dieta preistorica – VitAntica https://www.vitantica.net Vita antica, preindustriale e primitiva Thu, 01 Feb 2024 15:10:35 +0000 it-IT hourly 1 Le caratteristiche di una società di cacciatori-raccoglitori https://www.vitantica.net/2018/07/16/caratteristiche-societa-cacciatori-raccoglitori/ https://www.vitantica.net/2018/07/16/caratteristiche-societa-cacciatori-raccoglitori/#comments Mon, 16 Jul 2018 02:00:14 +0000 https://www.vitantica.net/?p=1901 Cosa distingue una cultura basata sulla caccia e sulla raccolta da una società agricola o dedita alla pastorizia? Le tribù di cacciatori-raccoglitori sono meno belligeranti di quelle industrializzate o pre-industriali? Gli antropologi si pongono queste domande da diverso tempo; con anni di osservazioni e di duro lavoro sono riusciti a delineare alcune caratteristiche comuni tra le società cacciatrici-raccoglitrici conosciute, antiche e moderne.

Stile di vita nomade o seminomade

Molte società di cacciatori-raccoglitori conducono generalmente uno stile di vita nomade o seminomade (molto più raramente sono stanziali) e sono organizzate in piccole comunità dalla scarsa densità abitativa.

La vita totalmente nomade è più frequente in ambienti in cui le stagioni tendono ad essere più lunghe (e di solito più estreme), ma è abbastanza frequente a tutte le latitudine che la necessità di cibo e risorse costringa intere comunità a spostamenti frequenti tra diversi accampamenti stagionali.

Scarsa gerarchia sociale

Le società di cacciatori-raccoglitori osservabili in epoca moderna non dispongono di ufficiali politici specializzati. Più in generale, non esiste una vera e propria differenziazione in base alla ricchezza posseduta, ma molti beni sono di uso comune, case comprese (sono abitazioni occupate da un intero clan o gruppo familiare).

Esperienza e uguaglianza

Non importa se patriarcali o matriarcali, le società di cacciatori-raccoglitori tendono ad essere parzialmente egualitarie e ad apprezzare più l’esperienza sul campo piuttosto che la proprietà posseduta. Di solito non esiste un vero capo, ma piuttosto una gamma di esperti in vari campi (caccia, pesca, raccolta) che prendono l’iniziativa e che vengono seguiti dagli individui meno esperti.

Durante la caccia tutti devono fare la loro parte, compresi questi ragazzini Awa di ritorno da una battuta di caccia terminata con successo. Foto di Domenico Pugliese
Durante la caccia tutti devono fare la loro parte, compresi questi ragazzini Awa di ritorno da una battuta di caccia terminata con successo. Foto di Domenico Pugliese
Suddivisione dei ruoli

Il lavoro viene generalmente suddiviso solo in base ad età e sesso: le donne e i bambini si occupano solitamente della raccolta di piante spontanee e gli uomini invece si applicano nella pesca e nella caccia. La suddivisione dei ruoli non è rigida e immutabile e in alcune regioni del pianeta ci sono eccezioni degne di nota: nel popolo Aeta delle Filippine oltre l’ 80% delle donne partecipa alle attività di caccia e ottiene un successo maggiore rispetto agli uomini (31% contro 17%). Quando lavorano in combinazione con gli uomini, le probabilità di successo aumentano ulteriormente raggiungendo il 41%.

Tempo libero: meno ore di lavoro

I cacciatori-raccoglitori tendono a lavorare meno ore e a disporre di più tempo libero rispetto ai produttori di cibo: circa 6,5 ore di lavoro contro le 8,8 delle società agricole o industrializzate.

Cooperazione nella caccia e nella raccolta

La sopravvivenza delle comunità di cacciatori-raccoglitori, come anche di quelle agricole, dipende in buona parte dalla cooperazione dell’intero gruppo sociale: molti membri sono quotidianamente impegnati a procacciare cibo tramite la caccia e la raccolta, a mantenere le risorse a disposizione (come bestiame e orti) o a preparare e conservare il cibo per i periodi più duri.

Speranza di vita

Il 57% dei cacciatori-raccoglitori moderni raggiungerà l’età di 15 anni; tra questi, il 64% riuscirà a superare i 45 anni, con un’ aspettativa di vita compresa tra i 21 e i 37 anni. L’ 80% dei decessi è causato da malattie e il 20% da atti violenti o incidenti.

Aspettativa di vita dei cacciatori-raccoglitori moderni da una ricerca del 2007 condotta dalla UC Santa Barbara
Apprendimento:

Se paragonata ad una società che produce attivamente cibo, una cultura di cacciatori-raccoglitori pone meno enfasi sull’obbedienza, sulla responsabilità individuale o sull’insegnamento verbale; ma le culture con una forte impronta cacciatrice sono più portate a presentare traguardi da superare ai loro bambini.

Scorte di cibo e risorse alimentari

I cacciatori-raccoglitori sono tendenzialmente meno suscettibili a carestie e all’imprevidibilità delle risorse alimentari. Il loro stile di vita li ha abituati all’ottenimento di risorse alimentari da qualunque pianta o animale commestibile e la varietà di specie vegetali che consumano impedisce di incappare nei problemi tipici della monocoltura.

Manipolazione del territorio:

Molte società cacciatrici-raccoglitrici manipolano attivamente il territorio utilizzando il fuoco per bruciare le piante infestanti o non commestibili, oppure applicando la tecnica slash-and-burn per creare nuovi territori di caccia.

Belligeranza

Secondo alcune ricerche, la maggior parte delle popolazioni di cacciatori-raccoglitori ingaggia guerre con altri gruppi sociali almeno una volta ogni due anni; secondo altre invece gli scontri violenti si verificherebbero con minore frequenza rispetto alle culture produttrici di cibo. I risultati di queste analisi variano in base al valore che assumono termini come “pace” e “guerra” tra gli indigeni e tra i ricercatori: alcune azioni violente (come il punire severamente chi ha violato un tabù) non vengono considerate atti di guerra ma solo disciplina e rispetto delle tradizioni.

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Caccia o raccolta

Più ci si trova vicino all’equatore e in “località verdi” in cui la disponibilità di piante commestibili è elevata, meno i cacciatori-raccoglitori saranno dediti alla pesca o alla caccia. In queste circostanze, anche gli uomini partecipano attivamente alla raccolta. In climi più freddi, invece, la caccia e la pesca diventano attività predominanti (come tra gli Inuit, in cui l’attività di raccolta è pressoché inesistente a favore di una dieta a base di grasso e proteine animali).

Matriarcale o patriarcale

Più una società di cacciatori-raccoglitori si dedica alla raccolta, più avrà probabilità di avere una struttura matriarcale. Le società patriarcali e matriarcali non mostrano differenze nella frequenza di atti di guerra o violenti: l’elevata densità di popolazione e la complessità della cultura sembrano essere fattori che influiscono sulla belligeranza.

Territorio

Una società cacciatrice-raccoglitrice ha bisogno di un vasto territorio per poter sopravvivere; la sedentarietà è possibile solo in aree con una particolare abbondanza di risorse facilmente reperibili e un terreno adatto a supportare grandi quantità di monocoltura.

No, hunter gatherers were not peaceful paragons of gender equality
Carol R. Ember. 2014. “Hunter-Gatherers” in C. R. Ember, ed. Explaining Human Culture. Human Relations Area Files
Hunter-gatherer

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Quante calorie servono per sopravvivere? https://www.vitantica.net/2018/05/14/quante-calorie-servono-per-sopravvivere/ https://www.vitantica.net/2018/05/14/quante-calorie-servono-per-sopravvivere/#comments Mon, 14 May 2018 02:00:42 +0000 https://www.vitantica.net/?p=1683 Il fabbisogno minimo di calorie di un individuo può variare enormemente in base al tipo di attività fisica che svolge e alle condizioni climatiche a cui è sottoposto: un clima rigido costringerà l’organismo ad utilizzare una parte consistente del cibo ingerito per produrre il calore necessario a mantenere l’indispensabile livello di operatività e garantire che tutti gli organi fondamentali possano operare ai ritmi richiesti dalle circostanze.

Calcolare il fabbisogno calorico necessario a sopravvivere è quindi un problema complesso e che deve essere necessariamente adattato al grado di “fitness” di uno specifico individuo e all’ostilità dell’ambiente che lo ospita.

Il corpo ha costantemente bisogno di calorie per mantenere le funzioni vitali: il cuore non smette mai di battere, il sistema nervoso è sempre al lavoro per interpretare ed elaborare gli stimoli sensoriali che riceve, senza contare il fabbisogno d’energia necessario a riparare eventuali danni causati a muscoli, ossa o tendini.

Tra il 60% e il 70% delle calorie consumate da un essere umano vengono generalmente dedicate al mantenimento delle funzioni fondamentali dell’organismo.

L’attività fisica modifica ovviamente il fabbisogno calorico: i carboidrati e i grassi contribuiscono a generare energia (i primi sono ideali per attività in cui è richiesta resistenza sul medio-lungo termine), mentre le proteine rinforzano la struttura muscolare a seguito di un’attività fisica in cui è richiesta forza.

Ignorare o sottovalutare l’importanza di un giusto apporto di carboidrati, proteine e grassi può portare a profondi scompensi osseo-muscolari o a cali energetici nei momenti di maggior lavoro del nostro organismo.

Quante calorie per sopravvivere?

Ma quante calorie e nutrienti sono necessari al mantenimento di un organismo sano immerso nella natura?

Secondo molti istituti di ricerca (come la Harvard Health Publications), per sopravvivere senza conseguenze in un ambiente urbano, subendo tuttavia un graduale dimagrimento, sono necessarie almeno 1.200 Kcal al giorno per una donna e 1.500 Kcal al giorno per un uomo; ma per mantenere costante il peso corporeo sono necessarie invece 1.600-2.400 Kcal al giorno per una donna e 2-3.000 Kcal al giorno per un uomo.

L’ambiente moderno in cui viviamo non è tuttavia un esempio azzeccato per determinare uno spettro di calorie necessario a sopravvivere nella natura selvaggia.

A casa possiamo godere di riscaldamento automatizzato, acqua corrente, servizi igienici a distanza di qualche metro dalla camera da letto, senza contare una fornitura di energia elettrica che consente di attivare qualunque apparecchio moderno che semplifica enormemente la vita quotidiana.

Ju/hoansi San durante l'attività di raccolta di tuberi e radici commestibili
Ju/hoansi San durante l’attività di raccolta di tuberi e radici commestibili

In natura le cose sono decisamente più complesse: per riscaldarsi occorre creare e manipolare il fuoco (attività che, pur avendo a disposizione i materiali adatti, può richiedere un enorme dispendio di tempo e di energie), per ottenere acqua potabile bisogna innanzitutto localizzare un sorgente e trasportare l’acqua fino al proprio accampamento (attività da svolgere almeno due-tre volte al giorno) e farla bollire.

Se invece si viene improvvisamente colti da uno “stimolo notturno”, l’unica opzione è quella di allontanarsi dall’accampamento nel cuore della notte prestando attenzione a predatori o a eventuali ostacoli potenzialmente pericolosi.

Calcolo della richiesta energetica

Un esercizio utile per determinare con approssimazione il fabbisogno calorico di un individuo immerso nella natura è il calcolo della richiesta energetica di un essere umano in base al suo livello di attività fisica.

Il calcolo del fabbisogno calorico giornaliero si basa su tre elementi:

  • Metabolismo basale (BMR – Basal Metabolic Rate): energia spesa giornalmente per le funzioni di base dell’organismo;
  • Energia consumata per attività fisica;
  • Energia spesa per digerire e assorbire gli alimenti.

Per calcolare il proprio metabolismo basale sono necessari dati come sesso, età, peso e altezza. Utilizzando le formule messe a disposizione dalla FAO e questo calcolatore, un adulto come il sottoscritto ha un ritmo metabolico di base pari a circa 1.800 Kcal al giorno.

Ottenuto il BMR, possiamo fare una stima del fabbisogno calorico giornaliero utilizzando la tabella dei coefficienti LAF (Livello di Attività Fisica) dell’ Organizzazione Mondiale della Sanità.

Nel caso di un adulto dotato delle mie caratteristiche fisiche e costretto a sopravvivere in natura, possiamo ipotizzare che il suo LAF sia attestabile ad un coefficiente pari a 2 (“attività pesante”), ottenendo come risultato 1.800 Kcal x 2 = 3.600 Kcal giornaliere per mantenere stabile il peso, la muscolatura e le riserve di grasso.

Cosa mangiare per assumere sufficienti calorie?

Assumere quotidianamente 3.600 Kcal dalla caccia o dalla raccolta può risultare un traguardo difficilmente raggiungibile, soprattutto nei periodi dell’anno più scarsi di risorse. Per ottenere la quota di 3.600 Kcal occorrerebbe mangiare ogni giorno quantità consistenti di uno dei seguenti alimenti:

  • Oltre 1kg di carne (mediamente 200-300 Kcal per etto);
  • Quasi 2 kg di salmone (circa 200 Kcal per etto);
  • Oltre una ventina di uova (150 Kcal per etto);
  • Circa 10 noci di cocco (350 Kcal per 100g);
  • Oltre 20 avocado (160 Kcal per 100g);
  • Oppure ingerire 600 grammi di noci (circa 600 Kcal per 100g, sgusciate).

Questa estrema semplificazione potrebbe far pensare che, una volta individuata una fonte di noci, si possa condurre un’intera esistenza mangiando esclusivamente quello. I problemi con quest’idea sono principalmente quattro:

  • Ogni noce contiene circa 4 grammi di materia commestibile (quelle selvatiche potrebbero essere più piccole). Nel migliore dei casi, quindi, sarebbe necessario trovare, sgusciare e mangiare circa 150 noci al giorno per coprire il fabbisogno calorico giornaliero;
  • Per quanto si tratti di un alimento ricco di proprietà benefiche, non ha un profilo completo dal punto di vista nutrizionale, circa il 60% dell’energia prodotta deriva dai grassi contenuti nelle noci (tra i quali i celebri omega 3) e non contiene la vitamina B12, tipica degli alimenti di origine animale e indispensabile per un corretto funzionamento dell’organismo, specialmente sul medio-lungo termine;
  • Un consumo eccessivo di noci (come per molti altri alimenti) può causare problemi: diarrea, problemi digestivi ed eruzioni cutanee, senza contare le reazioni potenzialmente fatali nei soggetti allergici;
  • Mangereste noci ininterrottamente, ogni giorno, per il resto della vostra vita? E’ possibile che dopo qualche giorno questo regime alimentare possa portare alla monotonia, se non addirittura all’esasperazione dopo qualche settimana di consumo forzato.

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Cacciatori-raccoglitori: poche calorie e lavoro di gruppo

Come facevano i nostri antenati cacciatori-raccoglitori ad ottenere e mangiare il cibo necessario per mantenersi in forze e svolgere le loro attività quotidiane? Utilizzando un mix di adattamenti biologiche e cooperazione sociale:

  • La sopravvivenza delle comunità di cacciatori-raccoglitori e di quelle agricole dipende in buona parte dalla cooperazione dell’intero gruppo sociale: molti membri sono quotidianamente impegnati a procacciare cibo tramite la caccia e la raccolta, a mantenere le risorse a disposizione (come bestiame e colture) o a preparare e conservare il cibo per i periodi più duri.
    Se un singolo individuo è costretto a trascorrere la maggior parte della giornata a cacciare o raccogliere cibo, la collettività consente di dedicare solo una parte del giorno alla produzione e al consumo di cibo;
  • Circa il 30% della dieta dei cacciatori-raccoglitori era costituita da proteine animali, ma questo non significa che mangiassero carne ogni giorno. Gli Hadza e i Kung africani, gruppi di cacciatori-raccoglitori moderni, hanno un successo nella caccia inferiore al 50% e possono trascorrere lunghi periodi in cui non vedono neanche l’ombra di un pezzo di carne.
    L’unica eccezione sembra essere rappresentata dalle popolazioni artiche (come gli Inuit), la cui dieta è costituita al 99% da carne e grasso animale per via delle condizioni ambientali in cui vivono, condizioni che impediscono la crescita di materia vegetale commestibile;
  • Quando la caccia falliva nel procacciare cibo, la raccolta quotidiana di piante spontanee, bacche, frutta, funghi e insetti manteneva in vita l’intera comunità. La raccolta, tradizionalmente affidata alle donne e ai bambini, era un’attività svolta quotidianamente e che richiedeva diverse ore per essere portata a termine e soddisfare il fabbisogno alimentare della collettività.
    Anche con diversi mesi di buona raccolta, tuttavia, i nostri antenati trascorrevano lunghi periodi in cui erano costretti a consumare ciò che avevano raccolto e conservato nei periodi più proficui, intervallati da giorni o intere settimane in cui si mangiava poco o nulla;
  • I nostri antenati erano tendenzialmente più piccoli di noi, con la conseguenza di dover consumare un numero minore di calorie ogni giorno rispetto all’essere umano moderno; erano inoltre più adattati alla vita in natura e tendevano a conservare energia in modo più efficiente rispetto all’essere umano moderno.
    Gli Hadza africani, ad esempio, consumano in media circa 1.400-1.500 Kcal al giorno: ogni giorno praticano la raccolta, cacciano circa 3 volte la settimana (e nella metà dei casi tornano a mani vuote) e trascorrono periodi digiunando per assenza di materia commestibile da ingerire.

Why Aren’t Hunter-Gatherers Obese?
The Evolution of Diet
Fabbisogno calorico giornaliero (FCG)
Minimum Amount of Calories Needed Per Day to Survive

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L’antica mutazione genetica che migliorò l’allattamento nei popoli asiatici e nordamericani https://www.vitantica.net/2018/05/05/antica-mutazione-genetica-miglioro-allattamento/ https://www.vitantica.net/2018/05/05/antica-mutazione-genetica-miglioro-allattamento/#respond Sat, 05 May 2018 02:00:04 +0000 https://www.vitantica.net/?p=1674 Circa 20.000 anni fa, una mutazione genetica fece la sua comparsa nel genoma umano: la mutazione permetteva lo sviluppo di un gran numero dotti lattiferi, superiore al normale, favorendo la trasmissione tra madre e figlio dei nutrienti fondamentali per la sopravvivenza di un bambino durante l’allattamento.

Questo cambiamento genetico, diffuso ancora oggi in molte popolazioni asiatiche e native americane, fornisce agli infanti un prezioso apporto maggiorato di grassi e vitamina D, quest’ultima generalmente prodotta dalla pelle attraverso l’esposizione alla luce solare; nei climi nordici, in cui il sole illumina meno intensamente, la produzione di vitamina D è limitata e la mutazione dei dotti lattiferi (piccoli canali connessi alle ghiandole mammarie) migliorò la capacità delle madri fornite di questa mutazione di distribuire preziosi nutrienti e vitamine ai propri figli.

Il problema della vitamina D

La vitamina D è fondamentale per mantenere sano il sistema immunitario, per gestire l’accumulo e il consumo di grassi e regolare l’assunzione di calcio. Sopra il Circolo Polare Artico, dove il sole scompare per interi mesi sotto l’orizzonte, l’esposizione alla luce solare che catalizza la produzione di vitamina D è limitata e l’integrazione di questa sostanza avveniva in passato tramite il consumo di grassi animali.

Il problema per l’essere umano sorge quando un lattante, incapace di consumare cibi solidi, può ottenere la vitamina D necessaria a rimanere in salute solo dalla madre, già sottoposta alla pressione di dover consumare grandi quantità di vitamina per l’impossibilità di produrla a sufficienza tramite i normali processi metabolici.

Non tutte le mutazioni genetiche sono vantaggiose, ma in questo caso la diffusione su larga scala della “supercrescita” dei canali lattiferi sembra sostenere l’ipotesi che la mutazione si sia dimostrata positiva nel corso dei millenni: grazie all’ apporto superiore di vitamina D, i bambini in grado di trasmettere la mutazione sopportano più facilmente le difficoltà climatiche e la carenza di vitamina D.

Un articolo recentemente pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences espone alcune prove genetiche sull’importanza di questa mutazione, supportando l’idea che l’aumento dei dotti lattiferi migliorò le possibilità di sopravvivenza nei figli di madri portatrici della mutazione.

Il gene EDAR

Leslea Hlusko, una delle autrici della ricerca ed esperta di morfologia dentale, ha scoperto grazie a ricerche precedenti alla sua che la forma dei denti è legata alla mutazione di un gene chiamato EDAR, che codifica una proteina coinvolta anche nel numero e nella diffusione delle ghiandole sudoripare e nella ramificazione dei dotti lattiferi connessi alle ghiandole mammarie.

“Ad alte latitudini” spiega Hlusko, “questi popoli erano carenti di vitamina D. Sappiamo che avevano una dieta che cercava di compensare per questa carenza, sia dai resti archeologici sia perché ci sono prove della selezione per specifici alleli dei geni che influenzano la sintesi dei grassi. Ma ancora più nello specifico, questi geni modulano la composizione del grasso del latte materno.”

Denti umani "a paletta", una mutazione anatomica regolata dall'allele V370A del gene EDAR e connessa all'aumento della ramificazione dei dotti lattiferi.
Denti umani “a paletta”, una mutazione anatomica regolata dall’allele V370A del gene EDAR e connessa all’aumento della ramificazione dei dotti lattiferi.

L’articolo evidenzia inoltre che la mutazione non è rilevante soltanto per l’allattamento, ma presenta un effetto collaterale: il gene che controlla la crescita dei dotti lattiferi influisce anche sulla forma degli incisivi. La conseguenza è che la diffusione di questo gene ha contribuito anche alla diffusione di “incisivi a paletta”, comuni in Asia e Nord America ma rari in altre parti del mondo.

La ricerca pubblicata nell’articolo ha analizzato la popolazione archeologica nordamericana per determinare la storia evolutiva di questa mutazione genetica, scoprendo che quasi il 100% dei denti di nativi analizzati mostrava una forma coerente con il gene mutato.

L’incisivo a paletta viene così definito per via della sua struttura ed è una caratteristica comune nelle popolazioni native americane e in Corea, Giappone e le regioni settentrionali della Cina, con una frequenza crescente man mano che ci si sposta verso Nord. Fino a non molto tempo fa si riteneva che questa particolare struttura degli incisivi fosse una caratteristica emersa e selezionata naturalmente grazie alla lavorazione delle pelli animali: i denti sono stati per millenni la “terza mano” dell’uomo.

Did last ice age affect breastfeeding in Native Americans?
Environmental selection during the last ice age on the mother-to-infant transmission of vitamin D and fatty acids through breast milk

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Cosa mangiavano gli uomini del Paleolitico? https://www.vitantica.net/2018/01/06/cosa-mangiavano-uomini-paleolitico/ https://www.vitantica.net/2018/01/06/cosa-mangiavano-uomini-paleolitico/#comments Sat, 06 Jan 2018 02:00:51 +0000 https://www.vitantica.net/?p=1203 Alcune delle diete moderne che rientrano nella categoria “paleodieta” non sono molto rappresentative di ciò che mangiavano realmente i nostri antenati cacciatori-raccoglitori.

Se le diete paleolitiche consigliano carne, pesce, frutta e verdure, escludendo altri alimenti come i cereali, i legumi e i cibi lavorati, la realtà è che gli abitanti del Pleistocene si adattavano a mangiare qualunque cosa fosse disponibile senza troppi sforzi o eccessivi rischi da correre e non mancavano di creatività in fatto di alimentazione.

Le diete paleolitiche moderne cercano di seguire questo principio di base: i nostri antenati cacciatori-raccoglitori non avevano ancora scoperto le gioie della coltivazione dei cereali, quindi occorre escludere dalla dieta grano, orzo e cereali vari.

Rovistavano in ogni carcassa animale (uccisa o trovata) alla ricerca di carne, grasso o midollo ancora commestibili, di conseguenza la paleodieta deve essere basata su una larga dose di proteine animali (ad esclusione dei derivati del latte).

Raccoglievano piante e frutta spontanei dalla boscaglia, ergo la frutta e la verdura sono sicuramente parte di una dieta paleolitica.

Sembra abbastanza coerente, no?

Il cibo moderno è diverso da quello del Paleolitico

La verità storica è molto più complessa di questa banale generalizzazione. In primo luogo, nel corso degli ultimi 10.000 anni la fisiologia umana è cambiata molto e si è evoluta diversificandoci dai nostri antenati cacciatori-raccoglitori; con essa è cambiata anche la base della nostra dieta: ciò che oggi acquistiamo al supermercato è spesso totalmente diverso dalla sua controparte naturale.

Un esempio di mutamento della fisiologia umana spinta dalla dieta è la tolleranza al lattosio: nell’arco di circa 7.000 anni, molte popolazioni del pianeta si sono evolute per non sopprimere l’espressione di un gene che regola la trasformazione del latte in zuccheri, un gene che di solito si “spegne” una volta superata l’infanzia.

Affermare che i nostri antenati pre-agricoltura non mangiassero latte o latticini, quindi, non è del tutto corretto perché non si prende in considerazione, ad esempio, l’antica pastorizia (la domesticazione della pecora iniziò circa 11.000 anni fa).

Ancora oggi diversi popoli tribali sostengono le loro comunità tramite la raccolta, la caccia e la pastorizia, ottenendo la maggior parte delle proteine animali dal latte e dai suoi derivati.

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Di certo il latte e i latticini che consumavano i nostri antenati pre-agricoli erano diversi da quelli moderni, che sono spesso molto lavorati o frutto di tradizioni artigiane molto antiche ma che quasi sicuramente non erano ancora state elaborate tra i cacciatori-raccoglitori dell’ Età della Pietra.

Una volta appresa l’arte dell’agricoltura l’essere umano ha iniziato a mutare anche come conseguenza di una nuova dieta, diversa da quella prevalente nelle società pre-agricole.

Anche le piante hanno iniziato a mutare a seguito dei primi interventi di domesticazione: già in epoca romana, le piante coltivate a scopo alimentare in tutto l’impero erano state selezionate al punto tale da risultare quasi irriconoscibili rispetto alle varietà spontanee dell’ Età della Pietra.

Anche gli animali sono cambiati in modo sostanziale: siamo passati dal temibile uro alla ben più docile vacca, da feroci cinghiali a maiali che dipendono quasi interamente dall’essere umano per la loro sopravvivenza.

Il cibo dei nostri antenati preistorici

Cosa mangiavano quindi i nostri antenati della Preistoria? E’ possibile mangiare come loro nel mondo moderno? Per quanto riguarda il “cosa mangiavano”, tutto dipende dalla località geografica, dal clima e dalla disponibilità di risorse offerta dalle stagioni.

Nel mondo moderno possiamo avere banane in Europa grazie ad un complesso e costoso sistema di agricoltura intensiva e trasporti su lunghe distanze, ma i nostri antenati preistorici del Vecchio Continente non conoscevano pomodori, mais, fagioli o patate, piante che dopo la scoperta del Nuovo Mondo diventarono velocemente alimenti richiestissimi e alla base di molte diete.

Evoluzione della domesticazione del mais
Evoluzione della domesticazione del mais

La frutta che conosciamo oggi, come le mele, l’uva o i fichi, era molto più piccola e amara delle varietà moderne e probabilmente non otterrebbe molto successo sul mercato odierno; la verdura e i tuberi, invece, erano spesso totalmente diversi dalle varietà selezionate a partire dal Neolitico.

Molte delle verdure e dei tuberi che conosciamo oggi erano troppo piccoli, troppo amari o troppo velenosi per essere mangiati, o più semplicemente non erano disponibili in tutte le località geografiche (come la patata, che prima di Colombo cresceva solo in Sud America).

Questo non significa tuttavia che i cacciatori-raccoglitori non mangiassero carboidrati, anzi: una recente ricerca condotta dal Saxo Institute di Copenhagen dimostrerebbe che la dieta fosse in buona parte composta da carboidrati ottenuti da piante spontanee, come la tifa e altre piante acquatiche, o selvatiche, alcune delle quali sopravvissute fino all’epoca moderna.

Secondo Sabine Karg, a capo del team di ricerca, i cacciatori dell’ Età della Pietra mangiavano tutto quello che era possibile reperire e l’iniezione di energia che forniscono i carboidrati di alcune piante selvatiche erano l’ideale per uno stile di vita che richiedeva movimento e sforzo fisico costanti per ottenere un pasto completo.

“La salute dentale dei cacciatori-raccoglitori era eccellente” spiega Pia Bennike, antropologo dell’Università di Copenhagen. “C’è ben poco decadimento e nessuna carie. E’ comprensibile, dato che non consumavano molti carboidrati zuccherini: gli unici cibi dolci disponibili al tempo erano il miele e la frutta. Il vantaggio che avevano consumando le risorse di amido a loro disposizione era che si trattava di cibo integrale, che aiuta a pulire i denti”.

Non è vero inoltre, come sostengono alcune diete preistoriche formulate in epoca moderna, che i nostri antenati non consumassero cibi lavorati: la storia del pane è antichissima e fu probabilmente il primo cibo lavorato della storia, seguito da altre semplici lavorazioni degli alimenti forse simili al pemmican.

La qualità dei denti e soprattutto delle ossa dei nostri antenati paleolitici era insolitamente buona, segno che erano in grado di ottenere calcio senza necessariamente produrre latticini o rischiare di mungere un uro inferocito o una capra selvatica (altrettanto feroce). E’ possibile che la fonte di calcio preferita fossero i molluschi facilmente prelevabili durante i periodi di bassa marea.

Carne e pesce erano cibi “difficili”

cibo della preistoria

Carne e pesce erano sostanzialmente cibi poco comuni. Ottenere carne a sufficienza per sfamare un’intera comunità è un lavoro lungo, difficile e pericoloso, specialmente se si hanno a disposizione solo armi e trappole primitive.

Come dimostrano molte popolazioni tribali moderne, la caccia tradizionale è fatta soprattutto di fallimenti, e la pesca non è del tutto diversa anche se generalmente ottiene risultati migliori ed espone a meno rischi.

E’ vero che le proteine e i grassi animali forniti da caccia e pesca erano fondamentali per la comunità, ma la maggior parte delle calorie quotidiane provenivano dalla raccolta di piante spontanee, spesso piante ad alto contenuto di amido come la tapioca, il riso selvatico, le ghiande o il grano selvatico.

Anche se la fauna selvatica era molto più densa, trovare carcasse da sfruttare a scopo alimentare non era affatto facile; i molluschi e il pesce che vive in acque basse erano molto più facili da catturare rispetto ad un coniglio e ad un grande mammifero, ma ne occorrevano grosse quantità (che richiedevano molto tempo per essere accumulate) per sfamare a sazietà una famiglia.

Le proteine animali di più facile reperimento erano quelle contenute negli insetti: le larve commestibili sono state per millenni un alimento pregiato o di prima necessità in molte culture del mondo e ancora oggi riempiono le bancarelle di molti mercati asiatici e sudamericani.

I nostri antenati del Paleolitico erano quindi la perfetta definizione di “animali opportunisti” dal punto di vista alimentare: ogni risorsa incontrata sul loro cammino veniva consumata o lavorata per produrre strumenti, senza porsi il problema del contenuto di proteine, carboidrati o grassi del cibo.

Se avessero avuto a disposizione i derivati del latte o la frutta moderna, i cacciatori-raccoglitori dell’Età della Pietra non avrebbero esitato a consumare questi alimenti in quantità.

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Larve e insetti commestibili https://www.vitantica.net/2017/12/01/larve-commestibili/ https://www.vitantica.net/2017/12/01/larve-commestibili/#respond Fri, 01 Dec 2017 02:00:18 +0000 https://www.vitantica.net/?p=998 Per quanto possa sembrare disgustoso ad un europeo o a un americano, gli insetti sono ancora oggi un’ importante fonte di proteine per milioni di persone, specialmente nel Sud-Est Asiatico, in Centro-Sud America e tra le popolazioni semi-primitive o non industrializzate.

Per millenni gli insetti, adulti o larve, hanno rappresentato una discreta porzione della dieta umana: sono relativamente semplici da raccogliere in gran numero e sono ricchi di nutrienti spesso difficili da ottenere con la caccia.

I nostri antenati preistorici erano ottimi opportunisti e di certo non si facevano sfuggire un facile pasto a base di insetti: i coproliti (feci fossili) trovate in molte località del mondo dimostrerebbero che la dieta del Paleolitico conteneva una buona percentuale di insetti come formiche, larve di coleotteri, pidocchi e termiti.

Le pitture rupestri di Altamira (30.000-9.000 a.C.), Spagna, testimoniano visivamente l’importanza della raccolta di insetti commestibili e di alveari selvatici tra le popolazioni primitive dell’epoca, e circa 5.000 anni fa era molto comune in Cina consumare bachi da seta e svariate specie di larve di coleotteri come principali fonti di proteine.

Una volta superato lo scoglio psicologico iniziale (più comune nei Paesi industrializzati occidentali che nel resto del mondo), chi approccia il mondo dell’ entomofagia si ritrova spesso sorpreso dai sapori e dalle consistenze degli insetti che assaggia.

Gli insetti commestibili

Attualmente tra gli insetti commestibili si contano (fonte: Wikipedia):

  • 235 specie e sottospecie di farfalle e falene (adulte o larve)
  • 344 coleotteri (adulti o larve)
  • 313 specie e sottospecie di formiche, api e vespe (adulte o larve)
  • 239 tra cavallette, grilli e scarafaggi (adulti o larve)
  • 39 specie di termiti
  • 20 specie e sottospecie di libellule (adulte o larve)

Tra le specie commestibili di insetti ci sono moltissime varietà di larve di coleotteri, farfalle, falene e altri insetti di svariate categorie tassonomiche che per millenni hanno rappresentato un’importante integrazione proteica nella dieta dei nostri antenati. Qui sotto riporto alcune delle larve commestibili più note o consumate nel mondo.

N.B. Alcuni insetti, sia morti che vivi, possono ospitare una vasta gamma di agenti patogeni, parassiti e pesticidi potenzialmente nocivi per l’organismo umano. Anche se alcuni insetti sono generalmente sicuri da mangiare anche crudi, è sempre preferibile cuocerli in qualunque modo disponibile, sia esso la bollitura, la tostatura o l’esposizione alla fiamma viva.

Verme mezcal

Larva spesso inserita nelle bottiglie di Mezcal. Si tratta in realtà di tre larve commestibili utilizzate per lo stesso scopo: la Comadia redtenbacheri, la larva di una falena messicana che infesta generalmente le foglie di agave, la Scyphophorus acupunctatus, un altro parassita dell’agave, e il bruco della farfalla Aegiale hesperiaris.

Larve di api

miele e api

Le larve delle api da miele europee (Apis mellifera) sono ottime fonti di proteine e carboidrati oltre a contenere fosforo, magnesio e potassio in quantità significative. In aggiunta, queste larve sono anche ricche di grassi e vitamine, sono facilmente ottenibili una volta localizzato un alveare e possono essere mangiate anche crude.

Generalmente, le larve di qualunque specie di ape sono commestibili, comprese quelle delle api carpentiere e dei calabroni, e chi le ha assaggiate descrive una consistenza interna gelatinosa e un gusto molto dolce simile al miele.

Scarabeo rinoceronte
Larva di scarabeo rinoceronte
Larva di scarabeo rinoceronte. Fonte: Biodiversity and Ecosystem Function in Tropical Agriculture

Gli scarabei rinoceronte sono una sottofamiglia degli scarabei che comprende oltre 300 specie conosciute, molte delle quali commestibili sia in fase adulta sia nello stadio larvale.

Sono spesso allevati in Asia come animali da compagnia e per il combattimento, ma sono noti da millenni per essere una ricca fonte di nutrienti: le larve sono composte per il 40% da proteine (contro il 20% della carne di pollo) e sono un’importante contributo calorico nella dieta di moltissimi Paesi del mondo ad esclusione di quelli industrializzati.

Le larve dello scarabeo rinoceronte europeo (Oryctes nasicornis) si nutrono di alberi morti e possono superare i 10 centimetri di lunghezza nell’arco di 2-4 anni di sviluppo.

Bruchi Psychidae

I bruchi appartenenti a questa famiglia di lepidotteri (farfalle e falene) sono talvolta commestibili, come il bruco chiamato “fangalabola” (Deborrea malgassa) originario del Madagascar. Le larve possono superare i 4 centimetri di lunghezza nelle specie tropicali e sono ricche di proteine e grassi.

Verme del bambù

Verme del bambù

Non si tratta tecnicamente di un verme ma della larva di una falena, la Omphisa fuscidentalis. Il verme del bambù cresce nelle foreste di bambù di Thailandia, Laos, Myanmar e Cina. Dopo l’accoppiamento, ogni falena depone dalle 80 alle 130 uova alla base di un germoglio di bambù; dalle uova usciranno larve entro 12 giorni e inizieranno a perforare un nodo del bambù creando un foro d’ingresso e uno d’uscita.

Entro tre giorni le larve diventano bianche e iniziano a risalire il bambù nutrendosi della polpa per circa 45-60 giorni, per poi tornare verso il foro d’uscita e iniziare un periodo di “letargo” della durata di 8 mesi.

Un verme del bambù può superare i 4 centimetri di lunghezza e il 26% del suo corpo è costituito da proteine (il 51% da grassi). In molti Paesi orientali è considerata una leccornia e possono essere mangiati fritti, cotti alla fiamma o crudi.

Punteruolo rosso della palma (Rhynchophorus ferrugineus)
Larve di punteruolo rosso
Larve di punteruolo rosso. Fonte: BugsFeed

Il temibile punteruolo rosso della palma, responsabile della morte di milioni di piante in tutto il mondo (Italia compresa), quando si trova allo stadio di larva è un insetto del tutto commestibile, considerato prelibato in Indonesia, Vietnam e Borneo. Nella dieta degli indigeni Iatmul della Papua Nuova Guinea, le larve di punteruolo coprono il 30% del fabbisogno proteico medio.

Il punteruolo depone le uova (da 50 a 500) all’interno delle palme utilizzando il rostro per asportare le fibre più tenere. Le larve sono estremamente voraci, raggiungono dimensioni ragguardevoli e possono scavare l’interno di una palma risalendo lungo tutta l’altezza dell’albero mentre ne divorano la polpa. Come i vermi del bambù, anche le larve di punteruolo della palma possono essere mangiate crude, tostate, cotte al vapore o fritte.

Tenebrione mugnaio (Tenebrio molitor)
Larva, pupa e tenebrione adulto
Larva, pupa e tenebrione adulto. Fonte: Il Naturalista

Il tenebrione mugnaio, o tarma della farina, è un insetto molto comune nelle abitazioni, in particolare nelle dispense dove può compromettere le scorte di cereali e derivati come pasta e pane defecandoci sopra. Le larve di tenebrione possono raggiungere i tre centimetri di lunghezza e sono considerate commestibili per molte specie (essere umano incluso).

Le larve di tenebrione sono spesso utilizzate come cibo per rettili, pesci e uccelli, sono un alimento ad alto contenuto di proteine (dal 14% al 25% ogni 100 grammi) e contengono potassio, sodio, rame, ferro e zinco in quantità simili a quelle della carne di manzo. Le larve di tenebrione sono considerate gateway bug, uno dei primi insetti che si assaggiano quando ci si avvicina all’ entomofagia.

Larva “witchetty”
larva Witchetty
Larva Witchetty. Fonte: Wikimedia commons

Larva della falena australiana Endoxyla leucomochla che si nutre degli arbusti di Acacia kempeana. Il realtà, il termine “witchetty” (che nella lingua aborigena Adnyamathanha significa “larva del bastone uncinato”) viene usato dagli Aborigeni per indicare qualunque larva commestibile.
Chi l’ha assaggiata ha definito il sapore come simile alle mandorle e quando viene cotta l’involucro esterno diventa croccante mentre l’interno rimane semi-liquido come un uovo fritto.

Zazamushi

Con il termine zazamushi si indica un complesso di larve appartenenti alle famiglie Trichoptera e Megaloptera. Le larve di queste specie, di circa 2 cm di lunghezza, vivono nascoste sotto le pietre fluviali. In Giappone esiste una tradizione di pesca agli zazamushi sul fiume Tenryugawa: le larve vengono generalmente consumate dopo essere state lavate e cotte in salsa di soia e zucchero.

Tarma della cera
Larve di tarme della cera
Larve di tarme della cera

Le tarme della cera appartengono a tre specie differenti: la tarma minore della cera (Achroia grisella), la tarma maggiore (Galleria mellonella) e la larva della falena Aphomia sociella. In natura queste larve sono parassiti degli alveari e si nutrono di bozzoli, polline, pelle di scarto delle api e soprattutto della cera: non attaccano direttamente le api, ma masticano la casa in cui vivono.

Nel regno animale, le tarme della cera rappresentano un’importante fonte di proteine e grassi per molti uccelli, rettili e piccoli mammiferi insettivori, e sono talvolta consumate dall’essere umano.

Larve di calabrone gigante asiatico
Larve di Vespa mandarinia
Larve di Vespa mandarinia

Il calabrone gigante asiatico (Vespa mandarinia) è il calabrone più grande al mondo: lungo fino a 50 millimetri, può provocare dolorose punture definire “come un chiodo rovente conficcato nella gamba”. Ogni anno causa dalle 20 alle 40 vittime solo in Giappone.
Le larve di calabrone asiatico, tuttavia, sono considerate una vera prelibatezza. Possono essere mangiate fritte o sotto forma di sashimi. Le larve di Vespa mandarinia secernono sostanze che oggi vengono replicate sinteticamente per la produzione di integratori alimentari in grado di migliorare la resistenza fisica.

TOP 50 EDIBLE INSECTS LIST

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