epidemia – VitAntica https://www.vitantica.net Vita antica, preindustriale e primitiva Thu, 01 Feb 2024 15:10:35 +0000 it-IT hourly 1 Miti sull’esplorazione e la conquista dell’ America https://www.vitantica.net/2018/03/31/miti-esplorazione-conquista-america/ https://www.vitantica.net/2018/03/31/miti-esplorazione-conquista-america/#respond Sat, 31 Mar 2018 02:00:49 +0000 https://www.vitantica.net/?p=1538 Colombo inaugurò l’epoca delle grandi scoperte e delle grandi conquiste americane. Spagna, Portogallo e altre potenze europee iniziarono a spingersi nel Nuovo Mondo facendo leva sulla loro superiorità tecnologica e strategica, conquistando interi regni con manipoli di soldati e convertendo milioni di indigeni che, prima del contatto con i conquistatori del Vecchio Mondo, vivevano in armonia con la natura e in culture semi-primitive. Questo è generalmente il quadro dipinto per l’ epoca delle grandi esplorazioni americane, ma quanto c’è di vero in tutto questo?

 

Le Americhe furono conquistate grazie alla superiorità tecnologica degli Europei?

L’ Europa ha un’antichissima e raffinata tradizione bellica che potrebbe far pensare ad una sua “superiorità militare assoluta” durante il periodo delle grandi esplorazioni. Per alcuni aspetti non è un’affermazione molto distante dalla realtà, ma è un errore supporre che nel resto del mondo si combattesse senza riguardo per la strategia o la tecnologia disponibile.

Molti popoli nativi americani non conoscevano l’uso dei metalli e leghe superiori, come bronzo, ferro e acciaio, ma questo non significa che le loro armi fossero poco raffinate o efficaci. Le cronache del tempo riportano numerosissimi episodi in cui l’invasore europeo fu ferocemente respinto verso l’oceano con armi di legno o pietra e l’uso di tattiche di guerriglia in grado di rendere controproducente la superiorità tecnologica dei conquistatori.

Uno scenario molto comune era il seguente: avvolti da protezioni metalliche come pettorali o elmi e appesantiti dalla necessità di trasportare provviste, utensili e armi in terra sconosciuta e ostile, i conquistatori europei non potevano muoversi agilmente in territori paludosi o nel fitto della foresta, dando modo ai nativi di compiere manovre veloci e furtive che in breve tempo decimavano gli invasori.

Gli indigeni furono anche molto veloci ad imparare i punti deboli del nemico e ad adottare alcune delle sue armi: un esempio è l’introduzione del cavallo in Nord America, che contribuì ad un cambiamento radicale nelle tecniche di guerriglia dei nativi, fino ad allora limitati negli spostamenti dall’assenza totale di mammiferi cavalcabili.

 

Spagnoli, Portoghesi e Inglesi decimarono la popolazione nativa americana?

Miti sull'esplorazione e la conquista dell' America

Di certo i conquistatori europei non contribuirono alla crescita demografica dei nativi americani durante l’epoca delle grandi esplorazioni. Lo sterminio di interi villaggi non era affatto raro, ma la colpa della scomparsa di intere civiltà non è attribuibile alla sola bellicosità degli invasori europei.

Le malattie furono le vere protagoniste della sparizione dei popoli che da secoli vivevano e prosperavano nelle Americhe, alcune importate dal Vecchio Continente mentre altre già esistenti e attive prima del viaggio di Colombo. Con l’arrivo dei primo stranieri sul suolo americano, diverse epidemie colpirono violentemente la popolazione indigena uccidendo milioni di persone, raggiungendo in alcune regioni una mortalità superiore al 90%.

Tra le malattie più letali si registrano il vaiolo, il tifo, il morbillo, l’influenza, la peste bubbonica, la malaria e la pertosse, malattie ormai croniche in Eurasia al momento della “scoperta” dell’America; i popoli del Vecchio Continente e dell’Asia avevano ormai sviluppato una sorta di resistenza ad alcune di queste malattie grazie alla condivisione degli spazi vitali con i grandi mammiferi domestici (vacche, capre, maiali, ecc…), animali del tutto inesistenti nelle Americhe prima dello sbarco dei primi coloni.

In aggiunta alle “malattie d’importazione”, i cambiamenti climatici in atto già dal XIV secolo provocarono la ricomparsa, in forme particolarmente virulente, di agenti patogeni già esistenti nel Nuovo Mondo, come la sequenza di pestilenze cocoliztli che decimò gli Aztechi nel XVI secolo.

 

Tenochtitlan, la capitale azteca, fu conquistata da una manciata di conquistadores spagnoli alla guida di Cortés?

Anche se è vero che Tenochtitlan cadde dopo 10 settimane di assedio da parte dell’esercito di Cortés, la fase finale della città non corrisponde al primo incontro tra gli spagnoli e l’impero azteco: il primo incontro tra Cortés e gli Aztechi non fu affatto trionfale, e nemmeno un assedio.

Il mito dice che quando Hernán Cortés arrivò per la prima volta a Tenochtitlan riuscì a conquistare una delle città più popolate del mondo con un centinaio di uomini, la superiorità militare e tecnologica spagnola e facendo leva sulla superstizione religiosa dei Mexica: gli abitanti della città scambiarono addirittura gli uomini a cavallo per centauri, adorandoli come creature soprannaturali, e l’imperatore Montezuma II pensò che Cortés fosse l’incarnazione (o un discendente) del dio Quetzalcoatl.

La documentazione storica dice invece che la vicenda si sviluppò diversamente: quando Montezuma II decise finalmente di incontrare Cortés dopo numerosi rifiuti, lo spagnolo si diresse verso Tenochtitlan con 600 soldati, 15 cavalieri, 15 cannoni e quasi un migliaio di portantini e guerrieri indigeni arruolati dalle parti di Veracruz. Durante il percorso verso Tenochtitlan Cortés riuscì a stipulare alleanze con i Totonac, i Nahuas e i Tlaxcalan arruolando almeno altri 3.000-4.000 combattenti.

L’ 8 novembre 1519 Cortés entrò pacificamente nella capitale azteca con tutto il suo esercito e incontrò l’imperatore Montezuma II (che molto probabilmente temeva che lo spagnolo fosse un ambasciatore di un regnante più potente, e non l’incarnazione del dio Quetzalcoatl), ricevendo regali d’oro che non fecero altro che eccitare le truppe spagnole (e i loro alleati nativi) frementi nell’ attesa di saccheggiare ogni prezioso in città.

Hernán Cortés e il suo esercito non conquistarono la città, ma furono accolti pacificamente con un misto di diffidenza e riverenza da parte degli abitanti locali. Ciò che accadde dopo può essere definito, più che un assedio, una barricata destinata a fallire e una delle notti più disastrose per la Spagna del XVI secolo (la “Noche Triste“): gli Aztechi, infuriati per il massacro del Templo Mayor, assediarono Cortés rinchiuso nel palazzo reale costringendolo alla fuga durante la notte.

La fuga andò male: i numeri relativi alle vittime cambiano in base alle fonti, ma qualche centinaio di spagnoli e qualche migliaio di nativi alleati morirono sotto i colpi di lance, propulsorie mazze degli Aztechi. Nessun soldato uscì illeso dalla battaglia.

Quando Cortés ebbe una nuova occasione per cingere d’assedio Tenochtitlan lo fece in grande stile: il 26 maggio del 1521 si presentò di fronte alla città con 86 cavalieri, 700 fanti, 118 tra archibugieri e balestrieri, 16 cannoni e ben 50.000 nativi alleati, contro un esercito di 75-100.000 guerrieri aztechi armati di mazze, lance e archi. Le perdite furono gravissime per entrambe le parti: 20.000 nativi e 400-800 soldati da parte di Cortés e 200.000 tra guerrieri e civili per gli Aztechi.

 

I nativi americani vivevano in armonia con la natura prima dell’arrivo degli Europei?
Cahokia Monks Mound
Rappresentazione di Cahokia, una delle città precolombiane più grandi

Generalizzare la popolazione di un intero continente non può fare altro che creare errori di valutazione e miti che durano per secoli, e i nativi delle Americhe non fanno eccezione. E’ vero che le popolazioni indigene spesso vivevano a contatto più stretto con la natura rispetto agli Europei, ormai abituati ad una vita cittadina o di campagna; è anche vero tuttavia che all’arrivo dei primi esploratori da Oriente i nativi vivevano in culture molto elaborate e spesso organizzate in agglomerati urbani molto popolati e non così diversi dalle città del Vecchio Continente.

La vita delle popolazioni che vivevano negli attuali Stati Uniti era regolata da ritmi naturali alterati dall’attività umana: zucche e mais venivano regolarmente coltivati negli stessi campi, campi ottenuti tramite la tecnica del “taglia e brucia” che fu fondamentale per la creazione delle Grandi Praterie e di foreste facilmente attraversabili e percorse da sentieri battuti.

In Centro America la situazione non era molto differente, anzi: nel Messico dei Maya, ricoperto in buona parte da foreste tropicali, era estremamente difficile vivere in isolamento totale da un insediamento umano. La maggior parte della popolazione viveva in villaggi e cittadine distanti gli uni dalle altre non più di 10 chilometri e animati da un ricco commercio di cibo, preziosi e materie prime.

 

Colombo scoprì per primo l’America nel 1492 perchè solo nel XV secolo gli Europei iniziarono ad essere curiosi sul mondo?

Primo: Colombò non fu il primo a mettere piede sul continente americano e per lungo tempo non si rese nemmeno conto di aver scoperto un nuovo continente; tecnicamente, non sbarcò nemmeno nel continente, essendo giunto nelle Bahamas durante il suo primo viaggio.

Secondo: il primo europeo a sbarcare su suolo americano fu molto probabilmente norreno. Vinland, il nome norreno per il Nord America, fu scoperta da Leif Erikson, che sbarcò nell’area dell’attuale Boston intorno alla fine del X secolo. Vinland viene descritta in diverse saghe ben 500 anni prima che Colombo decidesse di imbarcarsi nel suo viaggio e ospitò anche un insediamento permanente di 100-300 persone per almeno due anni, fino a quando i nativi decisero di averne abbastanza dei norreni e dei loro saccheggi.

Non bisogna inoltre dimenticare che ben prima di Colombo i Portoghesi avevano iniziato da almeno un secolo ad esplorare i confini del mondo conosciuto, navigando ad esempio lungo le coste inesplorate dell’Africa; lo stesso avevano fatto i Cinesi, raggiungendo il Madagascar tra il 1431 e il 1433 con un viaggio così avventuroso da far impallidire le 10 settimane di viaggio di Colombo. L’epoca delle grandi esplorazioni oceaniche sarebbe iniziata con o senza Colombo e il navigatore non fu di certo il primo a sbarcare nelle Americhe.

 

Colombo voleva dimostrare che la Terra era sferica?
Mappa della Terra piatta creata da Orlando Ferguson nel 1893

Questo è un mito che persiste con forza ancora oggi, ma non ha nulla di reale. Come spiegato in questo post sulla teoria (non scientifica) della Terra piatta, nel XV secolo era ormai un fatto ampiamente accettato e dimostrato che il pianeta fosse una sorta di sfera.

Le principali discussioni cosmologiche riguardavano invece suo il posto nell’universo: si trattava di una specie di mela che galleggiava nell’oceano? Era semplicemente sferica e qualche forza impediva alle acque dei mari di cadere verso il basso?

I dotti della corte spagnola che esaminarono i dettagli sul viaggio verso Occidente non lo giudicarono impossibile perché ritenevano che la Terra fosse piatta, ma per un errore matematico ben evidente commesso da Colombo.

Il navigatore intendeva raggiungere il Cipango (Giappone) navigando verso Ovest per circa 68° di longitudine, ma aveva male interpretato la lunghezza di un miglio marino arabo da quello italiano, riducendo enormemente la circonferenza reale del pianeta: secondo Colombo, il Giappone distava dalla Spagna solo 5.000 chilometri, quando in realtà si trattava di ben 20.000 chilometri.

Gli esperti della corte spagnola, pur non sapendo esattamente quanto fosse distante il Giappone, si resero immediatamente conto dell’errore di calcolo di Colombo. Sapevano per certo che navigando ad Ovest prima o poi si sarebbe giunti in Giappone, ma non credevano che una caravella potesse percorrere quell’enorme distanza senza conseguenze fatali per l’equipaggio: una nave così piccola non avrebbe avuto a disposizione sufficienti viveri per attraversare quell’enorme distesa di mare.

Fu esattamente quello che si verificò durante il primo viaggio di Colombo: dopo aver percorso l’Atlantico, i viveri erano quasi esauriti e l’equipaggio era sulla via dell’ammutinamento; Colombo si salvò grazie all’immenso colpo di fortuna di scoprire una terra sconosciuta nel punto esatto in cui aveva calcolato di trovare le coste del Giappone.

Myths about the colonization of Spanish America
10 Myths About Famous Explorers
American History Myths Debunked: Columbus Discovered America

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Cocoliztli, l’epidemia che sterminò gli Aztechi https://www.vitantica.net/2018/03/14/cocoliztli-epidemia-aztechi/ https://www.vitantica.net/2018/03/14/cocoliztli-epidemia-aztechi/#respond Wed, 14 Mar 2018 02:00:05 +0000 https://www.vitantica.net/?p=1476 Dopo l’arrivo dei primi conquistatori spagnoli nell’impero azteco del XVI secolo, il Nuovo Mondo si abituò con relativa velocità alla superiorità tecnologica e tattica degli invasori.

Cavalli, acciaio e armi da fuoco furono inizialmente accolti dai nativi con stupore e sgomento, ma ben presto si rivelarono armi estremamente utili per sfuggire all’oppressione straniera, o controproducenti se impiegate dal nemico negli habitat più estremi delle Americhe.

Cocoliztli, l’epidemia misteriosa

Furono le malattie le vere protagoniste dell’estinzione delle popolazioni americane, non i conquistadores (che certamente fecero la loro parte). Nel volgere di circa 40 anni, la popolazione azteca si ridusse del 90% passando da circa 20 milioni nel 1521 a 2 milioni di individui nel 1576.

Un’ epidemia in particolare, la cui origine è rimasta un mistero fino a qualche anno fa, sterminò tra i 5 e i 15 milioni di nativi nel 1545.

I biologi moderni hanno cercato per intere decadi di determinare il responsabile dell’epidemia che causò il collasso della popolazione azteca.

E’ ormai noto da tempo che gli Europei scaricarono nel Nuovo Mondo una pletora di agenti patogeni del tutto sconosciuti nel continente, come il vaiolo e la febbre tifoide; ma nessuna di queste malattie sembra riconducibile alla serie di epidemie che decimò gli Aztechi, una sequenza di eventi definiti cocoliztli (parola generica usata nella lingua Nahuatl per definire una pestilenza).

Vittime dell'epidemia cocoliztli raffigurate nel Codice Fiorentino di fra' Bernardino de Sahagún
Vittime dell’epidemia cocoliztli raffigurate nel Codice Fiorentino di fra’ Bernardino de Sahagún

L’analisi del genoma prelevato dai denti di 10 vittime dell’epidemia del 1545 (ricerca pubblicata sulla rivista Nature Ecology and Evolution) sembra suggerire che il responsabile della malattia sia stato il batterio Salmonella enterica, che causa i sintomi descritti nei resoconti dell’epoca: febbre, sanguinamento, dissenteria, lingua e urina scure ed eruzioni cutanee rossastre.

Ma contrariamente a quanto si possa essere indotti a supporre, il batterio Salmonella enterica non fu un dono indesiderato da parte del Vecchio Continente, ma era già presente nel Nuovo Mondo all’arrivo dei primi esploratori europei.

L’analisi genetica sulle vittime della febbre paratifoide

Kirsten Bos e Johannes Krause, ricercatori del Max Planck Institute for the Science of Human History e autori della ricerca, hanno elaborato una nuova tecnologia (chiamata MALT) che consente di confrontare il genoma danneggiato di virus e batteri con copie di genoma intatto prelevate dalle moderne colture batteriche o virali.

Dopo il prelievo del materiale genetico dai denti di 10 vittime dell’ epidemia del 1545 riportate alla luce durante gli scavi nel sito di Teposcolula-Yucundaa, i ricercatori hanno confrontato i campioni con un database di 6.247 genomi batterici, scoprendo corrispondenze con il batterio Salmonella enterica Paratyphi C.

Questo particolare sierotipo di Salmonella enterica causa sintomi simili alla febbre tifoide (il cui insieme è definito “febbre paratifoide”), sintomi molto simili a quelli descritti per la pestilenza cocoliztli.

Collasso della popolazione messicana nel XVI secolo causato dalle epidemie di cocoliztli
Collasso della popolazione messicana nel XVI secolo causato dalle epidemie di cocoliztli. Wikipedia

La serie di epidemie cocoliztli, celebre in passato sotto il nome di “grande pestilenza”, si verificò in 12 ondate consecutive tra il XVI secolo e il XIX secolo: gli eventi cocoliztli più gravi si sono verificati nel 1520, 1545, 1576, 1736 e 1813.

Cocoliztli, siccità e roditori

La comparsa periodica del batterio che causò i sintomi della febbre paratifoide nel XVI secolo sembra essere stata la conseguenza di anni di forte siccità: l’epidemia del 1576, che colpì il continente americano dal Venezuela al Canada, si scatenò al termine di un periodo di estrema aridità che colpì Nord e Sud America.

A mettere in relazione la siccità con l’emergenza ciclica del batterio Salmonella enterica sono piccoli roditori del genere Calomys e la dendrocronologia: con l’arrivo delle piogge dopo un lungo periodo di aridità (fluttuazioni climatiche che rimangono impresse negli accrescimenti annuali, o anelli, dei tronchi degli alberi), i piccoli Calomys subirono un’impennata demografica e favorirono la diffusione della febbre paratifoide che decimò i nativi americani.

Dopo la ripresa dell’economia agricola nei mesi successivi ai periodi di siccità, i roditori trovarono habitat ideali nei campi e nelle case della regione, rilasciando escrementi che probabilmente scatenarono il contagio nella popolazione umana.

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La serie di epidemie cocoliztli più mortale fu il mix di malattie iniziato nel 1519: la popolazione messicana fu inizialmente colpita da un’ epidemia (probabilmente di vaiolo, malattia che entrò in America anche grazie al contributo di Hernán Cortés) che decimò da 5 a 8 milioni di persone in un solo anno.

Dopo circa 25 anni una nuova piaga, la Salmonella enterica Paratyphi C, colpì la regione uccidendo da 5 a 15 milioni di individui: se messa a confronto con la Peste Nera europea del 1347-1351, epidemia con una mortalità pari al 50% degli infetti, la cocoliztli del 1545 provocò la dipartita dell’ 80% della popolazione messicana.

Megadrought and Megadeath in 16th Century Mexico
Gut bacteria linked to cataclysmic epidemic that wiped out 16th-century Mexico

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La Piaga del Ballo del 1518 https://www.vitantica.net/2018/01/29/piaga-del-ballo-1518/ https://www.vitantica.net/2018/01/29/piaga-del-ballo-1518/#comments Mon, 29 Jan 2018 02:00:22 +0000 https://www.vitantica.net/?p=1312 Nel luglio del 1518, la città di Strasburgo fu protagonista di un evento estremamente bizzarro che ancora oggi non ha una spiegazione in grado di porre fine al mistero che lo circonda. Tutto ebbe inizio con una donna che iniziò a danzare incontrollabilmente lungo le strade della città, persistendo con il suo strano comportamento per giorni e senza sosta. Nell’arco di poco tempo la seguirono oltre 100 persone e dopo un mese si registrarono oltre 400 persone in preda a ciò che fu definita “Piaga del Ballo”.

L’ epidemia danzante del 1518 è uno dei casi di isteria di massa più curiosi della storia. Senza apparente motivo, a partire da luglio del 1518 fino ad agosto dello stesso anno, centinaia di persone vennero colpite da una voglia irrefrenabile di danzare, ininterrottamente, giorno e notte. L’epidemia si arrestò soltanto agli inizi di settembre, quando i ballerini folli furono deportati per essere ricoverati e possibilmente curati in un santuario.

L’ inizio dell’ epidemia danzante

La prima vittima dell’epidemia danzante fu una signora di nome Troffea, che non smise di danzare lungo le strade di Strasburgo per 4 giorni, interrompendo il ballo ogni giorno al raggiungimento dello sfinimento psicofisico e riprendendo la danza dopo qualche ora di sonno.

Nell’arco di una settimana altre 34 persone si erano unite alla danza e nel giro di poco tempo l’epidemia iniziò a registrare 100, 200, fino a superare i 400 “malati di ballo”.

Per trovare una spiegazione a questo misterioso evento furono interpellati astrologi e medici, che addussero come cause del fenomeno alcuni allineamenti planetari o eventi soprannaturali. L’idea condivisa da molti era che si trattasse di un disastro naturale causato da “sangue caldo” e che l’unica soluzione al problema fosse quella di continuare a danzare per raffreddarlo.

Dopo le consultazioni con gli esperti, le autorità elaborarono una soluzione che prevedeva di convocare quanti più musicisti fossero disponibili in città per dare il ritmo ai danzatori folli a colpi di tamburi e con la melodia dei loro flauti; si arrivò addirittura a costruire un palco di legno in uno dei mercati cittadini per favorire le danze e le esibizioni spontanee di musicisti e vittime della misteriosa piaga.

Piaga del Ballo di Strasburgo, 1518

Giorni interi di ballo ininterrotto iniziarono ben presto a mietere le prime vittime: alcune persone furono colpite da infarti, ictus o colpi di calore fatali mentre altre crollavano al suolo esauste o in preda a spasmi muscolari incontrollabili dovuti ad eccessivo affaticamento e disidratazione.

L’epidemia di ballo non fu la prima nella storia d’Europa. Nel 1374 un’altra epidemia danzante colpì il Belgio, il nord-est della Francia e il Lussemburgo, ma non abbiamo una documentazione abbondante come per il caso di Strasburgo del 1518, probabilmente l’ultimo della storia medievale.

Le spiegazioni della scienza

Come spiegare con la scienza moderna questa strana piaga danzante? Una delle prime spiegazioni è stata l’ingestione accidentale di segale cornuta (o ergot), un fungo (Claviceps purpurea) che cresce sui cereali che può avere conseguenze potenzialmente fatali e dal noto effetto allucinatorio, un fenomeno chiamato al tempo “fuoco di Sant’Antonio” e in tempi moderni “ergotismo”.

Gli avvelenamenti da ergot non erano così rari nelle regioni nordeuropee in cui il pane veniva prodotto a partire dalla segale; ma l’ ergotismo causato dalla segale cornuta causa spasmi incontrollabili e sanguinamenti che rendono molto difficile coordinare i movimenti in una danza.

Successivamente è stata proposta l’ipotesi che le persone coinvolte nella Piaga del Ballo fossero membri di una setta eretica, come sostiene il sociologo Robert Bartholomew. Ma anche questo scenario pare possa essere escluso: per prima cosa, una setta eretica non voleva di certo rivelarsi al mondo in maniera così plateale, soprattutto nel 1500; secondariamente, erano le vittime stesse ad esprimere le loro sofferenze per quella bizzarra condizione e a chiedere aiuto affinché qualcuno o qualcosa li fermasse.

E’ poi stata addotta come causa un’ isteria di massa causata dalla fame e dalle malattie che da parecchio tempo affliggevano i ceti più poveri di Strasburgo. Ma la sola isteria di massa non spiega perché queste persone danzassero così convulsamente per giorni interi anche se malnutriti o affetti da altre malattie.

Trance e isteria di massa

L’opinione che si è fatta John Waller, autore del libro “A Time To Dance: A Time To Die” è che queste persone si trovassero in una sorta di trance religiosa profonda indotta da periodi prolungati di stress psicologico.

Per rendere meglio l’idea, era come se fossero “posseduti”, un misto di isteria di massa e di una particolare credenza religiosa legata alla figura di San Vito. “Che l’evento sia accaduto è fuori da ogni dubbio” spiega Waller, “queste persone non erano semplicemente in preda a tremori o convulsioni; erano in trance, le loro braccia e gambe si muovevano in una danza”.

I ceti meno ricchi di Strasburgo credevano in ciò che veniva definita maledizione di San Vito: questo santo sarebbe stato in grado di possedere la mente di chiunque meritevole di punizione divina, costringendolo a danzare ininterrottamente.

San Vito è il patrono dei danzatori ed era principalmente invocato come protettore contro l’ epilessia e la còrea di Sydenham, malattie interpretate all’epoca come una sorta di possessione o di maledizione indotta dal santo per comportamenti moralmente non accettabili.

Secondo Waller, l’epidemia di ballo del 1518 fu un misto di disperazione e di religiosità portata all’estremo: quando Strasburgo divenne una città protestante eliminando il culto dei santi non si verificarono più episodi di questa natura.

Dancing Death

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La “fine del mondo” nella storia https://www.vitantica.net/2017/10/16/la-fine-del-mondo-nella-storia/ https://www.vitantica.net/2017/10/16/la-fine-del-mondo-nella-storia/#respond Mon, 16 Oct 2017 02:00:41 +0000 https://www.vitantica.net/?p=623 Da dove hanno avuto origine le credenze e i timori su un’eventuale e spesso imminente fine del mondo? Questo genere di superstizione non è un tratto unico del nostro secolo (anche se ci siamo dati da fare parecchio nelle ultime decadi), ma la distruzione del mondo ad opera di un evento incontrollabile o di un agente superiore è un pensiero che accompagna l’uomo da millenni.

Che si tratti di un momento di pura distruzione, di creazione, o di metamorfosi del mondo conosciuto, in ogni epoca della storia umana i nostri antenati si sono preoccupati di anticipare o prevedere la fine del mondo basandosi su testi sacri, osservazioni astronomiche e sull’interpretazione di eventi di origine naturale o umana.

Anche se, nella maggior parte dei casi, si trattava di date spesso ignorate dal popolo minuto e conosciute solo dagli eruditi e dai teologi, in alcuni casi furono annunciate pubblicamente con risultati tragicomici.

Il 6 aprile 793, ad esempio, un monaco scatenò il panico a Toledo annunciando pubblicamente che l’ Apocalisse biblica sarebbe iniziata quella stessa notte. Centinaia di persone si prepararono alla fine dei tempi pregando tutta la notte fino all’alba, per poi realizzare che la previsione del monaco era del tutto infondata.

Ripercorriamo alcune tappe ed alcune credenze apocalittiche nate nel corso della storia.

634 a.C.: la fine di Roma

Gli antichi romani credevano che Roma sarebbe stata distrutta nel suo 120° anno dalla fondazione. Il mito era che 12 aquile si sarebbero mostrate a Romolo e alcuni pensatori romani ipotizzarono che ogni aquila rappresentasse 10 anni. Dato che i Romani contavano il tempo dalla fondazione di Roma (ad urbe condita), l’anno 1 corrisponde al 753 a.C., e l’apocalisse venne prevista per il 634 a.C.

389 a.C.: la seconda fine di Roma

Non essendosi verificata l’apocalisse 250 anni prima, ecco che salta fuori un’altra leggenda, sempre legata a Romolo. Questa volta le aquile avrebbero predetto la fine di Roma nel 389 a.C., evento che ovviamente non si verificò.

66-70 d.C.: il ritorno di Cristo per gli Esseni

Gli Esseni credevano che Gesù sarebbe tornato sulla Terra tra il 67 e il 70 d.C., interpretando il conflitto con l’Impero Romano come la battaglia finale raccontata nella Bibbia.

Fine del mondo Pompei

79 d.C.: Pompei

L’eruzione del Vesuvio porta a pensare che sia l’inizio della fine dei tempi citata da Seneca due decenni prima.

II secolo d.C.: il ritorno di Gesù per i Montanisti

I Montanisti, setta della Frigia fondata da Montanus, furono i membri di uno dei primi culti apocalittici cristiani. Credevano che il ritorno di Gesù si sarebbe verificato nel corso delle loro vite e non oltre. Nonostante il Secondo Avvento non si sia mai verificato, il culto durò nel tempo per diversi secoli.

365 d.C.: profezia di Ilario di Poitiers sulla fine del mondo

Il vescovo Ilario di Poitiers annuncia che la fine del mondo sarebbe avvenuta entro la fine dell’anno corrente. Quando la profezia non si realizzò nell’anno stabilito, San Martino di Tours, suo seguace, spostò la data al 400 d.C.

500 d.C.: la seconda venuta di Cristo

Sextus Julius Africanus, teologo romano, affermò che la fine del mondo sarebbe giunta 6.000 anni dopo la creazione del mondo. Dato che, secondo lui, al momento della resurrezione di Cristo erano passati 5531 anni dalla Creazione, la seconda venuta sarebbe stata imminente. Della stessa opinione era Ippolito, vissuto oltre 250 anni prima, e il teologo Ireneo, influenzato dagli scritti di Ippolito.

6 aprile 793: Pasqua apocalittica

Elipando, arcivescovo di Toledo, descrive brevemente il panico da fine del mondo che si scatenò a Pasqua dell’anno 793. Secondo Elipando, il monaco spagnolo Beatus di Liebana profetizzò di fronte ad una massa di gente che il mondo sarebbe finito entro la mezzanotte di quel giorno, scatenando il panico fino all’alba del giorno successivo.

848: la profezia apocalittica di Thiota

La profeta Thiota dichiara che il mondo finirà entro l’anno.

25 marzo 970: computo dei Lotaringi

Il computo dei Lotaringi portò a pensare che la fine del mondo fosse prevista per il 25 marzo 970, data che, secondo loro, vide verificarsi in passato questi eventi: creazione di Adamo, sacrificio di Isacco, apertura del Mar Rosso, concezione e crocifissione di Gesù.

Anno 1000: la fine del millennio

Ci sono moltissimi racconti della paranoia apocalittica che prese piede per l’approssimarsi dell’anno 1000. Anni e mesi prima di quella data, pare che si scatenò il panico in Europa, anche se molte testimonianze non vengono considerate attendibili dagli storici per il semplice fatto che la maggior parte delle persone comuni nemmeno sapeva con esattezza in quale anno stesse vivendo.

1033: il Secondo Avvento 

Dopo che Cristo non fece la sua comparsa nell’anno 1000, alcuni religiosi spinsero la data del Secondo Avvento più avanti nel tempo, aggiungendo 33 anni per via del fatto che il ritorno del Messia si sarebbe dovuto verificare 1000 anni dopo la sua crocifissione.

1184: arriva l’Anticristo

Diversi sedicenti profeti annunciano la venuta dell’ Anticristo nel 1184.

1186: La Lettera di Toledo

Dopo il calcolo di un allineamento planetario che si sarebbe verificato il 23 settembre 1186, venne diffusa la “Lettera di Toledo”, che avvisava che il mondo sarebbe stato distrutto in quella data e che solo poche persone sarebbero sopravvissute.

Fine del mondo gog magog
Gog e Magog del manoscritto di Thomas de Kent’ “Roman de toute chevalerie”
XIII secolo: Gengis Khan e la fine del mondo

Per le persone vissute a cavallo tra il XII e il XIII secolo, le armate di Gengis Khan vennero spesso dipinte come l’incarnazione stessa del Male scesa sulla Terra per dare inizio alla Fine dei Tempi. Alcuni li identificavano addirittura con i leggendari Gog e Magog, selvaggi di origine biblica le cui orde avrebbero dato inizio alla fine del mondo cristiano.

1260: la profezia di Gioacchino da Fiore

Il teologo Gioacchino da Fiore, morto nel 1202, sostiene che il nuovo millennio inizierà tra il 1200 e il 1260. Dopo il superamento della della data limite per la fine del mondo, i seguaci di Gioacchino da Fiore fissarono una nuova data, il 1290.

1284: il Secondo Avvento di Innocenzo III

Papa Innocenzo III crede che il Secondo Avvento sia fissato per l’anno 1284, 666 anni dopo la comparsa dell’Islam.

1347-1352: arriva la Peste

L’ epidemia di peste che colpì l’Europa tra il 1347 e il 1352 fu spesso interpretata come un segnale dell’inizio dell’Apocalisse. Nel tentativo di placare l’ira divina, molte persone praticavano atti di penitenza pubblici, come i flagellanti. Il papa ordinò processioni religiose della durata di interi giorni allo scopo di calmare Dio, processioni che non fecero altro che favorire la diffusione della peste.

1504: l’apocalisse imminente di Botticelli

Sandro Botticelli crede di vivere nel periodo che precede la fine del mondo, e che il nuovo millennio inizierà nel 1504.

Fine del mondo Londra
Volantino distribuito nei primi anni ’20 del 1500 per avvertire la popolazione dell’imminente alluvione
1 febbraio 1524: l’alluvione del Tamigi

La fine del mondo sarebbe iniziata con un’alluvione causata dal Tamigi il 1 febbraio 1524 a Londra, secondo i calcoli di alcuni astrologi londinesi che avevano visto una congiunzione astrale con la costellazione dei Pesci come un segnale di pericolo imminente. 20.000 persone abbandonarono le loro case, uno addirittura si costruì una fortezza e accumulò viveri in previsione dell’Apocalisse. Ma il 1 febbraio 1524 non ci fu nemmeno una leggera pioggia a Londra.

1533: matematica e Apocalisse

Il monaco e matematico tedesco Michael Stifel pubblica nel 1532 il suo libro Ein Rechenbuchlin vom EndChrist. Apocalyps in Apocalypsim, in cui spiega come i suoi calcoli matematici basati sulla Bibbia lo abbiano convinto che la data dell’Apocalisse sia il 19 ottobre del 1533, esattamente alle 8 del mattino. Un piccolo gruppo di concittadini aveva venduto case e campi in anticipazione dell’evento: non appena si resero conto della bufala, le autorità furono costrette a mettere Stifel sotto custodia protettiva per evitare il linciaggio.

2 settembre 1666: il Grande Incendio di Londra

E’ facile immaginare quanto una data che contiene “666” abbia potuto ossessionare teologi e numerologi per anni, se non addirittura decadi. Il mondo della teologia ha osservato con sospetto l’anno 1666 fin dall’inizio del secolo, e quando scoppiò il Grande incendio di Londra il 2 settembre, molti erano convinti che si trattasse della fine dei tempi.

 

Stilare un elenco completo e dettagliato richiederebbe un intero sito web e troppe ore di ricerca, ma se siete curiosi di vedere quante volte sia stata predetta la fine del mondo (anche in epoca moderna), potete visitare questa pagina.

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Malattie comuni nell’antichità https://www.vitantica.net/2017/09/19/malattie-infettive-comuni-antichita/ https://www.vitantica.net/2017/09/19/malattie-infettive-comuni-antichita/#respond Tue, 19 Sep 2017 06:00:05 +0000 https://www.vitantica.net/?p=280 I cacciatori-raccoglitori antichi e moderni non sono noti per vivere in ambienti puliti e igienici. Ogni individuo è costantemente esposto a batteri, virus, funghi, protozoi e parassiti, la maggior parte innocui ma in qualche caso potenzialmente letali.

La nascita dei primi centri urbani rese la situazione igienica ancora più esplosiva: i grossi insediamenti costringevano grandi quantità di persone a vivere porta a porta, condividendo acqua, aria e cibo ed esponendosi ai liquami e ai rifiuti prodotti dall’intera comunità. Un ambiente ideale per la proliferazione e la diffusione di agenti patogeni.

Qui sotto un elenco di alcune malattie comuni nel mondo antico e talvolta ricorrenti anche in tempi moderni.

Vaiolo

Il vaiolo è una malattia altamente infettiva provocata da due varianti dello stesso virus, il Variola maior e la Variola minor, che si separarono dal ceppo originale tra i 1400 e i 6300 anni fa.

Il contagio si manifesta con eruzioni cutanee e pustole piene di liquido che lasciano cicatrici su 2/3 dei sopravvissuti. La mortalità è del 30-35% e nel 2-4% dei casi provoca anche cecità e deformità degli arti.

Il vaiolo sembra essere emerso nell’essere umano circa 12.000 anni fa evolvendosi probabilmente da un virus dei roditori. E’ diventata endemica in India circa 3000 anni fa, ma pare che al tempo in Egitto il vaiolo fosse già comune, tanto che il corpo del faraone Ramses V riporta le conseguenze tipiche della malattia.

Gli archivi storici asiatici descrivono una malattia sostanzialmente identica in India e in Cina oltre 2000 anni fa, ma per la prima data certa sull’introduzione in Cina occorre attendere il I secolo a.C.

Si stima che l’epidemia di vaiolo del 735-737 avvenuta in Giappone abbia ucciso circa un terzo della popolazione del tempo; il suo tasso di mortalità fece emergere almeno sette divinità asiatiche associate al vaiolo, come Sopona e Shitala Devi.

Tifo
Vittime dell'epidemia cocoliztli raffigurate nel Codice Fiorentino di fra' Bernardino de Sahagún
Vittime dell’epidemia cocoliztli (possibile febbre tifoide) raffigurate nel Codice Fiorentino di fra’ Bernardino de Sahagún

La febbre tifoide, o tifo, è una malattia infettiva che si trasmette per via orale e fecale tramite il batterio Salmonella enterica e provoca febbre, rash cutanei, fotofobia, delirio e coma. Fino all’introduzione degli antibiotici, il tifo aveva causava la morte del 10% dei pazienti contagiati.

Le prime tracce di infezione da tifo nella storia risalgono al XV secolo d.C., ma fu tra il XVII e il XIX secolo che la malattia colpì pesantemente l’Europa con una serie di epidemie, tra cui quella che in Germania causò la morte del 10% dell’intera popolazione nell’arco di 30 anni.

Influenza

L’influenza potrebbe suonare come una malattia nata in tempi recenti; in realtà, gira per il mondo da millenni, mutando in continuazione. La prima descrizione dei sintomi dell’influenza fu redatta da Ippocrate circa 2400 anni fa, ma è altamente probabile che fosse in circolazione da almeno qualche millennio prima.

Il virus giunse nelle Americhe attraverso la colonizzazione europea: un’ epidemia di una malattia dai sintomi identici a quelli dell’influenza si verificò nel 1493 nelle Antille e fu probabilmente l’arrivo di Colombo e dei suoi compagni a dare inizio al contagio nel Nuovo Mondo.

Il primo dato certo relativo ad una pandemia di influenza è relativo al contagio del 1580 avvenuto in Russia e diffusosi poi in Europa. Nella sola Roma morirono oltre 8.000 persone e molte città spagnole dell’epoca furono quasi completamente decimate.

Malaria

Zanzara e repellenti

La malaria è una delle malattie più antiche del pianeta ed è causata da un protozoo parassita che viaggia “a bordo” di alcune specie di zanzare, solitamente quelle del genere Anopheles.

Uno dei cinque tipi di parassiti che causano la malaria, il Plasmodium falciparum, sembra esistere da almeno 50-100.000 anni e si originò probabilmente dai gorilla, ma fu l’avvento dei primi insediamenti urbani a causare l’esplosione della malattia nella popolazione umana.

In epoca romana, la malaria era conosciuta come “febbre di Roma” per via della sua ampia diffusione nella penisola italiana, specialmente nelle aree paludose come l’Agro Pontino e le aree lungo il corso del Tevere.

Il termine “malaria” ha le sue radici nella teoria dei miasmi, che viene descritta da Leonardo Bruni nella sua Historiarum Florentini populi libri XII:

Avuto i Fiorentini questo fortissimo castello e fornitolo di buone guardie, consigliavano fra loro medesimi fosse da fare. Erano alcuni a’ quali pareva sommamente utile e necessario a ridurre lo esercito, e massimamente essendo affaticato per la infermità e per la mala ariae per lungo e difficile campeggiare nel tempo dell’autunno e in luoghi infermi, e vedendo ancora ch’egli era diminuito assai per la licenza conceduta a molti pel capitano di potersi partire: perocchè, nel tempo che eglino erano stati lungamente a quello assedio, molti, o per disagio del campo o per paura d’infermità, avevano domandato e ottenuto licenza da lui (Acciajuoli 1476).

La malaria era sostanzialmente sconosciuta ai popoli del Nuovo Mondo e furono gli Europei e gli Africani a portarla nelle Americhe intorno al XVI secolo. Il plasmodio trovò terreno fertile nelle paludi del South Carolina e della Virgina e si indediò stabilmente.

Morbillo

Il morbillo è una malattia estremamente contagiosa che si diffonde per via aerea e provoca, nella sua fase iniziale, febbre alta (spesso 40°C e oltre), tosse e infiammazioni oculari; nell’arco di due o tre giorni iniziano a manifestarsi macchie bianche all’interno della bocca e un’eruzione cutanea che gradualmente si diffonde dalla faccia al resto del corpo. Nel 30% dei casi si verificano complicanze come diarrea, cecità e polmonite.

La prima descrizione del morbillo e la sua distinzione dal vaiolo e dalla varicella risale al IX secolo d.C., ed è una malattia che può essere devastante in popolazioni che non sono mai state esposte al virus.

Nel 1529, un’epidemia di morbillo scoppiata a Cuba uccise due terzi degli abitanti nativi, già sopravvissuti ad un’epidemia di vaiolo; due anni dopo, in Honduras, metà della popolazione morì per via della malattia.

Tubercolosi

La tubercolosi è una malattia infettiva causata dal batterio Mycobacterium tuberculosis, chiamato anche Bacillo di Koch ed è stata considerata invalidante e grave fino agli anni ’50 del 1900.

La tubercolosi si trasmette per via aerea tramite le gocce di saliva e causa tosse cronica con espettorato di sangue, febbre e perdita di peso, risultando letale in oltre il 50% dei casi non trattati.

I resti del batterio Mycobacterium tuberculosis sono stati scoperti su una carcassa di bisonte risalente a circa 17.000 anni fa. Non è ancora possibile stimare la data del salto di specie, ma alcuni resti umani dei 9.000 a.C. riportano tracce di tubercolosi.

Alcune mummie egizie del 3000-2400 a.C. riportano i segni di infezione da tubercolosi, come la mummia del sacerdote Nesperehen. E’ possibile che Akhenaton e sua moglie Nefertiti siano morti per la tubercolosi e ci sono prove che centri per il ricovero degli affetti da questa malattia esistessero in Egitto fin dal 1500 a.C.

Il papiro di Ebers, uno dei più completi testi medici dell’antico Egitto, descrive una malattia polmonare molto simile alla tubercolosi. La malattia veniva trattata con una mistura di acacia, piselli, frutta, sangue di animali e insetti, sale e miele.

Peste bubbonica

malattie: peste bubbonica

La peste bubbonica è causata dal batterio Yersinia pestis e provoca febbre, mal di testa, vomito e rigonfiamenti dei linfonodi nell’area in cui il batterio ha penetrato la pelle.

La peste bubbonica usa come veicolo principale le pulci infette: passando da mammifero a mammifero, questi animaletti contribuiscono alla diffusione del batterio.

Il contagio può avvenire anche tramite contatto con i fluidi corporei di animali o esseri umani infetti. Senza trattamenti specializzati, la mortalità varia dal 30% al 90%.

La prima grande epidemia di peste bubbonica documentata, chiamata “La peste di Giustiniano”, risale al VI secolo e causò la morte di 25 milioni di abitanti dell’impero bizantino.

La seconda grande epidemia risale al Basso Medioevo e fu una delle epidemie più mortali della storia umana: la “Peste Nera” ebbe origine probabilmente nelle steppe mongole all’inizio del 1346 e nell’arco di un anno giunse in Europa, uccidendo circa un terzo della popolazione del continente.

Lebbra

La lebbra è un’infezione a lungo termine causata da due batteri, il Mycobacterium leprae o il Mycobacterium lepromatosis. I sintomi possono manifestarsi anche dopo 10 anni dal contagio e causa granulomi su nervi, tratto respiratorio, pelle e occhi; col tempo si perde la capacità di provare dolore e si manifestano deformità.

Le tracce più antiche della lebbra le troviamo in alcuni reperti scheletrici umani appartenenti alla civiltà della valle dell’Indo e risalenti a circa 5.000 anni fa.

La parola “lebbra” deriva dal greco lepra, traducibile come “malattia che provoca scaglie sulla pelle”. Secondo gli archeologi, Ippocrate descrisse la lebbra nel 460 a.C. e la malattia era ben conosciuta nell’antica Grecia, in Cina, in Egitto e in India. La malattia fu descritta anche da Aulus Cornelius Celsus e Plinio il Vecchio.

Il Feng zhen shi, un trattato scritto tra il 266 e il 246 a.C., è il primo testo cinese che cita la lebbra classificandola genericamente come “malattia della pelle”. Nel testo viene descritta la distruzione del setto nasale, caratteristica tipica dei malati di lebbra, un’osservazione che in Occidente fu messa per iscritto per la prima volta da Avicenna nell’ XI secolo.

Rabbia

Malattie: rabbia

La rabbia è una malattia virale che causa febbre, movimenti violenti, eccitazione incontrollabile, paura dell’acqua, irrigidimento di alcune parti del corpo, confusione e perdita di conoscenza. Il periodo di incubazione è varia da 1 settimana a 1 anno e una volta che compaiono i sintomi la morte è quasi certa.

La rabbia è nota fin dal 2000 a.C. e viene citata nel testo mesopotamico Codice di Eshnunna, da cui si deduce che i sintomi in animali e uomini fossero ben noti. Aristotele citò e descrisse la rabbia nel 300 a.C., spiegando anche le dinamiche del contagio.

Nel corso dei secoli sono stati fatti numerosissimi tentativi di cura per questa malattia. Scribonius Largus prescriveva una poltiglia di pelle di iena; Antaeus raccomandava un preparato ottenuto dal teschio di un impiccato.

Si arrivò addirittura a rimuovere il punto d’attacco della lingua (frenulo linguale) dai malati, ritenendo che fosse il punto d’origine della rabbia. Ovviamente, nessuno di questi trattamenti ebbe mai successo

Colera

Il colera è un’infezione intestinale causata da alcuni ceppi del batterio Vibrio cholerae che si diffondono principalmente attraverso cibo e acqua infetti da feci umane. La fase iniziale dell’infezione provoca diarrea per qualche giorno, con vomito e crampi muscolari; la diarrea può raggiungere una gravità tale da portare alla disidratazione nell’arco di poche ore.

Nel V a.C. Ippocrate utilizzò per primo il termine “colera”, anche se non si hanno prove certe che si riferisse a questa malattia. Per il primo rapporto medico relativo al contagio bisogna attendere il XVI secolo in India.

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