metalli – VitAntica https://www.vitantica.net Vita antica, preindustriale e primitiva Thu, 01 Feb 2024 15:10:35 +0000 it-IT hourly 1 La daga di bronzo dell’ Uomo di Racton https://www.vitantica.net/2021/01/11/daga-bronzo-uomo-di-racton/ https://www.vitantica.net/2021/01/11/daga-bronzo-uomo-di-racton/#comments Mon, 11 Jan 2021 14:00:27 +0000 http://www.vitantica.net/?p=5108 L’inizio dell’ età del bronzo non coincise con l’abbandono totale degli strumenti di pietra creati e perfezionati dai nostri antenati nell’arco di decine di migliaia di anni. La scoperta delle metodologie necessarie a lavorare il bronzo furono di certo un passo fondamentale nell’evoluzione tecnologica dei popoli antichi, ma la transizione da metallo a pietra non fu veloce e attraversò varie fasi di passaggio.

Il bronzo è certamente più pratico della pietra sotto molti aspetti. Consente la creazione di utensili e armi più lunghe, meno pesanti e molto meno fragili dei delicati frammenti di ossidiana o selce.

La lega di rame e stagno può mantenere un filo tagliente per diverso tempo se maneggiata con perizia, ed è meno sensibile al fallimento: rompere o deformare un utensile di bronzo non è un evento disastroso e può essere corretto con una fornace e olio di gomito.

L’ antica produzione di bronzo, tuttavia, non solo comportava una nuova sfida tecnologica, ma aveva un problema logistico importante: lo stagno, contrariamente al rame, non abbonda sulla crosta terrestre, ma è presente solo in alcune regioni del mondo, come in Cornovaglia e in specifiche aree del Medio Oriente.

Importare stagno lungo migliaia di chilometri di terre desolate e popolate da predatori e popoli ostili non era alla portata di tutti i fabbri, specialmente nella prima età del bronzo.

Con tutte le difficoltà tecniche e logistiche che questa lavorazione comportava, il bronzo iniziò a diffondersi per tutta Europa sotto forma di metallo semi-prezioso riservato ad utensili e armi per ranghi sociali elevati. La lama di Racton è uno dei primi esempi di pugnale bronzeo appartenuto ad un individuo socialmente rilevante.

Chi è l’Uomo di Racton?

Nel 1989 i rilevamenti al metal detector effettuati a Westbourne, nel Sussex occidentale, hanno portato alla luce il corpo di un uomo robusto di mezza età, sepolto circa 4.200 anni fa (tra il 2.300 e il 2150 a.C.) in posizione fetale in compagnia di una lama e di una serie di rivetti.

Le analisi dei reperti ossei ha mostrato che si trattava di un adulto di circa 180 centimetri di altezza, relativamente alto per la sua epoca, costantemente tormentato da infezioni respiratorie e ascessi dentali.

L’uomo iniziava a presentare segni di degenerazione spinale, probabilmente un problema legato all’età dell’individuo (tra i 40 e i 50 anni). Il braccio destro mostrava una profonda incisione subita poco prima della morte dell’uomo (non sono stati rilevati indizi di guarigione delle ossa).

Scheletro dell' Uomo di Racton
Scheletro dell’ Uomo di Racton

La ferita al braccio appare coerente con l’ipotesi che l’uomo sia stato ucciso mentre sollevava il braccio per proteggersi da un colpo potenzialmente fatale.

Secondo le ipotesi formulate nel 2015 dagli archeologi coinvolti negli scavi, l’Uomo di Racton potrebbe essere stato un personaggio di spicco all’interno della sua comunità. “Il fatto che quest’uomo avesse una daga di bronzo era incredibilmente raro per l’epoca” afferma James Kenny, lo scopritore dello scheletro. “E’ vissuto proprio all’inizio dell’introduzione di questo tipo di tecnologia. Era un membro prominente della società, qualcuno con grande esperienza.”

Stuart Needham, specialista di tecnologia dell’età del bronzo e membro del team coinvolto negli scavi, sostiene che “la daga affermava lo status sociale dell’individuo, probabilmente dimostrandone la capacità nel combattimento. La lama della daga, con la sua impugnatura bloccata da rivetti, veniva costantemente affilata”.

La daga di bronzo

Fortunatamente per l’Uomo di Racton e per il fabbro che realizzò la sua lama, lo stagno non doveva attraversare deserti desolati e mari in tempesta: in Cornovaglia, a circa 200 km di distanza, proprio in quel periodo stava fiorendo un’intensa attività estrattiva di rame e stagno, un’attività così intensa da portare i locali a vendere lo stagno estratto fino alle sponde del Mediterraneo.

In questo periodo il bronzo era divenuto un materiale di importanza strategica: le prime grandi civiltà iniziavano a sorgere basando il loro successo su strategie militari innovative o sulla pura superiorità bellica e tecnologica. Una lega più resistente del rame e meno fragile della pietra rappresentava un vero e proprio tesoro che poteva garantire la sopravvivenza o la vittoria sul campo di battaglia.

Lama della daga di Racton
Lama della daga di Racton

L’Uomo di Racton è uno dei primi possessori documentati di una daga risalente all’inizio dell’età del bronzo. Era uno dei pochi europei fortunati a possedere un’arma costituita da un metallo eccezionale per l’epoca, il primo passo verso un’escalation tecnologica che avrebbe portato alla futura lavorazione del ferro.

La lama del pugnale è lunga circa 15 centimetri e larga 6, con due fori laterali e uno centrale in corrispondenza dei punti di contatto con l’impugnatura, elemento che si è disintegrato nel tempo ma che potrebbe essere stata d’osso, di legno o di corno.

I rivetti di bronzo che univano l’impugnatura alla lama sono in totale 26, tutti perfettamente conservati considerata l’età che hanno. L’utilizzo di così tanti rivetti bronzei e l’innesto relativamente complesso della lama fanno pensare ad un oggetto realizzato appositamente per una figura importante per la comunità.

Il rame alla base della lega bronzea della lama di Racton è ad alto contenuto di arsenico, un elemento che rende il bronzo ancora più duro. Pur non conoscendo i dettagli dell’interazione chimica tra rame e stagno, gli antichi fabbri impararono a riconoscere e a sfruttare le contaminazioni del rame per ottenere leghe dalle differenti proprietà.

Daga di Racton completa di rivetti
Daga di Racton completa di rivetti

La lama dell’ Uomo di Racton ha molte analogie con la daga di Bush Barrow, rinvenuta a circa 1 km da Stonehenge, a partire dall’innesto con l’impugnatura: in entrambe le armi la lama viene assicurata tramite piccoli perni di bronzo.

Anche se simili per tecnologia costruttiva e design, la lama di Bush Barrow è un esemplare ancora più straordinario per via della sua decorazione: oltre 100.000 chiodi d’oro di minuscole dimensioni ornavano l’impugnatura.

Il pugnale di Racton, invece, era un utensile d’uso quotidiano: le analisi microscopiche della lama hanno evidenziato un costante lavoro di affilatura, supportando l’ipotesi di una daga per uso non cerimoniale, ma pratico.

Fonti

Revealed: Racton Man was Bronze Age warrior chief
The Racton Man
Mining in Cornwall and Devon
Chichester skeleton: Racton Man ‘was warrior chief killed in battle’
Story of man and dagger found in UK field is finally told – 4,200 years on

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Ferro di torba, il metallo delle torbiere https://www.vitantica.net/2020/04/13/ferro-di-torba-metallo-torbiera/ https://www.vitantica.net/2020/04/13/ferro-di-torba-metallo-torbiera/#respond Mon, 13 Apr 2020 00:10:48 +0000 https://www.vitantica.net/?p=4850 L’estrazione e la lavorazione del ferro segnarono un passo fondamentale per l’avanzamento tecnologico dei nostri antenati. Dopo aver realizzato che il ferro non è soltanto reperibile all’interno di rari meteoriti ferrosi, ma anche abbondante all’interno di depositi naturali e minerali, questo metallo rivoluzionò l’agricoltura, l’architettura, l’arte e la guerra.

In antichità, i minerali ferrosi più comuni impiegati per l’estrazione del ferro erano tre: magnetite, ematite e limonite. Questi tre minerali sono quelli che generalmente contengono la maggior quantità di ferro, ma ne esistono altri come la goethite, un idrossido di ferro relativamente ricco di prezioso metallo.

La goethite forma masse compatte che si generano grazie all’ossidazione di minerali ricchi di ferro. In alcune aree del pianeta, la goethite si forma attraverso la precipitazione dell’acqua presente nel suolo e forma agglomerati, assieme alla magnetite, che vengono definiti “ferro bruno”, o “ferro di torba”.

La formazione del ferro di torba

Le masse di ferro di torba hanno origine quando flussi d’acqua ricca di ferro, a basso pH e poco ossigenati raggiungono la superficie in prossimità di una torbiera o di una palude sfruttando fratture nel terreno o i punti di giunzione tra acqua ipogea e acqua di superficie.

Una volta raggiunta la luce, il ferro presente nell’acqua viene ossidato da batteri come il Thiobacillus ferrooxidans o il Thiobacillus thiooxidans, o legandosi con l’ossigeno secondo fenomeni naturali, causando la precipitazione di piccoli granuli ferrosi verso bacini di raccolta naturali.

Il processo di ossidazione viene favorito anche dalla presenza di alcune piante acquatiche o di superficie: queste forniscono ossigeno all’acqua e tendono ad attrarre sulle loro radici gli ossidi di ferro, facilitandone l’accumulo e la raccolta.

Il ferro di torba si forma tramite un procedimento lungo ma rinnovabile: in una torbiera sana, ricca d’acqua ferrosa e di piante, è possibile raccogliere agglomerati di minerali ferrosi circa una volta ogni generazione.

L’estrazione del ferro di torba

Le prime forme di estrazione del ferro di torba risalgono a circa il IV secolo a.C.. Il ferro di torba può essere lavorato con una tecnologia relativamente povera, dato che non deve essere fuso totalmente per rimuovere la maggior parte delle impurità.

Frammento di ferro di torba appena estratto
Frammento di ferro di torba appena estratto

Gli agglomerati di ferro di torba sono inoltre facilmente individuabili da un occhio esperto. Nell’antichità di identificavano i siti più promettenti osservando l’ambiente: vegetazione decolorata, ecosistema umido dominato da piante idrofile, e soluzioni o depositi rossastri in prossimità delle radici degli alberi.

Per estrarlo, si praticava un buco nel terreno con un bastone da scavo fino a raggiungere il deposito. Una volta raggiunto, si procedeva alla rimozione di strati di torba utilizzando appositi coltelli; dalle zolle di torba era possibile estrarre granuli ferrosi grandi quanto piselli.

La fusione tramite fornace o basso fuoco produceva generalmente il 10-20% di ferro rispetto alla massa iniziale di materiale, mentre il resto si accumula sotto forma di scorie. Durante la fusione, è possibile che venisse aggiunta calce per facilitare la lavorazione di materiale ricco di silicati: il ferro di torba tende a contenerne molti, e dopo la fusione creano una patina resistente alla ruggine, ideale per alcune applicazioni ma indesiderata per altre.

Nel sito scandinavo di Mosstrond, in Norvegia, sono state scoperte alcune fosse nei pressi di depositi di ferro di torba, impiegate per pretrattare i minerali ferrosi prima di fonderli. Le fosse, chiamate hellegyter, erano profonde 45 centimetri, larghe 60 cm e ricche di scorie (fino a 50 kg per fossa), suggerendo che siano state utilizzate per procedimenti di fusione di portata considerevole.

Il ferro di torba in Europa

Quando la lavorazione del ferro raggiunse la Danimarca e la Scandinavia intorno al 500 a.C., i popoli nordici iniziarono ad utilizzare il ferro di torba come materia prima. Anche in epoca vichinga il ferro di torba fu il materiale dominante nella produzione di utensili e armi, tanto da lasciar supporre che molti insediamenti norreni abbiano avuto origine grazie alla presenza di ferro di torba.

In Islanda si stabilì una fiorente industria della lavorazione del ferro di torba tramite le “fattorie del ferro”, grandi strutture dedicate alla fusione del metallo. Le piccole fattorie abitate da famiglie allargate erano sostanzialmente autosufficienti per quanto riguarda la produzione del ferro necessario a fabbricare attrezzi da lavoro.

Il ferro di torba è un ottimo materiale per fabbricare utensili per l’agricoltura. La facilità di raccolta e di lavorazione lascia supporre che qualunque contadino fosse potenzialmente in grado di produrre lingotti o barre di ferro da consegnare nelle mani di un fabbro di fiducia.

La colorazione rossiccia dell'acqua suggerirebbe la presenza di minerali di ferro
La colorazione rossiccia dell’acqua suggerirebbe la presenza di minerali di ferro

Il ferro di torba possiede inoltre caratteristiche che lo rendono ideale per l’impiego sulle navi: arrugginisce molto lentamente grazie ad una patina di silicati che protegge il metallo dall’attacco dell’acqua salata. Con il miglioramento della metallurgia norrena, il ferro di torba trovò quindi impiego anche sulle navi, sotto forma di chiodi o di giunture rinforzate resistenti all’ ossidazione.

Anche dopo il miglioramento delle procedure di fusione, il ferro di torba rimase fondamentale per la metallurgia medievale, specialmente per la fabbricazione di utensili a basso costo. In Russia il ferro di torba costituì la principale fonte di metallo fino al XVI secolo.

Il ferro di torba in America

Gli scavi condotti a L’Anse aux Meadows in Canada lasciano supporre che i primi esploratori norreni, intorno all’anno 1000, possano aver fuso e lavorato ferro di torba nel continente nordamericano. Nel sito è stato scoperto un blocco di scorie da 15 kg, formatosi a seguito della produzione di circa 3 kg di ferro lavorabile, e un cumulo di 98 chiodi di ferro, un metallo che i nativi non conoscevano e non sapevano lavorare.

E’ possibile che questi primi esploratori nordeuropei avessero la necessità di produrre chiodi e altri utensili di metallo per effettuare le riparazioni necessarie alla nave che li aveva condotti sulle coste canadesi; l’ipotesi è supportata anche dal fatto che, secondo le analisi degli archeologi, la fusione del ferro è stata condotta in modo grossolano, probabilmente da persone non esperte di metallurgia.

Nel XVII secolo, il ferro era ormai indispensabile nella vita quotidiana, da quella del contadino a quella del nobile. Considerata la vasta richiesta, la produzione di ferro era alla portata solo delle imprese estrattive più ricche. Le colonie nordamericane non producevano ferro e tutto il metallo veniva importato dall’Europa sotto forma di prodotto finito.

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John Winthrop si accorse che in Massachusetts era presente un’enorme quantità di ferro di torba in attesa di essere estratto e lavorato. Dopo aver ottenuto i fondi necessari, Winthrop fondò la Saugus Iron Works sul fiume Saugus, una rotta fluviale navigabile e ricco d’acqua ideale per la produzione di ferro di torba nei terreni umidi lungo le sponde.

L’impresa si rivelò vincente: la Saugus Iron Works iniziò a produrre ferro per tutte le colonie all’inizio del 1646. Al tempo si trattava di uno degli impianti più tecnologicamente avanzati del mondo e lavorava circa una tonnellata di metallo al giorno a partire dal ferro di torba estratto lungo le rive del fiume.

Bog Iron
VIKING EXPANSION AND THE SEARCH FOR BOG IRON
Saugus Iron Works National Historic Site
Iron Production in the Viking Age

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La biacca, o bianco di piombo https://www.vitantica.net/2019/10/04/biacca-cerussa-bianco-di-piombo/ https://www.vitantica.net/2019/10/04/biacca-cerussa-bianco-di-piombo/#respond Fri, 04 Oct 2019 00:10:14 +0000 https://www.vitantica.net/?p=4558 La biacca, o bianco di piombo, fu uno dei pigmenti più impiegati nel corso della storia antica. Le sue caratteristiche cromatiche e la relativa semplicità del metodo di produzione la resero un colorante molto popolare per la fabbricazione di cosmetici o di colori per utilizzi artistici.

Pigmento e cosmetici

La biacca è composta in buona parte da un sale di piombo (carbonato basico di piombo II) bianco e inodore, che in natura si trova in un minerale chiamato cerussite (da cui deriva il nome “cerussa”). Estrarre il carbonato basico di piombo dalla cerussite non è un procedimento semplice quanto estrarre il metallo “puro” dai minerali che lo contengono, metodo conosciuto da almeno 3.500 anni e documentato in alcuni papiri egizi.

Il piombo riscosse un enorme successo nel mondo antico per via della sua facilità di lavorazione: è tenero, denso, duttile e malleabile, può essere lavorato a temperature relativamente basse rispetto ad altri metalli (fonde a 327 °C) e si trova spesso in minerali che contengono rame e argento, due metalli particolarmente importanti nell’antichità.

La cerussa fu utilizzata per secoli come pigmento bianco (di fatto, uno dei due pigmenti bianchi – insieme al carbonato di calcio – realmente coprenti disponibili nell’antichità), sia per la pittura che per la produzione di cosmetici come la cerussa di Venezia, uno sbiancante per la pelle molto in voga nel XVI – XVII secolo.

Elisabetta I d’Inghilterra fu una delle più assidue utilizzatrici della cerussa veneziana, che applicava sul volto ad ogni occasione pubblica. La contessa Maria Coventry, morta all’età di 27 anni nel 1760, fu anch’essa un’amante della cerussa, pigmento che probabilmente fu la causa principale della sua morte: per coprire l’acne, usava in modo massiccio pomate al bianco di piombo senza sapere che, in realtà, erano proprio quei cosmetici a causare gli sfoghi cutanei sul viso; Maria Coventry morì per avvelenamento da piombo causato dall’uso costante di biacca.

Come si produceva la biacca

Il bianco di piombo si ottiene tramite un processo di corrosione del piombo causato da un acido; in passato si utilizzava l’acido acetico. Il procedimento di corrosione fu descritto per la prima volta da Teofrasto di Ereso nel III secolo a.C. e prevedeva l’utilizzo di contenitori di terracotta riempiti con l’aceto più potente a disposizione, recipienti in cui venivano inserite scaglie o spirali di piombo per esporle alla corrosione per circa 10 giorni.

Successivamente, i contenitori venivano aperti, il piombo estratto e il carbonato di piombo (cristalli bianchi formatisi sul metallo) asportato e conservato; il piombo rimanente veniva riutilizzato per produrre altra cerussa.

Il sale di piombo subiva quindi una tritatura molto fine e una lunga bollitura in acqua. Al termine della bollitura, la mistura di acqua e carbonato di piombo veniva lasciata a decantare per far precipitare i sali sul fondo del contenitore e lasciar evaporare l’acqua, ottenendo così polvere di biacca.

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Ciò che viene definito “metodo olandese” si basa sullo stesso procedimento descritto da Teofrasto e usato da Greci, Egizi e Romani, ma utilizza l’anidride carbonica per catalizzare la corrosione e incrementare la produzione di biacca.

Per produrre grandi quantità di biacca si utilizzavano contenitori d’aceto e piombo posizionati a strati che si estendevano verticalmente: ogni livello di recipienti veniva ricoperto da uno strato di letame e corteccia da concia che fornivano anidride carbonica ai processi corrosivi del piombo grazie alla decomposizione naturale della materia organica.

Dopo aver raschiato i recipienti per rimuovere i sali di piombo, i cristalli venivano tritati con apposite macine contenenti olio di semi di lino. In questo modo, non era necessario far bollire ed essiccare la polvere di biacca, ma si otteneva una crema oleosa facile da trasportare e già pronta per l’utilizzo come cosmetico.

Grande richiesta e grandi rischi per la salute

Pigmenti bianchi come la biacca non erano comuni nel mondo antico. Il bianco di piombo era considerato il miglior pigmento in circolazione, specialmente per la decolorazione della pelle e per l’impiego nella pittura a olio, dato che il carbonato di calcio, chiamato “bianco San Giovanni“, era meno coprente.

I cosmetici a base di cerussa, spesso un semplice mix di bianco di piombo, acqua e aceto, divennero i pigmenti per la pelle più ricercati e desiderati dalle donne dei secoli passati. L’utilizzo della biacca risale addirittura all’antico Egitto, dove veniva impiegata come fondotinta; nel teatro antico la biacca era uno dei trucchi di scena più comuni.

Margot Robbie nei panni della regina Elisabetta I, assidua utilizzatrice di cerussa
Margot Robbie nei panni della regina Elisabetta I, assidua utilizzatrice di cerussa

Nel corso del XVIII secolo divenne pratica comune utilizzare vernici a base di bianco di piombo per rivestire le chiglie delle navi della Royal Navy britannica, per impermeabilizzare il legname della struttura e limitare le infestazioni da parassiti.

Anche se, nel mondo antico, il legame tra piombo e avvelenamento era cosa abbastanza nota, durante il Medioevo la letteratura medica dimenticò quasi completamente il problema. Ad esempio, l’acetato di piombo veniva comunemente impiegato come dolcificante per vino e sidro, con conseguenze terribili per la salute.

A partire dal XV secolo l’avvelenamento da piombo divenne una vera e propria piaga; nel XVI secolo Paracelso riporto alla luce la problematica dell’avvelenamento da piombo (che lui definiva “malattia del minatore”), ma trascorsero altri secoli prima di vedere seri interventi per limitare l’uso di questo metallo.

Fonti per “La biacca, o bianco di piombo”

White lead
Lead paint
Venetian ceruse
Lead Poisoning in a Historical Perspective

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Survival Skills Primitive: produzione del bronzo (video) https://www.vitantica.net/2019/09/26/survival-skills-primitive-produzione-del-bronzo-video/ https://www.vitantica.net/2019/09/26/survival-skills-primitive-produzione-del-bronzo-video/#comments Thu, 26 Sep 2019 00:10:06 +0000 https://www.vitantica.net/?p=4548 Come già esposto in questo post, l’ascia di bronzo si è dimostrata un discreto strumento da taglio in diverse prove sul campo. Anche se le differenze tra l’acciaio e la lega di rame e stagno sono ben evidenti a tutti, il bronzo ha come vantaggio una maggiore facilità di produzione e di lavorazione rispetto al ferro e alle sue leghe.

Con una temperatura di fusione di circa 300 °C inferiore a quella del ferro, il bronzo può essere prodotto in un basso forno alimentato a legna. Un forno di questo tipo può essere realizzato con materiali poveri e facilmente reperibili in natura, come dimostrano i due autori del canale YouTube “Survival Skills Primitive”.

Il video mostra tutto il procedimento di lavorazione del bronzo, dalla costruzione del forno alla selezione dei minerali grezzi, fino alla fusione della lega per la costruzione di un’ascia e uno scalpello funzionanti e incredibilmente efficaci contro legname tenero.

Anche se, in questo caso, il forno viene alimentato con carbone di legna, risulta ugualmente efficace nella lavorazione del bronzo anche usando legname come combustibile.

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La daga di Bush Barrow https://www.vitantica.net/2019/06/28/la-daga-di-bush-barrow/ https://www.vitantica.net/2019/06/28/la-daga-di-bush-barrow/#respond Fri, 28 Jun 2019 00:10:28 +0000 https://www.vitantica.net/?p=4374 La quasi totalità di spade metalliche risalenti all’Età del Bronzo custodite nei musei di tutto il mondo è costituita sostanzialmente da lame bronzee munite di un’elsa metallica; l’impugnatura poteva essere rivestita di cuoio o legno, per renderla più confortevole per l’utilizzatore. Il materiale ligneo, o comunque di origine biologica, sopravvissuto fino ad oggi è spesso talmente degradato dai processi di decomposizione da risultare irriconoscibile, o del tutto assente.

C’è tuttavia una spada di bronzo la cui impugnatura è sopravvissuta per circa 4.000 anni. Non solo il legno si è conservato pressochè intatto fino a poche ore dopo il suo ritrovamento, ma si tratta di un’impugnatura che non ha eguali in alcun museo del mondo: la daga di Bush Barrow è un esemplare che dimostra l’incredibile manualità dei fabbri europei dell’ Età del Bronzo.

Il sito Bush Barrow

Bush Barrow si trova nel complesso funerario di Normanton Down Barrows, a circa 1 km dalla celebre Stonehenge. Si tratta di uno dei più importanti siti dell’Età del Bronzo britannica e negli anni ha fornito all’archeologia artefatti spettacolari e unici.

I primi scavi di Bush Barrow iniziarono nel 1808 sotto la guida di William Cunnington, mercante del Wiltshire con la passione per l’antiquariato e l’archeologia. Si scoprì che il sito conteneva lo scheletro di un uomo adulto, circondato da un corredo funerario tra i più ricchi e significativi dell’intera Gran Bretagna.

L’analisi dei reperti colloca la sepoltura tra il 1.900 e il 1.700 a.C.; tra gli oggetti ritrovati ci sono due lamine d’oro a losanga finemente decorate, una testa di mazza in pietra, alcuni rivetti molto probabilmente appartenuti ad un coltello e una daga di bronzo passata alla storia per la sua impugnatura decorata con precisione millimetrica.

Il sito Bush Barrow
Il sito Bush Barrow

Non sappiamo con certezza perché questa sepoltura contenesse oggetti così preziosi, specialmente se paragonata alle altre tombe del complesso. E’ possibile che l’individuo sepolto a Bush Barrow fosse un capo o un individuo particolarmente apprezzato dalla sua comunità; ma se fosse questo il caso, non ci si spiega perché il suo tumulo funerario non sia il più alto e imponente del complesso, o non sia stato collocato al centro del Normanton Down Barrows.

La daga di Bush Barrow

La daga di Bush Barow potrebbe sembrara un’arma da taglio relativamente insignificante, con una lama simile a molte altre prodotte nello stesso periodo. Ma l’ impugnatura la rendeva un oggetto unico nel suo genere: realizzata in legno, era interamente ricoperta da minuscoli perni d’oro lunghi un millimetro e larghi 0,2 mm, inseriti individualmente nel manico da mani abilissime e capaci di manipolare oggetti così minuti.

L’impugnatura, andata distrutta a poche ore dal suo ritrovamento anche a causa delle tecniche di scavo di Cunnington, ha fortunatamente lasciato alcuni frammenti di legno ancora ricoperti da perni d’oro, frammenti che chiariscono perfettamente il duro e minuzioso lavoro di decorazione effettuato dai fabbri dell’Età del Bronzo.

Ogni centimetro quadrato dell’impugnatura ospitava circa un migliaio di microscopici perni d’oro, per un totale di circa 140.000 “chiodini” che ricoprivano l’intera lunghezza del manico. L’eccezionalità di questa lavorazione non risiede esclusivamente nella realizzazione di decine di migliaia di minuscoli oggetti d’oro, ma anche nel loro preciso collocamento sull’impugnatura.

“I perni d’oro sono una prova eccezionale dell’abilità e dell’artigianato dei fabbri dell’Età del Bronzo” spiega David Dawson, diretore del Wiltshire Heritage Museum in cui è custodita la daga. “Viene descritta a ragione come ‘l’opera degli dei'”.

Frammento dell'impugnatura della daga di Bush Barrow
Frammento dell’impugnatura della daga di Bush Barrow

“Il vero lavoro di precisione prevedeva la fabbricazione e il posizionamento di decine di migliaia di componenti microscopici realizzati individualmente, ognuno lungo circa un millimetro e largo 1/5 di millimetro” continua Dawson. “La conseguenza è che c’era quasi sicuramente una piccola parte di artigiani dell’Età del Bronzo che diventavano miopi una volta raggiunta un’età adulta. Non erano quindi in grado di fare altri lavori a parte la realizzazione di piccoli artefatti e dovevano essere costantemente supportati dalla loro comunità”.

Un lavoro per giovani e miopi

Il posizionamento dei perni d’oro sembra essere avvenuto in almeno quattro fasi. Nella prima fase, l’artigiano realizzava un sottile cavo d’oro, fine quanto un capello umano; nella seconda fase di lavorazione, una delle estremità del cavo veniva appiattita per ottenere la testa del chiodino e tagliata a circa un millimetro di distanza dalla testa usando una lama di ossidiana o di selce. Questo procedimento era ripetuto decine di migliaia di volte per ottenere tutti i perni necessari a ricoprire l’impugnatura dell’arma.

A questo punto, l’impugnatura veniva forata con un punteruolo dotato di una punta estremamente fine, creando le sedi per i perni d’oro. Inutile sottolineare quanto l’operazione fosse delicata: ogni errore poteva compromettere il risultato finale e la tenuta dei perni.

Nell’ultima fase, immediatamente precedente al posizionamento dei perni, l’impugnatura veniva ricoperta da un sottile strato di resina vegetale: l’adesivo avrebbe assicurato i chiodini nella loro sede impedendone la fuoriuscita.

Frammento dell'impugnatura della daga di Bush Barrow a confronto con la cruna di un ago
Frammento dell’impugnatura della daga di Bush Barrow a confronto con la cruna di un ago

L’inserimento dei perni avveniva quasi sicuramente tramite l’uso di pinzette d’osso o di legno, dato che i chiodini erano troppo piccoli per essere posizionati a mano. “Abbiamo stimato che l’intera operazione – la fabbricazione del cavo, dei chiodini, la foratura, la deposizione della resina e il posizionamento dei perni – avrebbe richiesto almeno 2.500 ore-lavoro per essere completata” sostiene Dawson.

Il livello di manualità necessario per questo genere di lavorazione suggerirebbe che questo tipo di artefatti non fosse unico o estremamente raro, ma rientrasse nella tradizione della lavorazione dell’oro dell’Europa occidentale.

Secondo l’ottico Ronald Rabbets “solo bambini e adolescenti, e adulti divenuti miopi per cause naturali o legate al loro lavoro in giovane età, sarebbero stati in grado di creare questi oggetti così piccoli”. Solo i più giovani e i più miopi, quindi, avrebbero avuto la giusta capacità di vedere da vicino necessaria a posizionare questi minuscoli frammenti d’oro.

Bush Barrow
Stonehenge’s most intricate archaeological finds were ‘probably made by children’
Where did the gold from the time of Stonehenge come from? Analysing the Bush Barrow dagger.

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La maledizione del fruttivendolo https://www.vitantica.net/2019/05/22/maledizione-del-fruttivendolo/ https://www.vitantica.net/2019/05/22/maledizione-del-fruttivendolo/#respond Wed, 22 May 2019 00:10:58 +0000 https://www.vitantica.net/?p=4177 Dopo quasi 90 anni dalla sua scoperta all’interno di un’antica fonte della città di Antiochia, è stata decifrata interamente una lamina di piombo risalente a 1.700 anni fa. L’iscrizione si è rivelata essere una maledizione invocata contro un fruttivendolo.

Maledetto fruttivendolo

Scritto in greco su una lamina di piombo, il testo invoca la potenza di Dio (Iao, uno dei nomi con cui ci si riferiva a Yahweh) contro un uomo di nome Babylas, un venditore di frutta e verdura. La tavoletta riporta anche il nome della madre della vittima, Dionysia.

L’artefatto è stato scoperto in un pozzo di Antiochia intorno agli anni ’30 del 1900, ma al tempo della scoperta fu effettuata solo una traduzione parziale. Il lavoro di traduzione completa è stato eseguito da Alexander Hollmann della University of Washington nel 2012.

La maledizione recita:

“O Iao che scagli lampi e saette, colpisci, colpisci e abbatti Babylas il venditore di frutta. Come hai colpito il carro del faraone, colpisci la sua offesa. O Iao che scagli lampi e saette, come uccidesti il primogenito d’Egitto, uccidi il suo bestiame […]”.

L’artefatto è singolare, perché fino ad ora non era mai stata rinvenuta una maledizione contro un fruttivendolo. Esistono diverse tavolette magiche che hanno come bersaglio  gladiatori, sovrani e mercanti, ma mai ad un venditore di frutta.

La lastra di piombo che riporta incisa la maledizione
La lastra di piombo che riporta incisa la maledizione

“In alcune maledizioni vengono citate altre persone e la loro professione, ma non mi sono mai imbattuto in un fruttivendolo” afferma Hollmann.

Non è noto il nome della persona che scagliò  la maledizione contro il povero venditore di frutta, per cui si può soltanto ipotizzare la causa scatenante del maleficio.

“Ci sono maledizioni legate ad affari di cuore, ma questa non ha lo stesso tipo di linguaggio. Non è da escludere che la ragione fosse legata a motivi di business o commerciali. Ogni mercante aveva la sua zona, il suo territorio, e le rivalità erano comuni”.

Il nome “Babylas” suggerirebbe che il bersaglio del maleficio fosse un cristiano. Babylas era infatti il nome del Vescovo di Antiochia, ucciso intorno al III° secolo per via delle sue credenze religiose.

Nomi potenti

Il linguaggio usato nell’iscrizione ha inizialmente fatto pensare che l’autore fosse ebreo. “Non credo ci sia necessariamente una connessione con la comunità ebraica. La magia greca e romana incorporava testi ebraici senza nemmeno comprenderli interamente”.

Il riferimento al Vecchio Testamento potrebbe essere legato esclusivamente alla potenza che si attribuiva al testo sacro. “Potrebbe semplicemente essere che il Vecchio Testamento fosse considerato un testo molto potente, e la magia gioca con testi e nomi potenti. E’ questo che fa funzionare la magia, o che fa credere alla gente che funzioni”.

La lastra di piombo che riporta incisa la maledizione

I katadesmos

La tavoletta è molto simile alle “tavole magiche” (katadesmos) greche, tipicamente incise nel piombo a piccole lettere e sepolte nei pressi di tombe o santuari per ingraziarsi i favori delle entità sovrannaturali.

Uno dei più celebri katadesmos è la tavola di Pella, un testo inciso su un rotolo di piombo. Secondo la ricostruzione degli archeologi, Dagina, colei che incise la tavoletta, si rivolge a divinità soprannaturali per impedire che Dionysophon, il suo amato, non sposi Thetima, una rivale in amore.

Il rotolo recita:

“Sulle nozze di [Theti]ma e Dionysophon io invoco una maledizione, su tutte le altre
donne, vedove e vergini, ma in particolare su Thetima, e mi affido a Makron e
[ai] demoni che solo quando io scavo e srotolo e ri-leggo questo,
possono loro sposare Dionysophon; ma non prima; e non possa lui sposare qualsiasi donna, ma me;
e io possa diventare vecchia insieme a Dionysophon, e nessun altro; Io [sono] la tua supplicante:
Abbiate pietà della [vostra cara] Dagina(?), cari demoni, perché io sono abbandonata da tutti i miei cari.
Ma tenete presente la mia causa, in modo tale che questi eventi non accadano e la misera Thetima perisca miseramente
e a me concedete gioia e felicità.”

Nelle tavolette greche katadesmos si citano spesso divinità come Ermes, Caronte, Ecate e Persefone, oltre che i nomi dei cari estinti, per infondere potenza all’incantesimo. Il riferimento a Yahweh nella tavoletta di Antiochia, quindi, potrebbe essere soltanto l’evocazione dell’entità divina più potente della regione.

Deciphered Ancient Tablet Reveals Curse of Greengrocer

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Inquinamento da piombo degli antichi Romani https://www.vitantica.net/2019/05/13/inquinamento-piombo-antichi-romani/ https://www.vitantica.net/2019/05/13/inquinamento-piombo-antichi-romani/#comments Mon, 13 May 2019 00:10:59 +0000 https://www.vitantica.net/?p=4213 Circa un mese fa ho pubblicato un post sulla deforestazione del verde europeo compiuta in epoche remote. Non ho tralasciato di sottolineare come questo cambiamento negli ecosistemi europei sia stato causato da tre esigenze fondamentali: la necessità di combustibile, l’estrazione di materiali per la costruzione di case e navi, e le attività minerarie.

Le attività minerarie, principalmente quelle legate all’estrazione di piombo, sembrano essere una delle componenti principali dell’inquinamento atmosferico rilevato nei carotaggi effettuati sui ghiacciai del Monte Bianco. I Romani, circa 2.000 anni prima della rivoluzione industriale, inquinarono l’aria europea con metalli pesanti per circa 500 anni.

Uso massiccio del piombo

Anche se le attività di estrazione di metalli risalgono a ben prima delle miniere d’epoca romana, i Romani furono i primi ad estrarre piombo in grandi quantità. Il piombo veniva estratto da diversi siti minerari disseminati in tutta Europa, inclusa la penisola iberica e la Gran Bretagna.

Il piombo era utilizzato per costruire condutture, stoviglie, monete e utensili; ma l’estrazione e la lavorazione di questo metallo causarono il rilascio di sostanze nocive nell’aria e nell’acqua, con conseguenze dirette sulla popolazione europea che quotidianamente si trovava a stretto contatto con il piombo.

E’ ormai noto da tempo che l’estrazione mineraria di metalli d’uso comune, come ferro e piombo, nell’antichità deve aver necessariamente avuto un impatto ambientale, ma fino ad ora nessuno era certo della portata di questo impatto.

Cronologia delle emissioni di piombo in Europa registrate in Groenlandia e appartenenti ad un periodo compreso tra il 1.100 a.C. e l' 800 d.C.
Cronologia delle emissioni di piombo in Europa registrate in Groenlandia e appartenenti ad un periodo compreso tra il 1.100 a.C. e l’ 800 d.C. Pb for Lead

Un indizio sugli effetti atmosferici dell’attività mineraria romana ce lo hanno fornito i ghiacci groenlandesi, che hanno intrappolato i metalli pesanti prodotti anticamente in Europa. Ma la distanza dai siti minerari europei non ha mai reso possibile effettuare stime precise sulle concentrazioni di piombo nell’aria di 2.000 anni fa.

Inquinamento atmosferico durato secoli

Uno studio pubblicato di recente sulla rivista Geophysical Research Letters è il primo a quantificare i metalli pesanti nell’aria europea tra il II secolo a.C. e il II secolo d.C., concentrandosi particolarmente sul piombo.

Secondo i ricercatori coinvolti nello studio, i Romani provocarono un inquinamento da piombo molto più diffuso e duraturo di quanto si sospettasse in precedenza, circa 100 volte più grande di quello registrato nei ghiacci della Groenlandia.

Nei carotaggi effettuati sul ghiacciaio Col du Dome del Monte Bianco si trovano alte concentrazioni di metalli pesanti all’interno del ghiaccio risalente all’epoca romana. I ricercatori hanno rilevato due picchi: uno intorno al secondo secolo a.C., il secondo nel II secolo a.C., suggerendo che l’inquinamento causato dall’attività mineraria romana sia stato un fenomeno durato circa 500 anni.

Concentrazioni di piombo nell'emisfero settentrionale prima del 1950
Concentrazioni di piombo nell’emisfero settentrionale prima del 1950. Ancient Pollution

“Il nostro studio sull’ inquinamento dell’antichità rilevato nei ghiacci alpini ci consente di valutare più correttamente l’impatto delle emissioni romane su scala europea, e di paragonare questo inquinamento antico con quello recente, connesso all’utilizzo di gasolio contenente piombo in Europa tra il 1950 e il 1985” sostiene Michel Legrand della Université Grenoble Alpes, co-autore della ricerca.

“Questo ghiaccio alpino mostra che le emissioni di piombo durante l’antichità hanno aumentato i livello naturale di piombo di un fattore 10. Come metro di paragone, le attività umane recenti legate all’uso di gasolio contenente piombo in Europa hanno aumentato i livelli naturali di piombo di un fattore 50 o 100″.

“Di conseguenza” continua Legrand, “l’inquinamento causato dai Romani è da 5 a 10 volte meno di quello provocato recentemente dall’uso del gasolio, ma rimase costante per molto tempo, diversi secoli contro i 30 anni del gasolio”.

Il problema dei livelli naturali di piombo

Perché preoccuparsi dell’inquinamento causato dai Romani? Perché l’inquinamento da piombo moderno viene generalmente misurato basandosi sui livelli di piombo registrati prima della rivoluzione industriale, un periodo considerato virtualmente privo di inquinamento atmosferico da piombo.

Ma sempre più ricerche stanno evidenziando il fatto che i livelli di metalli pesanti nell’atmosfera dell’epoca pre-industriale non rappresentano un dato “naturale”; sarebbe quindi più accurato basarsi sui livelli di metalli pesanti presenti prima dell’inizio della metallurgia.

“L’inquinamento atmosferico causato dall’uomo è esistito per molto tempo, e i livelli di base che pensavamo fossero naturali, di fatto, non lo sono” spiega Alex More, storico della Harvard University non coinvolto nella ricerca di Legrand. “Tutti gli standard di inquinamento che si basano sull’assunto di un livello naturale pre-industriale sono sbagliati”.

Il problema della misurazione dei metalli pesanti non riguarda solo il piombo: nella ricerca di Legrand sono stati misurati anche i livelli di antimonio, registrando concentrazioni fino a 6 volte superiori rispetto a quelle presenti in natura.

Lead and Antimony in Basal Ice From Col du Dome (French Alps) Dated With Radiocarbon: A Record of Pollution During Antiquity
Roman mining activities polluted European air more heavily than previously thought

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Il bronzo di Corinto https://www.vitantica.net/2019/03/20/bronzo-di-corinto/ https://www.vitantica.net/2019/03/20/bronzo-di-corinto/#respond Wed, 20 Mar 2019 00:10:59 +0000 https://www.vitantica.net/?p=3806 Il bronzo di Corinto era una lega considerata molto pregiata durante l’antichità classica. La vera composizione di questa lega è ancora oggi materia di dibattito, ma sappiamo che veniva prodotta a Corinto e che gli oggetti realizzati con questo materiale venivano considerati più preziosi di quelli in oro o argento.

Una lega più preziosa dell’argento

A partire dal IV secolo a.C. Corinto si impose come un importantissimo centro di produzione e lavorazione del bronzo nella Grecia antica.

A Corinto e nel resto delle città dell’antichità classica, bronzo o ottone venivano prodotti seguendo diverse formule, tutte note come χαλκός o aes (in latino); il bronzo di Corinto veniva tuttavia considerato il più pregiato tra tutte le leghe bronzee.

E’ possibile che questa sua fama fosse nata semplicemente per la cura che i fabbri della città dedicavanno alla produzione di questa lega, ma oggi si ritiene che la ragione alla base della fama del bronzo di Corinto fosse la sua composizione: rame e metalli preziosi.

Plinio il Vecchio, nel Libro 34 della sua Naturalis Historia, distinse tre differenti tipi di bronzo di Corinto in base ai metalli aggiunti alla lega di rame: il primo tipo, luteum, prevedeva l’aggiunta di oro per donare una colorazione giallastra; il secondo, candidum, vedeva coinvolto l’argento e aveva una colorazione molto chiara; il terzo invece era una lega composta da oro, argento e rame in parti uguali.

Plinio fa inoltre riferimento ad un quarto tipo di bronzo di Corinto, noto come hepatizon, una lega dall’aspetto scuro il cui metodo di produzione era ormai andato perduto, anche se è possibile che fosse costituito da rame, oro e argento secondo un rapporto sconosciuto e seguendo una procedura che terminava con una sorta di brunitura.

Il metallo che compone questa statuetta potrebbe essere l'unico esempio di hepatizon attualmente esistente
Il metallo che compone questa statuetta potrebbe essere l’unico esempio di hepatizon attualmente esistente

L’autore romano sostiene che il bronzo di Corinto avesse un valore tale da poter essere collocato, in quanto a pregio, “ante argentum ac paene etiam ante aurum“, “prima dell’argento e quasi prima dell’oro”.

Anche Cicerone e Plutarco citano il bronzo di Corinto, sostenendo che, al contrario delle tradizionali leghe a base di rame, questa non sviluppava una patina opaca che ne riduceva la lucentezza.

Per quanto non esistano campioni certi di bronzo di Corinto sopravvissuti fino ad oggi, questa lega sembra simile al “rame nero” egizio (hesmen kem), un materiale dalla patina scura composto da rame, oro, argento e piccole percentuali di arsenico.

Si è anche ipotizzato che il bronzo di Corinto non fosse affatto una lega a base di rame e metalli preziosi, ma soltanto una forma molto rifinita di bronzo lucidata a tal punto da risplendere di riflessi argentei e dorati.

L’origine leggendaria del bronzo di Corinto

Secondo la leggenda, il bronzo di Corinto nacque per caso durante l’incendio di Corinto messo in atto da Lucius Mummius Archaicus nel 146 a.C.. Le fiamme divorarono le immense riserve d’oro, argento e rame della città, immagazzinate nello stesso edificio, fondendole insieme e creando questa lega così pregiata.

Secondo Plinio e gli storici contemporanei, tuttavia, la storia è da considerarsi poco attendibile per via del fatto che i creatori del bronzo di Corinto vissero in un periodo molto precedente all’incendio della città.

In base alle ricostruzioni degli archeologi, il bronzo di Corinto rimase in auge per circa un secolo e mezzo, fino alla fine del I secolo d.C. All’inizio del II secolo d.C. questa lega era già diventata una moda del passato anche se riferimenti al bronzo di Corinto si possono trovare fino al X secolo d.C.

Bronzo di Corinto nel resto del mondo

Corinto non fu la sola a produrre leghe a base di rame, oro e argento. I vasi cinesi di Hong-hee (1426) sono stati realizzati utilizzando una lega molto simile al bronzo di Corinto.

La lega chiamata tumbaga dagli Spagnoli giunti in America Centrale all’inizio della conquista del continente aveva una composizione estremamente variabile: dal 97% di rame e il 3% d’oro fino al 97% d’oro e 3% di rame, con un rapporto oro-rame superiore a quello ipotizzato per il bronzo di Corinto di maggiore pregio.

Il tumbaga era più duro del rame, aveva un punto di fusione inferiore a quello di rame e oro ma manteneva la sua malleabilità dopo essere stato martellato ripetutamente. Il tumbaga era il materiale di prima scelta per la realizzazione di oggetti religiosi da parte delle popolazioni precolombiane in grado di lavorare il rame.

Shakudo
Shakudo

In Giappone viene prodotta da almeno da 1.300 anni una lega chiamata Shakudo, un materiale colorato composto dal 4-10% d’oro e il 96-90% di rame. Lo shakudo fu utilizzato per realizzare alcune decorazioni delle spade tradizionali giapponesi, come gli tsuba, i menuki e i kozuka, oppure per la produzione di scatole ornamentali e piccoli oggetti votivi.

Come veniva prodotto il bronzo di Corinto?

Non abbiamo procedure dettagliate in grado di guidare passo-passo i fabbri moderni nel ricreare questa lega, ma grazie a fonti greche, latine, siriane ed egizie è possibile farsi un’idea di come veniva prodotto il bronzo di Corinto.

Dopo la creazione della lega era necessario un trattamento col calore, una tempra e una brunitura. Lo scopo era probabilmente quello di ossidare il rame per poi rimuoverlo dalla superficie della lega attraverso l’applicazione di acidi, con l’obiettivo di esporre gli strati d’oro o d’argento.

Il procedimento sembra essere in linea con uno dei più antichi testi metallurgici e alchemici del Mediterraneo, il Papiro X di Leida, sepolto nel III secolo d.C. a Tebe e sicuramente basato su testi più antichi.

La ricetta numero 15 del Papiro X di Leida è intitolata “la colorazione dell’oro” e prevede l’uso di sale, aceto e misy, una sostanza identificata con il minerale copiapite, un solfato basico e idrato di ferro trivalente.

Papiro X di Leida
Papiro X di Leida

Non solo: l’argentatura o doratura descritta nel papiro sono le stesse della procedura seguita dai popoli precolombiani per la produzione del tumbaga. L’uso della soluzione acida funziona in modo ottimale per leghe rame-argento o rame-oro-argento, ma non per una lega rame-oro senza argento.

Non tutti gli storici concordano sulla composizione del bronzo di Corinto. Secondo Donald Engels, questa lega non conteva oro e argento bensì un’elevata quantità di stagno, una ricetta unica di Corinto. L’aggiunta di grandi quantità di stagno non solo rendeva più duro il bronzo, ma donava alla lega ulteriore lucentezza se lucidata da mani esperte.

Questa ipotesi sembra tuttavia essere in contrasto con le fonti antiche, concordi sul fatto che con il termine “bronzo di Corinto” si indicasse una lega a base di rame e metalli preziosi.

Corinthian Bronze and the Gold of the Alchemists
Aes
An Experimental Diachronic Exploration of Patination Methodology of Dark Patinated (Arsenical) Copper Alloys on Case Studies from the Eastern Mediterranean Bronze Age and Early Iron Age

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I sette metalli dell’antichità https://www.vitantica.net/2019/02/08/sette-metalli-antichita/ https://www.vitantica.net/2019/02/08/sette-metalli-antichita/#respond Fri, 08 Feb 2019 00:10:54 +0000 https://www.vitantica.net/?p=3699 In tempi moderni siamo a conoscenza di circa 86-95 metalli sul totale di 118 elementi che popolano la tavola periodica. Il numero tende ad oscillare per via del fatto che le definizioni per metallo, non metallo e semimetallo subiscono cambiamenti a causa delle continue scoperte scientifiche e dell’assenza di una definizione universalmente riconosciuta delle loro proprietà.

Durante il XIII secolo Alberto Magno riuscì ad isolare l’arsenico e ad identificarlo come metallo, per quanto il suo utilizzo risalisse a tempi ben più antichi: nell’ Età del Bronzo, l’arsenico veniva spesso incluso nella leghe a base di rame e stagno per renderle più dure.

Prima della corretta identificazione dell’arsenico come metallo, gli antichi utilizzavano soltanto quelli che vengono definiti i “sette metalli dell’antichità“: oro, argento, rame, stagno, piombo, ferro e mercurio.

Su questi metalli le civiltà antiche basarono la loro ricchezza economica, il loro successo in battaglia, le loro ipotesi sul mondo naturale e i loro prodotti per la cura della persona.

Le ragioni dell’impiego di solo 7 metalli tra tutto il ventaglio di elementi metallici disponibili oggi sono da ascrivere alle loro caratteristiche fisiche e alla loro reperibilità.

Punto di fusione

Con l’eccezione del ferro, il penultimo metallo ad essere sfruttato lungo la linea temporale della lavorazione dei metalli, tutti gli altri 6 metalli dell’antichità possedevano un basso punto di fusione.

Ci primi forni per la fusione dei metalli non riuscivano a raggiungere temperature sufficienti a fondere alcuni dei metalli conosciuti. Di fatto, il ferro non veniva fuso nel senso letterale del termine, ma reso “morbido” per poterlo lavorare con più facilità.

cinabro minerale mercurio
Il cinabro non è altro che solfuro di mercurio sotto forma di minerale tossico

Il mercurio si trova raramente in stato nativo, molto più spesso all’interno di minerali come il cinabro, ma la sua bassissima temperatura di fusione (−38.829 °C) ne facilitava enormemente l’estrazione.

Stagno e piombo, dotati di punti di fusione molto bassi (rispettivamente 231 °C e 327 °C), potevano essere fusi utilizzando semplici forni alimentati da legna. Basta un accendino per fondere lo stagno, e la facilità di lavorazione del piombo lo resero uno dei metalli più utilizzati nell’antichità.

Argento e oro (il primo fonde a 961 °C, il secondo a 1064 °C) si trovano comunemente in forma nativa. Spesso l’oro non richiede la separazione da altri minerali per poter essere lavorato; l’argento invece si trova spesso sotto forma di galena, un mix di piombo e argento: la separazione dei metalli avveniva grazie ad un processo di separazione (coppellazione) basato sulle differenti temperature di fusione.

Anche il rame, con una temperatura di fusione di 1084 °C, si trova in forma nativa, ragione che lo portò ad essere impiegato dai nostri antenati migliaia di anni fa per realizzare asce (come quella di Ötzi), pugnali, scalpelli e tubature.

Per la lavorazione del ferro bisognerò tuttavia attendere l’evoluzione dei forni di fusione impiegati per gli altri metalli. Il ferro fonde a 1538 °C, una temperatura che fu raggiungibile solo utilizzando una combinazione di combustibili adatti (carbone), forni adeguati e una ventilazione costante in grado di massimizzare la produzione di calore.

Facilità di estrazione

Stagno, oro e argento si presentano comunemente anche in forma nativa, metallo puro non legato ad altri elementi. Lo stesso vale anche per il rame, ma si trova molto più abbondantemente all’interno di minerali come malachite e calcopirite.

Per separare il rame dai minerali che lo contengono occorre usare una fornace in grado di raggiungere almeno i 1089 °C. In passato tuttavia esistevano diversi depositi di rame nativo, come a Cipro e a Creta: poteva essere estratto semplicemente staccando pezzi di metallo dalla roccia.

Il mercurio può essere facilmente estratto dai composti che lo contengono scaldandoli a basse temperature: 500 °C sono sufficienti a separare questo metallo dal resto degli elementi.

Galena, mix di piombo e argento
Galena, mix di piombo e argento

Il piombo si trova spesso sotto forma di galena (solfuro di piombo), un minerale descritto da Plinio il Vecchio come “minerale di piombo”. E’ malleabile e fonde facilmente su carbone di legna producendo piccoe sfere di piombo.

La galena può contenere anche argento in percentuali variabili da 1 a 2%: in passato lo si estraeva semplicemente aggiungendo cenere d’ossa durante la combustione della galena per assorbire gli ossidi di piombo. Nell’antichità l’argento fu talvolta considerato più prezioso dell’oro e la galena rappresentò per secoli la principale fonte d’argento.

Rarità

Ad eccezione del ferro, uno dei metalli più diffusi in natura, gli altri sei metalli dell’antichità sono poco comuni o rari. Ma prima della scoperta delle modalità d’estrazione del ferro dai minerali che lo contengono, questo metallo era raro e l’unica fonte di ferro disponibile era quello di origine spaziale (ferro meteoritico).

Lo stagno, fondamentale per creare il bronzo, è un elemento relativamente raro nella crosta terrestre: 2 parti per milione (ppm) contro le 50.000 ppm del ferro, le 50 ppm del rame e le 14 ppm del piombo.

Le fonti di stagno erano rare nell’antichità, rarità che costrinse molti popoli produttori di bronzo ad istituire lunghe e complesse reti commerciali per estrarre la cassiterite (biossido di stagno), un minerale noto ai Greci (che chiamarono Cassiteridi alcune isole ricche di questo minerale) e citato da Plinio il Vecchio come principale fonte dello stagno utilizzato per la produzione del bronzo antico.

Cassiterite
Cassiterite

Il rame è l’ottavo metallo più abbondante sulla Terra. I suoi minerali sono presenti pressoché ovunque sul pianeta ed è facilmente riconoscibile nella sua forma nativa. Il rame è presente in oltre 160 minerali differenti, ma i più ricchi di questo metallo sono malachite, cuprite, calcopirite e crisocolla.

Il mercurio è un elemento estremamente raro nella crosta terrestre (circa 0,08 parti per milione). Dato che tende a non legarsi con moltissimi elementi che costituiscono la crosta terrestre, i minerali che lo contengono (come il cinabro) possono essere molto concentrati, con percentuali di mercurio fino al 2,5% della massa totale.

L’oro è un metallo relativamente raro (0,005 ppm nella crosta terrestre) che si manifesta prevalentemente in forma nativa principalmente sotto l’aspetto di piccole particelle, schegge o pepite incorporate in roccia come quarzo o pirite.

Anche l’argento è relativamente raro nella crosta terrestre (0,08 ppm) e si manifesta principalmente sotto forma di minerali come la galena. Essendo più reattivo dell’oro, si trova raramente in forma nativa, ragione per cui è stato considerato molto prezioso nei millenni passati: in Egitto veniva valutato più dell’oro fino al XV secolo a.C.

I sette metalli: facili da estrarre e da lavorare

Alla luce di queste informazioni, sembra evidente che la rarità dei metalli utilizzati nell’antichità non fosse un fattore così determinante per il loro impiego su larga scala quanto la loro facilità di manipolazione e il loro basso punto di fusione.

Malachite
Malachite

In assenza di analisi chimico-fisiche in grado di determinare l’esatta natura di un elemento, gli antichi contaminavano spesso i metalli che conoscevano con altri metalli a loro ignoti o semplicemente non identificati come tali: le contaminazioni volontarie e involontarie di arsenico nel bronzo antico furono frequenti, ma questo elemento non fu considerato un metallo fino a circa 700 anni fa.

La presenza in forma nativa di metalli come oro, argento e stagno semplificò sicuramente l’estrazione, ma ben presto i nostri antenati elaborarono metodi per estrarre i metalli che conoscevano dai minerali più comuni.

Di certo il basso punto di fusione aiutò nell’impresa: anche i forni utilizzati per la cottura della ceramica erano in grado di fondere metalli come stagno, piombo, mercurio, oro, argento e rame, aprendo il campo alla lavorazione dei metalli a qualunque civiltà conoscesse le tecniche di costruzione di forni efficienti.

Metals of antiquity
A Short History of Metals

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Costruzione di un coltello Yakut https://www.vitantica.net/2019/01/03/costruzione-coltello-yakut/ https://www.vitantica.net/2019/01/03/costruzione-coltello-yakut/#respond Thu, 03 Jan 2019 00:10:58 +0000 https://www.vitantica.net/?p=3463 Il coltello della Jacuzia, o coltello Yakut, è il coltello tradizionale del gruppo etnico Jakuta (o Sacha), che vive nella Siberia settentrionale. Gli Jakuti sono nati come popolo di cacciatori e pescatori: la disponibilità di lame affidabili e di facile realizzazione consentì loro di sopravvivere in uno degli ambienti più ostili del pianeta.

Il coltello Yakut veniva utilizzato per lavorare il legno, la pelle, e per la preparazione di pesce e carne. Questo tipo di lama è stato sfruttato dagli Jakuti per secoli senza cambiamenti significativi nel suo design.

Il tipico coltello Yakut ha una lama lunga 10-18 centimetri e larga da 2,5 a 4 centimetri. La caratteristica distintiva di questo coltello è la lama asimmetrica: un lato della lama è dotato di una larga scanalatura, mentre il lato opposto è totalmente piatto.

Il coltello Yakut viene tradizionalmente forgiato utilizzando minerali ferrosi locali fusi dai fabbri jakuti ed è fornito di un’impugnatura il legno di betulla, un albero che abbonda nelle foreste russe. Il fodero del coltello viene generalmente realizzato con la pelle ottenuta dalla coda di un bovino.

L’utente YouTube Rune Malte Bertram-Nielsen ha realizzato un coltello Yakut a partire da una vecchia lima metallica. Il procedimento segue metodi tradizionali e non è molto differente da quello seguito dai fabbri jakuti a partire da un piccolo lingotto di ferro grezzo.

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