agricoltura – VitAntica https://www.vitantica.net Vita antica, preindustriale e primitiva Thu, 01 Feb 2024 15:10:35 +0000 it-IT hourly 1 Terra preta, la terra nera dell’Amazzonia https://www.vitantica.net/2019/12/27/terra-preta-nera-amazzonia/ https://www.vitantica.net/2019/12/27/terra-preta-nera-amazzonia/#comments Fri, 27 Dec 2019 00:10:48 +0000 https://www.vitantica.net/?p=4717 Da qualche anno i ricercatori che si dedicano allo studio degli ecosistemi amazzonici sono giunti alla conclusione che buona parte della foresta pluviale non è affatto immacolata, ma ha subito alterazioni rilevanti operate dall’essere umano allo scopo di rendere più vivibile un ambiente così estremo.

Gli alberi che popolano la giungla sudamericana mostrano una distribuzione per nulla casuale, non semplicemente spinta da normali processi ecologici: nella grande frequenza di alberi di noci, ad esempio, si celerebbe un intervento umano vecchio di secoli, la cui portata è ancora difficile da quantificare.

Sono sempre più gli indizi che ci suggeriscono un passato molto differente per la foresta amazzonica che possiamo osservare oggi. I primi esploratori europei descrissero un ecosistema ricco di comunità umane, anche di grandi dimensioni, ma ad oggi rimane poco o nulla di questi antichi insediamenti se non un elemento dalle proprietà quasi “magiche”, ma fondamentale per la costruzione di comunità sedentarie e popolose: la terra preta.

“Metropoli” amazzoniche e il problema del cibo

La teoria che la moderna foresta amazzonica sia il risultato dell’azione di processi naturali e intervento umano é supportata da alcuni resoconti redatti dai primi esploratori europei, primo tra tutti Francisco de Orellana.

L’esploratore spagnolo, durante la sua spedizione che lo portò a percorrere tutta la lunghezza del Rio delle Amazzoni (inizialmente battezzato come “Rio de Orellana”), si rese conto che le rive del fiume erano sede di numerose comunità di nativi.

Per diverso tempo il resoconto di Orellana fu ritenuto intriso di esagerazioni, giudicando impossibile la presenza di grandi insediamenti umani nel cuore della foresta pluviale. Dopotutto, per quanto denso di specie vegetali e ricco di biodiversità, il terreno del bacino amazzonico non è noto per la sua fertilità; per vivere e prosperare, un insediamento ha bisogno di enormi quantità di cibo, non ottenibile dalla sola caccia o dalle attività di raccolta.

Oggi, invece, siamo sempre più portati a pensare che Orellana non stesse mentendo. Secondo le stime moderne, all’inizio del 1500 l’Amazzonia era popolata da circa 5 milioni di nativi suddivisi tra insediamenti costieri e fluviali, una vasta popolazione che subì un drastico calo numerico a seguito dei primi contatti con le malattie importate dagli Europei.

Abbiamo diversi indizi che suggeriscono una massiccia presenza umana in Amazzonia intorno al XVI secolo: geoglifi, grandi quantità di scarti legati alla presenza umana e un terreno di natura particolare, introvabile in altre regioni amazzoniche e sicuramente creato dall’essere umano.

La terra nera degli indios

Ciò che viene definita “terra preta” (“terra nera”) è un tipo di terreno ben distinguibile dalla “terra mulata“, un suolo amazzonico di colore chiaro, o dalla “terra comum” (“terra comune”), terreno non fertile che ricopre buona parte del bacino amazzonico.

La terra preta copre una superficie pari allo 0,1% – 0,3% dell’ Amazzonia (da 6.000 a 19.000 km quadrati), ma alcune stime hanno elevato la percentuale al 10%, l’equivalente del doppio della superficie della Gran Bretagna. La terra preta si trova generalmente raggruppata in piccoli appezzamenti di circa 20 ettari d’estensione, ma ci sono aree in cui copre una superficie di quasi 400 ettari.

Cos’ha di speciale la terra preta? Come citato precedentemente, il suolo amazzonico non è noto per la sua elevata fertilità. Rispetto a località del pianeta in cui una qualunque coltura può attecchire con facilità e produrre grandi quantitativi di prodotto, in Amazzonia è difficile ottenere i raccolti abbondanti necessari a sostenere una comunità di decine di migliaia di persone.

Tra il 450 a.C. e il 950 d.C., i nativi iniziarono a produrre un tipo di terreno più fertile della terra mulata o della terra comum allo scopo di rendere più produttive le loro colture. Questo tipo di terreno, in realtà nato ben prima della sua produzione attiva da parte dell’essere umano grazie alla mescolanza di rifiuti organici con ceneri e terreno, funge ancora oggi da substrato per colture come la papaya e il mango.

Differenza tra terra preta e terra comum
Differenza tra terra preta e terra comum

Dopo essersi resi conto che gli scarti prodotti dalle attività quotidiane, come la preparazione del cibo, il mantenimento del focolare o la creazione di ceramica, rendevano la terra mulata più fertile, iniziarono a fertilizzare volontariamente il terreno più fertile a loro disposizione.

La terra preta ha un contenuto di carbonio molto alto, pari a circa 150 grammi per kg (contro i 20-30 grammi del suolo circostante), ma rispetto ad altri tipi di terreno ad elevato contenuto di carbonio presenta alcune differenze. In primo luogo, la terra preta incorpora elementi e nutrienti di natura organica provenienti dagli scarti alimentari di una popolazione umana; questi elementi favoriscono la proliferazione batterica, incrementando la fertilità.

Secondariamente, il contenuto di carbonio è così elevato da risultare fino a 70 volte superiore a quello di suoli ferralitici, tipici delle zone tropicali del pianeta e spesso presenti in prossimità di depositi di terra preta.

La terra preta, infine, è propensa ad accumulare e trattenere i nutrienti con cui viene a contatto, ed è molto resistente alla degradazione da parte dell’attività microbica. Tra i nutrienti più diffusi sono il potassio, il fosforo, il calcio, lo zinco e il manganese, un mix che ha dimostrato di poter incrementare la produzione di riso dal 30-40% senza l’utilizzo di fertilizzanti.

Come si produceva la terra preta?

Per produrre la terra preta, le popolazioni indigene aggiungevano alla terra mulata braci di legna o altro materiale organico che bruciavano a bassa temperatura.

La produzione di carbone a bassa temperatura consente l’estrazione di condensati del petrolio che fungono da alimento per i batteri del terreno. L’ossidazione lenta del carbone non solo fornisce terreno fertile per i microrganismi, ma mantiene intatte le caratteristiche del materiale vegetale carbonizzato anche per migliaia di anni.

Il carbone è quindi fondamentale per il mantenimento della terra preta: oggi la maggior parte dei terreni agricoli ha perso in media il 50% del suo originale contenuto di carbonio a causa della coltivazione intensiva e dei danni causati dall’attività umana.

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L’uso di carbone prodotto da materia vegetale estratta da legname e piante con foglie (al contrario della carbonizzazione dell’erba) favorisce anche la diffusione di alcuni funghi che sembrano rappresentare la chiave della fertilità della terra preta e della sua capacità di “contaminare” positivamente il terreno che la circonda.

Le analisi della terra preta amazzonica hanno inoltre evidenziato la presenza di escrementi animali e umani, resti di lavorazioni alimentari come ossa animali, conchiglie e gusci di tartaruga, oltre a compost prodotto da piante terrestri e acquatiche.

Aggiornamento del 05 gennaio 2021

La presenza di artefatti precolombiani in corrispondenza dei siti ricchi di terra preta hanno sempre lasciato supporre che l’origine di questo particolare tipo di terreno fosse artificiale.

Ma la datazione al carbonio eseguita su un bacino fluviale di 210 ettari in Brasile sembra suggerire un’altra versione: secondo Lucas Silva, professore di studi ambientali della University of Oregon, i livelli di calcio e fosforo, più elevati rispetto al terreno circostante, suggerirebbero che siano state inondazioni e incendi a depositare questi nutrienti nel suolo.

“Abbiamo analizzato il carbonio e il gruppo di nutrienti alla luce del contesto antropologico locale per stimare la cronologia della gestione del suolo e la densità di popolazione necessarie per ottenere la fertilità della terra preta amazzonica” afferma Silva. “I nostri risultati mostrano che vaste popolazioni sedentarie avrebbero dovuto gestire il suolo migliaia di anni prima della comparsa dell’agricoltura nella regione”.

Fires, flooding before settlement may have formed the Amazon’s rare patches of fertility

Terra preta da Indio
Terra preta
ScienceDirect: Terra Preta

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Cacciatori-raccoglitori, agricoltura e tempo libero https://www.vitantica.net/2019/06/03/cacciatori-raccoglitori-agricoltura-tempo-libero/ https://www.vitantica.net/2019/06/03/cacciatori-raccoglitori-agricoltura-tempo-libero/#comments Mon, 03 Jun 2019 00:10:55 +0000 https://www.vitantica.net/?p=4284 Una popolazione delle Filippine, gli Agta, si trova in una fase di transizione tra lo stile di vita da cacciatori-raccoglitori e uno prevalentemente incentrato sull’agricoltura. L’analisi delle loro attività quotidiane e della suddivisione del tempo nell’arco della giornata sembra dimostrare che uno stile di vita basato sulla caccia e sulla raccolta consenta di avere più tempo libero rispetto ad uno basato sulle attività agricole.

Gli Agta

Gli antropologi dell’ Università di Cambridge hanno trascorso due anni immersi nella cultura Agta (o Aeta), una popolazione filippina originariamente cacciatrice-raccoglitrice che sta lentamente modificando il suo stile di vita includendo attività agricole, come la coltivazione del riso.

Gli Agta vivono sulle regioni montuose di Luzon e la loro origine è ancora un mistero per gli antropologi: una delle ipotesi prevalenti suggerisce che rappresentino gli abitanti originali delle Filippine, giunti sulle isole attraverso corridoi di terre emerse che le collegavano alla terraferma asiatica.

Gli Aeta sono tradizionalmente nomadi e costruiscono rifugi temporanei di bambù e foglie di banano; quelli che hanno effettuato una parziale transizione verso uno stile di vita più moderno continuano a vivere in case di legno e bambù, ma hanno rinunciato al nomadismo.

Chi invece ha mantenuto lo stile di vita tradizionale è oggi costretto a spostarsi più di frequente rispetto al passato, a causa della scarsa protezione governativa e dell’attività mineraria e agricola che causano deforestazione e contaminazione delle acque.

Circa l’85% delle donne Aeta si dedica alla caccia, un’attività spesso condotta in gruppo e con l’utilizzo di cani. Le donne cacciatrici sembrano avere una percentuale di successo quasi doppia rispetto agli uomini, 31% contro 17%; le probabilità di successo aumentano ulteriormente quando combinano le forze con i maschi adulti della loro comunità (41%).

Tempo libero e lavoro
Terrazzamenti Agta
Terrazzamenti Agta

Un gruppo di antropologi britannici ha analizzato la suddivisione del tempo di 359 individui Agta, includendo nel gruppo sia quelli che vivono seguendo lo stile di vita tradizionale sia coloro che praticano la coltivazione del riso.

Il risultato dell’analisi sembra mettere in evidenza che gli Agta coinvolti nelle attività agricole lavorino più a lungo dei cacciatori-raccoglitori, e dispongano di meno tempo libero.

In media, gli Agta agricoltori lavorano nei campi circa 30 ore ogni settimana, mentre i cacciatori-raccoglitori dedicano poco più di 20 ore a caccia, pesca e raccolta. Questa differenza è principalmente legata all’attività delle donne, che spendono sempre più tempo nei campi a discapito delle attività domestiche.

“Per molto tempo la transizione dalla raccolta all’agricoltura ha rappresentato il progresso perché consentiva di fuggire da uno stile di vita duro e precario” sostiene Mark Dyble, uno degli autori della ricerca pubblicata su Nature Human Behaviour.

“Ma non appena gli antropologi hanno iniziato a lavorare con i cacciatori-raccoglitori, hanno iniziato a mettere in discussione questa versione, scoprendo che i raccoglitori godono di molto tempo libero. I nostri dati forniscono un sostegno chiarissimo a questa idea”.

La suddivisione del tempo negli Agta raccoglitori è differente in base ad età e sesso: gli adulti intorno ai 30 anni dispongono di meno tempo libero, e le donne tendono a trascorrere meno tempo fuori dall’accampamento, impiegando la maggior parte della giornata in attività domestiche e nella cura dei bambini.

“Schiave” dell’agricoltura

L’attività agricola sembra avere ripercussioni più rilevanti sulla vita quotidiana delle donne rispetto a quella degli uomini: le donne che vivono nelle comunità di agricoltori trascorrono più tempo all’esterno dell’accampamento per svolgere lavori nei campi e dispongono di meno tempo libero (circa la metà di quello disponibile in uno stile di vita basato su caccia e raccolta).

“Dobbiamo essere molto cauti nell’estrapolare dati dai cacciatori-raccoglitori contemporanei applicandoli alle società preistoriche” spiega Abigail Page, antropologa della London School of Hygiene and Tropical Medicine e co-autrice della ricerca. “Ma se davvero i primi agricoltori lavoravano più duramente dei raccoglitori, questo solleva una questione importante: perché gli esseri umani hanno adottato l’agricoltura?”.

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Studi precedenti a questo, incluso uno incentrato sugli Agta, hanno messo in relazione l’adozione dell’agricoltura con un aumento della fertilità, con la crescita della popolazione e con un incremento della produttività e della stratificazione sociale.

“La quantità di tempo libero di cui godono gli Agta è un testamento all’efficacia dello stile di vita da cacciatore-raccoglitore” sostiene Page. “Il tempo libero aiuta anche a spiegare come queste comunità riescano a condividere così tante abilità e conoscenze nel corso della loro vita e alle generazioni future”.

Engagement in agricultural work is associated with reduced leisure time among Agta hunter-gatherers
Aeta people

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Perché è nata l’agricoltura? https://www.vitantica.net/2019/04/15/perche-e-nata-agricoltura/ https://www.vitantica.net/2019/04/15/perche-e-nata-agricoltura/#respond Mon, 15 Apr 2019 00:10:11 +0000 https://www.vitantica.net/?p=4022 Per quanto possa sembrare controintuitivo, il passaggio da uno stile di vita da cacciatori-raccoglitori ad uno agricolo non ha molto senso. Come spiegato in questo post sulle conseguenze della rivoluzione agricola del Neolitico, l’agricoltura fu all’origine di molti problemi sociali, economici e sanitari che hanno avuto profonde ripercussioni per interi millenni.

Agricoltura non conveniente

E’ da molto tempo che gli antropologi si chiedono le ragioni che spinsero i nostri antenati ad effettuare il passaggio da uno stile di vita basato su caccia e raccolta ad uno agricolo, specialmente alla luce del fatto che questo cambiamento prevede drastici cambiamenti socio-economici e che si è verificato in decine di luoghi differenti del pianeta.

Devono quindi esistere delle ragioni sufficienti e fondate per un cambiamento così radicale, ragioni che tuttavia rimangono ancora parzialmente oscure.

“Molte prove suggeriscono che la domesticazione e l’agricoltura non abbiano molto senso” sostiene Elic Weitszel, dottorando al Dipartimento di Antropologia della UConn. “I cacciatori raccoglitori talvolta lavorano poche ore al giorno, la loro salute è migliore e le loro diete sono più varie; perché qualcuno vorrebbe cambiare e iniziare a coltivare?”.

Alcune civiltà furono letteralmente distrutte dal cambiamento climatico locale che innescarono con le loro attività agricole o urbane
Alcune civiltà furono letteralmente distrutte dal cambiamento climatico locale che innescarono con le loro attività agricole.

In una ricerca pubblicara su American Antiquity, Weitzel indaga sulle ragioni del passaggio da caccia-raccolta a società agricola analizzando due teorie sull’origine dell’agricoltura e sulla loro validità nell’ambito delle culture tradizionali degli Stati Uniti orientali.

Due ipotesi sull’origine dell’agricoltura

La prima teoria sull’origine dell’agricoltura prevede che in tempi di particolare abbondanza di risorse alimentari ci fosse il tempo di iniare a sperimentare con la domesticazione di piante come zucche e girasoli, domesticati nel Tennessee intorno a 4.500 anni fa.

La seconda, invece, sostiene che la domesticazione a scopi agricoli si sia verificata dalla necessità di supportare una dieta scarsa in periodi difficili, quando le risorse alimentari non abbondavano.

La scarsità di risorse potrebbe non essere stata esclusivamente legata al ritmo stagionale: è possibile che una popolazione crescente di esseri umani stesse rapidamente esaurendo quello che l’ecosistema locale poteva offrire.

Weitzel ha messo alla prova entrambe le teorie analizzando le ossa animali recuperate da 6 siti archeologici dislocati tra Alabama e Tennessee e appartenenti agli ultimi 13.000 anni di storia.

Accoppiando i dati raccolti con il polline estratto dai sedimenti intorno ad antichi laghi e paludi, è riuscito ad ottenere qualche indizio su come possano essere andate le cose.

Come nacque l’agricoltura?

I pollini di quercia e hickory (noce americano) suggerirebbero che le foreste composte da queste specie iniziarono a dominare l’ecosistema nordamericano a seguito di un riscaldamento climatico; lo stesso riscaldamento causò un progressivo prosciugamento dei laghi, modificando profondamente l’ecosistema regionale.

Le ossa animali mostrano un cambiamento nella dieta: da un’alimentazione basata prevalentemente su specie vegetali acquatiche e pesci di grossa taglia ad una sussistenza fondata su molluschi, facili da reperire in quantità e capaci di sopravvivere anche in acque basse.

Sembra quindi che ci sia stato effettivamente uno squilibrio ambientale, come sostiene la seconda ipotesi sulla nascita dell’agricoltura: potrebbe essere stato un mix di cambiamento climatico e sfruttamento delle risorse alimentari da parte della popolazione umana a costringere i nostri antenati ad escogitare un nuovo metodo per la produzione del cibo necessario a sfamare le loro comunità.

Evoluzione della domesticazione del mais
Evoluzione della domesticazione del mais

Ma i risultati evidenziano anche un’altra conseguenza del cambiamento climatico, un mutamento dell’ecosistema che supporterebbe la prima teoria sulla nascita dell’agricoltura: le foreste di quercia e hickory potevano supportare una vasta popolazione di selvaggina, aspetto apparentemente confermato dalla massiccia presenza di ossa animali.

“Fondamentalmente, quando il periodo è favorevole e c’è abbondanza di animali, ci si aspetta che la caccia si concentri verso prede più efficienti in termini di rapporto massa-carne” spiega Weitzel. “Ad esempio, i cervi sono molto più efficienti degli scoiattoli, che sono più piccoli, hanno meno carne e sono più difficili da catturare”.

Un solo cervo rosso adulto può sfamare diverse persone, ma se viene cacciato in abbondanza e senza limiti, o se l’ambiente si trasforma in uno meno favorevole per la popolazione animale, gli esseri umani devono adattarsi e sopravvivere con animali più piccoli.

Secondo Weitzel, l’agricoltura potrebbe aver rappresentato una valida alternativa alla caccia di piccole prede, un modo per produrre le quantità di cibo sufficienti a sfamare una popolazione umana, anche se richiede molto più lavoro rispetto ad una vita da cacciatore-raccoglitore.

I risultati da lui ottenuti supporterebbero l’idea che l’agricoltura sia sorta in periodi in cui c’era scarsità di cibo nutriente. “La domesticazione in tempi di surplus non sembra il miglior modo di intendere la domesticazione delle origini”.

Food for thought: Why did we ever start farming?
Population boom preceded early farming

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Le conseguenze negative dell’ agricoltura neolitica https://www.vitantica.net/2018/12/05/conseguenze-negative-agricoltura-neolitica/ https://www.vitantica.net/2018/12/05/conseguenze-negative-agricoltura-neolitica/#comments Wed, 05 Dec 2018 00:10:09 +0000 https://www.vitantica.net/?p=2689 La nascita dei primi villaggi stabili nel Neolitico coincide con lo sviluppo delle prime tecniche agricole della storia. L’agricoltura fu la causa primaria di un cambiamento epocale nella civiltà umana, ma con gli indubbi vantaggi della vita stanziale e della produzione in massa di cibo emersero nuovi aspetti, non sempre positivi, nelle società umane.

Le conseguenze demografiche dell’agricoltura

La nascita dell’agricoltura coincide con la presenza di surplus alimentari su vasta scala. Il surplus alimentare è un fattore che favorisce la natalità: cibo in abbondanza non causa preoccupazioni su come sfamare la prole e contribuisce a mantenere in salute coppie che in futuro diventeranno genitori; la sedentarietà consentì alle madri del Neolitico di crescere un maggior numero di figli che, una volta raggiunta l’età adatta, diventano risorse utili per il lavoro nei campi e il mantenimento della famiglia.

In quasi 4.000 anni (8.000 a.C. – 4.000 a.C.) la popolazione mediorientale registrò un boom di nascite: si passò da circa 100.000 abitanti a oltre 3 milioni, un aumento ancora più sorprendente se si considera il tasso di mortalità alla nascita e la speranza di vita media del periodo.

Ma la rivoluzione agricola del Neolitico non fece crescere la popolazione mondiale in modo costante e repentino: occorre attendere almeno 3.000 anni prima di vedere un reale incremento demografico. Perché? Per il semplice fatto che l’agricoltura delle origini causava un mucchio di problemi a medio-lungo termine, problemi difficili da prevedere per società che non hanno mai avuto un passato agricolo.

Grafico che mostra l'incremento demografico a partire da 10.000 anni fa.
Grafico che mostra l’incremento demografico a partire da 12.000 anni fa.

Passare dal nomadismo alla sedentarietà comporta il consumo di risorse naturali per favorire le colture produttive: la foresta cede il passo ai campi, il terreno inizia ad impoverirsi e gli animali addomesticati non fanno altro che peggiorare la situazione, distruggendo ciò che resta di ecosistemi un tempo selvaggi ma poco proficui per la sopravvivenza di una comunità sedentaria.

L’agricoltura delle origini era basata su un numero molto limitato di colture e rese la dieta umana qualitativamente più povera rispetto a quella di popoli che ottenevano il loro cibo da qualunque cosa crescesse spontaneamente. Questo provocò carenze nutrizionali che influirono ciclicamente sulla salute degli agricoltori: nei periodi più difficili, carestie e malnutrizione decimavano la popolazione.

L’inizio dell’agricoltura non corrisponde con un aumento dell’aspettativa di vita; al contrario, le analisi sui reperti ossei del Neolitico dimostrerebbero una diminuzione dell’aspettativa di vita, l’insorgere di problemi come malattie degenerative, diabete, obesità (sconosciuta ai cacciatori-raccoglitori), carenze di ferro e problemi alle ossa.

La statura media subì anch’essa una riduzione: da 178 /168 centimetri (uomo / donna) a 165 / 155 centimetri di altezza media. Solo verso la fine del XIX secolo l’essere umano riuscì a riprendersi e a ritornare alla statura osservabile nei periodi precedenti alla rivoluzione agricola del Neolitico.

Agricoltura e diseguaglianza sociale

Agricoltura neolitica e stratificazione sociale

Secondo molti esperti la nascita dell’agricoltura coincide con il rafforzamento di concetti come l’ineguaglianza e la stratificazione sociale. In culture di cacciatori-raccoglitori si è abituati ad accettare il fatto che ogni individuo possieda abilità differenti, ma questo generalmente non causa una pressione sociale tale da creare povertà o diseguaglianza ingiustificata.

L’abilità di generare e controllare il surplus alimentare non fece altro che aumentare l’influenza sociale di alcuni individui a discapito di altri meno fortunati. Il concetto di ricchezza era fondamentalmente sconosciuto ai cacciatori-raccoglitori, o quanto meno interpretato in modo differente dall’idea di ricchezza delle comunità agricole.

Possedere e rendere produttivo un campo di grandi dimensioni richiede manodopera; i braccianti lavoreranno per conto del padrone dell’appezzamento di terra (che lavorerà sempre meno mentre accumula ricchezza dal lavoro degli altri) in cambio di una parte del raccolto, trovandosi involontariamente invischiati in una piramide sociale che coinvolge anche chi produce gli strumenti di lavoro, chi prega per la pioggia o chi protegge il raccolto da potenziali invasori.

In questa piramide, ogni individuo ha un potere contrattuale differente: in località soggette a frequenti incursioni di clan rivali o animali selvaggi, la classe militare viene tenuta in grande considerazione rispetto alla comunità di braccianti; in regioni colpite da fenomeni atmosferici incontrollabili e apparentemente connessi al volere di divinità volubili, i sacerdoti rivestono un ruolo di vitale importanza per domare la volontà distruttiva degli dei.

Il surplus di cibo generò quindi ruoli sociali non produttivi: le caste sacerdotali, ad esempio, non producevano nulla ma vivevano di ciò che gli agricoltori erano in grado di produrre grazie alla loro presunta intercessione con le divinità; la classe politica era anch’essa non produttiva, ma consentiva agli agricoltori di intrattenere scambi commerciali con altre comunità vicine e lontane; la casta militare proteggeva il raccolto e la ricchezza accumulata da contadini e proprietari terrieri, ma in molti casi non svolgeva alcun ruolo nella produzione di cibo.

Agricoltura e insicurezza alimentare

Agricoltura neolitica e insicurezza alimentare

Lo stile di vita dei cacciatori-raccoglitori del Neolitico era senza dubbio complesso e duro, ma rispetto alla sedentarietà era più flessibile ai capricci dell’ecosistema. Molte comunità nomadi facevano affidamento sulla conoscenza di oltre un centinaio di piante commestibili che crescevano seguendo il ritmo stagionale; si adattavano a mangiare ciò che la natura poteva offrire in un determinato periodo dell’anno e avevano a disposizione una vasta gamma di opzioni alimentari.

L’agricoltura invece lega la popolazione a poche specie di colture, spesso molto suscettibili al clima o all’attacco di parassiti proprio a causa della selezione artificiale che hanno attraversato per poter essere trasformate in piante produttive. La monocoltura ha un grosso problema: se una pianta si ammala, è molto probabile che tutte le piante vicine possano subire la stessa sorte.

Quando tutto funziona a dovere, l’agricoltura è capace di produrre enormi surplus alimentari che, se correttamente gestiti, forniscono cibo in abbondanza e per tutto l’anno. Fu proprio questo a contribuire alla crescita demografica delle popolazioni sedentarie qualche millennio dopo la “nascita” dell’agricoltura.

Ma quando subentrano siccità, fenomeno atmosferici violenti, gelo, parassiti, animali selvatici e contaminazione delle risorse alimentari immagazzinate per tempi meno produttivi, l’agricoltura mostra il suo lato più spaventoso. Fame e inedia colpiscono pesantemente la popolazione e chi ha avuto la fortuna di conservare una parte del raccolto si trova in una posizione privilegiata e negli strati più alti della piramide sociale ed economica del suo gruppo sociale.

Le “malattie agricole”

Malattie e epidemie antiche

Come accennato all’inizio del post, una dieta povera basata su poche specie di cereali o tuberi causa scompensi nutrizionali che si traducono in problemi di salute. Le malattie infettive furono invece una conseguenza della stretta convivenza con gli animali addomesticati e della densità abitativa delle prime comunità agricole.

Una società i cui membri vivono a stretto contatto l’uno con l’altro favorisce la diffusione di malattie infettive, anche verso altre comunità. Le pratiche igieniche dei primi insediamenti agricoli non erano di certo come quelle moderne: non esistevano fogne o acqua corrente e i rifiuti affollavano strade fangose che costituivano un terreno di coltura perfetto per parassiti, batteri e virus.

La vicinanza con i primi animali addomesticati, come vacche, pollame, cani e gatti, favorì il salto di specie di alcune malattie sopravvissute fino ad oggi, malattie che i primi agricoltori del Neolitico non erano biologicamente preparati ad affrontare.

Un esempio è lo sterminio delle popolazioni native causato dalle malattie infettive europee durante la conquista delle Americhe: influenza, morbillo e vaiolo erano malattie che gli abitanti del Nuovo Mondo non conoscevano (e per le quali non avevano sviluppato alcuna resistenza) per il semplice fatto che, contrariamente agli Europei, non avevano alle spalle migliaia di anni di selezione naturale spinta dalla convivenza con gli animali domestici.

Agricoltura e problemi di denti

E’ possibile distinguere un cacciatore-raccoglitore da un agricoltore di 12.000 anni fa semplicemente osservando la dentatura. L’analisi dei denti condotta da Ron Pinhasi della School of Archaeology and Earth Institute di Dublino dimostra che “le mandibole dei primi agricoltori di Levante non sono semplicemente versioni ridotte di quelle dei loro predecessori cacciatori-raccoglitori, ma subirono una serie complessa di cambiamenti morfologici durante la transizione verso l’agricoltura”-

“La nostra ricerca mostra che la popolazione cacciatrice-raccoglitrice aveva una perfetta armonia tra la mandibola e la dentatura” sostiene Pinhasi. “Ma questa armonia inizia a ridursi quando si esaminano le mandibole e i denti dei primi agricoltori”.

La dieta dei cacciatori-raccoglitori è basata su cibi duri, come piante non cotte e carne, mentre la base della dieta di un agricoltore è costituita da cereali e legumi cotti, molto più morbidi e che non richiedono grandi sforzi durante la masticazione.

La mandibola quindi tende a ridursi, ma i denti non subiscono lo stesso processo causando sovrapposizioni che erano relativamente rare tra le popolazioni nomadi che vivevano di caccia e di raccolta.

Neolithic Revolution
IMPACT AND CONSEQUENCES OF EARLY AGRICULTURE

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536 d.C.: l’anno peggiore in cui vivere https://www.vitantica.net/2018/11/19/536-anno-peggiore/ https://www.vitantica.net/2018/11/19/536-anno-peggiore/#respond Mon, 19 Nov 2018 13:00:05 +0000 https://www.vitantica.net/?p=2789 L’essere umano ha attraversato diversi periodi bui nella sua storia: pestilenze, carestie e guerre hanno decimato la popolazione nei secoli passati, mietendo milioni di vittime. Ma, secondo lo storico medievale Michael McCormick, il periodo peggiore della storia umana iniziò nell’anno 536 d.C. per terminare all’inizio del VII secolo.

Secondo McCormick e i suoi colleghi della Harvard University Initiative for the Science of the Human Past, il 536 fu un periodo bizzarro e con conseguenze che ebbero ripercussioni profonde per tutto il secolo successivo. In primo luogo, una nebbia misteriosa avvolse l’Europa e il Medio Oriente, facendosi largo anche in alcune regioni asiatiche.

L’inizio di un periodo oscuro

Le temperature medie estive durante l’anno 536 calarono di 1,5-2,5°C, dando inizio alla decade più fredda mai registrata nei precedenti 2300 anni di storia. In Cina cadde una quantità estrema di neve d’estate, facendo fallire raccolti e riducendo alla fame milioni di persone. Nello stesso periodo, le cronache irlandesi citano un fallimento quasi totale dei cereali e l’Europa intera registrò un drastico calo della produzione agricola.

Come se non bastasse, 5 anni dopo si scatenò la Peste di Giustiniano, una pandemia di Yersinia pestis che, tra il 541 e il 543, decimò la popolazione europea partendo dall’Etiopia o dall’Egitto per poi diffondersi in tutto l’impero bizantino. Secondo gli storici moderni, la Peste di Giustiniano provocò circa 25 milioni di morti.

Per quanto riguarda la nube che diminuì la luminosità del sole, McCormick e il suo collaboratore Paul Mayewski della Climate Change Institute of The University of Maine credono di aver individuato i colpevoli dopo aver analizzato il ghiaccio groenlandese e quello di un antico ghiacciaio svizzero.

Grafico della Piccola Era Glaciale tardo antica
(GRAPHIC) A. CUADRA/SCIENCE; (DATA) C. P. LOVELUCK ET AL., ANTIQUITY 2018; M. SIGL ET AL., NATURE 2015; M. MCCORMICK
La Piccola Era Glaciale tardo antica

All’inizio del 536 si verificò una potentissima eruzione vulcanica in Islanda, seguita da altre due nel 540 e nel 547, in contemporanea con un’eruzione di portata altrettanto grande in Nord America tra il 535 e il 536 e l’eruzione del vulcano Rabaul in Papua Nuova Guinea.

Quando un vulcano erutta rilascia un’enorme quantità di particelle che contengono zolfo, bismuto e altre sostanze che possono viaggiare a lungo nell’atmosfera e che tendono a bloccare la luminosità solare. Le particelle prodotte dall’attività vulcanica possono rimanere intrappolate nel ghiaccio e la loro analisi contribuisce enormemente a comprendere l’evoluzione del clima del pianeta.

Nel 2013 fu estratta una “carota” di ghiaccio dal ghiacciaio di Colle Gnifetti sulle Alpi svizzere. Lungo ben 72 metri in totale, il carotaggio riporta la storia climatica di oltre 2.000 anni: contiene polvere del Sahara, tracce chimiche dei vulcani e particelle prodotte dall’attività umana.

Analizzando le tracce chimiche rimaste nel ghiaccio (bene o male equivalente all’osservazione degli anelli di un albero per ricostruirne la storia), i ricercatori hanno scoperto nei carotaggi che la sezione dell’anno 536 conserva tracce di vetro vulcanico molto simili a quelle rinvenute in laghi e torbiere europee; queste particelle sono inoltre coerenti con l’attività vulcanica islandese.

Temperature estive ricostruite grazie all'analisi degli anelli degli alberi che vivono sui Monti Altai e sulle Alpi.
Temperature estive ricostruite grazie all’analisi degli anelli degli alberi che vivono sui Monti Altai e sulle Alpi.

Circa un secolo dopo, nel 640, superate le conseguenze delle eruzioni avvenute a metà del VI secolo, il clima iniziò a riscaldarsi, ma non prima di aver causato danni ingenti per quasi cent’anni. La Piccola Era Glaciale tardo antica, secondo gli autori dell’epoca come Procopio, causò un appannamento del sole visibile in tutta Europa e in parte dell’Asia, neve in estate, una nebbia secca e densa in Medio Oriente e in Cina e una carestia in Perù che influì pesantemente sulla civiltà Moche.

A supporto dell’ipotesi che la Piccola Era Glaciale tardo antica sia stata causata da un inverno vulcanico, la dendrocronologia ha rilevato una crescita ridotta anomala nelle querce irlandesi durante l’anno 536, seguita da un’altra crescita ridotta nel 542. Le stesse anormalità sono state registrate in Svezia, in Finlandia e in California, suggerendo un evento o una serie di eventi vulcanici di portata globale.

Le conseguenze dell’inverno vulcanico sulla popolazione mondiale furono terribili e hanno portato McCormick alla conclusione che il 536 d.C. “fu l’inizio di uno dei peggiori periodi in cui vivere, se non l’anno peggiore”.

Why 536 was ‘the worst year to be alive’

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Slash & Burn, o Taglia e Brucia https://www.vitantica.net/2018/10/11/slash-burn-o-taglia-e-brucia/ https://www.vitantica.net/2018/10/11/slash-burn-o-taglia-e-brucia/#respond Thu, 11 Oct 2018 02:00:21 +0000 https://www.vitantica.net/?p=2251 In “Up in Smoke”, il regista Adam Wakeling segue l’ecologo Michael Hands nella giungla dell’Honduras per incontrare la popolazione. L’incontro è volto a far conoscere le alternative alla tecnica di slash & burn utilizzata tradizionalmente dai locali per liberare vaste aree di giungla.

Molte società cacciatrici-raccoglitrici manipolano attivamente il territorio utilizzando il fuoco per bruciare le piante infestanti o non commestibili, oppure applicando la tecnica slash & burn per creare nuovi territori di caccia.
I nativi americani conoscevano perfettamente la tecnica del “taglia e brucia” (slash & burn), che prevede l’incendio controllato di una porzione di foresta per lasciar spazio a colture più produttive e creare un terreno di caccia più favorevole alle tecniche predatorie umane.

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In tempi moderni, lo slash & burn è un’attività che coinvolge tra i 200 e i 500 milioni di persone in tutto il mondo. Nel 2004 si è calcolato che soltanto in Brasile circa 500.000 piccoli agricoltori si siano avvantaggiati del taglia e brucia per far spazio a campi e allevamenti.

La tecnica slash & burn è considerata non scalabile (diventa estremamente svantaggiosa in termini ambientali se applicata su scala sempre più vasta) ed è un elemento di primaria importanza nel disboscamento di migliaia di ettari di foresta e nel cambiamento climatico antropogenico locale e globale.

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Le caratteristiche di una società di cacciatori-raccoglitori https://www.vitantica.net/2018/07/16/caratteristiche-societa-cacciatori-raccoglitori/ https://www.vitantica.net/2018/07/16/caratteristiche-societa-cacciatori-raccoglitori/#comments Mon, 16 Jul 2018 02:00:14 +0000 https://www.vitantica.net/?p=1901 Cosa distingue una cultura basata sulla caccia e sulla raccolta da una società agricola o dedita alla pastorizia? Le tribù di cacciatori-raccoglitori sono meno belligeranti di quelle industrializzate o pre-industriali? Gli antropologi si pongono queste domande da diverso tempo; con anni di osservazioni e di duro lavoro sono riusciti a delineare alcune caratteristiche comuni tra le società cacciatrici-raccoglitrici conosciute, antiche e moderne.

Stile di vita nomade o seminomade

Molte società di cacciatori-raccoglitori conducono generalmente uno stile di vita nomade o seminomade (molto più raramente sono stanziali) e sono organizzate in piccole comunità dalla scarsa densità abitativa.

La vita totalmente nomade è più frequente in ambienti in cui le stagioni tendono ad essere più lunghe (e di solito più estreme), ma è abbastanza frequente a tutte le latitudine che la necessità di cibo e risorse costringa intere comunità a spostamenti frequenti tra diversi accampamenti stagionali.

Scarsa gerarchia sociale

Le società di cacciatori-raccoglitori osservabili in epoca moderna non dispongono di ufficiali politici specializzati. Più in generale, non esiste una vera e propria differenziazione in base alla ricchezza posseduta, ma molti beni sono di uso comune, case comprese (sono abitazioni occupate da un intero clan o gruppo familiare).

Esperienza e uguaglianza

Non importa se patriarcali o matriarcali, le società di cacciatori-raccoglitori tendono ad essere parzialmente egualitarie e ad apprezzare più l’esperienza sul campo piuttosto che la proprietà posseduta. Di solito non esiste un vero capo, ma piuttosto una gamma di esperti in vari campi (caccia, pesca, raccolta) che prendono l’iniziativa e che vengono seguiti dagli individui meno esperti.

Durante la caccia tutti devono fare la loro parte, compresi questi ragazzini Awa di ritorno da una battuta di caccia terminata con successo. Foto di Domenico Pugliese
Durante la caccia tutti devono fare la loro parte, compresi questi ragazzini Awa di ritorno da una battuta di caccia terminata con successo. Foto di Domenico Pugliese
Suddivisione dei ruoli

Il lavoro viene generalmente suddiviso solo in base ad età e sesso: le donne e i bambini si occupano solitamente della raccolta di piante spontanee e gli uomini invece si applicano nella pesca e nella caccia. La suddivisione dei ruoli non è rigida e immutabile e in alcune regioni del pianeta ci sono eccezioni degne di nota: nel popolo Aeta delle Filippine oltre l’ 80% delle donne partecipa alle attività di caccia e ottiene un successo maggiore rispetto agli uomini (31% contro 17%). Quando lavorano in combinazione con gli uomini, le probabilità di successo aumentano ulteriormente raggiungendo il 41%.

Tempo libero: meno ore di lavoro

I cacciatori-raccoglitori tendono a lavorare meno ore e a disporre di più tempo libero rispetto ai produttori di cibo: circa 6,5 ore di lavoro contro le 8,8 delle società agricole o industrializzate.

Cooperazione nella caccia e nella raccolta

La sopravvivenza delle comunità di cacciatori-raccoglitori, come anche di quelle agricole, dipende in buona parte dalla cooperazione dell’intero gruppo sociale: molti membri sono quotidianamente impegnati a procacciare cibo tramite la caccia e la raccolta, a mantenere le risorse a disposizione (come bestiame e orti) o a preparare e conservare il cibo per i periodi più duri.

Speranza di vita

Il 57% dei cacciatori-raccoglitori moderni raggiungerà l’età di 15 anni; tra questi, il 64% riuscirà a superare i 45 anni, con un’ aspettativa di vita compresa tra i 21 e i 37 anni. L’ 80% dei decessi è causato da malattie e il 20% da atti violenti o incidenti.

Aspettativa di vita dei cacciatori-raccoglitori moderni da una ricerca del 2007 condotta dalla UC Santa Barbara
Apprendimento:

Se paragonata ad una società che produce attivamente cibo, una cultura di cacciatori-raccoglitori pone meno enfasi sull’obbedienza, sulla responsabilità individuale o sull’insegnamento verbale; ma le culture con una forte impronta cacciatrice sono più portate a presentare traguardi da superare ai loro bambini.

Scorte di cibo e risorse alimentari

I cacciatori-raccoglitori sono tendenzialmente meno suscettibili a carestie e all’imprevidibilità delle risorse alimentari. Il loro stile di vita li ha abituati all’ottenimento di risorse alimentari da qualunque pianta o animale commestibile e la varietà di specie vegetali che consumano impedisce di incappare nei problemi tipici della monocoltura.

Manipolazione del territorio:

Molte società cacciatrici-raccoglitrici manipolano attivamente il territorio utilizzando il fuoco per bruciare le piante infestanti o non commestibili, oppure applicando la tecnica slash-and-burn per creare nuovi territori di caccia.

Belligeranza

Secondo alcune ricerche, la maggior parte delle popolazioni di cacciatori-raccoglitori ingaggia guerre con altri gruppi sociali almeno una volta ogni due anni; secondo altre invece gli scontri violenti si verificherebbero con minore frequenza rispetto alle culture produttrici di cibo. I risultati di queste analisi variano in base al valore che assumono termini come “pace” e “guerra” tra gli indigeni e tra i ricercatori: alcune azioni violente (come il punire severamente chi ha violato un tabù) non vengono considerate atti di guerra ma solo disciplina e rispetto delle tradizioni.

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Caccia o raccolta

Più ci si trova vicino all’equatore e in “località verdi” in cui la disponibilità di piante commestibili è elevata, meno i cacciatori-raccoglitori saranno dediti alla pesca o alla caccia. In queste circostanze, anche gli uomini partecipano attivamente alla raccolta. In climi più freddi, invece, la caccia e la pesca diventano attività predominanti (come tra gli Inuit, in cui l’attività di raccolta è pressoché inesistente a favore di una dieta a base di grasso e proteine animali).

Matriarcale o patriarcale

Più una società di cacciatori-raccoglitori si dedica alla raccolta, più avrà probabilità di avere una struttura matriarcale. Le società patriarcali e matriarcali non mostrano differenze nella frequenza di atti di guerra o violenti: l’elevata densità di popolazione e la complessità della cultura sembrano essere fattori che influiscono sulla belligeranza.

Territorio

Una società cacciatrice-raccoglitrice ha bisogno di un vasto territorio per poter sopravvivere; la sedentarietà è possibile solo in aree con una particolare abbondanza di risorse facilmente reperibili e un terreno adatto a supportare grandi quantità di monocoltura.

No, hunter gatherers were not peaceful paragons of gender equality
Carol R. Ember. 2014. “Hunter-Gatherers” in C. R. Ember, ed. Explaining Human Culture. Human Relations Area Files
Hunter-gatherer

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Quante calorie servono per sopravvivere? https://www.vitantica.net/2018/05/14/quante-calorie-servono-per-sopravvivere/ https://www.vitantica.net/2018/05/14/quante-calorie-servono-per-sopravvivere/#comments Mon, 14 May 2018 02:00:42 +0000 https://www.vitantica.net/?p=1683 Il fabbisogno minimo di calorie di un individuo può variare enormemente in base al tipo di attività fisica che svolge e alle condizioni climatiche a cui è sottoposto: un clima rigido costringerà l’organismo ad utilizzare una parte consistente del cibo ingerito per produrre il calore necessario a mantenere l’indispensabile livello di operatività e garantire che tutti gli organi fondamentali possano operare ai ritmi richiesti dalle circostanze.

Calcolare il fabbisogno calorico necessario a sopravvivere è quindi un problema complesso e che deve essere necessariamente adattato al grado di “fitness” di uno specifico individuo e all’ostilità dell’ambiente che lo ospita.

Il corpo ha costantemente bisogno di calorie per mantenere le funzioni vitali: il cuore non smette mai di battere, il sistema nervoso è sempre al lavoro per interpretare ed elaborare gli stimoli sensoriali che riceve, senza contare il fabbisogno d’energia necessario a riparare eventuali danni causati a muscoli, ossa o tendini.

Tra il 60% e il 70% delle calorie consumate da un essere umano vengono generalmente dedicate al mantenimento delle funzioni fondamentali dell’organismo.

L’attività fisica modifica ovviamente il fabbisogno calorico: i carboidrati e i grassi contribuiscono a generare energia (i primi sono ideali per attività in cui è richiesta resistenza sul medio-lungo termine), mentre le proteine rinforzano la struttura muscolare a seguito di un’attività fisica in cui è richiesta forza.

Ignorare o sottovalutare l’importanza di un giusto apporto di carboidrati, proteine e grassi può portare a profondi scompensi osseo-muscolari o a cali energetici nei momenti di maggior lavoro del nostro organismo.

Quante calorie per sopravvivere?

Ma quante calorie e nutrienti sono necessari al mantenimento di un organismo sano immerso nella natura?

Secondo molti istituti di ricerca (come la Harvard Health Publications), per sopravvivere senza conseguenze in un ambiente urbano, subendo tuttavia un graduale dimagrimento, sono necessarie almeno 1.200 Kcal al giorno per una donna e 1.500 Kcal al giorno per un uomo; ma per mantenere costante il peso corporeo sono necessarie invece 1.600-2.400 Kcal al giorno per una donna e 2-3.000 Kcal al giorno per un uomo.

L’ambiente moderno in cui viviamo non è tuttavia un esempio azzeccato per determinare uno spettro di calorie necessario a sopravvivere nella natura selvaggia.

A casa possiamo godere di riscaldamento automatizzato, acqua corrente, servizi igienici a distanza di qualche metro dalla camera da letto, senza contare una fornitura di energia elettrica che consente di attivare qualunque apparecchio moderno che semplifica enormemente la vita quotidiana.

Ju/hoansi San durante l'attività di raccolta di tuberi e radici commestibili
Ju/hoansi San durante l’attività di raccolta di tuberi e radici commestibili

In natura le cose sono decisamente più complesse: per riscaldarsi occorre creare e manipolare il fuoco (attività che, pur avendo a disposizione i materiali adatti, può richiedere un enorme dispendio di tempo e di energie), per ottenere acqua potabile bisogna innanzitutto localizzare un sorgente e trasportare l’acqua fino al proprio accampamento (attività da svolgere almeno due-tre volte al giorno) e farla bollire.

Se invece si viene improvvisamente colti da uno “stimolo notturno”, l’unica opzione è quella di allontanarsi dall’accampamento nel cuore della notte prestando attenzione a predatori o a eventuali ostacoli potenzialmente pericolosi.

Calcolo della richiesta energetica

Un esercizio utile per determinare con approssimazione il fabbisogno calorico di un individuo immerso nella natura è il calcolo della richiesta energetica di un essere umano in base al suo livello di attività fisica.

Il calcolo del fabbisogno calorico giornaliero si basa su tre elementi:

  • Metabolismo basale (BMR – Basal Metabolic Rate): energia spesa giornalmente per le funzioni di base dell’organismo;
  • Energia consumata per attività fisica;
  • Energia spesa per digerire e assorbire gli alimenti.

Per calcolare il proprio metabolismo basale sono necessari dati come sesso, età, peso e altezza. Utilizzando le formule messe a disposizione dalla FAO e questo calcolatore, un adulto come il sottoscritto ha un ritmo metabolico di base pari a circa 1.800 Kcal al giorno.

Ottenuto il BMR, possiamo fare una stima del fabbisogno calorico giornaliero utilizzando la tabella dei coefficienti LAF (Livello di Attività Fisica) dell’ Organizzazione Mondiale della Sanità.

Nel caso di un adulto dotato delle mie caratteristiche fisiche e costretto a sopravvivere in natura, possiamo ipotizzare che il suo LAF sia attestabile ad un coefficiente pari a 2 (“attività pesante”), ottenendo come risultato 1.800 Kcal x 2 = 3.600 Kcal giornaliere per mantenere stabile il peso, la muscolatura e le riserve di grasso.

Cosa mangiare per assumere sufficienti calorie?

Assumere quotidianamente 3.600 Kcal dalla caccia o dalla raccolta può risultare un traguardo difficilmente raggiungibile, soprattutto nei periodi dell’anno più scarsi di risorse. Per ottenere la quota di 3.600 Kcal occorrerebbe mangiare ogni giorno quantità consistenti di uno dei seguenti alimenti:

  • Oltre 1kg di carne (mediamente 200-300 Kcal per etto);
  • Quasi 2 kg di salmone (circa 200 Kcal per etto);
  • Oltre una ventina di uova (150 Kcal per etto);
  • Circa 10 noci di cocco (350 Kcal per 100g);
  • Oltre 20 avocado (160 Kcal per 100g);
  • Oppure ingerire 600 grammi di noci (circa 600 Kcal per 100g, sgusciate).

Questa estrema semplificazione potrebbe far pensare che, una volta individuata una fonte di noci, si possa condurre un’intera esistenza mangiando esclusivamente quello. I problemi con quest’idea sono principalmente quattro:

  • Ogni noce contiene circa 4 grammi di materia commestibile (quelle selvatiche potrebbero essere più piccole). Nel migliore dei casi, quindi, sarebbe necessario trovare, sgusciare e mangiare circa 150 noci al giorno per coprire il fabbisogno calorico giornaliero;
  • Per quanto si tratti di un alimento ricco di proprietà benefiche, non ha un profilo completo dal punto di vista nutrizionale, circa il 60% dell’energia prodotta deriva dai grassi contenuti nelle noci (tra i quali i celebri omega 3) e non contiene la vitamina B12, tipica degli alimenti di origine animale e indispensabile per un corretto funzionamento dell’organismo, specialmente sul medio-lungo termine;
  • Un consumo eccessivo di noci (come per molti altri alimenti) può causare problemi: diarrea, problemi digestivi ed eruzioni cutanee, senza contare le reazioni potenzialmente fatali nei soggetti allergici;
  • Mangereste noci ininterrottamente, ogni giorno, per il resto della vostra vita? E’ possibile che dopo qualche giorno questo regime alimentare possa portare alla monotonia, se non addirittura all’esasperazione dopo qualche settimana di consumo forzato.

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Cacciatori-raccoglitori: poche calorie e lavoro di gruppo

Come facevano i nostri antenati cacciatori-raccoglitori ad ottenere e mangiare il cibo necessario per mantenersi in forze e svolgere le loro attività quotidiane? Utilizzando un mix di adattamenti biologiche e cooperazione sociale:

  • La sopravvivenza delle comunità di cacciatori-raccoglitori e di quelle agricole dipende in buona parte dalla cooperazione dell’intero gruppo sociale: molti membri sono quotidianamente impegnati a procacciare cibo tramite la caccia e la raccolta, a mantenere le risorse a disposizione (come bestiame e colture) o a preparare e conservare il cibo per i periodi più duri.
    Se un singolo individuo è costretto a trascorrere la maggior parte della giornata a cacciare o raccogliere cibo, la collettività consente di dedicare solo una parte del giorno alla produzione e al consumo di cibo;
  • Circa il 30% della dieta dei cacciatori-raccoglitori era costituita da proteine animali, ma questo non significa che mangiassero carne ogni giorno. Gli Hadza e i Kung africani, gruppi di cacciatori-raccoglitori moderni, hanno un successo nella caccia inferiore al 50% e possono trascorrere lunghi periodi in cui non vedono neanche l’ombra di un pezzo di carne.
    L’unica eccezione sembra essere rappresentata dalle popolazioni artiche (come gli Inuit), la cui dieta è costituita al 99% da carne e grasso animale per via delle condizioni ambientali in cui vivono, condizioni che impediscono la crescita di materia vegetale commestibile;
  • Quando la caccia falliva nel procacciare cibo, la raccolta quotidiana di piante spontanee, bacche, frutta, funghi e insetti manteneva in vita l’intera comunità. La raccolta, tradizionalmente affidata alle donne e ai bambini, era un’attività svolta quotidianamente e che richiedeva diverse ore per essere portata a termine e soddisfare il fabbisogno alimentare della collettività.
    Anche con diversi mesi di buona raccolta, tuttavia, i nostri antenati trascorrevano lunghi periodi in cui erano costretti a consumare ciò che avevano raccolto e conservato nei periodi più proficui, intervallati da giorni o intere settimane in cui si mangiava poco o nulla;
  • I nostri antenati erano tendenzialmente più piccoli di noi, con la conseguenza di dover consumare un numero minore di calorie ogni giorno rispetto all’essere umano moderno; erano inoltre più adattati alla vita in natura e tendevano a conservare energia in modo più efficiente rispetto all’essere umano moderno.
    Gli Hadza africani, ad esempio, consumano in media circa 1.400-1.500 Kcal al giorno: ogni giorno praticano la raccolta, cacciano circa 3 volte la settimana (e nella metà dei casi tornano a mani vuote) e trascorrono periodi digiunando per assenza di materia commestibile da ingerire.

Why Aren’t Hunter-Gatherers Obese?
The Evolution of Diet
Fabbisogno calorico giornaliero (FCG)
Minimum Amount of Calories Needed Per Day to Survive

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Mais inca e escrementi di lama https://www.vitantica.net/2018/03/29/mais-inca-escrementi-lama/ https://www.vitantica.net/2018/03/29/mais-inca-escrementi-lama/#respond Thu, 29 Mar 2018 02:00:03 +0000 https://www.vitantica.net/?p=1500 Come fecero gli Inca, 700 anni prima di Cristo, a coltivare mais in un clima rigido e difficile come quello andino senza poter contare sui grandi mammiferi che alimentarono la rivoluzione agricola nel Vecchio Mondo? Secondo Alex Chepstow-Lusty, paleoecologo del French Institute for Andean Studies di Lima, il segreto del mais inca sono gli escrementi di lama.

Mais sulle Ande

Il mais, coltura chiave nell’evoluzione sociale dell’essere umano nel Centro e Sud America, contribuì al passaggio dall’uomo cacciatore-raccoglitore a quello agricoltore-allevatore, segnando un momento fondamentale nella storia del Nuovo Mondo e in seguito rivoluzionando l’alimentazione del Vecchio dopo lo “Scambio colombiano”.

Ma come sia stato possibile coltivare coltivare mais a oltre 3.000 metri di quota è sempre rimasto un mistero fino alla pubblicazione della ricerca di Chepstow-Lusty sulla rivista scientifica Antiquity.

“Il passaggio al mais si verificò 2.700 anni fa e fu possibile grazie ad una grande disponibilità di escrementi di lama. I fertilizzanti organici hanno consentito di coltivare il granoturco ad elevate altitudini, permettendo agli Inca di insediarsi stabilmente e di fiorire come civiltà” spiega il ricercatore.

Dato che non esistono testimonianze scritte dell’antico linguaggio Inca (questa civiltà non conosceva la scrittura), i dettagli sulle loro abitudini e sulle loro tecnologie sono pochi e spesso confusi.

Lago Marcacocha
Lago Marcacocha

Ma Chepstow-Lusty è riuscito a risalire al momento in cui il mais fu introdotto nella cultura Inca analizzando i sedimenti prelevati dal fondo del Marcacocha, un lago nella regione peruviana di Cuzco che si trova a circa 4.500 metri sul livello del mare.

Come gli anelli di un albero sono in grado di dirci con una certa approssimazione l’età di una pianta e i cambiamenti climatici che ha attraversato, ogni strato di sedimenti ci racconta un pezzo del passato andino: il carotaggio del fondo del lago, un cilindro lungo ben 6,3 metri, contiene tracce di ciò che accadde nella regione fino a 4.200 anni fa.

Un alimento migliore di patate e quinoa

Chepstow-Lusty ha scoperto che i primi pollini di mais sono apparsi sul fondo del lago circa 700 anni prima di Cristo; questo dimostrerebbe che la coltivazione del mais si spinse fino ad oltre 3.000 metri di altezza sul livello del mare, zona generalmente non molto adatta all’agricoltura

Come per moltissime civiltà del passato, anche per gli Inca il mais rappresentò un punto di svolta. Fino all’introduzione di questo cereale il cibo più comune erano patate e quinoa, una pianta ricca di proteine venerata dagli Inca e capace di crescere ad oltre 4.000 metri; ma il mais è più facile da conservare e da trasportare delle patate o della quinoa, oltre a fornire un apporto calorico più alto se paragonato a quello delle altre due piante.

“Questo fa la differenza quando non esistono strade e veicoli con ruote, o quando ogni cosa deve essere trasportata sul dorso di un lama” spiega Graham Thiele, esperto dell’agricoltura andina all’ International Potato Center di Lima.

“In aggiunta” continua Thiele, “il mais era più facile da accumulare in magazzini controllati dall’aristocrazia e avrebbe supportato il prelievo delle tasse da parte delle elite emergenti Inca e Wari. Per queste ragioni, il mais supera le patate per trasportabilità, immagazzinamento e convenienza nel pagamento di un tributo“.

mais inca e escrementi di lama

Acari ed escrementi di lama

I sedimenti del lago hanno anche mostrato la presenza di acari (Cryptostigmata o Oribatida) che si nutrono di escrementi animali: il periodo di maggior abbondanza di questi animali corrisponde con la prima apparizione del mais in Perù, suggerendo che la coltivazione di questo cereale si sia verificata in corrispondenza della comparsa di branchi di grandi mammiferi.

Ma non esistendo al tempo nelle Americhe nessuno dei grandi mammiferi che caratterizzarono la rivoluzione agricola in altri continenti (come bovini e suini), gli escrementi di erbivori più diffusi all’epoca erano quelli di lama.

Questo dimostrerebbe che il mais abbia raggiunto l’inospitale ecosistema delle Ande con l’aiuto degli escrementi di lama. “Generalmente i lama pascolavano vicino al lago in cui defecavano. Le loro feci diventavano cibo per gli acari, ma fornivano anche fertilizzante che si poteva raccogliere facilmente ed utilizzare per far crescere il mais”.

Ad aggiungersi agli escrementi di lama, anche il clima avrebbe giocato un ruolo importante nel favorire l’introduzione del mais. “I campioni estratti dal Marcacocha mostrano una serie di periodi di siccità associati con un aumento delle temperature, dati che coincidono con profondi cambiamenti sociali verificatisi ogni 500 anni a partire dal 700 a.C.” spiega Chepstow-Lusty.

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Llama muck and maize revolution drove Inca success

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I nativi americani erano davvero “ambientalisti”? https://www.vitantica.net/2018/03/05/i-nativi-americani-erano-davvero-ambientalisti/ https://www.vitantica.net/2018/03/05/i-nativi-americani-erano-davvero-ambientalisti/#respond Mon, 05 Mar 2018 02:00:44 +0000 https://www.vitantica.net/?p=1427 Foreste incontaminate, acque limpide e praterie sterminate su cui pascolava un’infinità di animali: questo era il paesaggio che i primi esploratori occidentali si trovarono di fronte non appena misero piede nelle Americhe. Tutto lasciava supporre che il continente avesse subito ben pochi interventi umani nel corso degli ultimi millenni, suggerendo che le popolazioni locali vivessero a contatto diretto con l’ambiente e nel pieno rispetto della natura.

La realtà, come spesso accade, è ben diversa: i nativi americani non furono i primi “ambientalisti” della storia e la loro relazione con il mondo naturale è stata male interpretata per secoli interi.

Le “metropoli” dei nativi americani

Il problema con questa immagine idilliaca in cui l’essere umano vive in totale immersione e simbiosi con gli elementi è che, per sua stessa natura, l’uomo è portato a combattere o tentare di controllare l’ecosistema a suo vantaggio, e i nativi americani non furono l’eccezione a questa regola.

Al tempo dell’arrivo di Colombo nei Caraibi, nel Nord e Centro America si contavano tra i 50 e i 100 milioni di individui nati e cresciuti nel continente; individui che, come nel resto del mondo, tendevano a formare agglomerati urbani di medie o grandi dimensioni per sfruttare il vantaggio offerto dai numeri.

Il fatto che cacciassero con armi di legno, osso e pietra e che dimostrassero un certo rispetto per gli animali che uccidevano non deve trarre in inganno, inducendo a pensare ad un “ambientalismo ante-litteram“: la socialità è uno degli elementi fondamentali per la strategia di sopravvivenza dell’ Homo sapiens, la sua vera arma di distruzione di massa.

Ricostruzione di Cahokia
Ricostruzione di Cahokia

Tra il 600 a.C. e il 1400 vicino alla moderna città di St. Louis, Missouri, si ergeva Cahokia, una città di oltre 16 km quadrati che includeva circa 120 tumuli di terra utilizzati per attività sociali o scopi rituali (leggi questo post su Cahokia per saperne di più).

Dall’ anno 1050 la popolazione passò da circa 1.000 unità a circa 40.000 individui nell’arco di circa un secolo; nel XIII secolo il numero degli abitanti era probabilmente superiore a quello di Londra.

Città come Cahokia non erano affatto rare: Etzanoa, scoperta nel 2017 in Kansas, era una città composta da oltre 120 case e popolata da almeno 12.000 individui.

Caccia e agricoltura non sostenibili

Grandi insediamenti urbani comportano grandi responsabilità, come procurare cibo e materiale di prima necessità per tutta la popolazione. Come in molte altre culture semi-primitive del resto del mondo, i nativi americani conoscevano perfettamente la tecnica del “taglia e brucia” (slash & burn), che prevede l’incendio controllato di una porzione di foresta per lasciar spazio a colture più produttive e creare un terreno di caccia più favorevole alle tecniche predatorie umane.

Come spesso accade, controllare un incendio con metodologie primitive è un vero lavoraccio e non era raro che si perdesse il controllo delle fiamme, disboscando enormi aree di foresta che offrivano riparo a molte specie animali, come il cervo, il castoro e il bisonte, che erano già all’inizio del loro percorso di estinzione per via della caccia intensiva condotta dai nativi.

Dopo aver coltivato mais e altre colture fino a impoverire il terreno, era molto più comodo spostarsi in nell’area vicina, dar fuoco ad ogni arbusto e albero nella zona e seminare il nuovo appezzamento di terreno.

In qualunque area fossero presenti nativi dediti all’agricoltura sono state rilevate numerose tracce di vasti disboscamenti causati da fuochi controllati: grandi gruppi di nativi americani e deforestazione andavano a braccetto.

Head-Smashed-In Buffalo Jump, formazione rocciosa presso Alberta, Canada, sfruttata per millenni dai Piedi neri per la caccia al bufalo.
Head-Smashed-In Buffalo Jump, formazione rocciosa presso Alberta, Canada, sfruttata per millenni dai Piedi neri per la caccia al bufalo.
La caccia al bisonte come esempio di spreco di risorse

Quando il bisonte americano (Bison bison) percorreva indisturbato il continente settentrionale formando branchi di milioni di esemplari, i nativi americani non si preoccupavano minimamente di uccidere solo l’indispensabile, come spiego in questo post sulla caccia al bisonte.

Uno dei metodi di caccia più comuni tra i Blackfoot (Piedi neri) era il “salto del bisonte” (buffalo jump): spaventando un’intera mandria e controllandone la direzione della fuga (anche tramite “imbuti naturali” composti da pietre e arbusti) era possibile orientarla verso una rupe, causando la morte di decine o centinaia di animali dei quali solo un numero ristretto veniva effettivamente consumato o lavorato per estrarre pelle, ossa o tendini.

Decine di tonnellate di carne rimanevano inutilizzate sul posto del massacro e lasciate a decomporsi a cielo aperto o agli animali opportunisti.

I piccoli gruppi tribali di nativi non rappresentavano un grande problema per l’ecosistema e le risorse che consumavano erano facilmente e velocemente sostituite dal naturale ciclo riproduttivo di animali e piante locali.

Quando tuttavia si formavano vasti insediamenti urbani come Cahokia, l’impoverimento del terreno e la caccia non sostenibile erano elementi che spesso costringevano la popolazione a spostarsi verso aree più fertili e meno colpite dall’attività predatoria umana.

Scontri per le proprietà tribali

Contrariamente alla nozione comune che i nativi americani non conoscessero la proprietà privata, questo concetto era regolarmente messo in pratica nella maggior parte delle comunità di medie dimensioni ed esistevano veri e propri diritti di sfruttamento di fiumi, laghi o foreste.

Gli appezzamenti di terra coltivata erano spesso proprietà di una famiglia e passati in eredità ai figli, insieme ai diritti di sfruttamento delle risorse presenti sul terreno.

Le tribù composte da numerosi nuclei familiari gestivano vasti territori di caccia o pesca con frazioni assegnate ad ogni clan della comunità e sconfinare in territori di caccia sotto una differente “giurisdizione” poteva causare scontri violenti o delicate trattative per risolvere il problema.

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“Sostenere che gli Indiani vivessero senza avere effetti sulla natura è come dire che vivessero senza toccare nulla, che fossero sostanzialmente un popolo senza storia” afferma lo storico Louis S. Warren.

“Gli Indiani spesso manipolavano il loro ambiente locale e anche se avevano solitamente un impatto minore sull’ambiente rispetto ai coloni europei, l’idea di preservare la terra in un qualche stato selvatico sarebbe stata poco pratica e assurda ai loro occhi. Gli Indiani modificavano, spesso profondamente, gli ecosistemi che li circondavano”.

Primitivismo e “buon selvaggio”

Il concetto di “buon selvaggio” da cui ha avuto origine l’immagine ambientalista dei nativi americani è un mito nato intorno al XVIII secolo con la cultura del primitivismo: senza i paletti imposti dalla civilizzazione, la corrente primitivista considerava l’essere umano un animale fondamentalmente buono e pacifico capace di vivere in armonia con il mondo naturale e dotato di un altruismo non riscontrabile nelle società occidentali.

Purtroppo, ogni aspetto della vita primitiva suggerisce il contrario: gli scontri con le tribù rivali erano all’ordine del giorno, uccisioni per necessità, per violazioni del territorio o per l’infrazione di tabù culturali/religiosi erano spesso causa di violenza.

Come disse Stanley Kubrick sulla figura del “buon selvaggio”:

L’uomo non è un nobile selvaggio, è piuttosto un ignobile selvaggio. È irrazionale, brutale, debole, sciocco, incapace di essere obiettivo verso qualunque cosa che coinvolga i propri interessi. Questo, riassumendo. Sono interessato alla brutale e violenta natura dell’uomo perché è una sua vera rappresentazione. E ogni tentativo di creare istituzioni sociali su una visione falsa della natura dell’uomo è probabilmente condannato al fallimento.

Cahokia
Dances With Myths

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