film – VitAntica https://www.vitantica.net Vita antica, preindustriale e primitiva Thu, 01 Feb 2024 15:10:35 +0000 it-IT hourly 1 La storia di Hugh Glass https://www.vitantica.net/2019/06/24/la-storia-di-hugh-glass/ https://www.vitantica.net/2019/06/24/la-storia-di-hugh-glass/#comments Mon, 24 Jun 2019 00:02:17 +0000 https://www.vitantica.net/?p=4353 Hugh Glass fu un uomo di frontiera, cacciatore ed esploratore americano rimasto nell’immaginario collettivo per il suo tragico incontro con un grizzly. Il suo devastante incontro con un orso e la sua straordinaria capacità di sopravvivenza, con l’aggiunta di particolari di fantasia o non confermati, sono stati rappresentati nel film “The Revenant“, in cui Leonardo DiCaprio interpretava il cacciatore di pelli di origini irlandesi-scozzesi.

Ma quanto c’è di vero nella pellicola cinematografica? Quanto realmente sappiamo sulla vita e sulle imprese di Hugh Glass, uno degli uomini-simbolo della vita nella natura selvaggia e della lotta feroce per la sopravvivenza?

Hugh Glass, pirati e Pawnee

Si sa ben poco sulla vita di Hugh Glass prima della spedizione di caccia che lo portò all’incontro con un grizzly. Sappiamo che nacque in Pennsylvania, ma la data (1783) e la località (Stanton) di nascita sono tutt’ora difficilmente dimostrabili con la documentazione dell’epoca.

Nelle memorie di George C. Yount, un cacciatore di pelli che nel 1825 attraversò le Montagne Rocciose in compagnia di Hugh Glass, ci viene raccontato che tra il 1817 e il 1820 l’esploratore si trovava probabilmente a bordo di un vascello americano catturato dal celebre pirata francese Jean Lafitte.

Secondo il racconto di Yount, Lafitte offrì a Glass due opzioni: morire sul posto o entrare a far parte della sua ciurma. Glass scelse la seconda e per i successivi due anni visse in una piccola colonia a Galveston Island chiamata Campeachy, una località pericolosa non solo per la presenza di pirati che solcavano il Golfo del Messico ma anche a causa delle tribù native locali che non perdevano occasione per uccidere e cannibalizzare gli Europei.

Giunto il momento opportuno, Glass ed un suo compagno decisero di fuggire dalla nave di Lafitte nuotando per tre chilometri per raggiungere la terraferma e sopravvivendo con la caccia e la raccolta, cercando di rimanere nascosti dai nativi Karankawa mentre tentavano di trovare un insediamento sicuro in cui rifugiarsi.

Ritratto di Hugh Glass
Ritratto di Hugh Glass

Glass e il suo compagno viaggiarono per oltre 1.500 km verso Nord (secondo la versione dei fatti raccontata da Glass a Yount) in pieno territorio indiano, evitando nativi Comanche, Osage e Kiowa ma imbattendosi in un gruppo di Skiri, una tribù Pawnee nota per effettuare sacrifici umani. Hugh fu costretto ad assistere al sacrificio del suo compagno di fuga e fu inizialmente risparmiato in attesa del momento propizio per compiere un altro rituale sacrificale.

Per qualche ragione non ancora chiara, Glass fu risparmiato. La leggenda vuole che, al momento del suo sacrificio, Glass si inchinò di fronte al capo tribù offrendogli una fiala di polvere di cinabro, un minerale rosso a base di mercurio utilizzato come pigmento di guerra dai Pawnee e da altre tribù di nativi. Impressionato dal gesto, il capo clan decise di salvare quel’uomo bianco e renderlo un membro della comunità.

Secondo il racconto trascritto da Yount, fu adottato come figlio dal capo tribù. Nel corso della sua permanenza con i Pawnee, Glass apprese i loro segreti di sopravvivenza, si sposò con una nativa e partecipò ad alcune guerre tra clan rivali, prima di abbandonare la tribù per unirsi alle spedizioni europee di cacciatori di pelli.

Gli storici del West non sono in grado di determinare quanto il racconto di Yount sia vero. Glass era sicuramente in buoni rapporti con i Pawnee, ma è possibile che la sua storia sia stata arricchita di elementi di fantasia.

Non abbiamo alcuna prova certa, e spesso nemmeno uno straccio di indizio, che Glass avesse effettivamente sposato una Pawnee, come non esistono prove della sua partecipazione a guerre tra clan di nativi.

La spedizione di William Ashley del 1821

L’epoca degli “uomini di montagna” (mountain men), cacciatori di pelli coriacei e in grado di sopravvivere tra la natura selvaggia del West, inizia ufficialmente con i “100 giovani intraprendenti”, una spedizione voluta dal generale William Henry Ashley, membro della Rocky Mountain Fur Company, allo scopo di seguire il percorso del fiume Missouri per raggiungere le zone più ricche di castori.

I “100 di Ashley” contavano mountain men celebri, come Jedediah Smith, James Beckwourth, John S. Fitzgerald, David Jackson e William Sublette, ma Glass non fu tra i primi ad arruolarsi e si unì alla spedizione solo l’anno successivo, nel giugno 1823.

Poco dopo il suo arrivo, la spedizione fu attaccata da un gruppo di Arikara, nativi locali dediti all’agricoltura di sussistenza e al commercio di prodotti locali come mais, zucche e tabacco. I coloni europei consideravano gli Arikara troppo imprevedibili e il fatto di averli estromessi dal commercio di pelliccia li rendeva ancora più pericolosi, visti i precedenti di rapine e omicidi nei confronti di commercianti di pelli di passaggio.

Ashley sbarcò nei pressi di uno dei due villaggi Arikara sul fiume Missouri per tentare di trattare con loro ed evitare problemi futuri; i nativi desideravano compensazione per l’uccisione di alcuni loro guerrieri da parte di un’altra compagnia di cacciatori di pelli, ed Ashley non esitò a ripagarli pur di mantenere rapporti pacifici con loro.

Jedediah Smith
Jedediah Strong Smith, uno dei più celebri mountain men e membro della spedizione di Ashley. Nel 1823 anche lui sarà vittima dell’attacco di un grizzly, riportando costole rotte, un orecchio staccato  (ricucito sul campo da un suo compagno) e una profonda cicatrice sul viso.

Dopo aver ottenuto qualche decina di cavalli cedendo in cambio di 25 moschetti con munizioni, Ashley ordinò a Jedediah Smith e ai suoi uomini (tra i quali Hugh Glass) di sorvegliare la piccola mandria e guidarla a Fort Henry il giorno successivo.

Durante la notte, si udirono grida provenire da uno dei villaggi: Edward Rose e Aaron Stephens, due cacciatori della compagnia di Ashley, si erano introdotti nell’accampamento dei nativi al tramonto, in cerca di compagnia femminile. Rose arrivò dai suoi compagni correndo, gridando che Stephens era stato ucciso e mettendo in allerta tutta la compagnia di cacciatori. Ashley decise comunque di attendere l’alba prima di abbandonare il posto.

Alle prime luci dell’alba, Ashley e la compagnia si resero conto della situazione: i guerrieri Arikara erano chiaramente visibili lungo la palizzata che delimitava il loro villaggio, intenti a caricare i moschetti scambiati recentemente con gli esploratori in cambio di cavalli.

In poco tempo iniziarono ad esplodere colpi verso Ashley e i suoi uomini, rendendone difficile la fuga. Convinti della loro vittoria, gli Arikara abbandonarono la sicurezza della palizzata per avvicinarsi ai cacciatori. Gli esploratori europei in grado di nuotare si lanciarono nel fiume; i più deboli e i feriti sparirono tra le correnti.

Nel giro di circa 15 minuti dal primo colpo di moschetto, 14 uomini di Ashley avevano perso la vita e 11 erano rimasti feriti, tra i quali anche Hugh Glass. I sopravvissuti riuscirono a fuggire per rifugiarsi a Fort Kiowa, dove Glass ebbe modo di riprendersi dalla ferita ed essere reclutato per una nuova spedizione verso Fort Henry sotto la guida di Andrew Henry e in compagnia di altri 30 uomini.

Il grizzly più famoso della storia (e del cinema)

Hugh Glass e il grizzly

La spedizione di Henry e Glass fu attaccata durante la notte da due tribù Hidatsa, generalmente amichevoli verso gli esploratori bianchi. Questo insolito attacco causò la morte di due uomini e il ferimento di altri due, come raccontò in seguito Moses “Black” Harris, uno dei membri della spedizione.

Dopo essere sfuggiti all’attacco e aver raggiunto la Grand River Valley, Glass si distaccò dal gruppo per le attività di caccia, incontrando una femmina di grizzly in compagnia di due cuccioli. Non appena notò la sua presenza, l’orso attaccò quasi immediatamente il cacciatore colpendolo ripetutamente con le zampe, mordendolo alla testa e saltandogli sul corpo.

Glass tentò inizialmente di difendersi, sparando con il suo fucile contro l’orso in carica, ma il colpo sembrò non avere alcun effetto. Tentò anche di arrampicarsi su un albero dopo aver subito la prima carica, ma il grizzly lo trascinò a terra e gli strappò brandelli di carne dalla schiena. Dopo una piccola pausa per portare i pezzi di carne umana ai suoi piccoli, l’orso riprese ad attaccare Glass, che lo colpì ripetutamente con il suo pugnale.

Non sappiamo se furono il fucile ed il pugnale di Glass ad uccidere l’orso, o i colpi esplosi da altri due cacciatori che accorsero sul posto dopo aver sentito i gemiti disperati dell’uomo. Sappiamo però che il grizzly fu ucciso e scuoiato per la sua pelliccia.

Le condizioni di Glass furono giudicate così gravi da non lasciar sperare nulla di buono: i membri della spedizione erano certi che l’uomo sarebbe morto entro la mattinata successiva. All’alba tuttavia Glass era ancora vivo: Henry, per non mettere a rischio l’intera compagnia, decise di trasportare il ferito su una lettiga improvvisata con rami di pino.

Per due giorni i compagni di Glass lo trasportarono lungo il fiume Yellowstone, un tributario del fiume Missouri, procedendo con lentezza pericolosa: il rischio di attacco da parte dei nativi era troppo alto e costrinse Henry a lasciare due volontari in compagnia di Glass nell’attesa del suo imminente decesso, in modo tale da far procedere la compagnia più velocemente.

I due volontari, che accettarono una ricompensa di 80 dollari (altre fonti dicono 400 $) per rimanere al fianco di Glass, erano John Fitzgerald e un giovane di nome James Bridger (chiamato “Bridges” in uno dei resoconti dell’epoca), ma l’dentità di quest’ultimo non è del tutto certa.

Anche se incapace di muoversi, Glass era ancora vivo cinque giorni dopo la partenza di Henry. Terrorizzati da una possibile aggressione da parte dei nativi, Fitzgerald e Bridger decisero di abbandonare il compagno nei pressi di una sorgente prendendo con loro tutto l’equipaggiamento di Glass, compresa la sua arma da fuoco, il suo coltello, un tomahawk e il kit per il fuoco.

L’epica sopravvivenza di Glass

Solo, ferito e senza equipaggiamento, Glass radunò le poche energie rimaste per strisciare verso il fiume Missouri per poter raggiungere Fort Kiowa, l’unico posto in cui avrebbe potuto curare efficacemente le sue ferite e riottenere l’equipaggiamento perduto.

Il percorso di Hugh Glass fino a Fort Kiowa
Il percorso di Hugh Glass fino a Fort Kiowa

Per rendere l’idea delle condizioni di Glass, secondo i resoconti di Henry e dei mebri della spedizione il cacciatore aveva una frattura scomposta alla gamba, la gola totalmente compromessa (non riuscì più a parlare con la sua voce naturale per il resto della sua vita) e ferite così profonde sulla schiena da lasciare esposte le costole. Glass sistemò l’osso della gamba alla meglio, si avvolse nella pelle d’orso che era stata posata su di lui come sudario e iniziò a muoversi trascinandosi sul terreno con le braccia e la gamba sana.

A causa delle ferite, il viaggio fu inizialmente molto lento e faticoso. Glass fu costretto a nutrirsi di insetti, serpenti e bacche. Dopo una settimana, l’esploratore si trovò ad assistere ad un attacco di lupi nei confronti di un cucciolo di bisonte; attendendo con pazienza il momento propizio, riuscì a sottrarre ai predatori ormai sazi una buona metà della carcassa.

Glass si accampò per qualche giorno, dando modo al corpo di riprendersi grazie alle proteine ottenute dal bisonte. Riuscì a recuperare parzialmente le energie, a curare le ferite più lievi e a prevenire la cancrena di quelle più profonde lasciando che i vermi si cibassero della carne in decomposizione in corrispondenza delle lesioni.

In qualche modo Glass riuscì a raggiungere il fiume Missouri e ad ottenere una canoa di pelli da alcuni indiani Lakota (che gli offirono un pasto a base di carne di cane), raggiungendo così Fort Kiowa nell’ottobre del 1823 dopo aver coperto oltre 300 km.

Dopo aver recuperato le forze, Glass era intenzionato a cercare vendetta nei confronti di chi lo aveva abbandonato sequestrandogli ogni strumento utile a sopravvivere. Essendo venuto a sapere che Fitzgerald e Bridger si trovavano a Fort Henry, si aggregò ad una spedizione diretta verso il forte dopo aver ottenuto a credito un fucile, delle munizioni e alcuni beni di prima necessità.

Anche in questo caso, Glass si salvò per il rotto della cuffia sbarcando un giorno prima che gli Arikara massacrassero l’intera spedizione. Dopo essere stato avvistato dagli Arikara il giorno successivo, fu tratto in salvo da due guerrieri Mandan che lo trasportarono a Tilton’s Post, un punto di scambio della Columbia Fur Company. La notte stessa Glass lasciò il fortino per raggiungere Fort Henry, non sapendo che Andrew Henry era stato costretto ad abbandonarlo a causa degli attacchi dei Piedi Neri.

Dopo 38 giorni di marcia, Glass raggiunse un Fort Henry deserto. Secondo alcuni storici, l’esploratore trovò un biglietto che spiegava le ragioni dell’abbandono e la posizione del nuovo Fort Henry; Hugh fu comunque in grado di determinare la posizione del fortino, collocato a circa 50 km di distanza, e raggiungerlo nel capodanno del 1823.

La rinuncia alla vendetta

Gli uomini di Fort Henry furono inizialmente sgomenti nel vedere Glass vivo e vegeto. Il cacciatore fu inondato di domande su come fosse riuscito a sopravvivere, domande a cui rispose con calma apparente per poi chiedere “Dove sono Fitzgerald e Bridger?”.

L’unico presente a Fort Henry era Bridger. Dopo un breve confronto sulle ragioni del suo abbandono, Glass decise di perdonare il giovane cacciatore, ritenendo che la vera colpa delle sue sventure fosse attribuibile a Fitzgerald. Decise quindi di ripartire, al termine del periodo più duro dell’inverno, per Fort Atkinson, meta dell’uomo che lo aveva abbandonato.

Secondo i racconti dell’epoca, la vendetta di Glass, più che per l’abbandono in balia degli elementi, era incentrata sul recupero del suo amato fucile, un Hawken calibro .54 che lo accompagnava fin dalla sua permanenza con i Pawnee dopo la fuga dal pirata Lafitte.

In compagnia di altri 4 uomini, Glass lasciò Fort Henry il 29 febbraio 1824 con la missione ufficiale di consegnare un dispaccio a Fort Atkinson, ma con il preciso intento di recuperare il suo fucile e farla pagare a Fitzgerald. L’arrivo della primavera aveva riempito i fiumi con l’acqua di disgelo, forzando gli uomini a costruire canoe di pelle di bisonte per percorrere agevolmente il North Platte River.

Dopo qualche giorno il gruppo si imbattè in alcuni indiani lungo la riva del fiume. Pensando che fossero Pawnee, in 4 sbarcarono accettando l’invito del capo tribù ad unirsi a loro. Glass tuttavia riuscì ad accorgersi che alcuni nativi parlavano un dialetto Arikara: alla prima occasione tentò la fuga con i compagni, ma finì per restare ancora una volta isolato nella natura selvaggia, senza fucili (rimasti sulle imbarcazioni) e a centinaia di chilometri di distanza dalla civiltà.

Per evitare l’incontro con altri Arikara, Glass lasciò le rive del fiume e iniziò a dirigersi verso Fort Kiowa. Fortunatamente per lui, la primavera gli offrì numerosi cuccioli di bisonte da uccidere per sostenersi durante il viaggio, riuscendo a raggiungere il forte senza problemi o incontri con nativi ostili.

Tornato a Fort Kiowa, Glass ripartì quasi immediatamente per Fort Atkinson, raggiungendo il fortino nel giugno del 1824 e chiedendo al suo arrivo un faccia a faccia con Fitzgerald. Quest’ultimo, arruolatosi nell’esercito, era ormai considerato tecnicamente “proprietà del governo”: dopo aver ascoltato il racconto di Glass, il capitano della compagnia restituì all’esploratore il fucile sottratto da Fitgerand un anno prima e lo obbligò a dimenticare l’accaduto per non incorrere nelle gravi punizioni previste per l’assalto ad un soldato.

Glass dimenticò Fitzgerald anche grazie al rimborso di 300 dollari ricevuto dal capitato di compagnia di Fort Atkinson come compensazione per le peripezie vissute a causa di Fitzgerald.

Glass continuò a dedicarsi al trapping e al mercato dela pelliccia per gli anni successivi fino al 1833, anno in cui fu attaccato dai nativi Arikara lungo il fiume Yellowstone e ucciso, scalpato e derubato insieme ai suoi due compagni di caccia.

Le differenze rispetto al film “The Revenant”
  • Non c’è alcuna prova che Glass si sia mai sposato con una Pawnee;
  • Il figlio mezzosangue della pellicola, membro della spedizione in cui Glass fu attaccato dall’orso, non è mai esistito;
  • Fitzgerald non tentò di soffocare Glass, come si vede nel film, e nemmeno di uccidere il figlio sanguemisto;
  • Glass non saltò da una rupe e non si rifugiò nella carcassa del suo cavallo morto;
  • Non fu aiutato da un nativo nell’episodio del bufalo attaccato dai lupi;
  • Glass non si vendicò contro Fitzgerald, che godeva della protezione dell’esercito.

The Real Story of ‘The Revenant’ Is Far Weirder (and Bloodier) Than the Movie
The Real Story of Hugh Glass

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Quanto sono forti le grandi scimmie antropomorfe? https://www.vitantica.net/2019/05/31/quanto-sono-forti-grandi-scimmie-antropomorfe/ https://www.vitantica.net/2019/05/31/quanto-sono-forti-grandi-scimmie-antropomorfe/#respond Fri, 31 May 2019 00:02:21 +0000 https://www.vitantica.net/?p=4277 “L’alba del pianeta delle scimmie”, il remake de “Il pianeta delle scimmie” del 1968, ha riportato nuovamente la ribalta le grandi scimmie antropomorfe, rendendole protagoniste di una battaglia per l’emancipazione dal controllo umano.

Parlare a fondo della trama sarebbe tempo sprecato, dato che pressoché chiunque conosce, anche solo vagamente, il tema  della saga: scimmie super-intelligenti sovvertono il mondo che conosciamo, prendendo il controllo e sottomettendo la razza umana grazie alla loro superiorità fisica e intellettiva.

Uno degli aspetti che scimpanzé, gorilla e orangutan de “Il pianeta delle scimmie” sfruttano a loro vantaggio è una forza decisamente superiore a quella dell’essere umano: scagliano uomini a metri di distanza, frantumano crani e ossa a mani nude, compiono salti che sembrano avere ben poco a che fare con le leggi della fisica conosciuta (specialmente nel remake del 2001 di Tim Burton).

Nel film “L’alba del pianeta delle scimmie” la forza dei primati viene drasticamente ridotta rispetto alle pellicoleprecedenti e i balzi sono stati ridimensionati per potersi avvicinare quanto più possibile alle scimmie della realtà, pur mantenendo un certo grado di spettacolarità.

Le reale forza delle scimmie antropomorfe: gli scimpanzé

Quanto sono forti le grandi scimmie antropomorfe?

Guardando la pellicola, la domanda che sorge è questa: quanto è effettivamente superiore la forza fisica delle grandi scimmie antropomorfe se paragonata a quella umana? Dare una risposta corretta è difficile. Studi scientifici dettagliati sulla reale forza fisica dei primati non ce ne sono molti, e ciò che sappiamo si basa per la maggior parte su aneddoti e testimonianze indirette.

Iniziamo con gli scimpanzé. Nel 1924, gli addetti agli scimpanzé dello Zoo del Bronx misurarono la forza di trazione di un esemplare di 74 kg di peso, di nome Boma, tramite un dinamometro, scoprendo che riusciva ad esercitare una forza di 384 kg con la sola mano destra. Un essere umano dello stesso peso riuscirebbe a eseguire una trazione con una sola mano di circa 95 kg.

Un altro scimpanzé dello stesso zoo, di nome Suzette, che pesava circa 61 kg, ha fatto registrare una forza di 571 kg. Nel sollevamento di pesi all’altezza della vita, invece, è ormai noto che gli scimpanzé siano in grado di sollevare almeno 250 kg senza troppi sforzi.

C’è, però, un problema. L’ approssimazione delle misurazioni relative alla forza degli scimpanzé, approssimazione che li vede 5-6 volte più forti dell’essere umano, è stata smentita circa 20 anni dopo le misurazioni su Boma e Suzette. Uno scimpanzè adulto resta comunque più forte di un essere umano, ma di circa due volte se si correggono alcuni errori nelle misurazioni del 1924 e si fa il giusto rapporto con la massa corporea dell’animale.

Una forza sufficiente a causare gravi danni, se non addirittura uccidere un essere umano adulto senza troppe difficoltà, ma non tale da scagliare un essere umano dall’altra parte della stanza con un solo manrovescio. Come si è potuto originare un errore così grossolano?

Sembra che non sia stata colpa di nessuno, o quasi. Di certo le misurazioni di John Bauman, il biologo che eseguì la ricerca, non erano le più attendibili di questo mondo, e fu lo stesso ricercatore a sottolineare che l’agitazione degli animali e l’adrenalina che scorreva nei loro corpi potrebbe aver giocato un ruolo chiave in una prestazione così eccezionale.

La forza dei gorilla

Quanto sono forti le grandi scimmie antropomorfe?

Se passiamo ai gorilla, la faccenda si fa interessante e tremendamente seria, anche se i numeri conosciuti dal grande pubblico sono da ridimensionare.

Teniamo sempre a mente che un maschio di gorilla di montagna pesa oltre 200 kg per circa 1,7 metri di lunghezza, e ha una struttura muscolare molto più potente e performante di quella di un essere umano; ma esperimenti sui gorilla, simili a quello eseguito nello Zoo del Bronx, non ne sono mai stati fatti e la valutazione della loro forza è basata sui dati ottenuti dalle testimonianze di gorilla in cattività e in natura.

I gorilla hanno più muscoli nella parte superiore del corpo che in quella inferiore, contrariamente all’essere umano, principalmente per il fatto che utilizzano le braccia per muoversi, per manipolare oggetti pesanti e per la difesa del branco.

Il loro braccio, inoltre, è di circa 30 cm più lungo di quello umano. Questo si traduce in leve più lunghe e biomeccanicamente più efficaci per quanto riguarda l’espressione della forza bruta, e in una quantità maggiore di massa muscolare negli arti superiori. Per approssimazione, possiamo dire che la forza delle braccia di un gorilla è almeno 3-5 volte più elevata di quella di un uomo adulto di pari peso.

Il salto delle grandi scimmie
Quanto sono forti le grandi scimmie antropomorfe?
Nessun gorilla potrà mai effettuare un salto simile…

“Il pianeta delle scimmie” non è solo forza letale, ma anche spettacolari salti e capriole aeree. Può una scimmia ottenere quelle prestazioni ed eseguire balzi lunghi una decina di metri?

Anche in questo caso non abbiamo a disposizione molti dati, ma c’è una ricerca relativamente recente che potrebbe fornire qualche dato utile per farsi un’opinione.

Nel 2006, un team di ricercatori olandesi ha misurato la capacità di salto verticale dei bonobo, uno dei primati più simili agli scimpanzé anche se più piccolo e relativamente meno potente dal punto di vista muscolare.

Tutti i bonobo hanno superato l’altezza di 70 centimetri, ben oltre la performance umana che si attesta a 30-40 centimetri.

Nonostante la differenza in dimensioni e peso (per i calcoli si è utilizzato un bonobo di 34 kg e un essere umano di 61 kg), durante il salto i bonobo hanno sprigionato una forza del tutto simile a quella espressa dall’essere umano.

Applicare queste misurazioni su altre grandi scimmie è complicato, e non sono di certo la persona adatta ad un compito così elaborato. Ma possiamo escludere che uno scimpanzé possa raggiungere i tre metri di altezza con un balzo da fermo.

Se le grandi scimmie possedessero le caratteristiche fisiche dei gibboni, potrebbero di certo ottenere prestazioni superiori: i gibboni possono saltare fino ad oltre 3 metri in altezza, e superare distanze di 10 metri tra un albero e l’altro, ma possono ottenere questi risultati solo grazie alla loro particolare struttura scheletrica e muscolare, oltre ad una massa corporea inferiore a quella di scimpanzé, gorilla e orangutan.

Che le scimmie possano spaccare un cranio a mani nude o saltare a 10 metri di distanza, comunque, poco importa a noi comuni mortali. Lasciamo che i biologi rispondano (con i loro tempi) alle nostre domande, e alleviamo l’attesa con il cinema.

La versione originale de “pianeta delle scimmie” rimane un classico, il suo remake del 2001 un decente blockbuster, e “L’alba del pianeta delle scimmie” è stato un successo. Dimenticatevi di ogni pretesa di fedeltà alla fisica del mondo reale e godetevi lo spettacolo.

How Strong Is a Chimpanzee?
The strength of apes compared to humans
Vertical jumping performance of bonobo (Pan paniscus) suggests superior muscle properties
Can a 90-lb. chimp clobber a full-grown man?
Chimps are not as superhumanly strong as we thought they were

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8 film storicamente orribili https://www.vitantica.net/2018/03/25/8-film-storicamente-orribili/ https://www.vitantica.net/2018/03/25/8-film-storicamente-orribili/#respond Sun, 25 Mar 2018 02:00:39 +0000 https://www.vitantica.net/?p=1508 Pocahontas: la triste storia della falsa principessa

La Disney ha dipinto questo personaggio come una stupenda ragazza nativa americana che si innamora di un soldato inglese giunto in Virgina durante il XVII secolo. La realtà dei fatti è ben diversa: la storia di Pocahontas non è fatta di amore romantico e gesta eroiche ma di possibili abusi su minori, matrimoni d’interesse e morti precoci.

Pocahontas (il cui vero nome era Matoaka) nacque probabilmente nel 1596, fu la figlia di un capo tribù algonchino della Virginia (Wahunsunacock, chiamato anche Powhatan) ma non fu mai una principessa per via delle regole di successione del suo clan.

Intorno all’età di 10-12 anni incontrò John Smith, un capitano inglese giunto in Virginia nel 1607 e in breve tempo catturato dallo zio di Pocahontas: l’unico testimone dell’incontro con Pocahontas è lo stesso Smith, che raccontò diverse versioni degli eventi, sempre più articolate e ricche di dettagli man mano che il tempo passava e la storia di Pocahontas si diffondeva nelle corti inglesi.

Smith tornò in Inghilterra nel 1609 per ricevere adeguate cure mediche a seguito dell’esplosione del sacchetto di polvere nera che portava abitualmente attaccato alla cintura e Pocahontas continuò la sua vita fino al 1613, anno in cui il suo primo marito, Kocoum, fu ucciso dagli Inglesi.

La ragazzina fu catturata e portata alla colonia di Henricus dove un anno dopo si sposò con John Rolfe, un coltivatore di tabacco timorato di Dio e inizialmente combattuto sul matrimonio con un’infedele.

Pocahontas e Rolfe ebbero un figlio e la loro unione contribuì a mantenere la pace tra coloni e nativi per quasi otto anni, un periodo noto come “la Pace di Pocahontas”.
Al suo arrivo nel 1616 in Inghilterra fu presentata a tutti come una principessa (sotto il nome di Rebecca) e trattata a Londra come un’ospite di riguardo e una curiosità proveniente dalle nuove colonie americane. Smith la incontrò solo una volta prima che Pocahontas si imbarcasse per il suo ultimo viaggio.

Nel 1617, ancor prima che la nave su cui era imbarcata con il marito superasse il Tamigi, Pocahontas manifestò evidenti segni di malattia e fu portata a riva per essere visitata da un medico. Dopo poco tempo perse i sensi e morì per cause ancora sconosciute. (Fonte)

 

Il Patriota era un persecutore di nativi americani

Film storicamente inaccurati - Il Patriota

Film che personalmente mi è piaciuto molto e tutto sommato storicamente accettabile se non per qualche piccolo particolare e una grossa differenza tra il protagonista del film e l’uomo che ha ispirato il personaggio.

Il Patriota vede il protagonista Benjamin Martin (Mel Gibson) organizzare squadre di milizia durante gli scontri per l’indipendenza dell’ America settentrionale. Il personaggio di Martin è ispirato ad un ufficiale militare di nome Francis Marion, considerato il padre della guerriglia moderna, dei Ranger dell’esercito americano e noto con il soprannome di “Volpe di palude”.

Contrariamente al protagonista del film (padre di famiglia severo ma comprensivo che tratta gli schiavi come pari e commette atti violenti solo se messo alle strette), Francis Marion aveva ben pochi aspetti positivi: era noto per le atrocità di guerra che commetteva sui fedeli dell’impero britannico e per lasciare i suoi soldati liberi di saccheggiare ogni posto che visitavano.

Era anche famoso per la caccia ai reparti filo-britannici composti da schiavi liberati e addestrati al combattimento, non fece mai segreto il suo sostegno alla schiavitù e si fece un nome con la persecuzione dei nativi Cherokee.

Dopo aver svolto la sua parte durante la guerra, Marion tornò alla sua piantagione per ritrovarla completamente deserta: tutti i suoi schiavi avevano abbandonato la tenuta per arruolarsi con gli Inglesi. (Fonte)

 

Braveheart: anacronismi e inesattezze

Film storicamente inaccurati - Braveheart

Posso assicurarvi che non ho nulla contro Mel Gibson: adoro questo film, ma alcune delle inesattezze storiche sono fastidiose. William Wallace, probabilmente il figlio di un cavaliere dell’ Ayrshire e non vestito con un kilt (creato circa 3 secoli dopo Wallace) ma con abiti comuni, si rese protagonista delle guerre di indipendenza scozzesi diventando un eroe nazionale, ma il film è pieno di anacronismi e di dettagli sbagliati.

La rivolta di Wallace inizia nel 1297, 21 anni dopo la riunione di nobili scozzesi che si vede all’inizio del film; in realtà, nel 1276 vigeva una pace durata quasi 60 anni e i primi indizi di una guerra imminente si manifestarono solo nel 1296, ben vent’anni dopo.

Nel film viene anche narrata un’ipotetica quanto assurda storia d’amore tra William Wallace e la regina Isabella, ma la realtà storica fu ben diversa: all’epoca dei fatti, la principessa aveva solo tre anni e quasi certamente non incontrò mai lo scozzese di persona. (Fonte)

 

Apocalypto: un trionfo di sangue

Film storicamente inaccurati - Apocalypto

La prima inesattezza storica è il fatto che il protagonista e la sua tribù vivono in totale isolamento nella giungla messicana: chiunque fosse nato e cresciuto nelle regioni messicane governate dai Maya era a conoscenza dell’esistenza di piccoli e grandi insediamenti urbani popolati da gente che amava particolarmente procacciare schiavi.

L’adorazione “patologica” del Sole da parte della cultura Maya è in realtà un’alterazione, funzionale allo svolgimento della pellicola, della sfera religiosa di questo popolo: la religione Maya era composta da un pantheon di divinità tra cui la più importante era quella del mais.

Nella cultura dei Maya non era previsto il rituale sacrificale descritto nel film. Sembra invece che il sacrificio umano su una pietra-altare fosse pratica relativamente comune tra gli Aztechi, che effettuavano numerose esecuzioni in sequenza. Non c’è alcuna prova che questa pratica fosse diffusa anche tra i Maya, una cultura in cui era più comune l’auto-sacrificio (non letale) infliggendo ferite profonde a lingua e organi genitali.

Infine, il film termina con l’arrivo di navi spagnole che lasciano presagire la futura disfatta degli imperi precolombiani, ma i primi esploratori giunsero nella regione solo 400 anni dopo l’epoca della cultura Maya ritratta nella pellicola. (Fonte)

 

Il Gladiatore: Commodo non era così malaccio

Film storicamente inaccurati - Il Gladiatore

Maximus Decimus Meridius, generale dell’imperatore Marco Aurelio, viene investito del ruolo di regnante al posto di Commodo, legittimo erede e figlio dell’imperatore. Commodo, mosso da rancore e invidia, uccide suo padre e ordina l’esecuzione di Maximus, che tuttavia riesce a scappare, viene fatto schiavo e si procura fama e gloria diventando un gladiatore.

Commodo viene dipinto come un buono a nulla che regnò un paio d’anni, ma la sua controparte storica restò imperatore per circa 13 anni e non uccise mai suo padre; non esiste alcuna prova che possa dimostrare un cattivo rapporto tra Marco Aurelio e il figlio (se non alcuni documenti del tempo infarciti di propaganda politica) e all’epoca del suo insediamento definitivo Commodo era già da tempo “co-imperatore”.

Marco Aurelio appuntò Commodo come suo successore molti anni prima della sua morte, verificatasi a Vindobona (Vienna) e non in Germania, come mostra la battaglia iniziale.
Negli ultimi anni l’analisi del film da parte degli storici ha rivelato battaglie mai avvenute, cani non esistenti all’epoca e iscrizioni sbagliate in Latino. E’ ormai ampiamente dimostrato inoltre che le battaglie gladiatorie spesso non terminavano con la morte di uno dei contendenti.

Maximus Decimus Meridius è un personaggio di pura fantasia, ma potrebbe essere stato creato a partire da un mix di tre figure storiche realmente esistite: Taruttienus Paternus, comandante delle forze romane nella battaglia contro le tribù germaniche del 179 d.C.; Narcisso, il combattente che uccise Commodo; e Tiberius Claudius Pompeianus, nato in povertà in Siria e divenuto uno dei generali preferiti di Marco Aurelio e marito di Lucilla, figlia dell’imperatore. (Fonte)

 

300: Non erano 300

Film storicamente inaccurati - 300

Quando in una pellicola appaiono creature umanoidi cornute o giganti dalle mani di falce non si può pretendere estremo realismo, ma sono ben pochi gli elementi storicamente accurati del film 300.

Possiamo iniziare dicendo che gli Spartani non combattevano seminudi: le corazze per il petto e protezioni di cuoio per le gambe erano una dotazione standard per un soldato spartano, ma il regista ha deciso di eliminarle per rendere distinguibili i volti e i corpi dei protagonisti.

Gli Spartani non erano solo 300 alle Termopili, come spiegato in questo articolo sulle leggende metropolitane della storia, ma accompagnati da qualche migliaio di soldati reclutati da varie regioni della Grecia e almeno 300 schiavi spartani.

La tecnica di combattimento della falange non è inoltre attendibile storicamente: non è ancora dimostrato che gli Spartani spingessero il nemico con i loro scudi e nemmeno che avessero già adottato la falange come formazione militare standard. Di certo un soldato spartano non si lanciava in battaglia completamente solo rompendo ogni formazione e lontano dai propri compagni.

Secondo Erodoto, la fonte di principale ispirazione per tutte le storie sugli Spartani nate nei secoli successivi alla battaglia delle Termopili, gli Immortali persiani non erano “ninja” armati di doppia spada ma arcieri corazzati armati di lancia e di un grande scudo.

Le imprecisioni storiche non finiscono  qui ma sarebbe necessario un intero post per poterle descrivere tutte. Termino il capitolo con la storia di Aristodemo, apparentemente l’unico sopravvissuto alla battaglia per via di una ferita all’occhio: contrariamente a quanto si vede nel film, Aristodemo non fu l’unico a sopravvivere e il problema all’occhio non fu causato da una ferita ma da un’infezione oculare.

Di fronte alla decisione di restare a combattere o tornare a Sparta, Aristodemo decise di scappare dal campo di battaglia, allontanandosi sotto gli improperi dei suoi compagni che lo accusavano di codardia chiamandolo “Aristodemo il fuggiasco”. (Fonte)

 

Troy: due lama a Troia?

Film storicamente inaccurati - Troy

Il film si prende un sacco di libertà, a cominciare dalla storia stessa. Secondo l’Iliade, l’assedio di Troia durò almeno 10 anni e non qualche settimana come il film lascerebbe intendere.

Nello scontro tra Menelao e Paride, Menelao non viene colpito da Ettore, ma nell’Iliade rimane di sasso di fronte alla fuga di Paride grazie ad uno stratagemma della dea Afrodite, sua protettrice. Sia Menelao che Agamennone sopravvivono alla guerra di Troia, Aiace non fu ucciso da Ettore ma si suicidò dopo aver massacrato qualche Troiano e un gregge di pecore, e lo stesso Achille muore prima della costruzione del celebre cavallo.

Patroclo non era semplicemente il cugino di Achille, ma il suo amante, e questo tipo di rapporto omosessuale era un fatto del tutto normale e accettato dalla società.

Re Priamo sembra mostrare a Paride una spada di ferro o addirittura acciaio (la Spada di Troia), ma al tempo l’unico metallo lavorabile era il bronzo, se escludiamo il ferro di origine spaziale. Le spade di bronzo in uso all’epoca non erano assolutamente in grado di perforare un corpo umano secondo le modalità mostrate in un film, specialmente se il bersaglio era protetto da una corazza di cuoio.

L’aspetto più divertente dell’intera pellicola è il totale disinteresse per l’attendibilità storica dell’ambientazione. L’indice di questo disinteresse è la presenza, nel mercato di Troia, di 2 lama, creature andine mai esistite in Medio Oriente. (Fonte)

 

10.000 B.C.
Ci sono almeno 4 elementi sbagliati in questa singolo fotogramma

Ci sarebbe troppo da dire su questo film e ho deciso qualche tempo fa di dedicargli un post: 10.000 AC, il film che reinventa la preistoria

 

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L’isola-eremo di Luke Skywalker esiste ed è in Irlanda https://www.vitantica.net/2018/01/03/eremo-luke-skywalker-esiste-irlanda/ https://www.vitantica.net/2018/01/03/eremo-luke-skywalker-esiste-irlanda/#respond Wed, 03 Jan 2018 14:00:48 +0000 https://www.vitantica.net/?p=1232 Star Wars è un universo noto per la varietà di ambientazioni esotiche. Per rendere gli scenari realistici e vagamente familiari sono stati utilizzati come locations alcuni dei paradisi naturali più affascinanti o meno conosciuti del nostro pianeta: Tunisia (Tatooine), Norvegia (Battaglia di Hoth) e California (Luna di Endor) sono solo alcuni dei panorami mozzafiato terrestri sfruttati dal franchising.

L’isola del pianeta di Ahch-To, rifugio di Luke Skywalker nell’ultimo film Star Wars: Gli Ultimi Jedi, è ispirata ad una località reale: l’ isola di Skellig Michael, a circa 11 km di distanza dalla costa irlandese di Kerry, è un santuario naturale e archeologico e ospita un complesso monastico vecchio di almeno 1200 anni ad un’altezza di circa 180 metri sul livello del mare e caratterizzato da costruzioni chiamate clochán, sostanzialmente identiche al rifugio di Skywalker.

Riproduzione del complesso monastico di Skellig Michael per il film Star Wars: Gli Ultimi Jedi
Riproduzione del complesso monastico di Skellig Michael per il film Star Wars: Gli Ultimi Jedi

Per realizzare il rifugio di Luke Skywalker, la produzione ha preferito non ricorrere al sito archeologico originale ma ha ricostruito il sito monastico di Skellig Michael nella Penisola di Dingle, Irlanda. La scelta di ricostruire i clochán di Skellig Michael è dovuta a ragioni logistiche e alla necessità di preservare intatto il complesso monastico, patrimonio UNESCO dal 1996: solo poche persone ogni anno possono ottenere l’autorizzazione a visitare il monastero e le scalate fino ai clochán sono proibite durante le giornate più umide o piovose per via del potenziale rischio di incidenti fatali durante l’ascesa.

clochan Skellig Michael

Un clochán è un rifugio a finta cupola in pietra tipico del sud-ovest irlandese, di forma circolare ed eretto a secco, senza l’utilizzo di malta o altri leganti tra le pietre. I primi clochán dell’isola di Skellig Michael furono costruiti dai monaci cristiani che raggiunsero l’isola tra il VI e il VII secolo d.C. e sebbene non siano le uniche strutture di questo genere in Europa sono probabilmente le più isolate.

Il complesso monastico di Skellig Michael è composto da sei celle clochán, due oratori, una chiesa costruita in epoca medievale e una serie di cisterne per la raccolta dell’acqua piovana. Secondo gli archeologi, il monastero era in grado di sostenere non più di dodici monaci e un abate: l’isola non offre vaste superfici coltivabili, la verdura era prodotta in piccoli orti condivisi e la maggior parte delle proteine proveniva dalla pesca e dalle uova d’uccello ottenute dalle numerose specie di uccelli marini che nidificano a Little Skellig, l’isola vicina a Skellig Michael.

Scalinata di pietra che porta ai clochan di Skellig Michael
Scalinata di pietra che porta ai clochán di Skellig Michael

I clochán dell’isola di Skellig Michael, raggiungibili dopo aver percorso una lunga e ripida scalinata composta da circa 600 scalini di pietra, sono la risposta all’assenza di legname sufficientemente grande da essere impiegato nella costruzione di strutture tipiche di località più densamente coperte da vegetazione. Le pietre che compongono le pareti sono piatte e tagliate in modo tale che la superficie esterna risulti più ruvida rispetto a quella rivolta all’interno dell’edificio.

Il tetto dei clochán non è una vera e propria cupola ma un tholos: le pietre vengono deposte in cerchi concentrici progressivamente aggettanti, facendole avvicinare verso il centro della struttura fino a quando l’apertura superiore viene completamente chiusa. Questa tecnica costruttiva, che non prevedeva ulteriori supporti interni per reggere il peso della pietra e contrastare la forza di gravità, costringeva a realizzare pareti perimetrali spesse tra 1 e 2 metri per scongiurare il rischio di cedimento strutturale.

Vista interna della finta cupola di un clochán
Vista interna della finta cupola di un clochán

I clochán somigliano molto a strutture forse più note da noi italiani, come le capanne a tholos dell’Italia centrale chiamate caciare o caselle. Le costruzioni a tholos sono modellate sulle tombe ad alveare o a cupola (tholos in greco) dell’ Età del Bronzo, costituite da un ambiente circolare con mura in pietra e parzialmente o completamente interrate. I monumenti funerari di questo tipo e le prime abitazioni a tholos fanno la loro apparizione almeno 5.000 anni fa e rappresentano probabilmente i più antichi esempi di edifici con pseudocupola.

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LE CAPANNE IN PIETRA A SECCO CON COPERTURA A THOLOS

The Real-World Architecture of Luke Skywalker’s Jedi Hideaway

Crew build a Jedi-style temple on a dramatic cliff overlooking the Atlantic as Star Wars Episode VIII continues filming in Ireland… but could flocking fans overshadow ancient monastic site?

 

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10.000 AC, il film che reinventa la preistoria https://www.vitantica.net/2017/12/22/10-000-ac-il-film-che-reinventa-la-preistoria/ https://www.vitantica.net/2017/12/22/10-000-ac-il-film-che-reinventa-la-preistoria/#comments Fri, 22 Dec 2017 12:00:47 +0000 https://www.vitantica.net/?p=1183 Ho l’abitudine di vedere almeno un film ogni sera prima di andare a dormire e se il tempo lo consente. Qualche giorno fa mi sono imbattuto in un film del 2008 che quasi 10 anni fa prometteva di raccontarci la vita di un eroe del Mesolitico e le sfide che avrebbe dovuto affrontare per salvare la sua tribù.

Già visto, ma considerando il contenuto del blog mi è sembrato un ottimo spunto per analizzarne il contenuto e valutarne l’accuratezza storica.

10.000 AC (titolo originale: 10,000 BC). Alcuni di voi avranno già sentito questo titolo, ad altri invece sarà del tutto nuovo: si tratta di un film unanimamente considerato tra le peggiori pellicole storiche della cinematografia hollywoodiana (vedi questo post).

Vorrei cercare di limitare gli spoiler, ma la storia è così “particolare” e storicamente inaccettabile da superare in certi casi la soglia del ridicolo.

La trama

Un giovane cacciatore del Mesolitico appartenente ad una tribù che vive chissà dove (si presume Europa o Medio Oriente) si innamora di una ragazza dagli occhi blu che verrà successivamente rapita da mercanti di schiavi a cavallo.

Il protagonista si mette quindi sulle tracce della ragazza aiutato dalla solita “Compagnia dell’Anello” di amici più o meno sacrificabili, attraversando foreste pluviali e praterie fino a raggiungere un deserto del tutto simile a quello egiziano.

Qui si troverà a combattere contro una società teocratica che usa schiavi per edificare un’ enorme piramide dalla punta d’oro . Fin qui tutto nella norma, mi aspettavo diversi accorgimenti poco realistici o scarsamente storici per rendere appetibile un film che ha come protagonisti dei cacciatori-raccoglitori che dovrebbero comunicare a click e fischi per metà del tempo.

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I punti dolenti

Non ricordavo però che il film fosse così poco accurato, se non addirittura assurdo, nel descrivere la vita del 10.000 a.C.. Quello che ho omesso dalla trama è una collezione di elementi non solo storicamente inaccurati, ma del tutto privi di alcun fondamento archeologico.

La pellicola prende una svolta davvero fantasy quando vengono introdotti i seguenti elementi:

  • Uno smilodonte stranamente amichevole, fororaci giganteschi, cavalli e mammut lanosi addomesticati;
  • Maschio adulto di mammut ucciso da un adolescente armato di lancia di legno;
  • Armi e strumenti di metallo (materiale pressoché sconosciuto 10.000 anni fa);
  • Dreadlocks perfetti e pizzetti ben curati, pelle perfetta, nessuna cicatrice. Questa gente nel film caccia mammut armati di sole lance di legno e osso: è assai improbabile avere un aspetto da fotomodello se si conduce un’esistenza all’insegna della sopravvivenza;
  • Piramidi, sfingi, navi enormi e un fantomatico sovrano-divinità giunto da [rullo di tamburi] Atlantide;
  • Telepatia sciamanica ai massimi livelli con tanto di “trasferimento di anime” (passatemi il termine). Lo sciamano del film è sostanzialmente inutile, dato che le poche vittime tra i “buoni” si rimettono in piedi senza alcuna necessità di cure o muoiono sul colpo se feriti al fianco;
  • I cereali, apparentemente sconosciuti a uomini del Mesolitico che possono radersi alla perfezione, hanno i pettorali di Thor e attraversano per metà del film regioni in cui è nata l’agricoltura;
  • L’ acqua, elemento poco essenziale: come può un europeo sopravvivere nudo nel Sahara per giorni senza acqua, senza ustioni solari e senza ombra?

Il modo migliore per analizzare le inaccuratezze di 10.000 B.C. è quello di prendere gli elementi stonati del film (credetemi, sono molti) e verificare cosa dice l’archeologia a riguardo.

La realtà storica
10.000 AC mammut
Ci sono almeno 4 elementi sbagliati in questo singolo fotogramma… Per sapere quali, continua a leggere.
  • Cavalli addomesticati: i primi tentativi di domesticazione del cavallo iniziarono probabilmente nelle steppe eurasiatiche intorno al 4.000-3.500 a.C., ma le prime testimonianze archeologiche di cavalli addomesticati, probabilmente da cavalcare o per trasportare pesi su carri, risalgono al 2.100 a.C.
  • Mammut addomesticati: MAI STATI ADDOMESTICATI, totalmente assurda la presenza di mammut lanosi addomesticati in pieno deserto africano usati per costruire piramidi. Inoltre, se la vita sociale dei mammut era come quella dei moderni elefanti, il branco non era guidato da un maschio dominante (come si vede nel film), ma era basato su una struttura matriarcale.
  • Smilodonte: lo smilodonte si estinse circa 10.000 anni fa. L’unico problema con questo animale e l’ambientazione europeo-africana del film è che lo smilodonte era un felide delle Americhe, non è mai stato presente sul Vecchio Continente, in Africa o in Medio Oriente. Le dimensioni dell’animale sono inoltre portate all’eccesso e nessun cacciatore-raccoglitore intrappolato in un buco con questo predatore commetterebbe la pazzia di liberarlo solo perché ha un muso carino.
  • Fororaci: enormi uccelli terricoli del genere Phorusrhacos vissuti in Patagonia circa 20-13 milioni di anni fa ed estinti 2,5 milioni di anni fa. Sono quindi fuori contesto storico e nel film hanno dimensioni esagerate.
  • Peperoncini: il protagonista, giunto in quella che sembra l’Africa settentrionale, assaggia un peperoncino. Questa pianta è americana, conosciuta da millenni in Perù e Messico ma portata dall’altro capo dell’Atlantico solo durante il secondo viaggio di Colombo.
  • Cereali: il protagonista attraversa diverse regioni, passa da un territorio alpino a praterie, da zone paludose a deserti sterili; durante il suo viaggio, non incontra mai un cereale selvatico e rimane sorpreso quando gli vengono donati dei semi di grano. L’archeologia ha dimostrato che i nostri antenati conoscevano e raccoglievano cereali spontanei almeno 20.000 anni fa.
  • Mais: proviene dall’America Centrale e fu importato dall’altra parte dell’Atlantico solo a partire da Colombo.
  • Bronzo e Ferro: l’ Età del Bronzo inizio circa 5.300 anni fa, mentre l’ Età del Ferro (senza considerare il ferro meteorico) iniziò 3.200-2.600 anni fa dipendentemente dalla regione. Le armi di ferro, bronzo o rame del film sono quindi artefatti fuori contesto e ben successivi al 10.000 a.C.
  • Oro: gli artefatti più vecchi in oro risalgono al IV millennio a.C.. L’idea di una piramide dalla punta ricoperta d’oro nel 10.000 a.C. regge ben poco.
  • Tuniche porpora: leggere questo articolo sulla porpora per qualche informazione in più. Per farla breve, il pigmento porpora da utilizzare per colorare tessuti fu utilizzato per la prima volta circa 3.600 anni fa.
  • Selle per cavalli: le prime selle furono utilizzate dagli Assiri intorno al 700 a.C., quasi 10.000 anni dopo il periodo in cui è ambientata la pellicola.
  • Ribellione: in meno di mezza giornata, un gruppo di schiavi e di cacciatori del Mesolitico che si sono organizzati la sera prima sconfiggono una civiltà organizzata dotata di armi di metallo, cavalieri e una tecnologia tale da poter costruire piramidi, sfingi e una nave a tre alberi e vele quadrate lunga 60-70 metri. La storia dimostra che uno scontro del genere finisce sempre in modo totalmente diverso.
  • Notte nel deserto: il protagonista e la sua allegra compagnia dormono nudi nel deserto, cosa che nella realtà si traduce spesso in una terribile morte per ipotermia.
  • Città: le prime civiltà complesse e organizzate fecero la loro comparsa circa 5.000 anni va in Mesopotamia, India, Cina ed Egitto. Non c’è nulla che possa far pensare a insediamenti definibili come “città” 12.000 anni fa.
  • Piramidi: nel 10.000 a.C., in Egitto non esisteva alcuna piramide (la più antica piramide a gradoni conosciuta risale al 2700-2600 a.C.) e nemmeno un sistema di scrittura in grado di organizzare un lavoro così enorme; bisogna aspettare almeno 6.000 anni per i primi sistemi di scrittura. L’idea che i mammut abbiano trasportato i blocchi di pietra delle piramidi è semplicemente assurda. Infine, l’ipotesi che le piramidi fossero state costruite da schiavi non è supportata da alcuna testimonianza archeologica.
  • Sfinge: davvero??
  • Acquedotto: nel film si vede un lunghissimo acquedotto sospeso collegato ad un fiume (che farebbe pensare al Nilo, anche se il fiume egiziano è ben più largo). I più antichi acquedotti conosciuti sono mesopotamici e risalgono a circa 4.000 anni fa.
  • Stato di salute: anche se spesso tendiamo a sottovalutare lo stato di salute generale e la speranza di vita dei nostri antenati, nel film sembrano tutti incredibilmente ben nutriti, schiavi compresi. Tralasciando l’estetica dei protagonisti, ci si accorge subito di inesattezze banali e facilmente evitabili: dentature perfette, pelle immacolata, cicatrici totalmente assenti se non giustificate da gesta particolarmente eroiche o da decorazioni tribali, mani ben curate e soprattutto nessun pelo corporeo se non qualche barbetta alla Tony Stark.
  • Occhi azzurri: la protagonista femminile del film ha gli occhi azzurri, una mutazione apparsa decine di migliaia di anni fa nei Neanderthal eurasiatici. Se si parla di Sapiens, i resti di un cacciatore-raccoglitore vissuto 7.700 anni fa in Svezia mostrano i tipici indizi genetici di pelle chiara e occhi azzurri.

E’ difficile che altri film siano riusciti a totalizzare una quantità simile di fail storici (se ne conoscete qualcuno, suggeritelo tra i commenti e provvederò quanto prima a scriverci un post). Sarebbe stato sufficiente consultare un libro di testo delle superiori (o uno storico in carne ed ossa, considerando che il film è costato 100 milioni di dollari) e gli autori avrebbero evitato gli errori grossolani o assurdi che caratterizzano la pellicola.

10.000 A.C.

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