti i molari (su editto dell’ emiro Sudun Sheikuni, anno 1378).

Durante l’epidemia di peste del 1419, invece, gli ispettori dei mercati locali si dimostrarono più tolleranti, ritenendo accettabile la vendita di hashish a patto che le transazioni fossero condotte privatamente a porte chiuse, lontano dai luoghi pubblici e dai mercati.

Il consumo di hashish, tuttavia, divenne sempre più frequente e comune nonostante le policy di controllo imposte dalle autorità: nel XV secolo era possibile consumarlo ovunque, nei bagni pubblici o durante feste private.

Gli oppositori dell’hashish

Anche se i medici medievali erano consapevoli degli effetti positivi della cannabis (la somministravano, ad esempio, per curare l’inappetenza o come diuretico), conoscevano altrettanto bene gli aspetti negativi causati dal consumo abituale, anche se spesso descrivevano le problematiche dell’utilizzo dei prodotti della canapa con esagerazioni prive di alcuna base scientifica o empirica.

Il medico Ibn Wahshiyah, vissuto nel X secolo, consigliò nella sua opera “Il Libro dei Veleni” di usare cautela nella somministrazione di hashish, dato che l’estratto di canapa potrebbe causare la morte se combinato ad altri farmaci.

Az-Zarkashi, medico egiziano del XIV secolo, fornisce una lista completa dei potenziali problemi legati all’uso di hashish:

“Distrugge la mente, riduce la capacità riproduttiva, produce elefantiasi, trasmette la lebbra, attrae malattie, produce tremori, fa puzzare la bocca, secca il seme, causa la caduta delle sopracciglia, brucia il sangue, provoca la carie, fa emergere malattie nascoste, danneggia gli intestini, rende gli arti inattivi, causa fiato corto, genera forti illusioni, diminuisce il potere dell’anima”.

Pensavate fosse finita la lista? Az-Zarkashi aggiunge molto altro:

“Riduce la modestia, rende la carnagione gialla, annerisce i denti, perfora il fegato, infiamma lo stomaco [..] L’hashish genera in coloro che la mangiano pigrizia e indolenza. Trasforma un leone in uno scarabeo e rende umile un uomo orgoglioso, e malato un uomo sano. Se la si mangia, non se ne ha mai abbastanza. Rende sciocche persone dotate di una buona parlantina, e stupidi gli intelligenti. Sottrae ogni virtù maschile e fa terminare la prodezza giovanile. Distrugge la mente, arresta lo sviluppo dei talenti naturali”

Le discussioni sull’hashish in ambito accademico e religioso non mancarono: c’era chi sosteneva che dovesse essere proibito come il vino, dato che si trattava di una sostanza intossicante; altri invece indicavano che il Corano e Maometto non menzionano mai (e di conseguenza non sanzionano) l’uso di marijuana.

Gli studiosi arabi tentarono anche di capire come comportarsi in determinate circostanze legali relative al consumo di cannabis: un uomo può chiedere il divorzio sotto l’effetto di hashish? (La risposta è si) Può alimentare i propri animali con cannabis? (No, a meno che non avesse intenzione di farli ingrassare)

Lo storico arabo al-Maqrizi descrisse il consumo di hashish durante il XV secolo, non mancando di condannare i consumatori abituali che contribuivano a rovinare la società del suo tempo:

“Il carattere e il morale sono diventati incredibilmente vili, il velo di timidezza e vergogna è stato sollevato, la gente usa un linguaggio volgare, si vanta dei propri difetti, ha perso ogni nobiltà e virtù, ha adottato ogni sorta di brutta qualità e vizio. Se non fosse per la loro forma umana, nessuno li considererebbe umani. Se non fosse per la loro percezione dei sensi, nessuno giudicherebbe loro gli esseri viventi”

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Il “movimento Pro-hashish”

Nonostante le condanne dei più severi studiosi e governanti arabi, erano in molti a considerare i prodotti della canapa come vere e proprie medicine, e l’uso ricreativo era molto comune.

I consumatori egiziani del Medioevo, in particolari i dotti che hanno ci hanno lasciato documentazione storica, riportarono spesso gli effetti dell’uso di hashish: letargia, fame, talvolta allucinazioni generalmente positive; c’era anche chi sosteneva che la musica avesse un suono migliore sotto gli effetti della cannabis.

Al-Ukbari, scrittore del XIII secolo apparentemente a favore del consumo di hashish, descrive gli effetti in questo modo:

“Solo le persone intelligenti e buone usano hashish. Quando la si prende, si dovrebbe consumare solo i cibi più leggeri e i migliori dei dolci. Occorre sedersi nei posti più piacevoli e circondarsi degli amici più cari.”

Secondo lo storico Takiy Eddin Makrizy, vissuto nella prima metà del XV secolo, la cannabis (che chiama kounab, hashish o kif) non era una buona abitudine, ma il suo consumo era così diffuso che alcuni contemporanei non esitavano a definirla come “un’istituzione sacra”.

Il testo medico del XVI secolo Makhzan-El-Adwiya celebra invece le virtù mediche dell’hashish:

“Le foglie, tritate fino a polverizzarle e inalate, purificano il cervello; la linfa delle foglie applicata sulla testa elimina la forfora e i parassiti; alcune gocce di succo introdotte nelle orecchie alleviano il dolore e distruggono vermi e insetti. E’ utile contro la diarrea e la gonorrea, limita le emissioni seminali ed è un diuretico. La polvere è raccomandata per applicazioni esterne sulle ferite: le radici o le foglie, bollite e schiacciate, sono eccellenti contro le infiammazioni e neuralgie”

Cannabis in the Islamic Middle Ages
HASHISH IN ISLAM 9TH TO 18TH CENTURY
Getting High in the Middle Ages: Hashish in Medieval Egypt

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Merit Ptah: personaggio reale o immaginario? https://www.vitantica.net/2019/12/19/merit-ptah-reale-immaginario/ https://www.vitantica.net/2019/12/19/merit-ptah-reale-immaginario/#respond Thu, 19 Dec 2019 00:22:24 +0000 https://www.vitantica.net/?p=4745 In questo post sulla timeline della medicina dall’antichità ad oggi, viene citata una figura femminile di particolare importanza, una delle prime donne ad aver dedicato la sua vita all’arte curativa e unanimamente considerata la prima ad aver conquistato una posizione di potere grazie alla pratica medica: Merit Ptah.

Il nome di Merit Ptah si trova ovunque, dalle citazioni su libri scritti nell’ultimo secolo ai più moderni videogiochi; il suo nome è stato anche utilizzato per battezzare un cratere sul pianeta Venere.

Si tratta di un personaggio iconico, un simbolo di emancipazione femminile e l’incarnazione stessa della medicina antica; ma tutte le menzioni di questo mondo non possono nascondere il fatto che Merit Ptah, in realtà, è molto probabilmente un personaggio di pura fantasia.

La “storia” di Merit Ptah

Su questa figura femminile dell’antico Egitto sappiamo ben poco (le ragioni saranno più chiare leggendo il resto del post), ma da ciò che si racconta ormai da decadi, fu una delle prime curatrici a raggiungere una posizione di potere nella corte del faraone, e probabilmente la prima donna ad essere menzionata nella storia della medicina.

Il suo nome significa “Amata da Ptah”: Ptah era la divinità protettrice della città di Memphis, esistente ben prima della creazione dell’universo, venuto alla luce per sua volontà. Merit Ptah sarebbe vissuta quasi 5.000 anni fa, al termine del periodo Protodinastico.

Un’apparente prova dell’esistenza di Merit Ptah sarebbe la raffigurazione di una donna nella necropoli di Saqqara e una citazione sulla tomba del figlio, che la definisce “Sommo Medico.

Errore d’identità

Jakub Kwiecinski, storico della medicina della University of Colorado’s School of Medicine, ha deciso di scavare più a fondo nella documentazione storica disponibile agli egittologi per capire se Merit Ptah sia stato un personaggio realmente esistito, o sia solo il frutto di una mescolanza tra realtà e fantasia.

La popolarità di Merit Ptah inizia nel 1938: appare in un libro di Kate Campbell Hurd-Mead in cui vengono delineate alcune figure femminili nella storia della medicina. Nel suo libro, Hurd-Mead identifica Merit Ptah come la prima dottoressa della storia, vissuta intorno al 2730 a.C. e madre di un sacerdote di alto rango sepolto nella Valle dei Re.

All’interno della tomba di questo sacerdote sarebbe stata trovata una tavoletta che citava la madre, chiamata Merit Ptah, come il “Capo Medico” del faraone, un titolo molto prestigioso e generalmente riservato a uomini di alto rango.

La scoperta descritta da Hurd-Mead appare estremamente affascinante, se non fosse per un piccolo dettaglio: la Valle dei Re non esisteva all’epoca in cui sarebbe vissuta la donna (risale a oltre un millennio dopo), e non esiste alcun documento che citi Merit Ptah nelle liste di curatori e curatrici dell’antico Egitto.

Merit Ptah: personaggio reale o immaginario?

Da dove deriva quindi la citazione di Merit Ptah? Probabilmente da un libro in possesso di Hurd-Mead, un volume che cita una curatrice di nome Peseshet, il cui nome appare nella tomba del figlio Akhethetep, vissuto intorno al 2400 a.C..

La tomba di Akhethetep si trova a Giza e include una falsa porta che riporta la raffigurazione del padre e della madre, quest’ultima descritta come la “Sovrintendente delle Donne Curatrici”. Secondo Kwiecinski, Hurd-Mead fece confusione tra Merit Ptah e Peseshet.

“Sfortunatamente, Hurd-Mead nel suo libro mescola accidentalmene il nome dell’antica curatrice, la data in cui visse e la località della tomba” afferma Kwiecinski. “Da allora, da un caso di errata identificazione di un’autentica curatrice dell’antico Egitto, Peseshet, nacque Merit Ptah, ‘la prima dottoressa’”.

Nome reale, personaggio di fantasia

“Merit Ptah, come nome, esisteva nell’antico Egitto (era il nome della moglie di Ramose, governatore di Tebe sotto Akhenaton), ma non appare in alcuna delle liste di curatori, nemmeno come un personaggio leggendario o come ‘caso controverso'”, sostiene Kwiecinski. Il suo nome non è presente negli elenchi delle donne amministratrici, e non ci sono riferimenti alla curatrice all’interno delle tombe conosciute.

Ma la figura di Merit Ptah è ormai largamente diffusa come simbolo di emancipazione, sospinta anche da venti ideologici. “E’ stata associata con il problema, estremamente emozionale, partigiano, ma anche profondamente personale, della parità di genere. Tutto questo ha creato una tempesta perfetta che ha alimentato la storia di Merit Ptah”.

Merit Ptah potrebbe quindi essere un personaggio partorito dall’errore di interpretazione di una scrittrice, ma questo non significa che nell’antico Egitto non esistessero curatrici di particolare importanza.

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Peseshet, vissuta verso il termine della Quarta Dinastia, viene descritta come “Sommo Medico”, o “Sovrintendente delle Donne Curatrici”, proprio come la Merit Ptah citata da Hurd-Mead. Non sappiamo se lei stessa fosse un medico, ma la citazione nella mastaba del figlio Akhethetep la colloca in una posizione sociale molto elevata.

Anche su Peseshet conosciamo ben poco: una falsa porta nella mastaba del figlio la cita per nome e la mostra insieme ad un uomo chiamato Kanefer, probabilmente il marito; sappiamo tuttavia che Peseshet è stato un personaggio realmente esistito, la prima donna della storia della medicina ad essere ricordata ancora oggi.

Celebrated Ancient Egyptian Woman Physician Likely Never Existed, Says Researcher
Peseshet
Merit Ptah, “The First Woman Physician”: Crafting of a Feminist History with an Ancient Egyptian Setting

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Cosa mangiavano gli Egizi? https://www.vitantica.net/2019/11/25/cosa-mangiavano-gli-egizi/ https://www.vitantica.net/2019/11/25/cosa-mangiavano-gli-egizi/#comments Mon, 25 Nov 2019 00:10:12 +0000 https://www.vitantica.net/?p=4664 Il cibo egizio era composto prevalentemente da alimenti come cereali, frutta e verdura. Tra i più consumati nella quotidianità c’erano pane, latte, oli vegetali, fagioli, olive, cipolle, aglio e datteri.

Questo non significa che gli Egizi non consumassero carne: pesce di fiume, carne di pollame o uccelli selvatici, bovini, capre e pecore erano relativamente comuni sulle tavole egizie, specialmente nelle diete di chi praticava lavori pesanti.

Operai edili e carne

L’analisi degli insediamenti destinati agli operai addetti alla costruzione delle piramidi ha mostrato una grande presenza di ossa animali appartenenti ad anatre, pecore, capre e maiali; ma le ossa più abbondanti sono quelle di bovini.

In un articolo di Alexander Stille pubblicato sullo Smithsonian Magazine nell’ottobre del 2015 si riporta che:

“[…] giudicando dai resti rinvenuti nel sito, [gli operai] mangiavano una gran quantità di manzo. Il bestiame veniva generalmente cresciuto in zone rurali e forse trasportato tramite barche verso gli insediamenti reali di Menfi e Giza, dove venivano macellati. I maiali, al contrario, venivano consumati prevalentemente da chi produceva cibo. Gli archeologi studiano il rapporto tra bovini e maiali come indicatore dell’ approvvigionamento di cibo degli operai da parte dell’autorità centrale”.

Gli operai che costruirono le piramidi consumavano carne in abbondanza, spesso anche quella riservata alle caste sociali più elevate della loro. La scoperta di ossa di ippopotamo, rami d’ulivo e denti di leopardo sembra confermare l’idea che questi lavoratori fossero trattati bene: si trattava di manodopera specializzata e particolarmente costosa.

Proteine animali nell’alimentazione egizia

Gli antichi Egizi mangiavano principalmente proteine provenienti da carne bovina, di pecora, di capra, di volatili e pesce. Il tipo di carne consumata era anche un indicatore dello status sociale d’appartenenza: le carni d’oca e di vitello erano considerate delizie riservate agli strati più alti della società egizia.

Il maiale veniva considerato meno utile di capre, pecore e bovini in uno stile di vita come quello egizio: non poteva essere allevato e trasportato su lunghe distanze e non è adatto alla pastorizia. Non forniva sottoprodotti alimentari come latte o cuoio e godeva di una pessima reputazione nella società egizia.

Anche se consumato in alcune regioni e periodi storici, il maiale veniva considerato un animale impuro associato al dio Seth. La carne di maiale era riservata principalmente a operai e macellai, e in alcuni contesti sociali il solo atto di toccare un maiale veniva visto come un gesto impuro.

Per quanto riguarda il pesce, alcune specie fluviali venivano pescate e consumate quotidianamente, mentre altre erano considerate intoccabili perché facenti parte del pantheon di creature care alle divinità egizie: il persico del Nilo (Lates niloticus), ad esempio, era venerato in alcune località perché legato al mito di Osiride e considerato sacro.

Pane e cereali
Pane e cereali nell'antico Egitto
Pane e cereali nell’antico Egitto

Gli operai addetti alla costruzione delle piramidi consumavano pane quotidianamente, come tutto il resto della popolazione egizia. Anche se circondati da una natura ostile e prevalentemente desertica, gli Egizi furono in grado di ricavare nicchie ecologiche adatte alla coltivazione dei cereali imparando a gestire l’irrigazione dei campi e le piene stagionali del Nilo.

Il pane veniva prodotto principalmente con farro o orzo. Sappiamo dalla documentazione dell’epoca che esistevano almeno 14 tipi di pane, da quelli non lievitati a pagnotte integrali non molto differenti da quelle moderne.

Le granaglie venivano tritate con macine di granito e gli impasti inseriti in stampi di pietra preriscaldati dalla forma circolare, conica o appuntita. Tra gli oggetti rinvenuti a Umm Mawagir (letteralmente “madre delle forme di pane”), un insediamento egizio fiorito nel deserto circa 3.500 anni fa, è stato trovato un doppio stampo per il pane del peso di circa mezza tonnellata.

Il pane egizio aveva un contenuto di glutine inferiore a quello moderno. Il glutine aiuta a produrre pane più soffice e a riempirlo d’aria; la scarsa presenza di glutine rendeva il pane egizio denso e pesante.

La lievitazione era un processo misterioso per gli Egizi. Non avendo familiarità con la chimica dei lieviti, ritenevano che il pane aumentasse di dimensioni grazie alla “magia”. L’impasto del pane, lasciato tradizionalmente riposare per una settimana, iniziava a fermentare grazie alla presenza in natura di lieviti selvatici.

Dato che il pane veniva preparato utilizzando utensili e macine di pietra, negli impasti venivano involontariamente introdotti micro-cristalli di quarzo, feldspato, mica e minerali ferrosi, frammenti litici che lasciano segni evidenti sulla dentatura dopo un consumo prolungato.

Frutta, verdura e legumi
Frutta, verdura e legumi nell'antico Egitto
Frutta, verdura e legumi nell’antico Egitto

La cipolla era una verdura dominante nell’alimentazione egizia: la sua struttura a strati rappresentava gli innumerevoli livelli dell’universo e la sua rilevanza simbolica era tale da essere utilizzata come simbolo sacro per pronunciare giuramenti solenni.

Anche se a Roma l’aglio veniva considerato un alimento adatto alle classi più povere, in Egitto era comune nella dieta di tutte le classi sociali. Uno schiavo poteva essere acquistato al costo di circa 7 kg di bulbi, e la riduzione della fornitura di aglio era una delle misure più comuni per controllare la popolazione.

Piselli, lenticchie e cetrioli erano altre verdure comuni nella dieta dell’antico Egitto. Il ravanello fece il suo ingresso nei pasti egizi circa 4.000 anni fa, spesso in compagnia di cipolla e aglio; secondo Erodoto, gli Egizi ritenevano che il ravanello fosse un potente afrodisiaco.

I meloni furono tra le prime colture egizie, insieme ad orzo, farro, legumi, uva, mandorle e datteri. Anche se sono nativi dell’Iran e della Turchia, i meloni furono raffigurati nelle tombe egizie fin dal 2.400 a.C. e vennero citati nella documentazione storica greca intorno al III secolo a.C.

Gli Egizi insaporivano le loro pietanze con sale marino, timo, maggiorana ed essenze estratte da frutta e noci, come le mandorle. Anche la liquirizia, considerata un afrodisiaco, era molto apprezzata nella cucina dell’antico Egitto: pare che il faraone Tutankhamon la consumasse prima di un incontro romantico con la consorte.

Nelle regioni meridionali dell’antico Egitto (la Nubia) ci sono prove che testimoniano la presenza di vaste coltivazioni di sorgo e datteri. I datteri furono probabilmente il tipo di frutta più consumato e diffuso, apprezzato per il suo elevato contenuto di zuccheri e proteine; venivano spesso utilizzati in sostituzione del miele per dolcificare le pietanze, o per produrre bevande fermentate.

Dolci e bevande

Dolci e bevande nell'antico Egitto

Le prime testimonianze documentali e artistiche di dolci nell’antico Egitto risalgono al 2.000 a.C.. Alcune raffigurazioni scoperte all’interno di tombe dell’ XI dinastia mostrano la realizzazione di dolciumi all’interno di templi allo scopo di creare offerte agli dei.

Circa 3.000 anni fa gli Egizi producevano caramelle composte da miele, erbe aromatiche, spezie e frutti acidi. Una torta molto comune veniva realizzata con miele e sesamo: all’interno della tomba di Pepionkh, risalente al 4.200 a.C., è stato trovato un esemplare di questo alimento, probabilmente il più antico pezzo di torta mai scoperto.

Uno dei dolci più comuni veniva realizzato utilizzando il cipero (Cyperus esculentus), un tubero commestibile che cresce in paludi e acquitrini. La ricetta dei dolci a base di cipero è stata trovata all’interno di un vaso d’argilla egizio risalente a circa 1.600 anni fa: dopo aver tritato il tubero in piccoli frammenti, si aggiungeva miele, spezie e pezzi di datteri prima di modellare il composto in piccole sfere.

Le bevande costituivano una parte importante nell’alimentazione. I più ricchi potevano permettersi di consumare vino in abbondanza, ma era la birra la stella di ogni pasto. Consumata di fatto da chiunque, la birra veniva prodotta utilizzando pagnotte parzialmente cotte di orzo sbriciolate in una mistura di acqua e orzo.

Le pagnotte servivano ad innescare l’attività dei lieviti necessari a produrre la birra. Trascorso il certo periodo di fermentazione, il composto veniva filtrato e, se necessario, speziato con fichi e datteri.

La birra egizia aveva un contenuto di alcol variabile, anche se la più comune conteneva l’ 8-9% di alcol. Si utilizzavano vasi differenti in base alla gradazione: i vasi rossi indicavano una gradazione alcolica standard, quelli neri erano destinati alla birra più potente, mentre i vasi di altro colore venivano impiegati per la birra aromatizzata.

Fonti per “Cosa mangiavano gli Egizi?”

Food and Drinks in Ancient Egypt
ANCIENT EGYPTIAN FOOD
What Did Ancient Egyptians Really Eat?
The Diet of the Ancient Egyptians

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Ascia di pietra, bronzo e acciaio a confronto https://www.vitantica.net/2019/05/10/ascia-pietra-bronzo-acciaio-confronto/ https://www.vitantica.net/2019/05/10/ascia-pietra-bronzo-acciaio-confronto/#comments Fri, 10 May 2019 00:10:40 +0000 https://www.vitantica.net/?p=4116 E’ difficile riuscire a trovare informazioni corrette e accurate sull’efficacia degli utensili utilizzati in epoca preistorica. Non molti ricercatori si dedicano alla ricostruzione pratica delle antiche tecnologie, ancora meno rivolgono la loro attenzione alla realizzazione di utensili d’uso quotidiano.

L’ archeologia sperimentale e gli “esperimenti imitativi”, con tutti i loro limiti che qualcuno più competente di me potrebbe elencare, forniscono tuttavia alcuni preziosi indizi sull’ingegno dei nostri antenati e sulle risorse da loro utilizzate per semplificarsi la vita.

Con l’inizio della lavorazione della pietra, l’ascia iniziò a costituire un utensile e un’arma estremamente versatile: poteva essere ovviamente impiegata per recuperare legname, ma trovava impiego in moltissimi altri ambiti in un contesto di vita a stretto contatto con la natura.

Dipendentemente dalla sua tecnologia costruttiva e dai materiali impiegati, l’ascia rappresentò anche uno strumento multiuso per lavori di precisione, per la caccia, per la guerra, o un semplice “spaccaossa” per la lavorazione delle carcasse animali.

Quanto è realmente efficace un’ascia di pietra?

Quali sono le reali prestazioni di un’ascia di pietra in confronto a bronzo e acciaio? Ogni ascia è dotata di una testa, una lama spessa, resistente e talvolta molto affilata. E’ facilmente intuibile che la testa di un’ascia costituisca un elemento importante per l’efficacia dell’utensile; anche il manico è rilevante, ma una testa degna di tale nome può essere all’occorrenza facilmente adattata ad una nuova impugnatura, più performante, resistente o leggera.

Una comparazione sul campo tra asce di pietra, bronzo e acciaio è stata fatta nel 2010 da James R. Mathieu e Daniel A. Meyer della Boston University e pubblicata sulla rivista Journal of Field Archaeology. Il metodo adottato nella ricerca prevede l’abbattimento di alcune specie di alberi tipiche dell’emisfero settentrionale utilizzando asce realizzate con diversi materiali.

Asce di bronzo (a sinistra) e asce di pietra (a destra) impiegate nell'esperimento
Asce di bronzo (a sinistra) e asce di pietra (a destra) impiegate nell’esperimento

Ciò che hanno fatto i ricercatori aveva un obiettivo fondamentale: mettere a confronto pietra, bronzo e acciaio in termini di efficienza per comprendere nel miglior modo possibile la praticità di questi utensili.

Calcolare con esattezza i tempi di abbattimento di un albero pare non sia così semplice: fin dal 1960 sono state effettuate diverse comparazioni nelle tempistiche di abbattimento utilizzando diversi tipi di acciaio; talvolta si è anche tentato di paragonare le asce moderne a quelle di pietra, ma il confronto di efficienza non si basa soltanto sul tempo necessario ad abbattere un tronco.

L’efficienza nell’abbattimento di un albero si calcola tenendo in considerazione anche il rapporto di kilocalorie consumate per ogni centimetro di taglio (pollice, in questo caso). Negli anni ’70 del 1900, ad esempio, Stephen Sarayadar e Izumi Shimada hanno calcolato che l’acciaio fosse quasi 4 volte più efficiente della pietra in quanto a tempistiche e circa 3 volte più efficiente in termini di calorie consumate.

Asce di pietra, bronzo e acciaio alla prova sul campo

Le asce di bronzo utilizzate nell’esperimento erano repliche di utensili risalenti al 1400-900 a.C., realizzate con una lega di bronzo al 90% da rame e al 10% di stagno e modellate sulla base di alcuni reperti custoditi allo University Museum of Archaeology and Anthropology.

Differenza di prestazioni tra asce di bronzo e asce di acciaio
Differenza di prestazioni tra asce di bronzo e asce di acciaio

Anche le asce di pietra sono state realizzate partendo da esemplari di teste d’ascia di pietra custoditi nello stesso museo e rinvenuti nei pressi del lago di Costanza, in Svizzera. Due teste d’ascia erano in selce, altre due invece di pietra afanitica, un tipo di roccia ignea criptocristallina composta da cristalli dal diametro inferiore agli 0,5 millimetri (come il basalto o l’andesite).

I test sono stati condotti con 4 teste d’ascia in acciaio (dal peso compreso tra i 600 grammi e i 2,3 kg), 4 teste di bronzo tra 1 kg e 1,9 kg e 8 teste di pietra (con peso compreso tra i 2 kg e i 2,7 kg). Sono state impiegate lame di larghezza differente e manici di lunghezza compresa tra i 30 e i 91 cm.

Gli alberi selezionati per l’abbattimento avevano un diametro da 8 centimetri a quasi 34 centimetri; sono stati utilizzati pioppi, pini, aceri, olmi, querce e betulle, esemplari rappresentativi della flora europea e nordamericana del Neolitico.

Come era facilmente prevedibile, l’ascia d’acciaio ha prestazioni differenti da quella di bronzo, ma la differenza di efficienza tra i due utensili non è così evidente: la lega di rame e stagno riesce comunque ad abbattere un tronco del diametro di 30 centimetri in meno di 15 minuti, una velocità poco differente a quella raggiunta con l’acciaio.

Il bronzo in realtà può ottenere un’affilatura efficace con l’indurimento, ma la sua morbidezza rispetto all’acciaio non gli consente di mantenere a lungo una filo tagliente. Questa scarsa durezza non sembra tuttavia aver pregiudicato l’abbattimento di alberi di diametro medio-piccolo in tempi competitivi a quelli di un’ascia di acciaio.

L’efficienza dell’ascia di pietra

Con la pietra il discorso è un po’ differente, ma il materiale litico può avere sorprendenti doti di durezza e resistenza. Nei confronti di tronchi di 30 centimetri, l’ascia di pietra può richiedere ben 30-50 minuti per completare un abbattimento; ma nel caso di alberelli di 10-20 centimetri, l’abbattimento risulta relativamente semplice in 5-15 minuti, tempistiche che variano in relazione alla specie di albero selezionata.

Differenza di prestazioni tra asce di pietra e asce di metallo
Differenza di prestazioni tra asce di pietra e asce di metallo

Una differenza sostanziale è stata osservata nel tipo di taglio. L’ascia di acciaio effettua tagli ben definiti e stacca brandelli di legno dai profili spigolosi e netti; quella di bronzo crea frammenti più piccoli e sottili, e con l’usura tende a ad avere meno efficacia.

L’ascia di pietra è in grado di effettuare tagli relativamente precisi, dipendentemente dal materiale della testa e dalla sua lavorazione. Ma i frammenti che stacca tendono ad essere sfibrati, senza spigoli ben delineati, risultando quasi “masticati”.

E’ sicuramente possibile realizzare pietre taglienti come rasoi utilizzando materiali come l’ossidiana o la selce, ma non si potrà ottenere un utensile utilizzabile per il lavoro pesante a causa della fragilità del materiale litico.

Le conclusioni che i ricercatori hanno tratto sono le seguenti: in primo luogo, asce di bronzo e acciaio possono essere considerate come appartenenti alla stessa categoria di “teste d’ascia di metallo” per via delle loro prestazioni simili.

Anche il manico ha giocato un ruolo rilevante nell’efficienza di un’ascia: un’impugnatura più lunga non consente di mantenere un ritmo veloce, ma compensa la sua lentezza con un’ efficienza energetica maggiore e tempi ridotti per l’abbattimento.

I tronchi di 10-15 centimetri di diametro possono essere velocemente abbattuti da un’ascia di pietra, con tempistiche molto simili a quelle di un’ascia metallica. Con alberi dal diametro di 20 centimetri o superiore, i punti di forza delle asce metalliche emergono sull’efficacia di un utensile di pietra, specialmente sotto l’aspetto di calorie consumate per albero e nella definizione dei tagli effettuati.

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Comparing Axe Heads of Stone, Bronze, and Steel: Studies in Experimental Archaeology

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Olio essenziale di nardo, unguento pregiato del mondo antico https://www.vitantica.net/2019/04/19/olio-essenziale-nardo-mondo-antico/ https://www.vitantica.net/2019/04/19/olio-essenziale-nardo-mondo-antico/#comments Fri, 19 Apr 2019 00:06:06 +0000 https://www.vitantica.net/?p=3910 L’ olio essenziale di nardo è un unguento balsamico noto fin dall’antichità e impiegato come fragranza e unguento di lusso nella cultura egizia, indiana ed europea. La sua provenienza himalaiana e le difficoltà incontrate nella produzione e nel trasporto di questo olio essenziale lo resero una delle spezie più costose e ricercate del mondo antico.

Il nardo

L’olio essenziale di nardo viene prodotto dal nardo (Nardostachys grandiflora o Nardostachys jatamansi), una pianta della famiglia delle Valerianaceae che cresce sull’ Himalaia tra Cina, India e Nepal.

Il nardo è una pianta che può crescere fino ad 1 metro di altezza e durante la fioritura produce fiori di colore rosa a forma i campana. Il suo habitat ideale si trova tra Nepal e Bhutan, ad altezze comprese tra i 3.000 e i 5.000 metri.

Il rizoma del nardo può essere schiacciato e distillato per ottenere un olio aromatico denso, di colore ambrato, usato da millenni come profumo, incenso e medicinale.

Oggi la Nardostachys grandiflora viene considerata una specie a rischio a causa della raccolta eccessiva, del cambiamento climatico e delle modifiche al suo ecosistema nativo praticate dall’essere umano.

Sono stati fatti tentativi di coltivare il nardo fuori dall’ Himalaia, ma le colture sotto i 1.800 metri hanno mostrato un tasso di mortalità troppo elevato da risultare economicamente attuabili; solo trapiantando il nardo oltre i 2.200 metri è possibile far sopravvivere la maggior parte delle piante, e il massimo della resa si ottiene oltre i 3.500 metri.

Uso storico dell’olio di nardo

Il nardo e il suo olio essenziale sono noti fin da tempi antichissimi e fanno la loro prima apparizione nella medicina ayurvedica indiana (con il nome di Sumbul-al–Teeb) come sedativi e rilassanti.

In Egitto l’olio di nardo era un unguento di lusso impiegato anche nei rituali di mummificazione più elaborati e veniva conservato in vasi di alabastro per evitare che perdesse la sua fragranza.

Fiori di nardo
Fiori di nardo

L’olio di nardo era una delle 11 spezie utilizzate per la produzione dell’incenso destinato al Primo e al Secondo Tempio di Gerusalemme. Viene menzionato numerose volte nel Talmud e nel Tanakh come un elemento fondamentale per l’incenso impiegato in diverse cerimonie religiose.

L’olio essenziale di Nardo viene citato anche nel Libro 18 dell’Iliade: Achille massaggia e profuma il corpo di Patroclo utilizzando questo prezioso unguento. In Grecia veniva chiamata “nardo” anche la lavanda selvatica (Lavandula stoechas) perchè importata dalla città di Naarda, nell’attuale Iraq.

Plinio, nella sua Naturalis Historia, cita 12 specie di piante chiamate “nardo”: una di queste è sicuramente il nardo vero e proprio (Nardostachys grandiflora o jatamansi); altre due specie sembrano essere la lavanda selvatica (Lavandula stoechas) e la Valeriana tuberosa, mentre per le restanti non c’è ancora un’identificazione botanicamente precisa.

L’olio di nardo trovò impiego anche in cucina: sebbene usato in piccole dosi, è un ingrediente che compare frequentemente nelle ricette del De re coquinaria. Nell’Europa medievale veniva impiegato come condimento pregiato per il cibo o il vino, e a partire dal XVII secolo fu anche utilizzato come ingrediente per una birra inglese chiamata stingo.

Secondo il medico persiano Sabur ibn Sahl, l’olio di nardo era in grado di curare, oltre ai dolori articolari, anche l’emicrania. Per produrre questo unguento, Sabur ibn Sahl descrive una ricetta molto costosa per l’epoca, un procedimento che richiedeva forti investimenti economici e la raccolta di oltre 20 ingredienti di origine vegetale.

Tra il XV e il XVI l’olio di nardo appare in diversi “leechbook” (leggi questo post sul libro di ricette mediche chiamato Bard’s Leechbook) come ingrediente per unguenti in grado di curare il mal di testa o utilizzati come blandi sedativi.

Quanto costava l’olio di nardo?

Sappiamo dalla Bibbia che in epoca romana l’olio essenziale di nardo era estremamente prezioso. Giovanni 12:5, riferendosi all’olio di nardo, cita un costo di “trecento denari” per una libbra d’olio; una cifra imponente se si considera che un denario equivaleva a circa 12 ore di lavoro di un bracciante o alla paga giornaliera di un legionario romano del I secolo d.C..

Un chilogrammo di olio essenziale di nardo, quindi, poteva raggiungere costi di svariate migliaia di euro, più del prezzo dell’acquisto di uno schiavo e ben oltre lo stipendio annuale di molti professionisti d’epoca romana.

Le proprietà dell’olio di nardo
Rizomi del nardo
Rizomi essiccati di nardo

L’olio essenziale di nardo contiene principalmente acetato di bornile, valeranone e ionone. L’acetato di bornile è presente nell’olio essenziale estratto dal pino; il valeranone è comune in piante come salvia e valeriana (quest’ultima appartiene alla stessa famiglia del nardo); lo ionone invece è presente in numerose piante officinali come l’origano.

Nella medicina ayurvedica l’olio di nardo veniva consigliato come antistress, anticonvulsivo, antiepilettico e come farmaco in grado di migliorare le capacità cognitive. All’unguento venivano attribuite anche proprietà antimicrobiche, antiossidanti e cardiotoniche.

In tempi moderni, l’olio essenziale di nardo si è dimostrato capace di far regredire amnesie indotte chimicamente su cavie di laboratorio e di rallentare la perdita di memoria dovuta all’invecchiamento naturale dei soggetti della sperimentazione.

Following Valerian: New Name, Old Idea
Nardostachys jatamansi improves learning and memory in mice.
Medicinal Properties of Nardostachys jatamansi

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Natron, il sale “magico” degli Egizi https://www.vitantica.net/2019/04/17/natron-sale-magico-egizi/ https://www.vitantica.net/2019/04/17/natron-sale-magico-egizi/#comments Wed, 17 Apr 2019 00:10:22 +0000 https://www.vitantica.net/?p=3897 Il natron (carbonato decaidrato di sodio, Na2CO3) è stato utilizzato fin dall’antichità per gli utilizzi più disparati, dalla pulizia del corpo all’igiene dentale, come agente conservante per il cibo e come uno degli ingredienti fondamentali nel processo di mummificazione dei corpi usato nell’antico Egitto.

Un sale di origine antichissima

Bianco o incolore nella sua forma più pura, il natron è una mistura di origine naturale composta da circa il 17% di carbonato di sodio e piccole quantità di cloruro di sodio e solfato di sodio; può assumere colorazioni che vanno dal grigio al giallo in base al contenuto di impurità.

Il nome natron (in latino natrium, in greco nitron) ha origine nell’antico Egitto: con “natron” si identificava il materiale estratto dai depositi africani della “Valle del Natron” Wadi El Natrun, del Lago Magadi e di altri siti africani, dove si poteva reperire nei pressi di giacimenti di altri minerali importanti durante l’Età del Bronzo come gesso e calcite.

I depositi di natron sono spesso collocati in corrispondenza di antichi laghi salati prosciugati dall’aridità del clima: il natron si forma per evaporazione di soluzioni fortemente saline.

Deposito di natron nel cratere di Era Kohor nel Ciad
Deposito di natron nel cratere di Era Kohor nel Ciad

I depositi di natron puro sono rari per via della sua limitata stabilità termica: storicamente veniva prodotto da salamoia lasciata evaporare ad una temperatura compresa tra i 20°C e i 30°C, oppure dalle ceneri di piante che crescevano in paludi salate (alofite).

Impiego del natron nell’antichità

Il natron era utilizzato per realizzare prodotti per la casa, per la cura del corpo e per il complesso rituale di mummificazione dei corpi dei defunti.

Mescolato ad acqua può creare una versione rudimentale del sapone grazie alla sua capacità di rimuovere olio e grasso. Utilizzato in forma poco diluita, il natron è stato impiegato anche per la pulizia dei denti e come colluttorio, oltre che come antisettico per la medicazione delle ferite e come insetticida.

In cucina, il natron si è rivelato utile per la conservazione di pesce e carne; ha inoltre trovato impiego nella lavorazione della pelle, nella decolorazione dei tessuti e nella produzione di combustibile che bruciava senza produrre fumo (in aggiunta all’olio di ricino).

Il natron era anche un ingrediente per la creazione del blu egiziano e per la fabbricazione della ceramica: veniva mescolato a sabbia e calce non solo durante la creazione di vasi e anfore, ma anche durante la lavorazione del vetro o nella saldatura di metalli preziosi.

Natron e mummificazione

Natron e mummificazione

Il natron era uno dei componenti fondamentali nel processo di mummificazione dei corpi dei defunti: la sua capacità di assorbire acqua e di agire come agente disidratante fu subito evidente agli antichi Egizi quando notatono che alcuni cadaveri si conservavano straordinariamente bene nel clima arido del deserto e in presenza di depositi di sale.

Intorno al 2.600 a.C. gli Egizi iniziatono a mummificare intenzionalmente i loro morti, una pratica che durò per oltre due millenni. Il processo di mummificazione poteva variare molto in base alle disponibilità economiche della famiglia del defunto e al periodo storico in cui si era verificato il decesso: le mummie meglio preparate e conservate furono prodotte tra il 1.500 e il 1.000 a.C..

L’importanza del natron per la mummificazione egizia è evidente quando si considera che piccoli granuli di questo sale venivano offerti durante le cerimonie funebri dei faraoni. Queste cerimonie richiedevano due differenti tipi di natron estratti da altrettanti siti, uno nell’Alto Egitto (El Kab) e uno nel Basso Egitto (Wadi El Natrun).

Quando viene esposto all’umidità, il carbonato del natron aumenta il pH creando un ambiente ostile per la proliferazione batterica che si scatena durante il processo di decomposizione della materia organica.

Il natron inoltre assorbe l’acqua contenuta nelle cellule del defunto, contribuendo alla conservazione della salma, e degrada i grassi impedendo che batteri saprofagi possano nutrirsene.

Il processo di mummificazione richiedeva diverso tempo (circa 70 giorni) e iniziava con la rimozione degli organi interni che tendevano a decomporsi più velocemente. L’estrazione delle interiora avveniva cercando di preservare il più possibile intatto l’aspetto esteriore del defunto.

Dopo la rimozione degli organi interni, il corpo veniva ricoperto da natron per 40 giorni; trascorso il tempo necessario a “prosciugare” la salma, questa veniva riempita di lino, erbe aromatiche, sabbia e segatura. A contribuire alla conservazione della pelle giocava un ruolo importante anche una copertura di resina vegetale, che proteggeva dal decadimento i tessuti disidratati.

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Natron, Ancient Egyptian Chemical Salt and Preservative
Natron
Egyptian Mummies

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Timeline della medicina dall’antichità al 1700 https://www.vitantica.net/2019/03/04/timeline-medicina-antichita-1700/ https://www.vitantica.net/2019/03/04/timeline-medicina-antichita-1700/#respond Mon, 04 Mar 2019 00:10:28 +0000 https://www.vitantica.net/?p=3501 Timeline della storia della medicina, dall’antichità al 1700, con date fondamentali, personaggi principali e maggiori scoperte in ambito medico. Come sempre, se avete suggerimenti scrivete sulla pagina Facebook o commentate il post!

Antichità
Imhotep
Imhotep
3300 a.C. – Fitoterapia

Durante l’età della pietra, i primi guaritori usavano forme molto primitive di fitoterapia.

3000 a.C. – Ayurveda

Le origini dell’Ayurveda risalgono al 4000 circa a.C.

2.700 a.C.: Merit-Ptah

Merit-Ptah (“Amata dal dio Ptah”) è il primo medico donna della storia il cui nome è sopravvissuto fino ad oggi (leggi questo post sui più grandi personaggi femminili della scienza e medicina antiche). Secondo un’iscrizione fatta da suo figlio a Saqqara, Merit-Ptah fu il “Medico Capo” alla corte del faraone durante la Seconda Dinastia.

2.600 a.C.: Peseshet

Vissuta durante la Quarta Dinastia, Peseshet fu “colei che sovrintende gli altri medici donna”; il suo compito era anche quello di organizzare i sacerdoti funerari della madre del faraone.

c. 2600 a.C. – Imhotep

Imhotep acquisisce fama di medico straordinario e probabilmente partecipa alla stesura del papiro di Edwin Smith; fu in seguito elevato a divinità egizia della medicina e almeno tre templi furono eretti a suo nome.

2400 a.C. – Iry

Iscrizione egizia parla di Iry come oculista del palazzo reale, medico del ventre, guardiano delle viscere reali.

1900 a.C. – 1600 a.C. – Medicina accadica

Le tavolette mediche accadiche sopravvivono principalmente come copie dalla biblioteca di Assurbanipal a Ninive.

1800 a.C. – Papiro ginecologico di Kahun

Il codice di Hammurabi stabilisce tariffe per i chirurghi e punizioni per negligenza medica. Nello stesso periodo viene redatto il papiro ginecologico di Kahun.

Papiro Chirurgico di Edwin Smith
Pagine dal Papiro Chirurgico di Edwin Smith
1600-1551 a.C. – Papiri di Hearst, Ebers, Edwin Smith

Vengono redatti il Papiro di Hearst e il Papiro di Ebers. Lo zafferano viene usato come medicina nell’isola di Thera. Viene compilato il papiro chirurgico di Edwin Smith, il più antico trattato chirurgico conosciuto.

IX secolo a.C. – Pandora

Esiodo riporta una concezione ontologica della malattia attraverso il mito di Pandora. La malattia ha una “vita” propria ma è di origine divina.

VIII secolo a.C. – Polidamna

Omero raccconta che Polidamna rifornì le truppe elleniche impegnate nell’assedio di Troia con farmaci curativi.

700 a.C. – Scuola medica di Cnido

Nasce la scuola medica a Cnido e una a Cos

500 a.C. – Sushruta Samhita

Dario I ordina il restauro della Casa della Vita, una scuola di medicina persiana. Bian Que diventa il primo medico conosciuto ad usare l’agopuntura e la diagnosi del polso. Viene pubblicato il Sushruta Samhita, che pone le basi per la medicina ayurvedica.

510-430 a.C. – Alcmaeone di Crotone

Dissezioni anatomiche scientifiche di Alcmaeone di Crotone. Studiò i nervi ottici e il cervello, sostenendo che il cervello era la sede dei sensi e dell’intelligenza. Distingue le vene dalle arterie e ha almeno una vaga comprensione della circolazione del sangue.

c. 484 – 425 a.C. – Medici egizi

Erodoto racconta che i medici egizi erano specialisti: ogni medico tratta un singolo disturbo. L’Egitto brulica di medici, alcuni si impegnano a curare le malattie degli occhi, altri della testa, altri ancora dei denti o dell’intestino.

420 a.C. – Medicina razionale

Ippocrate di Cos sostiene che le malattie hanno cause naturali e promuove il giuramento di Ippocrate. Origine della medicina razionale.

Medicina dopo Ippocrate

Storia medicina

c. 400 a.C. – 1 a.C. – Libro Interno dell’Imperatore Giallo

Viene pubblicato il Huangdi Neijing (“Libro Interno dell’Imperatore Giallo”), che pone le basi per la medicina tradizionale cinese.

354 a.C. – Critobulo di Cos

Critobulo di Cos estrae una freccia dall’occhio di Filippo II, trattando la perdita del bulbo oculare senza causare sfregio facciale.

III secolo a.C. – Scuola empirica

Filino di Cos fonda la scuola empirica. Erofilo ed Erasistrato praticano la dssezione di esseri umani vivi e morti.

280 a.C. – Dissezioni di Erofilo

La dissezione di Erofilo: studia il sistema nervoso e distingue tra i nervi sensoriali, i nervi motori e il cervello. Descrive anche l’anatomia dell’occhio.

270 a.C. – Agopuntura

Huangfu Mi scrive lo Zhenjiu Jiayi jing (“Canone di Agopuntura e Moxibustione”), il primo libro dedicato esclusivamente all’agopuntura.

219 a.C. – Trattato sui danni delle malattie del freddo

Zhang Zhongjing pubblica Shanghan Lun (“Trattato sui danni delle malattie del freddo”).

200 a.C. – Charaka Samhita

Charaka Samhita impiega un approccio razionale alle cause e alla cura delle malattie e usa metodi oggettivi di esame clinico.

c. 25 a.C. – c. 50 d.C. – De Medicina

Aulo Cornelio Celso scrive il De Medicina, il primo trattato completo di medicina in latino.

50-70 d.C – De Materia Medica

Dioscoride Peanio scrive De Materia Medica, un trattato che precede le moderne farmacopee rimasto in uso per quasi 1600 anni.

129-216 d.C. – Galeno

Galeno crea una medicina clinica basata sull’osservazione e sull’esperienza. Il sistema di Galeno ha dominato il panorama medico durante il Medioevo rimanendo in uso fino all’inizio dell’era moderna.

Medicina dopo Galeno
Canone della Medicina di Avicenna
Canone della Medicina di Avicenna
260 – De hortis

Gargilius Martialis, breve manuale latino su medicine da frutta e verdura (probabilmente intitolato De hortis).

420 – De morbis acutis et chronicis

Celio Aureliano, un dottore di Sicca, traduce il De morbis acutis et chronicis (“Malattie acute e croniche”).

480-547 – Medicina monastica

Benedetto da Norcia fonda la “medicina monastica”.

536 – Traduzioni di Galeno

Sergio di Reshaina, un teologo cristiano, tradusse trentadue opere di Galeno in siriaco e scrisse trattati medici propri.

c. 625-690 – Paolo da Egina

Paolo di Egina scrive un’enciclopedia medica in 7 libri molto dettagliata usata per almeno tre secoli.

c. 838-870 – Il paradiso della sapienza

Ali ibn Sahl Rabban al-Tabari scrive un’enciclopedia di medicina in arabo, il Firdaws al-hikma (“Il paradiso della sapienza”).

c. 865-925 – Libro sul vaiolo e il morbillo

Rhazes fa la prima chiara distinzione tra vaiolo e morbillo nel suo al-Jadarī wa l-ḥaṣba (“Libro sul vaiolo e il morbillo”).

913-982 – Shabbetai Donnolo

Shabbetai Donnolo, presunto padre fondatore della Scuola di Salerno.

1000 – Chirurgia Albucasica

Chirurgia Albucasica. Abu al-Qasim al-Zahrawi scrive il Kitab al-Tasrif (“Il Metodo dela Medicina”).

1020 – Operazione di cataratta

Abu al-Qasim Ammar ibn Ali al-Mawsili esegue il primo intervento chirurgico oculistico di successo usando un ago per rimuovere una cataratta.

1075 – Tavole della salute

Ibn Butlan, medico cristiano di Baghdad, scrive il Taqwīm al‑ṣiḥḥa (“Tavole della salute”).

1018-1087 – Michele Psello

Michele Psello, un monaco bizantino, scrive diversi trattati di medicina.

c. 1030 – Il Canone della Medicina

Avicenna scrive Il Canone della Medicina (Kitab al-Qanun fi al-Tibb). Il Canone rimane un libro di testo standard nelle università musulmane ed europee fino al XVIII secolo.

Donne e scienza nell'antichità: pagina del De passionibus mulierum ante in et post partum di Trotula de Ruggiero
Pagina del De passionibus mulierum ante in et post partum di Trotula de Ruggiero
XI secolo: Trotula de Ruggiero

Conosciuta anche come Trottula, Trotta, Troctula, Trotula de Ruggiero fu un medico italiano di Salerno a cui viene attribuito il trattato De passionibus mulierum ante in et post partum, un’opera che ebbe un’enorme influenza sull’ostetricia e sulla ginecologia future.

1126-1198 – Averroè

Averroè (Abu al-Walid Muhammad ibn A?mad Ibn Rušd) scrive il Kitab al-Kulliyyat fi al-Tibb (“Medicina generale”) e il Kitab al-taysir fi al-mudawat wa l-tadbir (“Medicina specialistica”), due testi medici di estrema importanza per la medicina musulmana e cristiana del tempo.

Medicina dal 1200 al 1499
c. 1210-1277 – Guglielmo di Saliceto

Guglielmo di Saliceto cerca di avvicinare la medicina con la chirurgia, scrivendo il trattato Chirurgia.

1242 – Circolazione polmonare

Ibn an-Nafis suggerisce che i ventricoli destro e sinistro del cuore siano separati e scopre la circolazione polmonare e la circolazione coronarica.

1249 – Occhiali per miopia

Roger Bacon descrive occhiali con lenti convesse per trattare la miopia.

1260 – Ospedale Les Quinze-Vingt

Luigi IX fonda Les Quinze-Vingt; originariamente un ritiro per non vedenti, divenne un ospedale per le malattie degli occhi, ed è ora uno dei più importanti centri medici di Parigi

Uomo delle Ferite
Uomo delle Ferite
c. 1275 – c. 1328 – De Actionibus et Affectibus Spiritus Animalis, ejusque Nutritione

Johannes Zacharias Actuarius, un medico bizantino, scrisse gli ultimi grandi compendi della medicina bizantina: il De Actionibus et Affectibus Spiritus Animalis, ejusque Nutritione, il De Methodo Medendi e il De Urinis.

1275-1326 – Ripresa delle dissezioni

Mondino de Luzzi riprese la pratica delle dissezioni umane sistematiche, interrotta dopo il lavoro di Erofilo ed Erasistrato.

1300 – Occhiali prodotti in Italia

Occhiali concavi per lenti per trattare la miopia sviluppati in Italia.

Medicina dal 1500 al 1700
1493-1541 – Paracelso

Paracelso, un alchimista di mestiere, rifiuta la medicina tradizionale dell’epoca e apre la strada all’uso di sostanze minerali in medicina (latrochimica).

1510-1590 – Ambroise Paré

Ambroise Paré è stato pioniere nel trattamento delle ferite da arma da fuoco.

1518 – College of Physicians

Viene fondato il College of Physicians, ora conosciuto come Royal College of Physicians of London, un corpo professionale britannico di medici di medicina generale.

1543 – De humani corporis fabrica libri septem

Andreas van Wesel pubblica il De humani corporis fabrica libri septem, che corregge gli errori medici greci e rivoluziona la medicina europea.

1546 – Girolamo Fracastoro

Girolamo Fracastoro, uno dei fondatori della moderna patologia con il suo De contagione et contagiosis morbis (“Sul contagio e sulle malattie contagiose”), propone che le malattie epidemiche siano causate da entità minuscole in grado di moltiplicarsi nell’organismo e di essere trasmesse con il contatto o il respiro.

1553 – Miguel Serveto

Miguel Serveto descrive la circolazione del sangue attraverso i polmoni.

1556 – Amato Lusitano

Amato Lusitano (João Rodrigues) descrive le valvole venose, fornendo un quadro più completo della circolazione sanguigna.

1559 – Realdo Colombo

Realdo Colombo descrive in dettaglio la circolazione del sangue attraverso i polmoni, e scopre che l’azione principale del cuore è la contrazione e non la dilatazione; queste scoperte furono confermate quasi un secolo dopo da William Harvey.

1570-1643 – The Surgeon’s Mate

John Woodall, autore dell’opera The Surgeon’s Mate, suggerisce ai medici delle navi inglesi di usare alcune piante, tra cui il limone, per curare lo scorbuto.

1596 – Compendio di Materia Medica

Li Shizhen pubblica Bencao Gangmù (“Compendio di Materia Medica”), un libro che contiene informazioni su oltre 1.800 farmaci della medicina tradizionale cinese e la descrizione di oltre 1.000 erbe officinali.

1603 – De venarum ostiolis

Girolamo Fabrici d’Acquapendente descrivele vene delle gambe nel suo De venarum ostiolis e nota valvole che permettono al sangue di fluire solo verso il cuore.

1628 – De Motu Cordis et Sanguinis in Animalibus

William Harvey spiega il sistema circolatorio nel De Motu Cordis et Sanguinis in Animalibus

1701 – Variolizzazione

Jacopo Pilarino effettua le prime inoculazioni di vaiolo (variolizzazione) in Europa. Le inoculazioni di forme non gravi di vaiolo erano ampiamente praticate in Oriente prima di allora.

1736 – Appendicectomia

Claudius Aymand esegue la prima appendicectomia di successo.

1747 – Scorbuto

James Lind scopre che gli agrumi prevengono lo scorbuto formulando il primo metodo di verifica efficace per la valutazione clinica delle cure somministrate ai pazienti.

Timeline of medicine and medical technology

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