leggende – VitAntica https://www.vitantica.net Vita antica, preindustriale e primitiva Thu, 01 Feb 2024 15:10:35 +0000 it-IT hourly 1 Leggende oscure delle festività natalizie https://www.vitantica.net/2019/12/09/leggende-oscure-delle-festivita-natalizie/ https://www.vitantica.net/2019/12/09/leggende-oscure-delle-festivita-natalizie/#comments Mon, 09 Dec 2019 00:03:41 +0000 https://www.vitantica.net/?p=4722 E’ quasi Natale, un periodo che ognuno di noi è abituato ad immaginare come ricco di doni, di gioia e di amore, oltre che di spese esorbitanti capaci di prosciugare un conto corrente. In passato (e in alcune tradizioni sopravvissute fino ad oggi) il Natale era invece un periodo oscuro, popolato da demoni e personaggi per nulla simili al giocondo Babbo Natale.

Krampus

Creature di origine tedesca che accompagnano San Nicola durante la processione natalizia. I Krampus sono entità che popolano il folklore di molte tradizioni natalizie dell’Europa centrale da più di 500 anni.

I Krampus (“morto”, “putrefatto” o “artiglio”) sono creature malvagie dall’aspetto cornuto, animalesche e in costante ricerca da bambini che non si sono comportati bene. Hanno origine da una superstizione pre-cristiana nata intorno al VI-VII secolo d.C. e legata al solstizio d’inverno: secondo la tradizione, in un tempo non meglio precisato alcuni ragazzini provenienti da villaggi colpiti da carestia iniziarono a travestirsi da demoni cornuti ricoperti di pelliccia, spaventando gli abitanti per rubare provviste.

Dopo qualche tempo, i ragazzi si resero conto che tra loro c’era una creatura non umana, un vero demone dalle zampe di capra che si era infiltrato nel gruppo. San Nicola riuscì ad esorcizzare il demone; per penitenza, i ragazzini, ogni anno, iniziarono a travestirsi da demoni non più con l’obiettivo di rubare, ma con quello di punire i bambini cattivi.

Re degli Stolti

Re degli Stolti

La tradizione del “Lord of Misrule” ha la sua origine dal festival romano Natalis Solis Invicti e dai Saturnalia, e prevedeva la nomina di un “Abate dell’Irragionevolezza” (o “Re degli Stolti”), solitamente un contadino, un artigiano o un sacerdote di basso rango.

In base alla località e al livello di tolleranza delle autorità locali, all’ Abate era concesso di tutto, dal bere alcolici senza sosta al sesso senza regole. Il Re degli Stolti veniva temporaneamente investito dell’impunità e del potere solitamente concessi ad alti prelati e governatori locali, e la sua nomina iniziava con il Festa degli Stolti, una celebrazione lunga diversi giorni in cui la blasfemia veniva tollerata.

Non era raro che i contadini che entravano in città per le loro attività quotidiane venissero aggrediti o derubati, o diventassero vittima di scherzi di pessimo gusto ideati dall’ Abate. Anche i prelati di ogni rango non erano immuni alle conseguenze del Festival, e i soldati spendevano buona parte delle loro paghe in donne a alcol senza alcun timore di mettere in ridicolo il potere dei loro superiori.

La Festa degli Stolti fu spesso condannata dalla Chiesa, che cercò di limitare o di bandire la celebrazione. A Parigi nel XII secolo il ruolo dell’ Abate fu ristretto, ma furono necessari quasi tre secoli per una reale messa al bando: nel 1431 la festività fu ufficialmente condannata come immorale e blasfema, prevedendo pene severe per chi avesse continuato a celebrarla.

Natale islandese

Gryla

Il Natale del folklore islandese è popolato non da uno, ma da ben 16 personaggi per nulla benevoli. Gryla e Leppaludi, ad esempio, sono due giganti (o troll) particolarmente affamati di bambini cattivi, che vengono cucinati in un enorme pentolone da Gryla mentre Leppaludi, estremamente pigro, si riposa nella sua caverna.

Il Gatto di Yule, invece, è un enorme felino che si aggira tra la neve durante il periodo natalizio, cibandosi di malcapitati che non hanno ricevuto in dono alcun vestito nuovo prima della notte di Natale. Il Gatto di Yule è l’animale domestico di Gryla e della sua famiglia e veniva impiegato come espediente per incentivare la lavorazione domestica della lana durante l’autunno.

I Ragazzi di Yule, invece, sono i figli di Gryla e Leppaludi, un nutrito gruppo di 13 giovani giganti con l’abitudine di rubare o di infastidire la popolazione locale. Ognuno ha un nome che descrive il suo passatempo preferito o una caratteristica distintiva: Stúfur (“Tozzo”), ad esempio, è un gigante particolarmente basso che ruba pentole per cibarsi delle loro incrostazioni, mentre Gluggagægir (“Spione”) ha l’abitudine di sbirciare dalle finestre in cerca di oggetti da rubare.

I Ragazzi di Yule scendono nei villaggi uno per uno a partire dalla tredicesima notte prima di Natale, lasciando piccoli regali nelle scarpe dei bambini buoni o una patata in quelle dei bimbi cattivi. Il verso di un’ antica ninnananna cita anche altre due figure simili ai figli di Gryla: si tratta di due giganti femmine che rubano grasso fuso infilandoselo nelle narici o nei calzini.

Frau Perchta

Frau Perchta

Alcune tradizioni natalizie centro europee contemplano l’esistenza di una strega chiamata Frau Perchta (chiamata anche Bertha, o Frau Faste in Slovenia). Questa strega consegna doni o dispensa castighi durante i 12 giorni del Natale (dal 25 dicembre al 6 gennaio), e le punizioni che infligge non sono per nulla simboliche: estrae con violenza gli organi interni di un bambino per rimpiazzarli con paglia e roccia.

Perchta ha due forme con cui si presenta ai mortali: la prima è bellissima, una donna dalla pelle bianca come la neve; la seconda invece è una vecchina orribile con un piede enorme e il naso adunco, vestita di stracci.

Durante il periodo natalizio, Perchta visita ogni casa intuendo istantaneamente se un bambino si è comportato bene o male durante l’anno. Nel primo caso, può lasciare una piccola moneta d’argento all’interno di una scarpa; nel caso di bambino disubbidiente, invece, apre il ventre del poveretto, estrae stomaco e budella e le riempie con paglia e sassi.

In origine la figura di Perchta era vista come protettrice dei tabù culturali, come il divieto di filare durante le feste. Durante le sue visite, la strega si dimostra particolarmente attenta nel controllare che le ragazze della casa abbiano filato e cucito tutto ciò che dovevano durante l’anno.

Hans Trapp

Hans Trapp

Nel folklore natalizio dell’Alsazia esiste la figura di Hans Trapp, un accompagnatore di San Nicola considerato per molto tempo una figura demoniaca.

Secondo la leggenda, Hans Trapp era un uomo particolarmente ricco e avido, oltre che malvagio e adoratore del demonio. Finì per essere scomunicato dalla Chiesa ed esiliato nella foresta, dove iniziò a mietere vittime tra i poveri bambini che si avventuravano incauti nel bosco.

Camuffandosi da spaventapasseri, continuò ad aggredire le sue giovani vittime fino a quando Dio stesso, stanco delle sue malefatte, decise di ucciderlo con un fulmine, senza tuttavia finirlo per sempre e costringendolo a vagare nel mondo terreno sotto forma di spettro per guadagnarsi il paradiso.

Ogni anno, Hans Trapp fa la sua apparizione con l’arrivo di San Nicola, vestito di pelli animali o con le sembianze di uno spaventapasseri, per spaventare i bambini e farli comportare bene durante l’anno venturo.

La leggenda di Hans Trapp ha origine da una figura realmente esistita, un cavaliere del XV secolo di nome Hans Von Troth. Von Troth godeva di una pessima reputazione in Germania: ordinò la chiusura del fiume Wieslauter, tagliando il rifornimento d’acqua nella città di Weissenburg e dando inizio ad una faida con l’abate locale.

Per pura vendetta verso l’abate, Von Troth decise quindi di abbattere la diga che bloccava il fiume, inondando Weissenburg e causando danni incalcolabili. Nel 1491 in cavaliere fu richiamato a Roma per rispondere delle sue malefatte, ma il suo rifiuto di presentarsi lo portò alla scomunica.

Stregoni e non-morti

Wild Hunt

Prima dell’arrivo della cristianità, le popolazioni germaniche e britanniche celebravano lo Yule, il festival di metà inverno. Durante il periodo di celebrazione si verificavano numerosi eventi soprannaturali, come la Wild Hunt (“Caccia selvaggia”).

La Wild Hunt era una sorta di battuta di caccia, guidata da Odino nelle culture norrene o da altre figure leggendarie come re Artù, composta da entità mostruose e non-morti. La processione avanza come un’armata e se qualche mortale osa presentarsi di fronte alla parata verrà punito severamente; se invece contribuisce alla caccia potrebbe essere ricompensato con oro, monete o la zampa di un animale.

I ranghi dei defunti sono popolati da coloro che sono morti prematuramente, come bambini non battezzati o soldati caduti. Nel folklore della Lunigiana, la Caccia Infernale è composta da cani soprannaturali e spiriti aggressivi, e il suo passaggio è preceduto da folate di vento glaciale.

Père Fouettard

Père Fouettard

Un altro accompagnatore di San Nicola nel folklore francese è Père Fouettard: mentre il santo dispensa doni ai bambini buoni, Père distribuisce carbone e frusta quelli cattivi.

La prima occorrenza di Père Fouettard nella documentazione storica risale al 1150. Secondo la leggenda, un oste catturò tre bambini di buona famiglia e li uccise per derubarli tagliando loro la gola, facendoli a pezzettini e gettandoli in un barile.

San Nicola scoprì il misfatto e decise di resuscitare i bambini. Di fronte alle sue colpe, Père Fouettard decise di pentirsi e diventò l’accompagnatore del santo come punizione per le sue malefatte.

La raffigurazione più comune di Père Fouettard è quella di un uomo anziano dalla faccia sinistra, con capelli arruffati e una lunga barba. Père porta sempre una frusta e talvolta ha sulle spalle uno zaino in cui rinchiude i bambini cattivi. Secondo la tradizione, il suo viso è nero a causa della fuliggine dei camini che Père e San Nicola usano come via d’accesso alle case che visitano.

Babbo Natale?

Babbo Natale

Giusto per chiarire: sono cresciuto credendo all’esistenza di Babbo Natale e alla sua innata bontà. Non si tratta di un attacco alla figura natalizia più amata dai bambini di tutto il mondo; ma se si scava a fondo, il buffo omone in bianco e rosso ha le caratteristiche tipiche di una persona potenzialmente pericolosa.

Riflettiamo per un momento sul personaggio di Babbo Natale: sorveglia costantemente ogni bambino (o usa i suoi “elfi” per farlo) allo scopo di determinare se si è comportato bene o male durante l’arco dell’anno; arriva durante la notte, calandosi da un camino silenziosamente, non invitato, per lasciare doni e dolci ai bambini; come se non bastasse, in molte tradizioni natalizie è usanza lasciargli qualcosa da mangiare (come latte e biscotti) in modo che possa rifocillarsi prima di continuare il suo giro notturno.

He sees you when you’re sleeping. He knows when you’re awake“, dice una celebre canzone di Natale. Babbo Natale è una figura onnipotente che spia i bambini in ogni istante, osservandoli mentre dormono. Nella sua “versione San Nicola” è spesso accompagnato da un aiutante malvagio, che punisce fisicamente i bambini cattivi o li terrorizza per farli comportare bene (senza contare le terribili punizioni di Frau Perchta).

Di fatto, Babbo Natale è un anziano con problemi di peso che veste in modo stravagante, regala dolci e giochi e si intrufola di nascosto nelle case di tutto il mondo per osservare bambini che dormono.

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10 miti sulla vita nel Medioevo https://www.vitantica.net/2019/06/17/10-miti-vita-medioevo/ https://www.vitantica.net/2019/06/17/10-miti-vita-medioevo/#comments Mon, 17 Jun 2019 00:10:36 +0000 https://www.vitantica.net/?p=4324 Il Medioevo, forse più di altri periodi storici, è pieno di miti storicamente inaccurati o basati su dati inesistenti. Nell’immaginario collettivo, il Medioevo rappresente i “secoli bui”, un periodo di scarsa cultura, di osservanza religiosa quasi maniacale e di stratificazione sociale netta e ingiusta.

Ma nell’arco di circa 1.000 anni le evoluzioni sociali, culturali e scientifiche non furono poche, e nemmeno trascurabili. Smontando alcuni miti e leggende metropolitane che riguardano il Medioevo, diventa evidente che l’ “età di mezzo” fu un periodo molto più complesso e dinamico di quanto siamo stati portati a ritenere da libri, film e luoghi comuni.

Terra piatta

Come spiegato in questo post sull’evoluzione dell’idea di Terra piatta, i nostri antenati medievali non credevano affatto che la Terra fosse un disco. Il concetto di pianeta sferico era già noto da secoli e comunemente accettato dai dotti dell’epoca.

Paradossalmente, l’idea di una Terra piatta torna di moda nel 1800 in alcuni ambienti non legati al mondo scientifico: Washington Irving fu il primo a suggerire l’idea (poi smentita) che nel Medioevo il concetto di Terra piatta fosse una credenza diffusa e comunemente accettata.

Ius primae noctis

Verso il XVI secolo iniziò a circolare l’idea che i nobili europei medievali avessero diritto a trascorrere la prima notte di nozze dei loro sudditi in compagnia delle spose. Ciò che viene definito come ius primae noctis, o droit du seigneur in francese, è in realtà un mito: non esiste alcuna documentazione storica che attesti l’esistenza di questa usanza.

Secondo lo storico Alessandro Barbero, specializzato in storia del Medioevo:

«Lo ius primae noctis è una straordinaria fantasia che il Medioevo ha creato, che è nata alla fine del Medioevo, ed a cui hanno creduto così tanto, che c’era quasi il rischio che qualcuno volesse metterlo in pratica davvero, anche se non risulta che sia mai successo davvero. In realtà è una fantasia: non è mai esistito.»

Strumenti di tortura

La tortura fu una tradizione millenaria che solo di recente abbiamo formalmente abolito. I torturatori medievali disponevano certamente di strumenti adatti ad esprimere tutto il loro sadismo, ma non si trattava di molti oggetti che oggi attribuiamo alla tortura medievale: la vergine di Norimberga, lo strappa seno e la famigerata “pera” non furono inventati nel Medioevo ma diversi secoli più tardi.

Nel caso della vergine di Norimberga, ad esempio, si tratta di una macchina di tortura ideata nel XVIII secolo. Non esistono fonti storiche precedenti al XIX secolo che citino l’uso di questo strumento nel Medioevo.

Anche la pera orale (o quella vaginale e rettale), strumento di tortura ad espansione, è frutto della fantasia del XIX secolo e gli unici esemplari esistenti sono stati creati nel 1800.

La maggior parte dei miti legati alle torture medievali sono stati inventati tra il 1700 e il 1800 per rappresentare il Medioevo come un’ epoca buia e violenta rispetto all’età moderna.

Cinture di castità

Le storie sulle cinture di castità sono tutte molto simili: quando un signore medievale o un cavaliere si allontanavano da casa per andare in guerra o imbarcarsi per intraprendere una crociata in Terra Santa, facevano indossare alle mogli una cintura di castità per evitare ogni sorta di tradimento.

La realtà è che le cinture di castità non esistevano nel Medioevo. Le ricerche sull’origine delle cinture di castità escludono l’esistenza di questo strumento prima del XVI secolo, periodo dopo il quale furono usate molto raramente fino al XIX secolo, quando divennero relativamente comuni come oggetti per prevenire la masturbazione.

Vino, birra ma non acqua

Una leggenda piuttosto curiosa sostiene che i nostri antenati medievali bevessero vino e birra per evitare di consumare acqua, spesso inquinata dai liquami prodotti dalle città e dagli animali domestici. Escludendo una resistenza immunitaria maggiore alla nostra nei confronti di alcuni (ma non tutti) agenti patogeni presenti nell’acqua, nel Medioevo erano disponibili sorgenti d’acqua potabile un po’ ovunque.

Gli antichi, pur non disponendo della strumentazione scientifica moderna, erano perfettamente in grado di trovare fonti d’acqua fresca pulite e adatte al consumo umano. Ogni città spendeva una fortuna per cercare di mantenere un apporto d’acqua costante per ogni utilizzo, compreso il consumo umano.

Alcuni trattati medici non proibivano il consumo d’acqua, ma lo regolavano in base alla teoria degli umori: ad esempio, il Regimen Sanitatis Salerni consigliava il consumo di acqua di sorgente o di acqua piovana, ma specificava che durante i pasti era preferibile bere vino, perché l’acqua avrebbe “raffreddato lo stomaco” impedendo una corretta digestione.

Vita molto breve

La gente del Medioevo moriva intorno ai 30 anni? No. C’è differenza tra aspettativa di vita e longevità: era difficile raggiungere l’età adulta a causa di malattie, guerre e alimentazione, ma una volta raggiunta si poteva sopravvivere fino a 60-70 anni senza troppe difficoltà.

Come spiegato nel post “Speranza di vita e longevità dei nostri antenati“, la mortalità infantile era elevata rispetto agli standard moderni, ma una volta superati gli anni più duri dell’infanzia non era affatto raro raggiungere e superare i 50 anni.

Niente viaggi

I nostri antenati medievali avevano a disposizione meno mezzi di trasporto rispetto a noi, ma questo non significa affatto che non si spostassero dal loro paese natale. Abbiamo molta documentazione storica che ci parla di viaggi commerciali o di piacere, anche su distanze medio-lunghe.

I contadini si recavano in pellegrinaggio, visitavano chiese e monasteri non solo in prossimità delle loro case, ma anche oltremare. Alcuni dovevano recarsi a intervalli più o meno regolari verso i mercati dei villaggi o delle città confinanti, che in Inghilterra distavano mediamente 10-20 km l’uno dall’altro.

William Wey, uno dei primi membri dell’ Eton College, scrisse diversi resoconti dei suoi viaggi, compresi due pellegrinaggi in Terra Santa, fornendo preziosi consigli di viaggio ai suoi contemporanei: come trovare un passaggio per attraversare il Mediterraneo, come tutelarsi da fregature con un contratto di viaggio e quale fosse il posto migliore su una nave per evitare il caldo e i cattivi odori.

Scarsa igiene personale

Sicuramente l’igiene medievale non era all’altezza degli standard moderni, ma ognuno faceva quel che poteva per rimanere pulito. La documentazione e l’arte medievali ci offrono numerosi esempi di persone intente a fare il bagno e a lavarsi viso e mani.

Maino De Maineri, autore del Regimen sanitatis, parla dell’efficacia di un bagno nel ripulire il corpo dalla sporcizia accumulata durante il lavoro all’aperto, e consiglia un bagno anche per alleviare i processi digestivi e per fermare la diarrea.

Anche se per molte persone avere un bagno in casa non era un’opzione, esistevano bagni pubblici in tutta Europa: nella sola Parigi del XIII secolo era possibile trovare ben 32 stabilimenti per fare un bagno; a Southwark ne esistevano 18, tutti forniti di acqua calda.

Le “case del bagno” iniziarono il loro declino nel XVI secolo, probabilmente per un mix di moralità religiosa e per la diffusione di malattie come la peste e la sifilide (quest’ultima connessa alla presenza di bordelli negli stabilimenti di alcuni bagni pubblici).

Tutti erano estremamente religiosi

Ieri come oggi, esistevano persone molto devote e persone che semplicemente erano indifferenti alla religione. Ci sono testimonianze scritte di molti esponenti del clero che si lamentano di quante persone non si presentino a messa o non seguano alcuna pratica religiosa.

Contadini e teologi seguivano spesso una loro interpretazione della religione e ognuno di loro praticava il culto in base alle sue personali preferenze. E’ vero che esistevano dei tabù legati alla religione, ma non erano unanimamente accettati come si è portati a pensare.

Inoltre, l’Europa medievale non era popolata da soli cristiani. Anche se non esisteva un clima di diversità etnica e religiosa simile a quello moderno, moltissime città erano abitate da un mix di diverse etnie e fedi.
Per circa 800 anni buona parte della Spagna fu musulmana; a partire dall’ VIII secolo, Inghilterra e Francia ospitarono nordafricani e mediorientali in numeri sorprendenti.

Servitori di umili origini

Non tutti i servitori erano di basso rango sociale; al contrario, i servitori di uomini di potere provenivano spesso da famiglie nobili. Molti servitori erano militari, come guardie, scudieri, cacciatori e sentinelle; ciambellani, dispensieri, falconieri e maggiordomi provenivano spesso dalla nobiltà locale.

La maggior parte dei servitori nell’Inghilterra medievale era di sesso maschile: nella dimora dell’ earl del Devon erano presenti 135 membrì della servitù, solo 3 dei quali erano donne.

Servire un lord era considerato parte della formazione personale di un giovane: si trattava di un praticantato che avrebbe insegnato abilità utili in età adulta, oltre ad essere un modo per guadagnarsi il pane.

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Pipistrello vampiro, fatti e leggende metropolitane https://www.vitantica.net/2019/05/29/pipistrello-vampiro-fatti-e-leggende-metropolitane/ https://www.vitantica.net/2019/05/29/pipistrello-vampiro-fatti-e-leggende-metropolitane/#respond Wed, 29 May 2019 00:10:20 +0000 https://www.vitantica.net/?p=3907 Attorno al pipistrello vampiro sono nati miti ed esagerazioni ben fuori dalla natura di questo bizzarro mammifero volante: singoli pipistrelli vampiro che uccidono persone adulte, aperture alari di due metri e una smodata sete di sangue. Ma distinguendo la fantasia dalla realtà, cosa rimane di vero sul pipistrello vampiro?

Quali specie di pipistrello si nutrono di sangue?

Al mondo esistono tre specie di pipistrelli che si nutrono esclusivamente di sangue: il vampiro comune (Desmodus rotundus), il pipistrello vampiro dalle zampe pelose (Diphylla ecaudata) e il vampiro dalle ali bianche (Diaemus youngi).

Tutte e tre le specie vivono in America centro-meridionale, in regioni del Messico, del Brasile, del Cile, dell’Uruguay e dell’ Argentina. Possiamo quindi smentire Indiana Jones: in India non ci sono pipistrelli che si nutrono esclusivamente di sangue.

Pipistrello Desmodus rotundus
Pipistrello Desmodus rotundus

Considerate le differenze dei tre pipistrelli ematofagi, ogni specie è stata collocata in un genere e in una famiglia specifici. Nonostante i tratti distintivi di ognuna delle tre specie, i punti in comune sono però tali da far supporre che l’ ematofagia di questi pipistrelli si sia sviluppata in un solo “evento evolutivo” e che le tre specie condividano un antenato comune.

I pipistrelli vampiro hanno caratteristiche che li distinguono dai comuni pipistrelli: recettori termici, per certi versi simili a quelli infrarossi dei serpenti; denti frontali adatti a incidere la pelle; sistema di elaborazione dei rumori ambientali specializzato nel determinare la posizione delle principali fonti di cibo dal suono del respiro regolare che le loro vittime emettono durante il sonno.

Il metodo di caccia dei pipistrelli vampiro

Contrariamente alla maggior parte dei pipistrelli non ematofagi, i pipistrelli vampiro hanno un muso dotato di termorecettori specializzati che consentono loro di localizzare sulla preda l’area in cui il sangue scorre vicino alla pelle.

I denti dei pipistrelli vampiro si sono evoluti per effettuare piccole e precise incisioni, mentre l’apparato uditivo è in grado di rilevare il suono del respiro regolare di un mammifero addormentato, una preda ideale per un cacciatore così piccolo ma allo stesso tempo così fragile.

Pipistrello vampiro in volo. Jacinto Yoder, Shutterstock
Pipistrello vampiro in volo. Jacinto Yoder, Shutterstock

I vampiri cacciano solo a notte inoltrata, nel buio completo, nutrendosi del sangue di piccoli e grandi mammiferi, esseri umani inclusi, o di uccelli. Per nutrirsi di mammiferi, generalmente localizzano una preda immobile e atterrano entro qualche metro di distanza da essa, per potersi avvicinare camminando sul terreno. I pipistrelli vampiro infatti sono molto agili: riescono a correre ad una velocità massima di quasi 8 km/h e muoversi agilmente sul corpo di un grosso mammifero.

Una volta giungi in prossimità della preda, iniziano il loro banchetto. Per prima cosa, localizzano il miglior punto per praticare un’incisione grazie ai loro sensori termici. Se la preda è dotata di pelliccia, il pipistrello vampiro comune usa i suoi canini per radere la zona in cui praticherà una ferita tipicamente lunga circa 7 millimetri e profonda 8.

Come è facile intuire, se il pipistrello non fosse dotato di un meccanismo anticoagulante, la ferita si chiuderebbe in breve tempo. Il pipistrello vampiro risolve il problema della fluidità del sangue sfruttando una serie di agenti anticoagulanti, anestetici e vasodilatatori presenti nella sua saliva.

Uno di questi componenti è la draculina, una proteina che funziona da anticoagulante. E’ circa un centinaio di volte più potente di qualunque altro anticoagulante noto e viene utilizzata anche in ambito medico.

Il sistema digestivo dei vampiri è molto efficiente per quanto riguarda la digestione del sangue ed è direttamente collegato ai reni, il che porta l’animale a urinare circa 2 minuti dopo l’inizio del pasto.

Questo sistema di ingestione e espulsione quasi diretta degli scarti permette ai pipistrelli vampiro di ingerire un quantitativo aggiuntivo di sangue pari al 20-30% del proprio peso corporeo.

Le ferite di un pipistrello vampiro possono uccidere un essere umano?
Pipistrello vampiro mentre si alimenta sul dorso di un bovino selvatico
Pipistrello vampiro mentre si alimenta sul dorso di un bovino selvatico

Le dimensioni del pipistrello vampiro variano da specie a specie. Le dimensioni tipiche di un esemplare femmina di vampiro comune pesa circa 50 grammi, è lungo circa 9 centimetri con un’apertura alare di 18, e può consumare circa la metà del suo peso corporeo in sangue in soli 20 minuti. Le dimensioni delle altre due specie non sono molto differenti da quelle del pipistrello vampiro comune.

Anche in questo caso, si devono smentire le pellicole cinematografiche: i pipistrelli vampiro non possono uccidere provocando gravi emorragie. La perdita di sangue della vittima è praticamente insignificante per un grande mammifero (circa 25-30 millilitri) e le ferite non sono tali da provocare danni permanenti.

La specie più comune di pipistrello vampiro, il Desmodus, risulta quasi impercettibile per la preda durante l’attacco e predilige grandi mammiferi. Il Diademus, invece, sembra preferire uccelli e capre, e in laboratorio è stato impossibile forzarlo ad attaccare grandi mammiferi come maiali o vacche.

Perché, quindi, la cinematografia ci offre casi di pipistrello vampiro dalle dimensioni enormi che uccidono esseri umani con la facilità di uno pterodattilo? Si tratta di un elaborato lavoro di fantasia su quelli che vengono chiamati “falsi vampiri“, definiti tali perché fu proprio il cinema ad attribuire ad alcune specie, molto più grosse dei pipistrelli vampiri veri e propri, l’attributo di succhiasangue.

E’ il caso, ad esempio, della Grande Volpe Volante (Pteropus vampyrus) che, contrariamente a quanto dice il nome scientifico, è tutt’altro che ematofago: si nutre esclusivamente di frutta. Arriva ad un’apertura alare di 1,8 metri e manca di ecolocalizzazione.

E’ più probabile che un pipistrello vampiro riesca ad uccidere un essere umano trasmettendo alcune malattie del sangue verso le quali questo mammifero predatore è totalmente immune. I casi di trasmissione della rabbia, benché rari, sono ben documentati: nel 2010 quattro bambini morirono di rabbia dopo il morso di un pipistrello vampiro.

Il rischio di infezione da rabbia per la popolazione umana è inferiore a quello del bestiame: solo lo 0,5% dei pipistrelli vampiri è vettore della malattia e gli individui infetti sono generalmente goffi, disorientati e incapaci di volare.

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Vittima innocente del fenomeno “vampiri”

I pipistrelli vampiro tendono a vivere in colonie che contano da pochi individui a centinaia di esemplari, localizzate in aree quasi totalmente buie come caverne, cavità degli alberi o edifici.

I pipistrelli vampiro hanno legami sociali talmente forti da essere tra le poche specie ad “adottare” i piccoli di un esemplare morto o scomparso.

Sono inoltre molto legati alla colonia grazie ad un sistema di condivisione del cibo: dato che un pipistrello può sopravvivere circa due giorni senza effettuare un pasto, in periodi di scarsità di prede i pipistrelli che sono stati in grado di nutrirsi rigurgitano parte del sangue ingerito per condividerlo con i membri più deboli della colonia.

I pipistrelli vampiro sono anche particolarmente bravi a monitorare la posizione di altri individui della stessa specie utilizzando richiami distintivi per capire se qualche pipistrello ha bisogno di aiuto.

I pipistrelli vampiro sono molto meno terrificanti e mortali di quanto si favoleggi nei film. L’unico reale rischio per la vittima sono le infezioni derivanti dal fatto che il pipistrello, nel corso della sua caccia notturna, entra in contatto con diverse specie di mammiferi o uccelli, contribuendo a diffondere infezioni e parassiti.

Vampire bat
The Art and Science of Bats

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Nábrók, le “necromutande” della stregoneria islandese https://www.vitantica.net/2019/05/01/nabrok-necromutande-stregoneria-islandese/ https://www.vitantica.net/2019/05/01/nabrok-necromutande-stregoneria-islandese/#respond Wed, 01 May 2019 00:10:33 +0000 https://www.vitantica.net/?p=4044 Nel tranquillo villaggio di pescatori di Hólmavík si trova un museo che ospita la riproduzione di un oggetto leggendario della stregoneria islandese: il nábrók, “necromutande” (o “necropantaloni” che dir si voglia) la cui creazione prevedeva un rituale così complesso da risultare irrealizzabile.

Il Museo della Magia e della Stregoneria Islandese

Il Museo della Magia e della Stregoneria Islandese combina interessanti fatti storici relativi alla caccia alle streghe condotta in Islanda nel XVII secolo ed elementi folkloristici legati alla magia islandese di discendenza norrena, una pratica che spesso prevedeva sacrifici di sangue e rituali della tradizione magica popolare nordeuropea.

Nel 2014 gli utenti di TripAdvisor hanno classificato questo museo tra i primi dieci musei più interessanti d’Islanda, lasciando stupito e soddisfatto il curatore Sigurður Atlason, un appassionato di folklore e storia della sua isola.

“Il nostro museo è qualcosa che esula da un museo tradizionale, caratteristica che lo rende particolare. Mandare avanti il museo è stata una sfida: questo è il primo anno dall’apertura in cui siamo in grado di assumere personale. Siamo finalmente diventati un business solido” spiega Atlason.

L’idea di un museo incentrato sulla stregoneria islandese è nata nel 1996 per attrarre più visitatori in un’area così remota d’Islanda, il distretto di Strandasýsla. Nel 2000 il museo ha finalmente aperto le sue porte e anno dopo anno ha attratto sempre più visitatori provenienti da tutto il mondo.

La raccapricciante stregoneria islandese

Durante il XVII secolo l’Islanda fu coinvolta in una vera e propria caccia ai praticanti di stregoneria: l’accusa di esercitare magia nera portò alla morte diverse persone, generalmente uomini. La magia islandese, diretta discendente di quella norrena, prevedeva inoltre rituali violenti o disgustosi, come quello previsto per l’evocazione di un tilberi.

Un tilberi, o snakkur, era una creatura soprannaturale creata dai praticanti di magia nera di sesso femminile con il preciso scopo di rubare latte. Il primo riferimento letterario ad un tilberi appare solo nel XVII secolo, ma lo stesso riferimento cita una donna del 1500 punita per aver dato origine a questa mostruosità.

Un tilberi, o snakkur, veniva creato per sottrarre latte ai vicini di casa
Un tilberi, o snakkur, veniva creato per sottrarre latte ai vicini di casa

Il rituale per la creazione di un tilberi era basato su oggetti ottenuti tramite l’inganno: era necessario sottrarre durante il giorno di Pentecoste una costola da un cadavere seppellito di recente, avvolgerlo in lana grigia rubata appositamente per lo scopo e tenere il rotolo così ottenuto tra i seni per tre settimane.

Ogni domenica, durante la comunione, la donna doveva sputare il vino santo sul rotolo, vedendolo prendere vita e muoversi sempre più ad ogni messa. Al termine del rituale, la donna doveva alimentare la creatura lasciandole succhiare sangue dalla coscia: a questo punto, il tilberi era pronto per essere inviato a rubare latte dalle fattorie vicine, latte che avrebbe rigurgitato dopo il suo ritorno a casa.

Gli incantesimi islandesi erano del tutto simili ai galdrar norreni, versi usati nella magia popolare in svariate circostanze, dal rendere più semplice il parto al portare alla follia un avversario. Pare che Odino conoscesse ben 18 galdrar, tra i quali uno per creare tempeste e un altro per evocare i morti.

I galdrar e la tradizione magica popolare furono le basi per la stregoneria islandese: secondo la leggenda, intorno al XVI secolo Gottskálk grimmi Nikulásson, vescovo di Holar, raccolse tutte le conoscenze magiche e i galdrar norreni (tra i quali la procedura di creazione del nábrók) in un libro, il Rauðskinna,noto anche come Il Libro del Potere, un volume apparentemente sepolto con la salma del prelato e per secoli obiettivo della ricerca di molti praticanti della magia norrena.

Il pezzo forte: nábrók

L’oggetto più popolare del museo è la riproduzione in legno di un nábrækur, detto anche nábrók. Si tratta di mutande magiche che, secondo la magia vichinga islandese, potevano garantire un flusso infinito di monete a patto di realizzarle seguendo un rituale specifico e sanguinolento.

Nabrok

Come molti altri oggetti del museo, anche le necromutande sono state realizzate dall’artista di scena Árni Páll Jóhannsson, ottenendo l’attenzione dei media fino a raggiungere la notorietà in uno show della BBC condotto da Stephen Fry. “Lo show ha creato il caos” sostiene Atlason. “La gente entrava chiedendo se questa fosse la casa dei pantaloni magici mostrati alla BBC”.

Per quanto costituiscano il pezzo forte del museo, questi necropantaloni sono in realtà solo un oggetto leggendario, mai realizzato da nessun vichingo islandese per ovvie ragioni pratiche che saranno ben evidenti qualche paragrafo più sotto. “Ogni volta che qualcuno mi chiede se sono reali o se siano mai esistiti, devo dire la verità: i pantaloni magici sono esistiti soltanto nelle leggende popolari locali”.

La creazione e l’utilizzo del nábrók

Creare un nábrók non era soltanto difficile, ma tecnicamente impossibile. La procedura poteva iniziare anche molti anni prima di procedere con l’effettiva realizzazione dell’oggetto magico: occorreva infatti stipulare un patto con un amico convincendolo a cedere il suo corpo al futuro utilizzatore dopo una morte per cause naturali.

Alla morte dell’amico, l’indossatore delle necromutande doveva attendere la sepoltura del cadavere, riesumarlo senza farsi notare e, solo a quel punto, procedere con la preparazione vera e propria dell’oggetto magico.

Il procedimento era il seguente: occorreva scorticare il corpo dai fianchi ai piedi prestando la massima attenzione a mantenere perfettamente intatta la pelle. Ogni taglio o buco sulla pelle estratta dal cadavere (pelle che comprendeva ovviamente anche quella dei genitali) avrebbe irrimediabilmente compromesso il rituale, vanificando ogni sforzo.

Una volta ottenuti dei veri e propri pantaloni di pelle umana, era necessario indossarli a contatto diretto con la propria pelle, momento in cui avrebbero aderito con forza al corpo dell’indossatore.

Lo scopo del nábrók era quello di ottenere una riserva illimitata di denaro; per innescare questa “generazione spontanea” di monete era necessario inserire nello scroto delle necromutande una moneta sottratta ad una vedova mendicante e il simbolo magico nábrókarstafur scritto su un pezzo di pergamena.

Simbolo Nábrókarstafur
Simbolo Nábrókarstafur

A patto di non rimuovere la moneta, lo scroto del nábrók si sarebbe costantemente riempito di monete senza sosta. Ma liberarsi di questi necropantaloni ed evitare la dannazione eterna non era semplice: occorreva seguire un altro rituale.

In caso di morte imminente, era fondamentale togliersi il nábrók per non incorrere in una sorte terribile nell’aldilà. Per separarsi dalle necromutande occorreva trovare un’altra persona disposta ad indossarle ed effettuare la transizione da un indossatore all’altro in modo tale da lasciare almeno una gamba all’interno dell’oggetto magico.

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Necropants and Other Tales of 17th-Century Icelandic Sorcery

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9 cose poco note su Thor, il dio del tuono https://www.vitantica.net/2019/04/24/9-cose-poco-note-thor/ https://www.vitantica.net/2019/04/24/9-cose-poco-note-thor/#comments Wed, 24 Apr 2019 20:00:10 +0000 https://www.vitantica.net/?p=4149 Scrivo questo post in attesa di Avengers:Endgame, un film che ho atteso a lungo e che spero caldamente non riesca a deludermi. Vi prego di evitare ogni forma di spoiler almeno fino al 26 aprile.

Spero che la pellicola abbia un enorme successo: davvero, me lo auguro, sia per la quantità di ore che ho “investito” nel guardare ben 21 film prima di questo, epico finale, sia per il fatto che si tratta dell’unica saga cinematografica che veda come protagonista uno tra i miei supereroi preferiti di sempre: Thor, una delle divinità più celebri della mitologia norrena.

Sappiamo tutti che Thor è il dio del tuono, del fulmine, delle tempeste, della forza e di un’altra manciata di elementi naturali. Il figlio di Odino è anche il protettore dell’umanità intera e impugna un martello magico, Mjölnir, un’arma capace di radere al suolo intere montagne.

Thor era, come tutte le divinità di ogni religione del pianeta, il tentativo di dare un senso all’esistenza umana e a quella di tutta la materia che ci circonda, vivente e non.

E come ogni divinità norrena che si rispetti, la storia di Thor, come la sua origine e il suo destino, sono ricchi di retroscena e informazioni curiose.

I molti nomi di Thor

Thor è una divinità documentata fin dall’antica Roma: Tacito, nella sua opera Germania, associa Thor a Mercurio nel descrivere la religione degli Suebi (o Svevi), un popolo germanico proveniente dal Baltico.

Essendo una divinità comune in molte culture nordiche, Thor era conosciuto con almeno 15 nomi differenti. Giusto per citarne alcuni: in antico norreno era Þórr (ᚦᚢᚱ), ðunor in antico inglese, Donar in Germania, thunar tra i Sassoni.

L’origine di “Thursday” si deve proprio alla divinità nordica: “Thor’s day” (in proto-germanico Þonares dagaz) fu accostato al giovedì quando i popoli del Centro-Nord Europa iniziarono ad adottare il calendario settimanale romano.

Il nome di Thor divenne così comune in epoca vichinga da essere un prefisso (Thórr) abbastanza diffuso nei nomi di persona e di villaggi.

Mjölnir, un martello multiuso
A sinistra, Thor e Mjölnir sulla pietra di Altuna, in Svezia. A destra, una pietra runica con la raffigurazione del martello di Thor.
A sinistra, Thor e Mjölnir sulla pietra di Altuna, in Svezia. A destra, una pietra runica con la raffigurazione del martello di Thor.

Oltre ad alcuni aspetti tipici di una divinità, come un’immortalità di base, una forza sovrumana e la capacità di evocare fulmini e scatenare tempeste, una delle caratteristiche più note di Thor è la sua capacità di impugnare Mjölnir, un martello da guerra unico e straordinariamente potente.

Intorno al culto di Thor sorsero numerosi rituali magici incentrati su Mjölnir. Repliche più o meno stilizzate del martello divino venivano utilizzate in cerimonie religiose, matrimoni, nascite e funerali.

Piccoli Mjölnir erano comuni per benedire l’unione tra due persone, per propiziare una nascita senza complicazioni, per dare addio ai cari estinti o per favorire un raccolto abbondante.

Il martello simboleggiava la sconfitta dei giganti (incarnazione del male) da parte di Thor (il campione delle forze del bene) e rappresentava un amuleto multiuso largamente diffuso.

Non solo martelli magici

Thor non impugnava soltanto un martello. In una delle differenti versioni della divinità nordica, il figlio di Odino, chiamato Thunor, era in grado di scagliare saette contro le forze del male usando un’ ascia da battaglia.

Thor inoltre indossava altri oggetti dotati di proprietà magiche, tra i quali una cintura che raddoppiava la forza (Megingjarðar) e un paio di guanti magici che gli permettevano di recuperare Mjölnir dopo un lancio.

Come mezzo di locomozione, Thor non volava in modo spettacolare come il personaggio del Marvel Cinematic Universe: sfruttava un carro trainato da due capre, Tanngnjóstr e Tanngrisnir, di cui Thor si cibava durante i suoi viaggi perché avevano la straordinaria capacità di poter rinascere il giorno dopo, a patto di mantenere ossa e pelle intatte.

Un destino legato al Ragnarök

Nel poema Völuspá, una veggente (völva) narra la storia dell’universo a Odino. In questa storia, viene citata la morte di Thor: il figlio di Odino dovrà combattere contro il serpente Jörmungandr, una creatura marina di proporzioni colossali che verrà rilasciata durante il Ragnarök, una serie di eventi che segna la distruzione e la rinascita della Terra (Midgard).

Il serpente di Midgard ha fatto di recente la sua apparizione videoludica nel gioco God of War
Il serpente di Midgard ha fatto di recente la sua apparizione nel gioco God of War.

Thor riuscirà a sconfiggere il serpente di Midgard, ma avrà solo il tempo di nove passi prima di soccombere al veleno della bestia.

A quel punto, secondo la veggente il cielo diventerà nero, il fuoco avvolgerà la Terra, spariranno le stelle, si solleverà un gran vapore e il mondo verrà ricoperto d’acqua, per poi rinascere dalle sue ceneri, verde e fertile.

Divinità d’importazione?

La figura di Thor sembra somigliare ad alcune divinità centro-nordeuropee, come il celtico Taranis, ma anche ad alcuni personaggi mitologici orientali, come Indra, divinità induista dai capelli rossi che lanciava fulmini con la sua arma.

Indra era anche il creatore di tempeste, il portatore di pioggia, il regolatore del livello dei fiumi e il dio della guerra, celebrato per i suoi poteri e la sua capacità di abbattere il male.

I punti in comune con Indra del pantheon indiano non finiscono qui: anche questa divinità, come Thor, è destinata a combattere e sconfiggere un serpente/drago gigante, Vritra. Anche l’arma di Indra, come Mjölnir, è in grado di tornare tra le mani del suo proprietario.

L’arte del travestimento
A sinistra, disegno di Thor islandese risalente al XVIII secolo; a destra, statua di Thor a Stoccolma
A sinistra, disegno di Thor islandese risalente al XVIII secolo; a destra, statua di Thor a Stoccolma.

Thor è stato protagonista di innumerevoli leggende, alcune davvero bizzarre. Una delle più particolari vede il dio del tuono impegnato in un curioso tentativo di recuperare Mjölnir.

Il martello magico, sottratto dai giganti, era stato seppellito a oltre 10 km di profondità; sarebbe stato restituito solo nel caso Freya avesse accettato il matrimonio con Thrym, il re dei giganti.

Heimdall, il dio che vigila il ponte arcobaleno Bifrost che porta ad Asgard, suggerisce quindi questo piano d’azione: Thor, travestito da Freya, sarebbe entrato nella fortezza dei giganti in compagnia di Loki, travestito da servitrice.

Thrym accolse Thor e Loki con gentilezza, offrendo un ricco banchetto per celebrare le nozze che avrebbero celebrato il giorno seguente, ma Thor si tradì velocemente divorando un intero bue, otto salmoni e ogni altro cibo presente sulla tavola, bevendo interi barili di idromele.

I sospetti di Thrym vengono fugati dalla parlantina di Loki. Si giunge quindi al momento del matrimonio: quando Mjölnir viene offerto a Thor per benedire l’unione, il dio del tuono lo afferra e inizia a uccidere ogni singolo invitato, terminando velocemente la faccenda e liberandosi finalmente degli abiti femminili che indossava.

Sangue di gigante

Asgardiani e Giganti non sono mai andati molto d’accordo; strano, considerando che Thor è nipote di giganti. Odino infatti è mezzo-gigante: sua madre Jord (“Terra”) era una gigante purosangue.

Le entità di sangue misto non sono rare nella mitologia nordica: giganti ed Æsir (una delle due tribù di divinità, assieme ai Vanir, del pantheon nordico) intrattengono rapporti non solo come nemici, ma anche come amanti o semplici popoli differenti per cultura e scopi.

Quasi imbattibile

Thor non era imbattibile. Le leggende che lo riguardano lo vedono spesso vittima di tranelli tesi dai suoi nemici; la scarsità di astuzia veniva spesso colmata dalla sagacia di Loki.

Giant Skrymir and Thor, di Louis Huard (1813-1874)
Giant Skrymir and Thor, di Louis Huard (1813-1874)

Il dio del fulmine non era imbattibile nemmeno dal punto di vista fisico, anche se ben pochi potevano competere con lui. Lo Snorra Edda di Snorri Sturluson cita la leggenda di Thor e Utgarda-Loki (noto anche come Skrimir), uno jötnar (gigante) che sfida Thor ad una gara di forza e ad una competizione alcolica.

La prova di forza non va a buon fine, e nemmeno quella di bevute (leggi questo post per qualche dettaglio in più sulla storia). Thor, sconfitto e infuriato, dichiara che avrebbe battuto chiunque nella lotta (glima); Utgarda-Loki accetta la sfida offrendo come avversario Elli, la sua nutrice, che lo sconfigge più e più volte.

Sposato con Sif

Thor non era un guerriero divino solitario, ma aveva una compagna; contrariamente a quanto rappresentato nel Marvel Cinematic Universe, non si invaghì di una terrestre, ma faceva coppia con Sif, la dea della fertilità.

Thor e Sif vivevano insieme nel Thrudheim, un’enorme residenza di 540 stanze oltre ad essere la casa più grande di Asgard. I figli del dio del tuono, Trud e Modi, vivevano insieme al figlio adottivo di Thor, Ullr, e ad un figlio illegittimo di nome Magni, nato dall’unione del dio con la jötunn Jarnsaxa.

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Thor: The God of Thunder
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Myths of Thor

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Malleus Maleficarum, il Martello delle Streghe https://www.vitantica.net/2018/09/24/malleus-maleficarum-il-martello-delle-streghe/ https://www.vitantica.net/2018/09/24/malleus-maleficarum-il-martello-delle-streghe/#respond Mon, 24 Sep 2018 02:00:57 +0000 https://www.vitantica.net/?p=2167 Il Malleus Maleficarum è uno dei più noti trattati medievali sulla stregoneria, celebre sia in epoca moderna che nel contesto storico della sua pubblicazione. Scritto nel 1486 da Heinrich Kramer e Jacob Sprenger e pubblicato l’anno seguente, fu ideato con lo scopo di fornire un manuale passo-passo per la battaglia contro il Male e fornire a inquisitori e magistrati del tempo gli strumenti necessari per identificare, accusare e interrogare chiunque fosse stato sospettato di praticare la magia nera.

L’origine del Malleus Maleficarum

Sia Kramer che Sprenger erano domenicani e inquisitori della Chiesa Cattolica, esperti quindi nei procedimenti giudiziari volti a determinare la colpevolezza o l’innocenza di un potenziale adoratore del Demonio.

La presentazione ufficiale dell’ opera avvenne il 9 maggio del 1487 alla Facoltà di Teologia dell’Università di Colonia, ma ricevette moltissime critiche da parte dei teologi della Santa Inquisizione che la giudicarono non etica e ricca di procedure illegali, oltre che inconsistente con le dottrine demonologiche cattoliche.

La creazione del Malleus Maleficarum fu il frutto dell’esperienza inquisitoria in Tirolo di Kramer: nel 1484 il domenicano iniziò una persecuzione sistematica di chiunque fosse sospettato di stregoneria, una persecuzione non esente da critiche: Kramer fu bandito da Innsbruck e definito dal vescovo locale come “un vecchio uomo rimbambito” a causa della sua particolare inclinazione ad appioppare un verdetto di colpevolezza anche in assenza di prove valide e alla sua tendenza a focalizzarsi sulle abitudini sessuali delle presunte streghe.

Kramer si vantava di aver processato personalmente 100 donne, condannandone al rogo almeno la metà. I suoi metodi prevedevano, oltre a pratiche particolarmente crudeli spesso sanzionate o non contemplate dalla Chiesa, il forzare le accusate a disegnare e a descrivere nel dettaglio i loro atti sessuali, cosa che di certo non contribuì al suo buon nome in molte cittadine europee.

Estratto dalla seconda stampa del Malleus Maleficarum
Estratto dalla seconda stampa del Malleus Maleficarum

La scrittura del Malleus Maleficarum fu per Kramer una sorta di giustificazione per i processi e le persecuzioni di cui si rese protagonista durante i suoi anni di attività inquisitoria.

Il nome di Sprenger fu aggiunto successivamente nel 1519, a 33 anni dalla prima pubblicazione e a 24 anni dalla morte dello stesso Sprenger; ad oggi alcuni storici dubitano che possa essere considerato a tutti gli effetti uno degli autori dell’opera e ritengono che fosse uno dei principali oppositori delle attività di Kramer; altri, invece, propendono per l’ipotesi che Sprenger abbia partecipato solo marginalmente alla stesura del testo.

Il Malleus Maleficarum diventa il manuale dei cacciatori di streghe

Tra il 1487 ed il 1520, il Malleus fu adottato come manuale primario dai cacciatori di streghe europei (ma non dall’ Inquisizione, almeno ufficialmente, anche se riscosse molto successo tra ecclesiastici e giudici).

L’opera fu pubblicata in venti edizioni in meno di 40 anni e altre sedici dal 1574 al 1669, divenendo una delle cause scatenanti di grandi e piccoli processi di stregoneria o di focolai di “panico da magia nera” in tutta Europa.

Se durante il 1400 era raro essere processati per pratiche magiche proibite, la sempre più difficile lotta alle eresie cristiane spianò la strada ai processi per stregoneria del 1500, secolo in cui l’esistenza della magia nera era ormai un’idea consolidata in Europa.

Leggendo l’opera appare evidente come il testo abbia contribuito ad alimentare la fobia bei confronti di tutto ciò che poteva apparire anormale: il Malleus Maleficarum accusa le streghe di eresia, malvagità fine a se stessa, infanticidio, cannibalismo, di effettuare incantesimi oscuri nei confronti dei loro oppositori e dei ministri di Dio, di procurare sfortuna o malattie tramite sortilegi, senza contare poteri del tutto fuori dall’ordinario come la terrificante capacità di sottrarre il pene agli uomini.

L’introduzione del Malleus Maleficarum contiene la bolla papale “Summis desiderantes affectibus“, indirizzata a Heinrich Institoris (il nome con cui era conosciuto Kramer) e Jakob Sprenger.

Secondo la data riportata sul documento, la bolla sarebbe stata emessa nel 1484, due anni prima del termine del Malleus Maleficarum, e approvata da una commissione di teologi dell’Università di Colonia; secondo gli storici, la bolla non fu un’approvazione papale ufficiale dell’opera di Kramer e Sprenger, ma una forzatura dei due autori per giustificare i loro metodi e la loro visione della stregoneria.

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Il contenuto del Malleus Maleficarum

Il corpo principale del Malleus Maleficarum si divide in tre sezioni:

Prima sezione

Dato che il Demonio esiste e ha il potere di fare cose strabilianti, anche le streghe esistono e non hanno altro in mente che aiutare il Maligno nella sua opera di corruzione del genere umano.

Il potere del Diavolo è ai suoi massimi quando interviene la sessualità umana. Le donne libidinose fanno sesso col Demonio e ogni forma di stregoneria contemplerebbe il peccato carnale.

In questa sezione si accenna anche a Incubi e Succubi, a incantesimi d’amore e d’odio utilizzati dalle praticanti della stregoneria, a come la magia nera possa trasformare un uomo in una bestia, fino a trattare aborti e deformità causate da incantesimi malvagi.

Seconda sezione

Questa parte del Malleus Maleficarum tenta di spiegare i poteri attribuiti ad una praticante di magia nera. Si inizia mostrando i poteri delle streghe e le loro strategie di reclutamenti di adepti. Viene anche spiegato come le streghe lancino i loro incantesimi e i rimedi per proteggersi contro di essi.

Scorrendo l’indice, si notano spiegazioni su come il Diavolo possa impossessarsi di un corpo umano, come le streghe possano spingere un uomo a commettere atrocità e omicidi, addirittura come possano generare uragani e tempeste.

Terza sezione

La terza sezione spiega i metodi di caccia alle streghe ed è specialmente rivolta agli accusatori e ai magistrati coinvolti nei processi di stregoneria. E’ una guida passo dopo passo su come condurre un processo, da come procedere con l’accusa fino ai metodi di interrogatorio (e di tortura) dei testimoni. Ad esempio, una donna che non piange durante il processo è da considerarsi automaticamente una strega.

Uno dei particolari più agghiaccianti riguarda le procedure ideali per ottenere una confessione: i carcerieri preparano gli strumenti di tortura, per poi spogliare la testimone per accertarsi che gli abiti non contengano “residui di stregoneria”.

Il giudice tenta quindi di persuadere l’interrogata a rendere spontanea testimonianza; nel caso la prigioniera non avesse intenzione di confessare, si iniziano ad applicare i metodi di tortura per gradi: prima la punizione corporale, seguita da una pausa per ottenere una “libera” confessione.

Streghe raffigurate nel "The History of Witches and Wizards", 1720
Streghe raffigurate nel “The History of Witches and Wizards”, 1720
Malleus Maleficarum: espressione di superstizione, misoginia e sadismo

Il Malleus Maleficarum si dimostra un chiaro lavoro impregnato di misoginia, di ignoranza, di superstizioni e di crudeltà disumana. Ogni piccola imperfezione o ogni comportamento ambiguo venivano considerati una prova schiacciante di colpevolezza.

Per un inquisitore ottuso come Kramer, malattie, tempeste e fenomeni naturali anomali erano prove evidenti dell’esistenza del Demonio e della stregoneria, che si manifestavano soprattutto attraverso la donna per via della naturale debolezza del suo essere femminile (secondo gli autori, la parola femina deriva da fe + minus, o “fede minore”).

Tutte queste farneticazioni sull’effettiva esistenza del Male e su vaste comunità di streghe nascoste in ogni ombra erano poi infarcite da un sadismo che ha ben pochi precedenti. Basti pensare ad uno dei metodi suggeriti per verificare se una donna fosse o meno una strega: si lega un sasso al collo e la si getta in acqua. Se galleggia, è indemoniata e deve quindi essere messa al rogo; se affoga, è ugualmente colpevole e peccaminosa.

Gli argomenti per la discriminazione delle donne sono ben evidenti nel manuale, a partire dal titolo: Maleficarum è un chiaro riferimento alla malvagità femminile. Anche se le argomentazioni misogine non rappresentano una novità in Europa, sono tuttavia una selezione delle congetture e dei pensieri discriminatori più radicati del tempo.

Kramer e Sprenger dipingono un’immagine duale del mondo, un costante scontro tra poli opposti: Dio e Satana, Maria ed Eva, gli uomini e le donne. Ogni principio positivo è accoppiato ad un concetto negativo e la perfezione non è data da un sottile equilibrio tra gli opposti ma dall’ eradicazione totale dell’elemento negativo.

Secondo il Malleus, l’unico modo in cui una donna può salvarsi dalle sue passioni evitando di diventare una servitrice del Demonio è quello di dedicare la sua intera esistenza alla castità; dato che la vita monastica non era alla portata di tutte le donne, la conclusione più naturale era che la maggior parte delle donne sono destinate alla dannazione e che l’eradicazione fisica delle streghe fosse un atto necessario per la salvezza dell’uomo.

Malleus Maleficarum

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L’origine della leggenda di Prete Gianni https://www.vitantica.net/2018/06/21/leggenda-prete-gianni/ https://www.vitantica.net/2018/06/21/leggenda-prete-gianni/#respond Thu, 21 Jun 2018 02:00:49 +0000 https://www.vitantica.net/?p=1809 Il passato e il presente sono pieni di miti che riguardano figure leggendarie storicamente poco attendibili, alcune dotate di presunti poteri soprannaturali, altre invece divenute celebri per il solo fatto di essere state citate nelle cronache antiche senza addurre alcuna prova della loro effettiva esistenza.

Prete Gianni è un personaggio avvolto nel mistero e la cui esistenza è stata definita da molti esperti moderni come una delle più grosse bufale dell’ultimo millennio. Questo tuttavia non ha impedito a migliaia di persone di mettersi alla sua ricerca esplorando luoghi sconosciuti e mettendo in pericolo le proprie vite pur di incontrare il leggendario patriarca che in latino veniva chiamato Presbyter Johannes.

L’origine della storia del Prete Gianni

Anche se l’origine della storia del Prete Gianni non è certa, sappiamo che iniziò a circolare quando i primi Europei misero piede in Oriente con l’intenzione di convertire al cristianesimo l’India e i territori limitrofi. Secondo la tradizione cristiana, San Tommaso Apostolo visitò l’India fondando la prima Chiesa d’Oriente in Asia, un movimento chiamato anche Nestorianesimo.

I nestoriani furono probabilmente i primi ad incontrare Mongoli e Turchi in Asia centrale ed è possibile che abbiano contribuito alla nascita del mito di Prete Gianni convertendo il clan turco-mongolo Kerait intorno all’anno 1.000, clan che per oltre due secoli continuò ad usare nomi cristiani alimentando le ipotesi sull’esistenza di un leggendario regno cristiano in Oriente.

La leggenda del Prete Gianni ebbe probabilmente inizio con una serie di visite in Europa da parte di alcuni prelati d’Oriente, come l’ arcivescovo dell’India e il vescovo Hugh di Jabala, Siria, giunti rispettivamente a Costantinopoli e a Viterbo nel XII secolo.

Durante una conversazione con il cronista tedesco Otto di Frisinga, Hugh riferì che un certo Prete Gianni, prete nestoriano con il ruolo di sovrano di una popolazione asiatica cristiana non meglio precisata, aveva riconquistato la città di Ecbatana (Persia) non molti anni prima del suo arrivo in Italia.

Secondo Hugh, Prete Gianni era un discendente dei Tre Magi, possedeva uno scettro di smeraldo e si era messo in testa di liberare Gerusalemme dagli infedeli fermandosi soltanto per un’improvvisa piena del fiume Tigri che lo costrinse a tornare nella sua terra d’origine.

Portolano portoghese del tardo XVI secolo che mostra Prete Gianni in India
Portolano portoghese del tardo XVI secolo che mostra Prete Gianni in India

Non c’è alcuna documentazione in grado di supportare le parole di Hugh. Secondo alcuni storici, il racconto sarebbe riconducibile alla sconfitta dei Turchi Selgiuchidi vicino a Samarcanda, opera dell’impero mongolo di Qara Khitai.

Al tempo i Qara Khitai erano buddisti, ma la scarsa familiarità degli Europei con questa filosofia fece giungere alla conclusione errata che si dovesse trattare di cristiani coinvolti nella guerra contro l’avanzata dell’Islam verso Oriente e Occidente.

La Lettera del Prete Gianni

Per la prima citazione scritta di Prete Gianni bisogna attendere il 1165, anno in cui una lettera chiamata “Lettera del Prete Gianni” iniziò a diffondersi in Europa. Oggi considerata un palese falso, la lettera fu apparentemente scritta da Prete Gianni di proprio pugno per l’imperatore Manuele I Comneno con l’intenzione di descrivere le ricchezze del suo impero e trovare alleanze in Occidente.

Nella lettera il mittente si identificava come “Giovanni, Presbitero, grazie all’Onnipotenza di Dio, Re dei Re e Sovrano dei Sovrani, Signore delle Tre Indie e seguace del Nestorianesimo”, procedendo successivamente ad una descrizione ricca di particolari dei suoi domini.

Il suo palazzo sarebbe stato costruito utilizzando gemme preziose cementate con oro e ogni giorno pranzava e cenava con almeno 10.000 commensali; come camerieri aveva 7 re, 62 duchi e 365 conti e nel suo impero non ospitava solo esseri umani ma anche innumerevoli creature immaginarie come folletti, giganti, centauri, minotauri e i raccapriccianti blemmi, umanoidi senza testa con il volto sul petto.

Al suo comando il Prete Gianni avrebbe avuto e famigerati Gog e Magog, popolazioni selvagge e sanguinarie nate dalla tradizione biblica e apparentemente impiegate dal patriarca nestoriano come cani sciolti contro i nemici della cristianità e del regno.

Sia Manuele I Comneno che Federico Barbarossa non considerarono credibile il contenuto della Lettera del Prete Gianni e preferirono ignorare il messaggio; papa Alessandro III, per dovere di risposta ad un potenziale regno cristiano nel cuore d’Oriente, inviò un suo emissario in Asia alla ricerca della figura leggendaria senza tuttavia ricevere mai una risposta dal famigerato Presbyter Johannes.

Il Prete Gianni in Asia

Dalle Lettere del Prete Gianni iniziò una moda particolare: attribuire al Prete Gianni qualunque evento rilevante si verificasse in Asia. Quando in Europa giunse la notizia di una severa sconfitta subita dai Saraceni in Persia si attribuì immediatamente la vittoria a Re Davide d’India, figlio del nipote di Prete Gianni; la realtà era che la sconfitta fu opera di Temujin (Gengis Khan), una figura che insieme al nipote Kublai conferì nuovo impeto alla leggenda.

Il re keraita Toghrul raffigurato come Prete Gianni nell'opera "Le Livre des Merveilles" del XV secolo
Il re keraita Toghrul raffigurato come Prete Gianni nell’opera “Le Livre des Merveilles” del XV secolo

L’impero mongolo consentì anche ai cristiani di visitare luoghi la cui esistenza era del tutto sconosciuta in Europa utilizzando strade sicure che intercettavano le rotte delle spezie e delle materie prime provenienti da ogni parte dell’Asia.

Alla corte del Khan giunsero emissari cristiani, buddisti e musulmani e si vociferava che il Gran Khan avesse nel suo consiglio alcuni missionari nestoriani che lo avevano segretamente convertito alla cristianità.

Molti iniziarono ad identificare il padre adottivo di Gengis Khan, Toghrul re dei Keraiti, con il leggendario Prete Gianni, mentre altri ritenevano che Temujin avesse sconfitto le armate del fratello del Prete Gianni, Vut, facendo successivamente sposare la figlia con il suo primogenito.

La seconda versione sembra avere un fondo di verità: Toghrul fu un monarca nestoriano che divenne padre adottivo di Temujin dopo la morte del padre naturale Yesugei; inizialmente alleato con il padre del futuro Khan, dopo il rifiuto di far sposare sua figlia con uno dei figli di Gengis Khan iniziò una faida che sfociò in una vera e propria guerra nel 1203.

Durante il regno di Gengis Khan e Kublai Khan la figura del Prete Gianni non veniva rappresentata come un regnante cristiano invincibile, ma semplicemente come uno dei tanti nemici sconfitti dai Mongoli; fu solo con la caduta dell’impero mongolo che in Europa si iniziò a pensare che il Prete Gianni non si trovasse in Asia.

La caduta dell’impero rese le strade più pericolose limitando il numero dei viaggi dei missionari cristiani e le missioni esplorative verso Oriente produssero alcuna prova dell’esistenza del leggendario patriarca cristiano: il Prete Gianni doveva trovarsi da qualche altra parte.

Mappa risalente alla seconda metà del XVI secolo che mostra la cira la presenza del Prete Gianni in Africa
Mappa risalente alla seconda metà del XVI secolo che mostra la cira la presenza del Prete Gianni in Africa
Il Prete Gianni in Africa

Al tempo gli Europei avevano un concetto di “India” molto vago, tanto che si parlava spesso di “Tre Indie” (come nella Lettera del Prete Gianni) includendo nel conto anche l’ Etiopia, una nazione cristiana che aveva contatti sempre più sporadici con l’Europa per via della diffusione dell’Islam in Africa.

Intorno al 1250, l’immaginazione degli autori del Vecchio Continente iniziò a formulare ipotesi sulla presenza in Etiopia del Prete Gianni e la visita europea di 30 ambasciatori etiopi nel 1306 confermò che il patriarca era una figura centrale nella chiesa della loro terra d’origine.

A dar forza al mito contribuì direttamente un medico belga di Liegi, Jean de Bourgogne, venuto apparentemente in possesso nel 1355 del famigerato manoscritto di John Mandeville, opera giudicata autentica per oltre due secoli e che ispirò i viaggi di molti esploratori (come Cristoforo Colombo).

Nel manoscritto si citava, tra le altre fantasie riportate, anche un incontro tra Mandeville e il Prete Gianni ma nel 1371, in punto di morte, il medico belga confessò di aver inventato il personaggio di John Mandeville e il resoconto del suo viaggio immaginario.

A partire dal XIV secolo, il Prete Gianni fu sempre più spesso collocato in Africa: al tempo delle esplorazioni portoghesi dell’Africa, “Prete Gianni” era il nome utilizzato comunemente in Europa per identificare l’Imperatore d’Etiopia, anche se gli Etiopi non avevano alcuna conoscenza di quella denominazione. Quando gli ambasciatori inviati dall’imperatore etiope Zara Yaqob giunsero a Firenze nel 1441 si ritrovarono confusi e sbalorditi dall’insistenza con cui gli ospiti chiamavano il loro imperatore “Prete Gianni”.

La fine della mito di Prete Gianni inizia con l’orientalista Hiob Ludolf che nel XVII secolo espone l’inesistenza di connessioni tra la figura leggendaria e i monarchi etiopi. Anche le presunte prove della sua presenza in Asia si rivelarono inconsistenti, facendo lentamente scemare il mito non prima però di aver alimentato per secoli innumerevoli fantasie, racconti, esplorazioni e cacce al tesoro.

La presunta esistenza del Prete Gianni in Asia contribuì all’aumento della frequenza degli scambi diplomatici tra il khanato e l’Europa, e la ricerca del patriarca in Africa fu uno dei motori che spinsero i Portoghesi a raggiungere l’estremità del continente e ad esplorare le sue coste occidentali.

Prester John

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Barlaam e Iosafat, santi cristiani e il Buddha https://www.vitantica.net/2018/04/13/barlaam-iosafat-santi-cristiani-buddha/ https://www.vitantica.net/2018/04/13/barlaam-iosafat-santi-cristiani-buddha/#respond Fri, 13 Apr 2018 02:00:49 +0000 https://www.vitantica.net/?p=1611 La lista di santi della tradizione cristiana contempla alcune figure storiche, altre immaginarie e altre ancora, se reali, dalla moralità quanto meno discutibile. Un personaggio in particolare non appartiene nemmeno alla tradizione cristiana o ebraica: è il caso della storia di Barlaam e Iosafat (latinizzati in Barlamus e Iosaphatus), la cui leggenda sembra essere basata sulla vita del Buddha storico Siddhartha Gautama.

Durante il Medioevo i contatti tra le culture occidentali e quelle orientali non si interruppero affatto, ma proseguirono ad un ritmo diverso rispetto al passato. Ciò che legava Oriente e Occidente non erano soltanto proficui scambi commerciali o interessi di conquista, ma anche un fitto scambio di idee e filosofie le cui conseguenze riverberano nella storia fino ad oggi.

Il caso di Barlaam e Iosafat è un esempio lampante dei contatti tra la cristianità e le filosofie orientali. Il primo adattamento cristiano della storia dei due santi viene dall’epica Balavariani, tradotta intorno al X secolo dal monaco Eutimio l’Atonita che trascrisse la storia dei due santi dal georgiano al greco prima del 1028, anno della sua morte a Costantinopoli.

La versione di Eutimio venne ulteriormente trascritta in latino nel 1048 e iniziò a diffondersi in Europa sotto il titolo di “Barlaam e Iosafat”, riscuotendo un discreto successo e venendo tradotta in numerose lingue.

La storia di Barlaam e Iosafat inizia con il re indiano Abenner (o Avenier) e la persecuzione del culto cristiano che si stava diffondendo all’interno dei suoi domini. Gli astrologi reali avevano predetto che in futuro sarebbe giunto un cristiano in grado di mettere in crisi il suo regno: riconoscendo questa minaccia nel giovane principe Iosafat, Abenner lo isolò da ogni contatto esterno rinchiudendolo nel palazzo reale e circondandolo di lusso e vizi di ogni genere.

La reclusione non impedì a Iosafat di incontrare l’eremita Barlaam e convertirsi al Cristianesimo, mantenendo intatta la sua fede anche dopo la rabbia e le opere di persuasione del padre. Alla fine, anche Abenner fu costretto a cedere e si convertì alla cristianità, cedendo il trono al figlio e ritirandosi nel deserto come eremita.

La Leggenda di Barlaam di B.Antelami (Parma, Battistero)
La Leggenda di Barlaam di B.Antelami (Parma, Battistero)

Analizzando il testo di Eutimio gli storici si sono accorti di alcuni singolari punti in comune tra la vita di Iosafat e quella di Siddhartha Gautama, il fondatore del Buddhismo.

Ad esempio: il nome Iosafat (in origine Iodasaph) deriva dal termine sanscrito “Bodhisattva” (il nome usato nel Buddhismo per indicata Gautama prima dell’Illuminazione), lentamente cambiato nel corso dei secoli fino ad assumere la forma persiana “Bodisav” intorno al VI-VII secolo d.C. e trasformandosi ulteriormente in “Budhasaf” o “Yudasaf” nei documenti di origine araba risalenti all’ VIII secolo. Al tempo della prima traduzione di Eutimio, in Georgia la parola “Budhasaf” era diventata “Iodasaph”.

La storia di Iosafat ha inoltre molti elementi simili a quella di Gautama: in entrambi i casi, il padre-re indiano, allo scopo di impedire il compimento di una profezia fatta da un saggio, confinò il figlio tra il lusso e i privilegi del palazzo reale.

Dopo essere riusciti ad uscire dal palazzo, sia Buddha che Iosafat si resero conto delle vere condizioni in cui versava l’umanità; dopo aver incontrato un monaco itinerante (Barlaam), si convinsero a dedicare la loro vita all’introspezione critica, al raggiungimento dell’illuminazione e all’aiuto dei più bisognosi.

Alcuni dettagli della storia di Iosafat, se tradotti in sanscrito, sono quasi identici al contenuto del Lalitavistara Sutra, un sutra che descrive la vita di Gautama redatto in via definitiva intorno al III secolo d.C.

Occorre sempre tenere presente che il Buddhismo si sviluppò circa 6 secoli prima della nascita dal Cristianesimo e che i nostri antenati europei e asiatici non vivevano in realtà totalmente isolate dal resto del mondo: le influenze culturali e filosofiche dell’Estremo Oriente condizionarono l’Occidente ben prima che l’Europa venisse a conoscenza della vera estensione del continente asiatico e dei popoli che vi risiedevano, come accadde ad esempio per la “Regola d’Oro“.

La prima pagina di un manoscritto del XIV-XV secolo sulla storia di Barlaam e Iosafat, Biblioteca Nacional de España
La prima pagina di un manoscritto del XIV-XV secolo sulla storia di Barlaam e Iosafat, Biblioteca Nacional de España

Almeno 1 secolo prima della nascita di Cristo, Alessandria d’Egitto ospitò certamente qualche visitatore proveniente dall’Asia, come testimoniano le sepolture buddiste scoperte durante gli scavi archeologici.

Dopo l’anno zero, alcuni santi cristiani erano a conoscenza della storia sulla nascita di Buddha: San Girolamo menziona l’evento riportando che “nacque dal fianco di una vergine” (evento raccontato nel testo buddista Buddhacarita), suggerendo un ipotetico legame tra l’Immacolata Concezione cristiana (un dogma cattolico del 1854  e discussa fin dal IV-V secolo d.C.) e la nascita di Gautama.

Sappiamo inoltre che intorno al V-VI secolo d.C. in Asia centrale si verificarono numerosi contatti tra cristiani e buddisti, mazdeisti e manichei, contatti che fecero nascere una prima versione della storia di Barlaam e Iosafat basata sul Lalitavistara Sutra e inizialmente redatta in lingua pahlavi, in siriaco e in arabo.

Attualmente abbiamo a disposizione numerose varianti del manoscritto originale in greco antico: esistono copie in latino, arabo, spagnolo, georgiano, inglese e tedesco, traduzioni che contribuirono ad una vasta diffusione della storia in tutta Europa.

I santi Barlaam e Iosafat non sono mai stati formalmente canonizzati, ma in passato erano festeggiati come martiri il 27 novembre, il 26 agosto (nella Chiesa greco-ortodossa) o il 19 novembre (nella tradizione russa).

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Barlaam and Iosafat
Buddhism and Christianity
Ortodox Calendar
1911 Encyclopædia Britannica/Barlaam and Josaphat

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Alexander “Sawney” Bean e la sua famiglia di cannibali https://www.vitantica.net/2018/03/20/alexander-sawney-bean-famiglia-cannibali/ https://www.vitantica.net/2018/03/20/alexander-sawney-bean-famiglia-cannibali/#respond Tue, 20 Mar 2018 02:00:47 +0000 https://www.vitantica.net/?p=1484 I serial killer non sono un fenomeno moderno, ma è difficile reperire sufficienti prove storiche attendibili per ricostruire l’identità degli antichi assassini seriali. Molte fonti storiche associano le efferatezze compiute da individui profondamente disturbati a creature sovrannaturali come lupi mannari, vampiri o uomini misteriosi dominati da istinti animaleschi incontrollabili e di abilità che sfociano spesso e volentieri nella fantasia.

In rari casi, tuttavia, possiamo determinare con certezza l’identità di un antico killer seriale a partire dalla documentazione storica sopravvissuta fino ad oggi. Uno di questi casi è quello di Alexander “Sawney” Bean e della particolare predisposizione all’omicidio e al cannibalismo della sua famiglia.

La storia di Alexander Bean

La storia di Alexander Bean appare per la prima volta sul The Newgate Calendar – The Malefactors’ Bloody Register, un elenco di criminali condannati a morte pubblicato dalla Prigione di Newgate di Londra tra il XVIII e il XIX secolo.

Secondo la versione della storia presentata nella pubblicazione londinese, Sawney Bean sarebbe nato tra il XVI e il XVII secolo in East Lothian, Scozia. Incapace di portare avanti il business del padre (potatore si siepi e scavatore di fossati), lasciò casa per rifugiarsi in una caverna sulla costa in compagnia di una donna (“Black” Agnes Douglas) che condivideva le sue stesse “perverse inclinazioni”.

La caverna (probabilmente la Bennane Cave nel South Ayrshire) era profonda quasi 200 metri e l’entrata veniva ciclicamente bloccata dall’alta marea, fornendo un riparo sicuro per Bean e la sua compagna.

I due formarono per lungo tempo una coppia affiatata, specialmente nelle atrocità che vennero loro imputate: si racconta che uccisero e cannibalizzarono oltre 1.000 persone e che i loro figli e nipoti fossero il risultato di una lunga serie di incesti. Secondo il The Newgate Calendar, la coppia ebbe 8 figli, 6 figlie e un totale 32 nipoti, tutti nati e cresciuti all’interno della caverna.

L'ingresso della caverna di Sawney Bean
L’ingresso della caverna di Sawney Bean

Non essendo molto portati per il lavoro duro e onesto, Bean e la sua compagna sopravvivevano aggredendo viandanti e commercianti durante la notte. Le aggressioni non avevano il solo scopo di sottrarre ogni oggetto di qualche valore ai malcapitati: i corpi venivano trasportati nella casa-caverna durante la bassa marea per essere poi macellati e cucinati.

Cannibali e predoni

Secondo la tradizione, l’area in cui sarebbe vissuta la famiglia di Sawney Bean fu considerata per molto tempo estremamente pericolosa dagli abitanti della regione, ma nonostante le sparizioni continue nessuno si accorse per oltre 25 anni della presenza dei cannibali per via delle loro abitudini notturne.

Gli abitanti locali iniziarono ad investigare sul gran numero di sparizioni effettuando diverse battute di ricerca dei corpi delle persone scomparse, e riuscirono anche ad identificare la caverna in cui Sawney Bean viveva, ma non ritennero possibile che quell’antro buio e protetto dal mare potesse essere la casa di un essere umano, optando quindi per il linciaggio di qualche innocente come capro espiatorio.

La causa delle sparizioni divenne chiara quando una coppia di ritorno da una fiera venne aggredita dalla famiglia Bean. La donna fu immediatamente uccisa ma il marito, esperto nel combattimento e armato di pistola e spada, riuscì a tenere testa ai cannibali fino a quando alcuni residenti sulla via di casa giunsero in suo soccorso.

Alla notizia dell’esistenza confermata dei cannibali, Re Giacomo VI di Scozia decise di inviare una spedizione di 400 uomini e diversi segugi allo scopo di scovare la famiglia Bean all’interno del suo nascondiglio. I Bean vennero sorpresi dai soldati mentre affumicavano pezzi di carne umana (l’odore della carne affumicata attirò i cani verso la caverna) e furono costretti ad arrendersi.

La cattura e l’esecuzione della famiglia Bean

La famiglia Bean venne catturata viva e trasportata alla prigione di Tolbooth Jail di Edimburgo. Sawney Bean, la compagna e il resto della sua famiglia non furono sottoposti a regolare processo e si passò immediatamente all’applicazione della pena corporale prevista per i traditori, con l’aggiunta di un pizzico di perversione: gli uomini vennero lasciati morire dissanguati dopo aver amputato loro mani, piedi e genitali; donne e bambini vennero invece arsi vivi dopo aver assistito all’esecuzione dei maschi della famiglia.

Secondo la versione della storia tramandata nella città di Girvan, prima della cattura una delle figlie del cannibale riuscì a fuggire dalla caverna per ricostruirsi una vita in città. Dopo l’esecuzione del padre e del resto della sua famiglia, la donna fu identificata dagli abitanti locali e immediatamente impiccata.

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Realtà o fantasia?

Quanto c’è di vero in questa storia? Difficile dirlo con certezza. Il cannibalismo non fu evento raro nella Scozia medievale, specialmente durante il XIV° – XV° secolo, ma se anche la storia di Bean fosse vera, pare difficile che una famiglia composta da quasi 50 membri e in grado di uccidere oltre 1.000 persone sia potuta rimanere nell’oscurità per più di 25 anni.

I documenti del tempo non citano la scomparsa di centinaia di persone nell’area in cui i Bean avrebbero commesso le loro atrocità. La storia, inoltre, sembra aver fatto la sua prima apparizione nei “chapbooks“, riviste di pettegolezzi e voci spesso utilizzate per fare propaganda contro oppositori politici o religiosi.

Questi elementi hanno fatto sorgere il giustificato sospetto che la storia di Bean fosse stata montata per la alimentare la propaganda contro gli scozzesi e la ribellione giacobita, ma la storia di questa famiglia di cannibali ha molti aspetti in comune con quella di un altro leggendario cannibale scozzese, Christie Cleek, le cui imprese pare siano ben documentate da fonti del XV° secolo.

Christie Cleek fu un macellaio scozzese che durante la grande carestia del XV secolo iniziò a macellare i corpi dei compagni morti per soddisfare la fame di amici e conoscenti. I sopravvissuti alla carestia svilupparono un certo gusto per la carne umana, iniziando ad utilizzare viaggiatori e cavalli come fonte primaria di proteine animali.

Secondo le fonti dell’epoca, Christie e i suoi amici cannibali avrebbero ucciso circa 30 persone, molte meno di quante ne avrebbero uccise Bean e famiglia, ma nell’arco di 60-70 anni le leggende tendono ad ingigantirsi e a mutare nei nomi, nei luoghi e nei dettagli.

The Complete Newgate Calendar Volume I
The Grisly Deeds of Alexander Bean

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Miti e leggende metropolitane sulla storia antica https://www.vitantica.net/2018/03/02/miti-leggende-metropolitane-storia-antica/ https://www.vitantica.net/2018/03/02/miti-leggende-metropolitane-storia-antica/#respond Fri, 02 Mar 2018 02:00:49 +0000 https://www.vitantica.net/?p=1396 Cintura di castità

L’esistenza delle cinture di castità medievali è stata spesso messa in discussione dagli storici moderni: tutti gli esemplari esistenti sono falsi o aggeggi anti-masturbazione inventati tra il XIX e il XX secolo nella convinzione che la masturbazione provocasse malattie mentali.

Ci sono alcune citazioni letterarie risalenti al XV-XVI secolo di strumenti che sembrano somigliare ad cinture di castità, ma la quantità e l’attendibilità delle fonti sono così scarse da essere state considerate storicamente quasi irrilevanti. La cintura di castità medievale sembra quindi essere una leggenda metropolitana.

Biblioteca reale di Alessandria

Pare che la famosa Biblioteca di Alessandria non sia stata distrutta dalle armate musulmane che catturarono la città nel 642, sotto l’ordine esplicito del califfo Omar.

In realtà, ci sono ben 4 date possibili per la sua distruzione:

  • Incendio appiccato da Giulio Cesare nel 48 a.C. durante la conquista della città;
  • Attacco ad Alessandria di Aureliano nel 270 d.C. circa;
  • Editto di Teodosio contro la “saggezza pagana” del 391 d.C.
  • Conquista araba del 642 d.C.
Terra piatta

Gli abitanti europei del Medioevo non credevano che la Terra fosse piatta, come spiegato in questo post sulla storia della teoria della Terra piatta. La nozione che si trattasse di una sorta di sfera era ormai comune dai tempi di Platone e Aristotele.

Non fu quindi Colombo a dimostrare che la Terra è sferica: le obiezioni mosse contro il suo viaggio verso Occidente dai dotti del tempo non si basavano sul concetto che il pianeta fosse piatto, ma sulla verifica degli errori di calcolo commessi dal navigatore nel calcolare la circonferenza della Terra (leggi anche questo post sui miti e le leggende metropolitane sull’esplorazione dell’ America).

mito del saluto romano
Jacques-Louis David, Le Serment des Horaces. Wikipedia
Templari

Sui cavalieri templari sono nate un’infinità di leggende, la maggior parte delle quali nemmeno si avvicinano alla realtà storica. Una delle leggende più antiche è che avessero trovato il Santo Graal, nascondendolo in una località sicura per proteggerlo; un’altra leggenda molto comune è che i Templari adorassero qualche sorta di entità diabolica, un mito nato dalle confessioni sotto tortura di alcuni cavalieri interrogati sotto l’accusa di eresia.

Una delle leggende più recenti è il tesoro dei templari di Oak Island: nata tra il XIX e il XX secolo, questa leggenda metropolitana dice che sull’isola di Oak Island canadese sia nascosto il famigerato tesoro dei templari, una ricchezza così vasta da avere un valore quasi incalcolabile.

Saluto romano

Nessuna testimonianza storicamente attendibile cita questo gesto. Il mito del saluto romano potrebbe essere nato da un dipinto di Jacques-Louis David del 1785, “Il giuramento degli Orazi“: tre soldati romani giurano di difendere la patria facendo ciò che in seguito verrà chiamato “saluto romano”. Nel corso dei due secoli successivi il mito crebbe supportato dall’arte neoclassica e in seguito dall’ideologia fascista e nazista.

Ebrei in Egitto

Non risulta alcuna prova archeologica che testimoni la presenza di Ebrei in Egitto durante il periodo descritto dalla Bibbia e nessuna traccia di una migrazione di massa lungo la Penisola del Sinai.

Inoltre, le piramidi furono costruite tramite l’impiego di operai specializzati ben pagati e non da schiavi, in un periodo 800-2.000 anni prima di quello in cui, secondo le fonti bibliche, si verificò l’Esodo.

Infine, le moderne tecnologie di analisi del DNA impiegate per determinare le migrazioni e gli incroci tra diverse etnie nell’antichità non hanno finora rilevato alcun legame genetico tra gli antichi Ebrei (che, secondo la Bibbia, erano circa 2 milioni) e gli Egizi, nonostante la presunta convivenza durata secoli.

Elmi vichinghi

I Vichinghi non indossavano regolarmente elmi muniti di corna (e probabilmente non usavano il famigerato muro di scudi). L’elmo cornuto è un’invenzione del XIX secolo, periodo in cui si verificò un revival della cultura norrena: nel 1876 l’illustratore e costumista Carl Emil Doepler creò un elmo vichingo cornuto per la rappresentazione de “L’ Anello del Nibelungo” di Wagner durante il Festival di Bayreuth, dando origine al mito dell’elmo vichingo sormontato da corna.

Interpretare correttamente alcuni aspetti del mondo norreno non è semplice: le fonti principali sono spesso infarcite da personaggi leggendari, come Ragnar Lothbrok, o sono state interpretate in modo scorretto tra il XIX e il XX secolo.

Aquila di sangue vichinga
Aquila di sangue vichinga, mito nato dall’errata interpretazione di alcuni versi scaldici
Cranio dei nemici come coppa

Rimanendo in tema Vichinghi, un’altra usanza priva di alcuna prova archeologica è l’uso come coppa del cranio dei nemici uccisi in battaglia. Il mito è nato dall’errata interpretazione nel XVII secolo di un frammento di poesia scaldica che si riferiva a corna animali usate come recipienti per liquidi.

La poesia scaldica è spesso criptica e l’errata interpretazione dei versi norreni ha portato alla nascita di alcuni leggende che persistono ancora oggi, come quella dell’ aquila di sangue vichinga.

Marco Polo e la pasta

Marco Polo non fu il primo europeo a introdurre la pasta nel Vecchio Continente dalla Cina. La leggenda metropolitana è nata dalla rivista Macaroni Journal, finanziata da un complesso di aziende alimentari per promuovere l’uso della pasta negli Stati Uniti.

Pare invece che siano stati gli Arabi a introdurre la pasta di grano duro in Europa durante la conquista della Sicilia nel VII secolo d.C.; Marco Polo probabilmente introdusse in Occidente alcuni campioni di pasta di soia.

I 300 Spartani

La leggenda dei 300 Spartani contro la macchina da guerra persiana dura da quasi 2.500 anni ma la verità storica è diversa. 300 guerrieri spartani erano sicuramente presenti alle Termopili, ma erano in compagnia di almeno 4.000 alleati durante i primi 2 giorni di scontri e nell’ultima battaglia erano presenti almeno 1.500 guerrieri greci.

700 soldati vennero reclutati da Tespie, altri 400 da Tebe, gli stessi Spartani portarono con loro circa 300 iloti (cittadini simili a schiavi, leggi questo post per la Crypteia, la polizia segreta spartana che sterminava gli iloti ogni anno) e il resto dei combattenti raggiunse il luogo dello scontro da molte altre polis. La maggior parte dei Tebani si arrese all’esercito di Serse mentre 298 Spartani (e i loro iloti) furono uccisi.

Speranza di vita e longevità

Aspettativa di vita e vita media

Gli abitanti del Medioevo (e di altre epoche storiche) non morivano improvvisamente intorno ai 30 anni come se avessero raggiunto una data di scadenza. Come spiego in questo post sull’ aspettativa di vita dei nostri antenati, una volta superati i 20-25 anni era abbastanza comune raggiungere i 60 o i 70 anni.

Buddha

Il Buddha storico (Siddhartha Gautama) non era obeso. L’immagine di Buddha “in carne” viene da un eroe della tradizione cinese del X secolo chiamato Budai: secondo il buddismo cinese, Budai era la reincarnazione di Matreya, il ristoratore del Buddismo originale dopo la perdita degli insegnamenti del Buddha storico.

La nascita di Cristo

Gesù non nacque il 25 dicembre, ma probabilmente in settembre. La data del 25 dicembre fu stabilita a tavolino da Papa Giulio I nel 350 d.C. come giorno ufficiale per le celebrazioni forse per favorire la transizione tra il paganesimo e il cristianesimo nelle regioni d’Europa in cui si festeggiava tradizionalmente il solstizio d’inverno.

Vomitoria

Vomitare durante un pasto particolarmente abbondante non era una consuetudine dell’Antica Roma. Un vomitorium era in realtà l’ingresso di uno stadio o di un teatro. Il mito dei vomitoria nasce da un’interpretazione della Lettera a Helvia di Seneca, in cui l’autore descriveva metaforicamente l’ingordigia romana: “Hanno vomitato in modo da poter mangiare e mangiato in modo da poter vomitare“.

“E’ solo una specie di tropo (equivoco, spostamento di significato)”, che gli antichi romani fossero tanto ricchi da permettersi rituali di abbuffate e di spurgo, spiega Sarah Bond, assistente professore presso la University of Iowa.

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