inuit – VitAntica https://www.vitantica.net Vita antica, preindustriale e primitiva Thu, 01 Feb 2024 15:10:35 +0000 it-IT hourly 1 Il kit di sopravvivenza delle popolazioni dell’Artide https://www.vitantica.net/2020/06/08/kit-sopravvivenza-popolazioni-artide/ https://www.vitantica.net/2020/06/08/kit-sopravvivenza-popolazioni-artide/#respond Mon, 08 Jun 2020 00:12:35 +0000 http://www.vitantica.net/?p=4905 Per giugno 2020 avevo previsto un breve weekend a Londra per una visita al British Museum in occasione della mostra “Arctic“, un’esposizione incentrata sugli stili di vita tradizionali dei popoli che vivono nei pressi del circolo polare artico. Per ragioni legate al coronavirus questo viaggio è stato rimandato a data indefinita, se non del tutto annullato, ma il sito del British Museum ha reso disponibile una raccolta di foto e informazioni relativi alla mostra, come l’articolo “10 things you need to live in the Arctic“.

Cosa serve per sopravvivere all’ecosistema artico? Le popolazioni che tradizionalmente occupano le regioni più fredde del pianeta sono eccellenti nello sfruttare i pochi materiali naturali a loro disposizione per realizzare oggetti fondamentali per la sopravvivenza nella tundra o tra i ghiacci polari, come indumenti e utensili.

Stivali
Stivali Gwich'in in pelle d'alce, renna e castoro, cuciti con cotone e tendine e decorati con perle di vetro.
Stivali Gwich’in in pelle d’alce, renna e castoro, cuciti con cotone e tendine e decorati con perle di vetro.

Un buon paio di stivali è fondamentale per la sopravvivenza nell’Artico, non solo per tenere al caldo le estremità inferiori, ma anche per facilitare l’attraversamento di ghiaccio o di spesse coltri di neve.

Il popolo Gwich’in, che vive tra il Canada e l’Alaska, realizza splendidi stivali dalla pelliccia di castoro e di caribù, decorandoli con piccole perline ottenute da piccole pietre, vetro o conchiglie. Le suole degli stivali sono invece realizzate in pelle d’alce affumicata, un trattamento che la rende spessa, resistente e simile al velluto.

Gli Inuit, gli Inupiat e gli Yupic fabbricano da secoli i mukluks (o kamik), stivali soffici in pelle di renna o di foca tenuti insieme da filamenti di tendine animale, un materiale particolarmente resistente e adatto al clima artico.

Questi stivali rappresentavano lo strato intermedio della calzatura: sotto di essi si trovava uno strato di pelliccia, con il pelo rivolto verso l’interno per migliorare l’isolamento termico, mentre il piede veniva rivestito esternamente da una soletta semi-rigida in pelle conciata e affumicata.

Occhiali da neve
Occhiali da neve in poelle di renna, metallo e perle di vetro e uranio, realizzati in Russia prima del 1879.
Occhiali da neve in pelle di renna, metallo e perle di vetro e uranio, realizzati in Russia prima del 1879.

Uno dei pericoli più sottovalutati durante le escursioni tra il ghiaccio o la neve è l’esposizione alla luce solare. La cecità da neve è una patologia che si sviluppa a seguito dell’esposizione prolungata della cornea alla luce ultravioletta riflessa dai cristalli di ghiaccio.

Gli occhi iniziano a lacrimare senza sosta, il dolore nella zona oculare diventa persistente e si può arrivare alla cecità totale momentanea. I sintomi di solito non sono permanenti: dolore e cecità possono svanire entro una o due settimane, a patto di evitare ulteriore esposizione alla luce ultravioletta.

I Dolgan della Russia settentrionale e centrale fabbricano occhiali da neve in pelle di renna. Pur essendo privi di lenti ottiche, offrono una semplice ma efficace protezione per gli occhi: le fessure limitano l’ingresso dei raggi ultravioletti ma garantiscono un buon grado di visibilità.

Parka
Parka per bambino in cotone e pelli di topo muschiato, ghiottone, castoro e lontra.
Parka per bambino in cotone e pelli di topo muschiato, ghiottone, castoro e lontra.

L’abbigliamento necessario nelle regioni artiche deve essere resistente all’usura, isolante ma allo stesso tempo traspirante, per evitare che si formi della pericolosa umidità tra gli indumenti e il corpo umano. L’umidità condensata abbassa la temperatura corporea, condizione non ideale in un ecosistema in cui il calore è raro ed estremamente prezioso.

I parka, eskimo o anorak sono originari delle popolazioni Inuit, Inupiat e Yupik e venivano generalmente realizzati con pelli di renna o di foca, materiali che ancora oggi sono competitivi, in quanto a resistenza e isolamento termico, con i tessuti più moderni.

Alcuni parka, anche se non molto efficienti nell’ isolamento termico, erano completamente impermeabili: il materiale con cui venivano realizzati, interiora di foca, è totalmente idrorepellente, offre una buona protezione dall’umidità atmosferica e costituisce una barriera invalicabile per le zanzare che popolano l’estate della tundra.

Slitte
Slitta groenlandese del 1818, in osso, avorio, legno e pelle di foca.
Slitta groenlandese del 1818, in osso, avorio, legno e pelle di foca.

Viaggiare sulla neve o sul ghiaccio è faticoso e pericoloso. Le popolazioni nomadi o seminomadi, inoltre, devono muovere grandi quantità di materiale durante i loro spostamenti stagionali: cibo, tende, utensili e indumenti non possono essere trasportati su lunghe distanze con la sola forza di braccia e gambe.

Dopo aver compreso che più la superficie a contatto con la neve o il ghiaccio è estesa, più si ottiene stabilità e movimento fluido, i popoli dell’Artico iniziarono a realizzare slitte capaci di coprire distanze notevoli scivolando sulle superfici che il piede umano affronta con difficoltà.

Per le loro slitte i popoli artici sfruttavano ogni materiale a loro disposizione: ossa di animali marini o terrestri per il telaio, tendine, cuoio o fibre vegetali per il cordame, e pelle di foca per creare una copertura isolante.

Aghi
Aghi d'avorio dellla prima metà del 1800, Yupiit o Inupiat.
Aghi d’avorio dellla prima metà del 1800, Yupiit o Inupiat.

Gli Inuit e le popolazioni dell’Artico sono abili costruttori di meravigliosi aghi d’osso e di legno, con i quali possono riparare tende, indumenti e oggetti di varia natura. Gli aghi d’osso e di legno, per la natura stesse del materiale da cui vengono realizzati, non hanno le dimensioni e le caratteristiche meccaniche degli aghi moderni, ma sono incredibilmente efficaci.

Gli aghi sono utensili utilissimi per la vita quotidiana dei popoli artici: parka, stivali, canoe e tende (come i tupiq Inuit) richiedevano l’impiego di fibre resistenti (come il tendine) e di strumenti in grado di perforare con facilità cuoio e pelliccia.

Ottenere un ago efficace da un osso è un’operazione lunga e tediosa; gli aghi erano quindi beni preziosi, e venivano conservati in appositi contenitori generalmente portati sulla cintura, per essere pronti all’uso e limitare la possibilità di perderli.

Ulu e coltelli
Ulu in rame e corno realizzato in Canada prima del 1835.
Ulu in rame e corno realizzato in Canada prima del 1835.

Per gli Inuit e gli Yupik, l’ ulu non è un semplice coltello, ma un utensile multiuso impiegato per recidere, per la pulizia delle pelli, per il taglio dei capelli o per rifinire blocchi di neve in assenza di un vero e proprio coltello da ghiaccio.

Gli ulu moderni sono in acciaio, ma la lama veniva anticamente realizzata con corno di renna o avorio di tricheco. Il tipico ulu ha dimensioni che variano in base all’impiego a cui è destinato: gli ulu più piccoli (circa 5 centimetri di lunghezza della lama) sono utilizzati per il taglio dei tendini o per la decorazione della pelle, mentre quelli più grandi trovano molteplici applicazioni nella vita quotidiana degli Inuit.

Nelle regioni artiche in cui veniva praticata la metallurgia, il coltello rappresentava l’utensile di prima scelta per la maggior parte delle attività quotidiane. Gli allevatori di renne lo usavano per castrare o macellare i loro animali, per marchiare le orecchie dei capi di bestiame in modo da riconoscerli, per incidere il legno e, se necessario, per la difesa personale.

Utensili da cucina
Bollitore inuit in pietra, realizzato in Canada all'inizio del 1900.
Bollitore inuit in pietra, realizzato in Canada all’inizio del 1900.

Buona parte della dieta dei popoli artici è composta da nutrienti di origine animale. Alcuni possono essere consumati crudi, altri invece necessitano di cottura prima di essere ingeriti. Anche alcune delle poche fonti vegetali di nutrienti, come erbe, tuberi, bacche e alghe necessitano di cottura per risultare commestibili o gradevoli al palato.

La cottura non consisteva esclusivamente nell’esposizione degli alimenti alla fiamma vita: gli Inuit utilizzavano bollitori di roccia metamorfica, blocchi di pietra che venivano scavati con pazienza e perizia per consentire la bollitura di cibo e acqua.

10 things you need to live in the Arctic

Eskimo Lamps and Pots

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Il paradosso alimentare degli Inuit https://www.vitantica.net/2019/05/24/paradosso-alimentare-inuit/ https://www.vitantica.net/2019/05/24/paradosso-alimentare-inuit/#respond Fri, 24 May 2019 06:39:57 +0000 https://www.vitantica.net/?p=4190 L’alimentazione tradizionale dei popoli eschimesi potrebbe sembrare, secondo gli standard moderni, del tutto sbilanciata: si basa principalmente su carne e grassi animali, con l’aggiunta sporadica di bacche, alghe e dei pochi tuberi in grado di crescere nella tundra durante la stagione più calda.

Circa il 50% delle calorie ingerite dagli Inuit proviene da grassi, il 30-35% da proteine di origine animale e il restante 15-20% da carboidrati; nonostante questo forte disequilibrio di nutrienti fondamentali, gli Inuit sono stati considerati in passato uno dei popoli più in salute del pianeta.

E’ possibile vivere senza conseguenze seguendo una dieta di questo tipo? E’ vero che gli Inuit mantengono una salute di ferro seguendo uno stile alimentare del tutto sconsigliato in tempi moderni, ciò che viene definito “il paradosso alimentare Inuit”?

La dieta degli Yup’ik

Il popolo Yup’ik, insieme agli Inupiat (o Inuit), costituisce uno dei due principali gruppi etnici eschimesi. Il loro stile alimentare, sostanzialmente identico a quello Inuit, è uno dei più antichi al mondo e ha radici che affondano nei primi spostamenti degli eschimesi dalla Siberia al Nord America, avvenuti tra 50.000 e 15.000 anni fa.

La cucina Yup’ik si basa principalmente su proteine e grassi animali. In base alla stagione, gli Inuit e gli Yup’ik cacciano principalmente foche, trichechi, mammiferi marini, orsi bruni, alci e renne, arricchendo la loro dieta con grandi quantità di pesce, crostacei, molluschi e uccelli marini.

Gli Yup’ik pescano almeno 6 specie di salmone, un pesce alla base della loro dieta, e cacciano cinque specie differenti di foche, che forniscono non solo cibo ma anche materiale per utensili, pelle per i vestiti tradizionali e olio. Ogni animale terrestre è considerato una potenziale fonte di cibo o di pelle, compresi i porcospini nordamericani, gli scoiattoli, le marmotte e le lontre.

I vegetali, in rapporto a proteine e grassi animali, costituiscono una piccola parte dell’alimentazione eschimese. La tundra non consente la crescita di piante da frutto, costringendo i popoli locali a nutrirsi di radici, bacche o licheni come il Cladonia rangiferina, di cui le renne vanno particolarmente ghiotte.

Inuit durante la caccia alla foca in Alaska (1903-1915). Photographer: Lomen Brothers, Nome, Alaska
Inuit durante la caccia alla foca in Alaska (1903-1915). Photographer: Lomen Brothers, Nome, Alaska

Un alimento molto pregiato per gli Yup’ik è quello che viene definito “anlleq” (“cibo dei topi”), una collezione di radici immagazzinate dalle arvicole prima dell’inverno nei loro rifugi sotterranei.

Gli anziani Inuit e Yup’ik insegnano ai loro giovani come raccogliere queste radici, lasciando sempre sul posto metà del deposito a disposizione del roditore per garantire la sua sopravvivenza.

Nutrienti essenziali, non cibi essenziali

Per comprendere meglio come possano gli eschimesi mantenere questo regime alimentare fortemente sbilanciato a favore di grassi e proteine, e apparentemente privo di carboidrati, vitamine e fibre, occorre analizzare con attenzione il cibo che introducono quotidianamente nel loro organismo.

Occorre innanzitutto effettuare una distinzione tra “cibi essenziali” e “nutrienti essenziali”. Siamo stati abituati a pensare che cereali, verdura e frutta debbano costituire la base di una dieta equilibrata e sana, ma la realtà è più complessa di questa banale generalizzazione.

Non è la natura del cibo (animale o vegetale) che fa la differenza, ma il suo contenuto di nutrienti essenziali. La vitamina C, ad esempio, indispensabile per evitare lo scorbuto, non è prerogativa di frutta acida come limoni e arance, ma è presente anche negli organi interni di alcuni animali, e in quantità sorprendenti.

La quantità di carboidrati presente nella dieta Inuit, invece, è solo in parte ottenuta da alghe, bacche e tuberi: una buona porzione di questi carboidrati si genera durante la fermentazione di proteine animali, o si può ottenere dalla carne cruda dei mammiferi marini.

Il problema della vitamina C

La vitamina C (acido ascorbico) è essenziale per evitare lo scorbuto, una malattia citata fin dal 1.500 a.C. e che causa la compromissione di tessuto connettivo e osseo.

L’essere umano, contrariamente ad altri animali che sintetizzano l’acido ascorbico attraverso il fegato, dipende da sorgenti esterne per rifornirsi di vitamina C: limoni, arance e verdura contribuiscono a mantenere livelli ottimali di vitamine nel nostro organismo.

Per combattere lo scorbuto a bordo delle navi, fin dal XVI secolo si iniziò a trasportare alimenti contenenti vitamina C, come il tè al cedro; ma questa vitamina tende ad ossidarsi col passare del tempo e a degradarsi totalmente con la cottura, aspetti che resero difficile contrastare lo scorbuto fino a tempi relativamente recenti.

Ma come è possibile ottenere questa vitamina in un clima rigido come quello in cui vivono gli Inuit, senza disponibilità di frutta acida e di verdura? Per evitare lo scorbuto occorre una dose giornaliera di circa 30 milligrammi di vitamina C, e la dieta eschimese fornisce una quantità più che sufficiente di vitamina.

Gli organi interni di foche e altri mammiferi marini o terrestri, se consumati crudi, hanno un elevato contenuto di vitamina C: il fegato di renna contiene circa 24 milligrammi di acido ascorbico ogni 100 grammi, mentre il cervello di foca quasi 15 milligrammi.

Muktuk
Muktuk

Il muktuk, un alimento tradizionale costituito da pelle e grasso di balena consumato tradizionalmente crudo, contiene fino a 38 milligrammi di vitamina C ogni 100 grammi, un contenuto quasi equivalente a quello di un’ arancia.

Pochi carboidrati, molti grassi e proteine

La dieta tradizionale Inuit e Yup’ik prevede pochi carboidrati e una quantità enorme di grassi e proteine; apparentemente, questo squilibrio sembra non scatenare particolari effetti nocivi sull’organismo umano.

Il grande quantitativo di grassi è giustificabile da due ragioni: i grassi sono nutrienti altamente energetici e contribuiscono a fornire preziose kilocalorie per lavorare e sopravvivere in un ambiente ostile come la tundra e l’Artico; in secondo luogo, i grassi servono ad evitare di incorrere nella “malattia del caribù” (spiegata in questo post) in una dieta povera di carboidrati e ricca di proteine.

La differenza sostanziale con alcune diete moderne a base di grassi e proteine risiede tuttavia nella qualità dei nutrienti assunti: non tutti i grassi sono uguali, in particolar modo quelli provenienti da animali d’allevamento e quelli estratti da animali selvatici.

I depositi adiposi degli animali d’allevamento generalmente sono ricchi di grassi saturi, notoriamente non proprio salutari. Gli animali che vivono allo stato brado, invece, hanno meno grassi saturi e quantità superiori di grassi monoinsaturi; in aggiunta, pesci e mammiferi marini contengono grassi acidi omega-3, che contribuiscono a mantenere sano il sistema cardiovascolare.

Il muktuk, ad esempio, oltre a vitamina C e D ha una parte grassa composta al 30% da omega-3, costituendo uno degli alimenti grassi di origine animale meno dannosi dell’intero regno animale.

Gli omega-3, oltre ad apportare qualche piccolo beneficio al sistema cardiovascolare (benefici messi in discussione da ricerche recenti), fungono anche da “aspirina naturale” alleviando alcuni processi infiammatori; non sono tuttavia salutari se assunti in dosi massicce, come ogni altro nutriente.

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Regime alimentare miracoloso?

Anche se è vero che gli eschimesi sono in grado di contrastare lo scorbuto, l’inedia da coniglio e alcuni disturbi (come il diabete) tipici delle civiltà industrializzate attraverso la loro dieta, non è tutto oro quello che luccica.

Negli ultimi 30 anni sono state effettuate ricerche che hanno messo in evidenza come la dieta degli Inuit e degli Yup’ik non sia particolarmente sana, e che il loro stile di vita alimentare non abbia nulla di miracoloso.

Il mito del “paradosso Inuit” ebbe inizio negli anni ’70 del 1900 con il viaggio in Groenlandia di due medici danesi, Hans Olaf Bang e Jorn Dyerberg. Analizzando il numero di ricoveri in ospedale e la mortalità registrata nelle strutture sanitarie groenlandesi, dedussero (erroneamente) che gli eschimesi fossero in ottima salute pur mantenendo una dieta a base di grassi e proteine.

Gli Inuit e gli Yup’ik, contrariamente a quanto sostenuto in passato, soffrono di arteriosclerosi quanto le popolazioni non eschimesi. Fanno registrare inoltre una mortalità superiore per infarto e un’aspettativa di vita di 10 anni inferiore rispetto ai nordamericani non eschimesi.

L’assenza di fonti di calcio nella dieta tende a causare, negli individui di età superiore ai 40 anni, una demineralizzazione delle ossa: si parla di una densità ossea per nulla trascurabile, inferiore del 10-15% rispetto a individui non eschimesi.

Il consumo di carne cruda è invece la ragione alla base di una diffusa parassitosi da Trichinella spiralis, un parassita rilevato nell’intestino del 12% degli anziani Inuit e presente nella carne cruda di foca, tricheco e orso.

Il consumo di enormi quantità di proteine animali, infine, ha un peso sulle funzioni di fegato e reni, organi che devono lavorare in continuazione per espellere le scorie. Inuit e Yup’ik hanno generalmente un fegato più voluminoso di individui non eschimesi per poter processare una quantità in eccesso di proteine animali.

Extreme Nutrition: The Diet of Eskimos*
“The Eskimo Myth”
New Study Explodes the ‘Eskimo Myth
The Inuit Paradox

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Documentario: Le storie di Tutku https://www.vitantica.net/2018/12/21/documentario-le-storie-di-tutku/ https://www.vitantica.net/2018/12/21/documentario-le-storie-di-tutku/#respond Fri, 21 Dec 2018 00:10:12 +0000 https://www.vitantica.net/?p=3069 Tra tutti i popoli che vivono in Nord America, gli Inuit sono probabilmente i più difficili da comprendere per un invididuo civilizzato. Vivendo in una striscia di terra lunga 5.000 chilometri che va dallo Stretto di Bering alla Groenlandia, i contatti tra Inuit e mondo moderno sono stati praticamente inesistenti fino al termine del XIX secolo.

Contrariamente al resto dei nativi americani, le cui culture e tradizioni sono da secoli oggetto di numerosissime interpretazioni (talvolta errate) da parte dell’opinione pubblica e della scienza, gli Inuit sono rimasti pressoché sconosciuti per la maggior parte della loro storia, anche se nel XX secolo hanno spesso attratto l’attenzione per le loro tradizioni, come la caccia alla foca.

Gli Inuit non vivono soltanto in una delle regioni più difficili e remote del pianeta, ma stanno subendo una distruzione sistematica del loro stile di vita tradizionale, eroso dalla modernità e da concetti del mondo moderno che hanno poco o nulla a che vedere con la sopravvivenza tra i ghiacci.

Anche se il freddo, i cani da slitta e gli igloo sono stati sostituiti da stufe elettriche, motoslitte e prefabbricati, è possibile avere uno scorcio delle antiche tradizioni Inuit grazie alla serie “Le storie di Tuktu“, documentari di 15 minuti filmati nel 1967 dal regista canadese Laurence Hyde.

Hyde ha incontrati gli Inuit Netsilik canadesi quando il loro stile di vita non era stato ancora “corrotto” dalla modernità. I Netsilik erano tradizionalmente cacciatori e pescatori: non avendo piante commestibili nel loro territorio, cibo e materiali di prima necessità provenivano quasi esclusivamente da animali.

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Durante i mesi estivi, i Netsilik cacciavano i caribù che vagavano nella tundra, ottenendo carne e pelli indispensabili per la sopravvivenza autunnale e invernale. In inverno, invece, i Netsilik migravano verso il ghiaccio per la caccia alle foche e per la pesca ai salmerini, conservando il surplus alimentare all’interno di blocchi di ghiaccio.

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La serie “Le storie di Tuktu” è una docu-fiction che ha come protagonista Tuktu, un anziano Inuit che, nel corso degli episodi, ricorda lo stile di vita tradizionale dei Netsilik. In ogni puntata viene analizzato un aspetto della vita quotidiana: dalla caccia alla pesca, dalla costruzione di slitte, kayak e igloo all’addestramento dei cani da slitta.

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