megafauna – VitAntica https://www.vitantica.net Vita antica, preindustriale e primitiva Thu, 01 Feb 2024 15:10:35 +0000 it-IT hourly 1 Caccia preistorica al bradipo gigante raccontata dalle orme impresse su una distesa salata https://www.vitantica.net/2018/05/02/caccia-bradipo-gigante-orme/ https://www.vitantica.net/2018/05/02/caccia-bradipo-gigante-orme/#comments Wed, 02 May 2018 02:00:47 +0000 https://www.vitantica.net/?p=1667 Comprendere nel dettaglio le tecniche di caccia dei nostri antenati del Pleistocene è una questione complessa. Possiamo fare deduzioni plausibili analizzando i cacciatori-raccoglitori moderni (come per la caccia di persistenza), esaminando le antiche armi da caccia oppure usando la logica e il buon senso; ma non è affatto semplice realizzare un quadro completo di come i nostri antenati cacciassero la megafauna, animali di grossa taglia come gli uri o i bradipi giganti.

In qualche occasione, tuttavia, abbiamo la fortuna di avere a disposizione indizi capaci di narrarci chiaramente il racconto della caccia, come nel caso delle orme del White Sands National Monument, un complesso di dune sabbiose a base di cristalli di gesso che in tempi recenti è stato il luogo di nascita del programma spaziale statunitense ma, in un passato preistorico, fu teatro di numerose battute di caccia.

Caccia al bradipo gigante

Una recente ricerca pubblicata sulla rivista Science Advances ha analizzato una serie di tracce rimaste impresse nella distesa salata di White Sands chiamata Alkali Flat, tracce risalenti a circa 10.000 anni fa e che documenterebbero con straordinaria precisione l’inseguimento e la lotta contro un bradipo gigante, un avversario formidabile per uomini che impugnavano armi di legno, osso e pietra.

Tracce del bradipo gigante (Megatherium) e degli esseri umani che lo inseguivano
Tracce del bradipo gigante (Megatherium) e degli esseri umani che lo inseguivano

Alkali Flat era un lago in epoca glaciale, ma con il progressivo riscaldamento climatico iniziò a ridursi fino a diventare una distesa salata che, in occasione delle piogge periodiche, si trasformava in una distesa fangosa, uno strato ideale per conservare le tracce del passaggio di uomini e animali.

Sulla distesa salata di Alkali Flat sono rimaste impresse numerosissime impronte appartenenti alla megafauna del Pleistocene come mastodonti, mammut, cammelli, metalupi e bradipi giganti; le loro “tracce fantasma” sono per lo più visibili solo in determinate condizioni atmosferiche (strato salato non troppo spesso e poco umido) e in alcuni casi sono state scavate ed esaminate nel dettaglio, rivelando informazioni incredibili.

Le tracce più interessanti sembrano essere quelle lasciate da un bradipo gigante: all’interno o intorno alle sue orme sono state trovate quelle di esseri umani, suggerendo che un gruppo di uomini preistorici si fosse messo all’inseguimento dell’animale fino a raggiungerlo, circondarlo e abbatterlo.

Tracce del bradipo gigante (Megatherium) e degli esseri umani che lo inseguivano

Alcune delle tracce umane si trovano all’interno di quelle del bradipo, altre invece sono posizionate attorno ad orme che sembrano indicare che l’animale avesse assunto una posizione difensiva, sollevandosi sulle due zampe posteriori per poter agitare quelle anteriori nel tentativo di colpire gli aggressori.

Agitando le potenti zampe anteriori artigliate, il bradipo gigante tendeva a perdere l’equilibrio finendo per appoggiarsi al terreno su 4 zampe prima di assumere nuovamente la posizione difensiva eretta.

Il bradipo gigante era un avversario temibile

Il Megatherium, comunemente chiamato bradipo gigante, fu uno dei più grandi mammiferi terrestri mai esistiti. Poteva misurare fino a 6 metri da unestremità all’altra ed era grande quanto un elefante moderno. Grazie alla sua coda, di fatto una “terza gamba”, poteva assumere una stazione eretta per raggiungere le fronde degli alberi inaccessibili alla maggior parte degli erbivori del suo tempo.

Affrontare in campo aperto un bradipo gigante non è affatto semplice: questo animale poteva superare i 4 metri in posizione eretta e raggiungere le 5 tonnellate di peso. Era inoltre dotato di artigli anteriori lunghi circa 30 centimetri e capaci di difenderlo efficacemente dalla maggior parte dei grandi predatori.

Tutte le armi da lancio disponibili all’epoca non erano in grado di ferire seriamente un bradipo gigante da una distanza di oltre 10 metri, anche perché l’animale disponeva di pelle spessa e resistente in grado di fermare l’impatto di un pesante proiettile di atlatl.

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Per cacciare un bradipo gigante, quindi, era necessario posizionarsi a distanza molto ravvicinata e giocare con la morte ad ogni affondo di lancia. Considerata la lentezza nei movimenti dell’animale e la disposizione delle orme sulla scena dello scontro, il bradipo di Alkali Flat fu probabilmente abbattuto cercando di attirare la sua attenzione verso un “uomo-esca” per consentire agli altri cacciatori di colpire il gigante alle spalle o alle zampe posteriori, indebolendolo fino a farlo crollare.

Le orme animali e umane di Alkali Flat sembrano confermare che i cacciatori-raccoglitori nordamericani conoscessero bene la megafauna che cacciavano e che stessero progressivamente raggiungendo l’apice della catena alimentare.

Il bradipo gigante era solo una delle prede di grandi dimensioni che venivano cacciate e uccise dai nostri antenati, prede di dimensioni tali da poter sfamare per mesi una piccola comunità e rifornirla di preziosissime materie prime come pelliccia, tendini e ossa.

How to hunt a giant sloth—according to ancient human footprints

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L’ orso bruno, il gigante delle foreste https://www.vitantica.net/2017/11/04/orso-bruno/ https://www.vitantica.net/2017/11/04/orso-bruno/#respond Sat, 04 Nov 2017 02:00:17 +0000 https://www.vitantica.net/?p=751 L’ orso bruno (Ursus arctos), che comprende sottospecie come l’ orso bruno eurasiatico e il grizzly, è il secondo più grande carnivoro terrestre esistente e in un passato lontano rappresentò l’incubo di ogni cacciatore-raccoglitore delle regioni temperate del pianeta.

L’orso bruno esiste da almeno 1 milione di anni e ha iniziato fin da subito a differenziarsi in base all’ecosistema che popolava separandosi in almeno 16 sottospecie, alcune delle quali ormai estinte.

L’uomo anatomicamente moderno ha dovuto quindi imparare a coesistere con questi animali notoriamente poco amichevoli e molto più abbondanti nelle foreste del Pleistocene rispetto ad oggi.

I nativi americani vedevano l’orso come un animale da temere e rispettare: erano ben consapevoli di cosa fosse in grado di fare un orso inferocito ad un piccolo gruppo di caccia e spesso preferivano evitare qualunque incontro.

Nelle tribù in cui si praticava la caccia del grizzly per scopi rituali, la spedizione di caccia doveva essere preceduta da una seria preparazione tattica e da un rituale propiziatorio, e non veniva mai condotta con meno di una mezza dozzina di abili cacciatori.

L’ orso bruno: il gigante della foresta

L’ orso bruno è un animale dalla corporatura imponente, anche se le sue dimensioni possono variare notevolmente in base alla sottospecie d’appartenenza.

Un maschio adulto (di solito il 30% più grande di una femmina) può superare i 2,5 metri in posizione bipede e i 150 centimetri in altezza al garrese su quattro zampe.

Il cranio è lungo dai 30 ai 45 centimetri ed è armato di canini appuntiti e denti robusti che riflettono la grande varietà alimentare della sua dieta.

L’orso bruno è munito di zampe enormi: quelle anteriori, più piccole del 40% rispetto alle posteriori, possono superare i 20 centimetri di lunghezza e sono armate di unghie ricurve lunghe fino a 15 centimetri.

Zampa di grizzly del Columbus Zoo, Columbus, Ohio
Zampa di grizzly del Columbus Zoo, Columbus, Ohio

Il peso degli orsi bruni varia notevolmente in base alla regione geografica in cui vivono e alla disponibilità stagionale di cibo: gli orsi europei e dello Yellowstone, ad esempio, hanno una media stagionale che oscilla tra 115 e i 360 kg.

Con l’approssimarsi dell’inverno, l’orso bruno inizia a fare incetta di qualunque risorsa alimentare riesca a fiutare per riuscire ad accumulare grasso utile a sopravvivere l’ ibernazione invernale (leggi questo articolo sulle strategia di sopravvivenza invernale degli animali), che consuma ogni riserva energetica dell’animale perché, contrariamente al letargo, non si tratta di un lungo sonno ininterrotto ma di un torpore che a volte viene interrotto da stimoli esterni.

Possiamo presumere che, in un periodo in cui vaste foreste ricoprivano la maggior parte dell’ Europa, l’orso bruno potesse raggiungere dimensioni ancora più rilevanti rispetto ai suoi discendenti moderni, sottoposti a forti pressioni ambientali.

In tempi recenti, tuttavia, sono stati osservati esemplari dalle dimensioni straordinarie: il peso massimo registrato per un orso bruno dello Yellowstone è di quasi 500 kg, mentre alcuni orsi bruni slovacchi e bulgari hanno raggiunto il peso di 400 kg, circa il doppio della media dei maschi adulti della regione.

Orso Kodiak del Kodiak National Wildlife Refuge, Alaska
Orso Kodiak del Kodiak National Wildlife Refuge, Alaska

Il record di orso bruno più grande spetta però all’ orso Kodiak (Ursus arctos middendorffi): vive nell’ Arcipelago Kodiak in Alaska e per millenni ha rappresentato un formidabile avversario per i nostri antenati.

L’esemplare selvatico di orso Kodiak più pesante superava i 750 kg e aveva un cranio lungo più di 70 centimetri, ma un normale maschio adulto pesa stagionalmente tra i 272 e i 635 kg, con un peso medio annuale di circa 500 kg; le femmine sono più leggere del 30% ma ugualmente feroci, specialmente se si trovano costrette a difendere la prole.

Habitat dell’ orso bruno

L’orso bruno è probabilmente il più adattabile tra le specie d’orso attualmente esistenti sul pianeta. Non ha particolari preferenze d’altitudine, tanto da essere stato osservato sia nelle zone costiere sia ad altezze di 5.000 metri sul livello del mare.

Gli orsi bruni sembrano prediligere zone semi-aperte con macchie di fitta vegetazione che possono sfruttare per riposarsi durante il giorno, ma sono stati osservati in ogni ecosistema temperato dell’emisfero settentrionale.

In Europa l’orso bruno tende a popolare aree boschive come le Alpi, i Pirenei e il Caucaso; nelle regioni più settentrionali, come in Scandinavia, si è perfettamente adattato a vivere in foreste densamente ricoperte da alberi e sottobosco.

In Asia Centrale lo si può trovare anche nella steppa e al confine di aree desertiche, come l’orso bruno della Siria (Ursus arctos syriacus) o l’orso bruno del Gobi (Ursus arctos gobiensis). In Siberia questo animale si è perfettamente adattato alle foreste di pini, dove trova rifugio per riposare tra un pasto e l’altro.

Lo stile di vita dell’ orso bruno

Le femmine di orso bruno hanno un meccanismo riproduttivo particolare: dopo essere state fecondate da un maschio, l’ovulo inizia a dividersi e rimane nell’utero per circa sei mesi.

Durante la quiescenza invernale, i feti aderiscono alla parete uterina e, se la madre dispone di sufficienti riserve di energia, diventeranno cuccioli che verranno partoriti otto settimane, dopo mentre la madre si trova in ibernazione.  Se l’orso non ha abbastanza risorse energetiche, gli embrioni vengono riassorbiti e non si verificherà alcun parto.

Orso bruno e cuccioli
Orso bruno e cuccioli

Generalmente mamma orsa partorisce da 1 a 3 cuccioli (4 cuccioli è poco comune, 5-6 più raro) che pesano tra i 300 e i 500 grammi e raggiungeranno dopo l’allattamento i 7-9 kg e un livello di sviluppo tale da essere in grado di cibarsi di alimenti solidi.

L’educazione dei cuccioli è interamente affidata alla madre: i piccoli la seguiranno per 2-4 anni, periodo durante il quale impareranno tecniche di sopravvivenza come la caccia, la pesca, la difesa dai predatori, dove trovare il miglior rifugio per l’inverno e quali risorse alimentari sono più nutrienti.

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L’orso bruno è un animale solitario molto intelligente, è un opportunista non particolarmente attivo come predatore, anche se non disdegna la caccia e la pesca se non richiedono un eccessivo dispendio di energie.

L’orso bruno ha il cervello più grande, in proporzione alla massa corporea, di tutti i carnivori terrestri. Ha dimostrato più volte di poter utilizzare strumenti (come sfruttare rocce ricoperte di conchiglie per grattarsi la schiena), abilità che richiede funzioni cognitive avanzate.

L’orso bruno non è fortemente territoriale: è possibile trovare diversi adulti che convivono pacificamente in un’area relativamente ristretta a patto che non ci siano contese su una femmina fertile o in una situazione di scarsità di cibo.

Non è raro che molti orsi si aggreghino episodicamente nella stessa area in cerca di cibo o attratti dall’ odore di una carcassa: anche se non sono strettamente territoriali, di fronte ad una fonte di cibo contesa da più esemplari si formano gerarchie spontanee basate su età e dimensioni, o determinate da segnali aggressivi o brevi scontri fisici.

L’orso bruno è un animale longevo: le femmine possono sopravvivere fino ai 28 anni d’età e mantengono il picco riproduttivo fino ai 20 anni. Si calcola che mediamente un orso possa vivere circa 25 anni, indipendentemente dal sesso; l’orso più longevo mai osservato in natura aveva 37 anni, mentre in cattività un maschio adulto può sopravvivere fino a 47 anni.

cuccioli orso bruno

La mortalità infantile tra gli orsi residenti in aree protette dalla caccia va dal 13 al 44% entro il primo anno di vita, ma può superare il 75% in alcune regioni. Un cucciolo d’orso è una preda relativamente facile per predatori come lupi, tigri siberiane e altri orsi bruni, ma è la malnutrizione che causa la maggior parte delle vittime durante i primi due anni di vita.

Competizione tra uomo, orso e altri predatori per le risorse alimentari

L’essere umano si trovò spesso a dover competere per le risorse alimentari con i grandi orsi bruni del Pleistocene per via della dieta di questi animali, la più onnivora del regno animale.

Proprio come l’essere umano, l’orso è un opportunista eccellente e non disdegna o trascura alcuna fonte di cibo che trova al suo passaggio, sia essa rappresentata da bacche, carogne di animali o radici e tuberi.

Proprio come noi, anche l’orso cerca di evitare di sprecare troppe energie per ottenere calorie preziose, tendenza che lo portava in passato a competere per le stesse risorse desiderate dai nostri antenati.

Circa il 90% del cibo consumato da un orso bruno è composto da materia vegetale come bacche, frutta, ghiande, funghi, muschi, radici e tuberi per un totale di oltre 200 specie di piante e funghi.

Anche se la carne e il pesce sono ottime fonti di proteine e grassi e la loro presenza nella dieta varia in base alla regione e alla stagione, i carboidrati e gli zuccheri delle piante che consumano gli orsi bruni contribuiscono in larga parte all’accumulo di grasso in vista dell’inverno.

Un’altra importante fonte di cibo per gli orsi bruni di tutto il mondo sono gli insetti: gli orsi bruni dello Yellowstone, ad esempio, possono consumare fino a 40.000 falene in un solo giorno durante le enormi migrazioni delle Euxoa auxiliaris e non disdegnano affatto api, formiche, vermi e coleotteri di ogni tipo.

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Per quanto non ami particolarmente la caccia attiva, l’orso bruno è potenzialmente capace di cacciare ogni grande mammifero che vive nel suo habitat.

Nelle fatte di orso sono state rilevate le tracce di oltre 100 differenti specie di mammiferi, da piccoli roditori come scoiattoli e topi ad animali ben più grossi, come marmotte e castori.

Non sono rari inoltre gli attacchi a ungulati come cervi, renne e alci specialmente in aree boscose, dove gli orsi bruni possono tendere agguati e superare il loro svantaggio in velocità e agilità.

L’orso bruno ha dovuto imparare a difendersi non solo dalla competizione con l’essere umano, ma anche da altri predatori apicali dei suoi habitat, come lupi, tigri, leoni di montagna e altre specie di orsi tra cui il famigerato orso dal muso corto (Arctodus spp.), un orso nordamericano scomparso circa 11.000 anni fa pesante circa il doppio rispetto ad un Kodiak moderno e che superava i 3,5 metri di altezza sulle zampe posteriori.

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10 animali terrificanti del Pleistocene https://www.vitantica.net/2017/10/30/10-animali-terrificanti-del-pleistocene/ https://www.vitantica.net/2017/10/30/10-animali-terrificanti-del-pleistocene/#respond Mon, 30 Oct 2017 02:00:55 +0000 https://www.vitantica.net/?p=729 Con l’approssimarsi di Halloween ho pensato di fare un post che descrivesse brevemente alcuni degli animali  più spaventosi incontrati dai nostri antenati nell’arco del Pleistocene. Non si tratta necessariamente di predatori: ho cercato di includere anche animali tendenzialmente pacifici ma che, considerate la mole e le loro armi naturali, potevano facilmente trasformarsi in killer.

Ho anche tentato di selezionare animali che i nostri antenati cacciatori-raccoglitori avrebbero potuto realmente incontrare durante i loro spostamenti per la ricerca di risorse o per battute di caccia. Alcune di queste bestie erano in diretta competizione per le risorse con l’uomo, specialmente gli animali più opportunisti come orsi, metalupi e grandi felini.

 

Megaterio (Megatherium)
Megatherium
Megatherium

Genere che racchiude diverse specie di bradipi giganti vissuti nelle Americhe fino alle fine del Pleistocene (per un articolo sulla caccia al bradipo gigante, clicca qui). Poteva facilmente raggiungere le 4 tonnellate di peso ed era lungo fino a 6 metri, dimensioni che lo rendevano grande quanto un elefante africano ma di certo non l’ animale più massivo in circolazione nel suo habitat.

Le sue zampe anteriori, lunghe fino a 2 metri e dotate di lunghi artigli ricurvi, potevano mettere fuori gioco qualunque carnivoro terrestre del suo tempo, anche se esemplari giovani o malati potevano diventare (con parecchio sforzo) preda di smilodonti o branchi di metalupi o lupi grigi.

 

Gigantopithecus
Gigantopithecus
Gigantopithecus

Il Gigantopiteco è un genere ormai estinto di grandi scimmie sopravvissuto almeno fino a 100.000 anni fa, condividendo almeno 10.000 anni di storia con i primi Homo sapiens.

I resti fossili del Gigantopithecus sono pochissimi: abbiamo a disposizione più denti che ossa, denti spesso rinvenuti in negozi di medicina tradizionale cinese. Abbiamo anche qualche osso mascellare, ma niente ossa pelviche o delle gambe in grado di fornirci informazioni sul suo metodo di locomozione, bipede o quadrupede.

Le dimensioni di un gigantopiteco sono incredibili per una grande scimmia: probabilmente simile nell’aspetto ad un orangutan, poteva raggiungere i 600 kg di peso e superare i 3 metri di altezza, almeno 8 volte più pesante rispetto ad un orangutan moderno.

 

Aquila di Haast (Harpagornis moorei)
Aquila di Haast
Aquila di Haast

Questo volatile estinto intorno al 1400 viveva in Nuova Zelanda ed è associato alla leggenda Maori di Pouakai, un uccello mostruoso che uccide e si nutre di bambini. Si tratta della più grande specie di aquila mai esistita sulla Terra.

Una femmina adulta (più grande dei maschi) poteva raggiungere i 15 kg di peso con un’apertura alare fino a 3 metri, circa il 40% più grossa delle più grandi aquile moderne. Era armata di un becco di oltre 10 centimetri di lunghezza e artigli tra i 6 e gli 11 centimetri, armi naturali che gli consentivano di uccidere i moa, uccelli terrestri che potevano raggiungere i 230 kg di peso.

L’apertura alare relativamente corta rispetto alle dimensioni del corpo consentiva all’aquila di Haast di cacciare in foreste e macchie di vegetazione, compiendo rapidi movimenti in volo.

L’aquila di Haast piombava sulle prede alla velocità di circa 80 km/h: considerando il suo peso, la forza d’impatto era pari a quella di un blocco di cemento di 15 kg che cade dall’ottavo piano.

 

Megalania (Varanus priscus)
Varanus priscus
Varanus priscus

Specie di  varano australiano vissuto almeno fino a 40-30.000 anni fa (datazione del fossile più recente in nostro possesso). I primi aborigeni incontrarono probabilmente questo rettile enorme e feroce: era lungo tra i 5.5 e i 7 metri e poteva pesare tra i 300 e i 600 kg.

Il Megalania è stato probabilmente il più grande varano mai esistito ma nonostante le sue dimensioni poteva compiere sprint di 9-10 km/h per brevi tragitti, bene o male la stessa velocità di un coccodrillo d’acqua dolce moderno.

Come il varano di Komodo, suo parente moderno, si nutriva di carogne o cacciava animali come marsupiali giganti, mammiferi di taglia medio-grande e uccelli terrestri.

 

Orso gigante dal muso corto (Arctodus simus)
Arctodus simus
Arctodus simus

Gigante diffuso nelle Americhe fino a 11.000 anni fa e non molto differente nell’aspetto da un orso Kodiak moderno, ma incredibilmente più grosso: poteva superare i 900 kg di peso, era alto circa 180 cm al garrese e si stagliava per quasi 3,5 metri in posizione bipede.

Una serie di incisioni causate dall’orso gigante dal muso corto, scoperte sul soffitto della Caverna di Riverbluff in Mossouri, sembrerebbero indicare che questo animale poteva raggiungere con le zampe l’altezza di be 4,57 metri.

Considerate le dimensioni e la sua dieta principalmente carnivora, questo orso doveva ingurgitare almeno 16 kg di carne o pesce al giorno per sopravvivere. Era opportunista come gli orsi bruni moderni ma non disdegnava la caccia di grossi mammiferi in caso di necessità; potendo raggiungere i 60 km/h di velocità ed essendo munito di formidabili armi naturali, è possibile che tendesse agguati nella boscaglia e inseguisse le sue prede per brevi tratti.

 

Smilodonte (genere Smilodon)
Smilodonte
Smilodonte

Nota come “tigre dai denti a sciabola”, in realtà non è strettamente imparentata con i felini. Visse sul territorio americano fino a circa 10.000 anni fa e il suo genere racchiude tre specie: la più grossa, Smilodon populator, poteva raggiungere i 400 kg di peso e i 120 cm di altezza al garrese.

La sua dotazione di zanne è ormai famosa: i canini raggiungevano i 30 centimetri di lunghezza e si serravano con una forza incredibile, lasciando poche speranze a qualunque preda fosse finita tra le sue fauci.

 

Xenosmilus (Xenosmilus hodsonae)
Xenosmilus hodsonae
Xenosmilus hodsonae

Anche se il più famoso del grandi felini del Pleistocene è lo smilodonte, lo Xenosmilus era un predatore ugualmente terrificante: era lungo quasi due metri (coda esclusa) e pesava fino a 400 kg, con un corpo estremamente robusto e canini meno prominenti di quelli della tigre dai denti a sciabola.

 

Leone di caverna (Panthera leo spelaea e Panthera leo atrox)
Panthera leo atrox
Panthera leo atrox

Grande felino vissuto fino a circa 10.000 anni fa in Europa, Asia e America. La sottospecie europea (Panthera leo spelaea) era lunga oltre 2 metri (coda escluda), alta circa 120 cm al garrese e pesava fino a 360 kg; il leone nordamericano (Panthera leo atrox) era ancora più grande, con i suoi 400 kg di peso e una lunghezza di oltre 2,5 metri.

Il leone di caverna americano era più grande del 25% rispetto ad un leone africano moderno; anche se più piccolo di altri predatori come l’orso dal muso corto, era certamente uno dei più temibili per le sue abilità feline: compiere balzi fenomenali, correre a velocità considerevoli e tendere agguati.

I leoni di caverna sono uno dei soggetti più comuni nelle pitture rupestri del Paleolitico ed erano probabilmente legati a qualche rituale religioso dei nostri antenati preistorici.

 

Mammut lanoso (Mammuthus primigenius)
Mammuthus primigenius
Mammuthus primigenius

Il mammut lanoso, del tutto estinto circa 5.000 anni fa, aveva bene o male le stesse dimensioni di un elefante africano moderno: un maschio adulto poteva raggiungere i 3,5 metri di altezza e pesare fino a 6 tonnellate.

Era coperto da un folta pelliccia, aveva orecchie più piccole dei suoi parenti africani per minimizzare l’impatto del freddo su appendici così delicate, e aveva due lunghe zanne ricurve che potevano superare i 4 metri e pesare 90 kg ciascuna.

I nostri antenati che cacciavano i mammut lanosi non dovevano solo affrontare la furia di un animale di 4-6 tonnellate armato di zanne lunghe qualche metro, ma dovevano anche superare la pelle (spessa fino a 2,5 cm) e lo strato di grasso sottostante (circa 10 centimetri) che proteggeva l’animale dal gelo.

 

Rinoceronte gigante siberiano (Elasmotherium)
Elasmotherium paragonato ad un rinoceronte moderno
Elasmotherium messo a confronto con un rinoceronte moderno

Genere estinto circa 20-30.000 anni fa che racchiude tre specie: la più conosciuta, Elasmotherium sibiricum, era grande quanto un piccolo mammut e aveva un corno enorme sulla fronte.

Raggiungeva i 4,5 metri di lunghezza (la specie E. caucasicum superava i 5 metri), i 2 metri di altezza al garrese e un peso di 3,5-4,5 tonnellate. Il corno sul cranio raggiungeva probabilmente i due metri di lunghezza.

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La megafauna australiana si estinse per colpa dell’uomo? https://www.vitantica.net/2017/10/13/la-megafauna-australiana-si-estinse-per-colpa-delluomo/ https://www.vitantica.net/2017/10/13/la-megafauna-australiana-si-estinse-per-colpa-delluomo/#respond Fri, 13 Oct 2017 02:00:53 +0000 https://www.vitantica.net/?p=568 Centinaia di migliaia di anni fa la Terra era popolata da vertebrati giganti, specie animali dalle dimensioni insolitamente grandi se confrontate con i loro stretti parenti ancora in esistenza, e catalogati come “megafauna”.

Anche se oggi il termine megafauna è una definizione usata abbastanza genericamente per raggruppare animali più grandi dell’essere umano, nel Pleistocene includeva giganti come il mammut, il diprotodonte australiano (il più grande marsupiale mai esistito, circa 4 metri di lunghezza), i metalupi e il glyptodon, un cugino dell’armadillo lungo oltre 3 metri e pesante 2 tonnellate.

Circa 40.000 anni fa, la megafauna australiana subì un brusco colpo che portò all’ estinzione ogni vertebrato gigante del continente; un team di ricercatori provenienti da sei differenti università sembra aver stabilito il reale colpevole di questa estinzione di massa: non fu il cambiamento climatico a cancellare i giganti del Pleistocene, ma l’essere umano.

Estinzione e cambiamento climatico

La scomparsa della megafauna australiana coincise con un cambiamento drammatico del paesaggio: una volta ricoperta da praterie e foreste pluviali, la maggior parte del territorio australiano si trasformò nell’ outback visibile oggi, e le chiazze di foresta vennero sostituite da boschi di eucalipto e arbusti.

Le ragioni di questo cambiamento non sono ancora state definitivamente chiarite, ma c’è chi ipotizza che l’estinzione della megafauna e il cambio della flora australiana siano stati causati da un drammatico cambiamento climatico, e chi sospetta che la responsabilità debba ricadere sugli incendi spontanei che sterminarono animali e piante in alcune aree, lasciando soltanto il paesaggio semi-lunare che in tempi moderni ha reso l’Australia un’ambita meta turistica.

Questo mutamento dell’ecosistema australiano ha analogie con ciò che accadde, bene o male nello stesso periodo, nel resto del mondo: tra i 130.000 e i 40.000 anni fa, la megafauna iniziò inspiegabilmente a sparire dal nostro pianeta. Chris Johnson, a capo del team di ricerca che sostiene di aver scoperto la vera ragione della scomparsa della megafauna australiana, esclude che incendi spontanei e cambiamento climatico possano aver trasformato così profondamente il territorio. La colpa, in realtà, sarebbe dell’essere umano.

Spore nelle feci

Johnson e i suoi colleghi hanno tracciato gli spostamenti della megafauna australiana nel corso dei millenni sfruttando un sistema, ampiamente collaudato, per seguire le gli spostamenti degli erbivori moderni e antichi studiando le spore e i funghi contenuti nelle loro feci.

Cronologia dell'estinzione della fauna del Pleistocene
Cronologia dell’estinzione della fauna del Pleistocene

“Il marsupiale simile ad un wombat e dalle dimensioni di un rinoceronte, chiamato Diprotodonte, i canguri giganti, un goanna (Varanus priscus ) più grosso di un dragone di Komodo, un’oca grossa il doppio di un emù, e molti altri animali, producevano grosse quantità di escrementi, all’interno dei quali prosperavano particolari specie di funghi” spiega Johnson. “Le spore di questi funghi possono preservarsi nei sedimenti di paludi e laghi. Man mano che questi sedimenti si accumulano, creano un resoconto storico sull’abbondanza degli erbivori giganti nell’ecosistema”.

“Il polline e le particelle di carbone” continua Johnson “rimangono intrappolate negli stessi sedimenti, per cui è possibile studiare la storia evolutiva dei grandi erbivori in relazione ai cambiamenti nella vegetazione e agli incendi. A quel punto, si può usare il radiocarbonio per fare una datazione”.

Analizzando principalmente i sedimenti della palude Lynch’s Crater, vecchi di oltre 130.000 anni, Johnson e i suoi colleghi hanno scoperto che circa 40.000 anni fa i mammiferi giganti iniziarono a ridursi di numero, passando da una popolazione numericamente stabile ad una in costante riduzione.

“Questo esclude il cambiamento climatico come causa dell’estinzione, dato che ci sono stati diversi periodi secchi prima dell’estinzione e non hanno avuto effetti sulla popolazione. E quando questi animali si sono estinti, il clima era stabile” sostiene Johnson basandosi sui dati raccolti da polline e funghi.

Diprotodonte
Diprotodonte
L’essere umano dietro al cambiamento climatico e all’estinzione della megafauna

“Le estinzioni hanno seguito l’arrivo dei primi esseri umani nella regione, per cui sembra che il colpevole sia l’uomo. Il nostro studio non accusa direttamente l’essere umano per l’estinzione della megafauna, ma la dinamica di estinzione più probabile sembra essere legata alla caccia. Diverse prove circostanziali suggerirebbero che sia questa la spiegazione”.

Il carbone e la cenere analizzati, sottoprodotti di incendi spontanei del Pleistocene, sembrano inoltre sostenere l’ipotesi che il cambiamento degli ecosistemi australiani non sia stato causato dal fuoco.

“I nuovi e fondamentali dati vengono dalle spore, e in combinazione con il carbone ed il polline ci raccontano l’intera storia” sostiene John Alroy del Dipartimento di Scienze Biologiche della Macquarie University. “Non c’è modo ragionevole di ribattere alle conclusioni degli autori della ricerca”.

Di parere opposto sembra essere Judith Field della University of New South Wales. Field afferma che il dato comunemente accettato è che, in realtà, il periodo coincidente con la scomparsa della megafauna sia stato molto turbolento dal punto di vista climatico. “Il dato di fatto è che la maggior parte della megafauna si estinse quasi 100.000 anni prima dell’arrivo dell’essere umano, e non c’è prova nei siti archeologici australiani che l’uomo abbia mai cacciato la megafauna”.

Un fatto è certo: l’essere umano è già stato coinvolto in diverse estinzioni di specie animali e vegetali (per non parlare del mondo microscopico), e l’idea che possa aver contribuito in modo massiccio all’estinzione della megafauna australiana non sembra un’ipotesi così assurda.

E’ già capitato con il bisonte americano (Bison bison): prima del 1800 si stima che il continente nordamericano fosse calpestato quotidianamente da 60-70 milioni di bisonti; in meno di un secolo, il numero di bisonti americani si era ridotto a circa 500 unità, raggiungendo il limite dell’estinzione funzionale nel 1900 con 300 esemplari.

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Il vero metalupo: Canis dirus https://www.vitantica.net/2017/09/17/il-vero-metalupo-canis-dirus/ https://www.vitantica.net/2017/09/17/il-vero-metalupo-canis-dirus/#comments Sun, 17 Sep 2017 13:07:21 +0000 https://www.vitantica.net/?p=354 Durante il Pleistocene, tra i 120.000 e i 10.000 anni fa, nelle Americhe si aggirava un canide molto simile al lupo grigio moderno, un predatore che si era specializzato nell’abbattimento della megafauna del tempo come bradipi giganti, cavalli e bisonti. Il Canis dirus, altrimenti detto metalupo, era uno dei predatori apicali più temibili della sua epoca.

Il metalupo si è probabilmente evoluto dal “lupo di Armbruster” (Canis armbrusteri), una specie di canide vissuta in Nord America tra i 2 milioni e i 300.000 anni fa. Il metalupo era grande quanto i più grossi esemplari di lupo grigio dello Yukon (Canis lupus pambasileus), una sottospecie di lupo canadese.

L’aspetto del metalupo

Pesava mediamente tra i 60 e i 70 kg, era alto circa 90 centimetri al garrese e lungo quasi due metri da naso a punta della coda. E’ possibile che siano esistiti esemplari più grandi, ma secondo i paleontologi la struttura scheletrica del metalupo non consentirebbe di superare i 110 kg di peso.

scheletro di metalupo

L’aspetto del metalupo era simile a quello del lupo grigio moderno , anche se il cranio era più largo e fornito di denti più lunghi di mezzo centimetro. La potenza del morso era più vicina a quella di una iena che a quella di un lupo e gli consentiva di masticare e rompere le ossa delle prede di cui si cibava per estrarne il nutriente midollo.

Uno studio sulla dentatura del genere Canis ha concluso che il morso del metalupo era il più avanzato e potente di tutte le specie di canidi americani. La mascella era leggermente più grande rispetto a quella dei lupi moderni ed era alimentata da muscoli in grado di sviluppare una forza superiore a quella del lupo grigio.

Sembra che il metalupo fosse particolarmente esposto al rischio di rottura dei denti. L’abitudine di masticare ossa per ottenere più nutrienti è una caratteristica di molti predatori moderni, come le iene e il cane selvatico africano; ma contrariamente ai predatori oggi esistenti, che hanno un rischio di rottura pari al 0,5-2,7%, il metalupo soffriva di denti rotti nel 5-17% dei casi, pari al coyote e allo smilodonte.

Le prede del metalupo

Il Canis dirus si era scavato una nicchia ecologica in un continente che lo costringeva a convivere con predatori formidabili come lo smilodonte, il leone americano (Panthera leo atrox, grande il 25% in più rispetto ad un leone moderno) e l’ orso gigante dal muso corto (Arctodus simus), una bestia così grande da raggiungere i 4 metri in posizione bipede.

Essere umano e proporzioni con metalupo e lupo grigio

La preda principale del metalupo era il cavallo selvatico; da bravo opportunista, il Canis dirus coglieva ogni occasione di cibarsi di cadaveri o abbattere individui malati o molto giovani.

L’alta frequenza di denti rotti riscontrata nei resti fossili dei Canis dirus suggeriscono che questi animali estraessero fino all’ultimo brandello di carne e midollo dalle carcasse di cui si cibavano.

Il metalupo non disdegnava tuttavia i cammelli nordamericani, i bradipi terrestri giganti e gli antichi bisonti, bestie temibili più grandi degli esemplari neolitici e moderni.

Molte delle carcasse di metalupo trovate nelle pozze di catrame di La Brea, California, riportano ferite anche molto gravi, indicando che questi canidi non si cibassero solo di carcasse ma anche di animali vivi, animali ben più grossi di loro.

Quasi tutti i predatori terrestri sociali cacciano prede dalla massa corporea pari alla massa combinata dei membri del branco. Le dimensioni del metalupo indicherebbero come preda ideale un animale dal preso compreso tra i 300 e i 600 kg: se oggi un branco di lupi può abbattere con relativa facilità un alce del peso di 500 kg, è plausibile che un branco di metalupi potesse uccidere un bisonte nordamericano.

Lo stile di vita del metalupo

Sebbene il morso di un metalupo fosse più potente di quello di un lupo moderno, la sua sola arma d’offesa non era sufficiente ad abbattere la megafauna di cui si cibava. E’ lecito supporre, quindi, che fosse un animale che viveva in branchi guidati da una coppia dominante, bene o male come i moderni lupi grigi.

Il branco forniva un vantaggio sotto ogni profilo: permetteva di difendersi da predatori più grandi e di sorvegliare efficacemente il territorio di caccia; durante i pasti, l’intero branco proteggeva gli individui intenti a cibarsi e i cuccioli da altri predatori opportunisti, come i coyote del Pleistocene.

I paleontologi che si sono dedicati allo studio di questo antico predatore ritengono che il metalupo vivesse in branchi composti da 30 o più individui. Le ferite riscontrate sulle ossa scoperte a La Brea, ferite così gravi da lasciare questi animali completamente esposti all’attacco di altri predatori, indicherebbero che i metalupi avessero un’intensa vita sociale e che proteggessero i loro feriti in attesa di una completa guarigione.

Lupo grigio canadese

Il metalupo condivideva il suo habitat con il lupo grigio, ma probabilmente era la figura dominante nel panorama dei canidi dell’epoca: nelle fosse di La Brea sono stati trovati oltre 3600 scheletri di metalupo, mentre i resti di lupo grigio ammontano solo a 15 esemplari.

Sebbene fosse un predatore dominante, il metalupo si estinse lasciando spazio al lupo grigio nel periodo in cui quest’ultimo iniziò la sua evoluzione verso la domesticazione.

Per saperne di più: Dire Wolves Were Real

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