bronzo – VitAntica https://www.vitantica.net Vita antica, preindustriale e primitiva Thu, 01 Feb 2024 15:10:35 +0000 it-IT hourly 1 La daga di bronzo dell’ Uomo di Racton https://www.vitantica.net/2021/01/11/daga-bronzo-uomo-di-racton/ https://www.vitantica.net/2021/01/11/daga-bronzo-uomo-di-racton/#comments Mon, 11 Jan 2021 14:00:27 +0000 http://www.vitantica.net/?p=5108 L’inizio dell’ età del bronzo non coincise con l’abbandono totale degli strumenti di pietra creati e perfezionati dai nostri antenati nell’arco di decine di migliaia di anni. La scoperta delle metodologie necessarie a lavorare il bronzo furono di certo un passo fondamentale nell’evoluzione tecnologica dei popoli antichi, ma la transizione da metallo a pietra non fu veloce e attraversò varie fasi di passaggio.

Il bronzo è certamente più pratico della pietra sotto molti aspetti. Consente la creazione di utensili e armi più lunghe, meno pesanti e molto meno fragili dei delicati frammenti di ossidiana o selce.

La lega di rame e stagno può mantenere un filo tagliente per diverso tempo se maneggiata con perizia, ed è meno sensibile al fallimento: rompere o deformare un utensile di bronzo non è un evento disastroso e può essere corretto con una fornace e olio di gomito.

L’ antica produzione di bronzo, tuttavia, non solo comportava una nuova sfida tecnologica, ma aveva un problema logistico importante: lo stagno, contrariamente al rame, non abbonda sulla crosta terrestre, ma è presente solo in alcune regioni del mondo, come in Cornovaglia e in specifiche aree del Medio Oriente.

Importare stagno lungo migliaia di chilometri di terre desolate e popolate da predatori e popoli ostili non era alla portata di tutti i fabbri, specialmente nella prima età del bronzo.

Con tutte le difficoltà tecniche e logistiche che questa lavorazione comportava, il bronzo iniziò a diffondersi per tutta Europa sotto forma di metallo semi-prezioso riservato ad utensili e armi per ranghi sociali elevati. La lama di Racton è uno dei primi esempi di pugnale bronzeo appartenuto ad un individuo socialmente rilevante.

Chi è l’Uomo di Racton?

Nel 1989 i rilevamenti al metal detector effettuati a Westbourne, nel Sussex occidentale, hanno portato alla luce il corpo di un uomo robusto di mezza età, sepolto circa 4.200 anni fa (tra il 2.300 e il 2150 a.C.) in posizione fetale in compagnia di una lama e di una serie di rivetti.

Le analisi dei reperti ossei ha mostrato che si trattava di un adulto di circa 180 centimetri di altezza, relativamente alto per la sua epoca, costantemente tormentato da infezioni respiratorie e ascessi dentali.

L’uomo iniziava a presentare segni di degenerazione spinale, probabilmente un problema legato all’età dell’individuo (tra i 40 e i 50 anni). Il braccio destro mostrava una profonda incisione subita poco prima della morte dell’uomo (non sono stati rilevati indizi di guarigione delle ossa).

Scheletro dell' Uomo di Racton
Scheletro dell’ Uomo di Racton

La ferita al braccio appare coerente con l’ipotesi che l’uomo sia stato ucciso mentre sollevava il braccio per proteggersi da un colpo potenzialmente fatale.

Secondo le ipotesi formulate nel 2015 dagli archeologi coinvolti negli scavi, l’Uomo di Racton potrebbe essere stato un personaggio di spicco all’interno della sua comunità. “Il fatto che quest’uomo avesse una daga di bronzo era incredibilmente raro per l’epoca” afferma James Kenny, lo scopritore dello scheletro. “E’ vissuto proprio all’inizio dell’introduzione di questo tipo di tecnologia. Era un membro prominente della società, qualcuno con grande esperienza.”

Stuart Needham, specialista di tecnologia dell’età del bronzo e membro del team coinvolto negli scavi, sostiene che “la daga affermava lo status sociale dell’individuo, probabilmente dimostrandone la capacità nel combattimento. La lama della daga, con la sua impugnatura bloccata da rivetti, veniva costantemente affilata”.

La daga di bronzo

Fortunatamente per l’Uomo di Racton e per il fabbro che realizzò la sua lama, lo stagno non doveva attraversare deserti desolati e mari in tempesta: in Cornovaglia, a circa 200 km di distanza, proprio in quel periodo stava fiorendo un’intensa attività estrattiva di rame e stagno, un’attività così intensa da portare i locali a vendere lo stagno estratto fino alle sponde del Mediterraneo.

In questo periodo il bronzo era divenuto un materiale di importanza strategica: le prime grandi civiltà iniziavano a sorgere basando il loro successo su strategie militari innovative o sulla pura superiorità bellica e tecnologica. Una lega più resistente del rame e meno fragile della pietra rappresentava un vero e proprio tesoro che poteva garantire la sopravvivenza o la vittoria sul campo di battaglia.

Lama della daga di Racton
Lama della daga di Racton

L’Uomo di Racton è uno dei primi possessori documentati di una daga risalente all’inizio dell’età del bronzo. Era uno dei pochi europei fortunati a possedere un’arma costituita da un metallo eccezionale per l’epoca, il primo passo verso un’escalation tecnologica che avrebbe portato alla futura lavorazione del ferro.

La lama del pugnale è lunga circa 15 centimetri e larga 6, con due fori laterali e uno centrale in corrispondenza dei punti di contatto con l’impugnatura, elemento che si è disintegrato nel tempo ma che potrebbe essere stata d’osso, di legno o di corno.

I rivetti di bronzo che univano l’impugnatura alla lama sono in totale 26, tutti perfettamente conservati considerata l’età che hanno. L’utilizzo di così tanti rivetti bronzei e l’innesto relativamente complesso della lama fanno pensare ad un oggetto realizzato appositamente per una figura importante per la comunità.

Il rame alla base della lega bronzea della lama di Racton è ad alto contenuto di arsenico, un elemento che rende il bronzo ancora più duro. Pur non conoscendo i dettagli dell’interazione chimica tra rame e stagno, gli antichi fabbri impararono a riconoscere e a sfruttare le contaminazioni del rame per ottenere leghe dalle differenti proprietà.

Daga di Racton completa di rivetti
Daga di Racton completa di rivetti

La lama dell’ Uomo di Racton ha molte analogie con la daga di Bush Barrow, rinvenuta a circa 1 km da Stonehenge, a partire dall’innesto con l’impugnatura: in entrambe le armi la lama viene assicurata tramite piccoli perni di bronzo.

Anche se simili per tecnologia costruttiva e design, la lama di Bush Barrow è un esemplare ancora più straordinario per via della sua decorazione: oltre 100.000 chiodi d’oro di minuscole dimensioni ornavano l’impugnatura.

Il pugnale di Racton, invece, era un utensile d’uso quotidiano: le analisi microscopiche della lama hanno evidenziato un costante lavoro di affilatura, supportando l’ipotesi di una daga per uso non cerimoniale, ma pratico.

Fonti

Revealed: Racton Man was Bronze Age warrior chief
The Racton Man
Mining in Cornwall and Devon
Chichester skeleton: Racton Man ‘was warrior chief killed in battle’
Story of man and dagger found in UK field is finally told – 4,200 years on

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Equipaggiamento da guerriero scoperto sul sito della battaglia di Tollense https://www.vitantica.net/2019/10/18/equipaggiamento-guerriero-battaglia-tollense/ https://www.vitantica.net/2019/10/18/equipaggiamento-guerriero-battaglia-tollense/#comments Fri, 18 Oct 2019 00:14:42 +0000 https://www.vitantica.net/?p=4608 Nel 1996 fa un team di archeologi ha scoperto la località di un antico campo di battaglia dell’Età del Bronzo all’interno della Valle di Tollense, nella regione nord-orientale della Germania.

Il sito, risalente al II millennio a.C., ospitava i resti di oltre 140 individui e un’incredibile quantità di oggetti d’uso quotidiano; un gruppo di questi artefatti, in totale 31 oggetti, potrebbe costituire l’equipaggiamento personale di un guerriero.

La battaglia di Tollense

La battaglia della Valle di Tollense rappresenta il teatro del più antico conflitto violento dell’Età del Bronzo avvenuto nelle regioni settentrionali d’Europa. Dal sito chiamato Weltzin 20 sono state recuperate punte di freccia di selce e di bronzo, oltre a numerosissimi frammenti di oggetti di legno e di ossa umane.

La maggior parte delle ossa appartengono a maschi adulti in buone condizioni fisiche. Considerate le tracce di traumi ossei guariti da tempo e quelli “freschi”, gli archeologi ritengono che si tratti di guerrieri coinvolti in uno scontro violento combattuto con l’uso di armi da mischia e da lancio; la battaglia potrebbe aver visto la partecipazione di oltre 2.000 – 4.000 guerrieri.

Resti umani scoperti in uno dei siti della Valle di Tollense
Resti umani scoperti in uno dei siti della Valle di Tollense

Nei sedimenti fluviali del sito Weltzin 20 sono stati rinvenuti 31 oggetti che, in origine, erano probabilmente avvolti in un contenitore di materiale organico, contenitore ormai dissolto a causa dei naturali processi di decomposizione.

Le ricerche condotte alla Aarhus University hanno mostrato come le due fazioni appartenessero probabilmente a due distinti gruppi etnici: uno schieramento proveniva da una regione distante e aveva una dieta a base di miglio, una pianta poco conosciuta a Tollense. E’ possibile che lo scontro sia avvenuto lungo una delle “strade dello stagno”, una delle rotte commerciali su lunghe distanze utilizzate per scambiare questo metallo, indispensabile per produrre bronzo di buona qualità.

Il kit del guerriero

In cima al cumulo di oggetti è stato trovato un punteruolo di bronzo dal manico di betulla e un coltello. Sotto questi due utensili c’erano uno scalpello, frammenti di bronzo, tre oggetti cilindrici, tre frammenti di lingotti e una gamma di piccoli scarti di bronzo, probabilmente il risultato della lavorazione di questa lega.

In aggiunta, sono stati rinvenuti un contenitore da cintura, tre spilloni, una spirale di bronzo, un cranio umano e una costola. A distanza di 3-4 metri sono stati scoperti una punta di freccia di bronzo, un coltello di bronzo dal manico in osso, una spilla con testa a spirale e una seconda punta di freccia di bronzo con una parte dell’asta di legno ancora attaccata.

Inventario del gruppo di oggetti scoperti nel sito Weltzin 20
Inventario del gruppo di oggetti scoperti nel sito Weltzin 20

I 31 oggetti pesano in totale 250 grammi. “Si tratta della prima volta in cui si scopre una dotazione personale sul campo di battaglia, e fornisce indizi sull’equipaggiamento di un guerriero” spiega Thomas Terberger del Dipartimento di Preistoria dell’Università di Göttingen.

La datazione degli artefatti ha dimostrato che gli oggetti appartengono all’epoca in cui si svolse la battaglia. “Il bronzo sotto forma di frammenti” continua Terberger, “era probabilmente utilizzato come forma di moneta. La scoperta di un set di artefatti ci fornisce inoltre indizi sull’origine degli uomini che parteciparono a questa battaglia, e ci sono sempre più prove che alcuni di questi guerrieri fossero originari delle regioni meridionali dell’Europa Centrale.”

Un’enorme battaglia

Considerando che la densità della popolazione della regione si attestava a circa 5 individui per chilometro quadrato, i reperti rinvenuti nei siti della battaglia della valle di Tollense suggerirebbero che si sia trattato di uno scontro di proporzioni enormi per l’Età del Bronzo.

Si stima che nello scontro siano morti tra i 750 e i 1.000 guerrieri, con una mortalità pari al 20-25%. In una sola zona di 12 metri quadrati sono state trovate quasi 1.500 ossa, suggerendo che quella particolare zona lungo il fiume possa essere stata occupata da una pila di cadaveri, o che abbia rappresentato l’ultima postazione difensiva degli sconfitti.

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Nella battaglia furono impiegate lance, mazze, coltelli, archi e spade. Anche se non ci sono resti di spade all’interno del sito, alcune ferite sono coerenti con i danni causati da queste armi. Alcuni combattenti scesero in campo a cavallo, come testimoniano le ossa di almeno cinque cavalli: la posizione di una testa di freccia su un omero indicherebbe che un cavaliere sia stato colpito da un arciere a piedi.

Il fatto che non siano stato trovati altri oggetti tra le ossa, ad eccezione di punte di freccia, lascia supporre che i corpi siano stati depredati dopo la battaglia. I resti non presentano connessioni anatomiche, suggerendo che le vittime siano state gettate nel fiume per liberare il campo.

Fonti per “Kit del guerriero scoperto sul sito della battaglia di Tollense”

Tollense valley battlefield
Lost in combat?
Lost in combat? A scrap metal find from the Bronze Age battlefield site at Tollense

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Survival Skills Primitive: produzione del bronzo (video) https://www.vitantica.net/2019/09/26/survival-skills-primitive-produzione-del-bronzo-video/ https://www.vitantica.net/2019/09/26/survival-skills-primitive-produzione-del-bronzo-video/#comments Thu, 26 Sep 2019 00:10:06 +0000 https://www.vitantica.net/?p=4548 Come già esposto in questo post, l’ascia di bronzo si è dimostrata un discreto strumento da taglio in diverse prove sul campo. Anche se le differenze tra l’acciaio e la lega di rame e stagno sono ben evidenti a tutti, il bronzo ha come vantaggio una maggiore facilità di produzione e di lavorazione rispetto al ferro e alle sue leghe.

Con una temperatura di fusione di circa 300 °C inferiore a quella del ferro, il bronzo può essere prodotto in un basso forno alimentato a legna. Un forno di questo tipo può essere realizzato con materiali poveri e facilmente reperibili in natura, come dimostrano i due autori del canale YouTube “Survival Skills Primitive”.

Il video mostra tutto il procedimento di lavorazione del bronzo, dalla costruzione del forno alla selezione dei minerali grezzi, fino alla fusione della lega per la costruzione di un’ascia e uno scalpello funzionanti e incredibilmente efficaci contro legname tenero.

Anche se, in questo caso, il forno viene alimentato con carbone di legna, risulta ugualmente efficace nella lavorazione del bronzo anche usando legname come combustibile.

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La daga di Bush Barrow https://www.vitantica.net/2019/06/28/la-daga-di-bush-barrow/ https://www.vitantica.net/2019/06/28/la-daga-di-bush-barrow/#respond Fri, 28 Jun 2019 00:10:28 +0000 https://www.vitantica.net/?p=4374 La quasi totalità di spade metalliche risalenti all’Età del Bronzo custodite nei musei di tutto il mondo è costituita sostanzialmente da lame bronzee munite di un’elsa metallica; l’impugnatura poteva essere rivestita di cuoio o legno, per renderla più confortevole per l’utilizzatore. Il materiale ligneo, o comunque di origine biologica, sopravvissuto fino ad oggi è spesso talmente degradato dai processi di decomposizione da risultare irriconoscibile, o del tutto assente.

C’è tuttavia una spada di bronzo la cui impugnatura è sopravvissuta per circa 4.000 anni. Non solo il legno si è conservato pressochè intatto fino a poche ore dopo il suo ritrovamento, ma si tratta di un’impugnatura che non ha eguali in alcun museo del mondo: la daga di Bush Barrow è un esemplare che dimostra l’incredibile manualità dei fabbri europei dell’ Età del Bronzo.

Il sito Bush Barrow

Bush Barrow si trova nel complesso funerario di Normanton Down Barrows, a circa 1 km dalla celebre Stonehenge. Si tratta di uno dei più importanti siti dell’Età del Bronzo britannica e negli anni ha fornito all’archeologia artefatti spettacolari e unici.

I primi scavi di Bush Barrow iniziarono nel 1808 sotto la guida di William Cunnington, mercante del Wiltshire con la passione per l’antiquariato e l’archeologia. Si scoprì che il sito conteneva lo scheletro di un uomo adulto, circondato da un corredo funerario tra i più ricchi e significativi dell’intera Gran Bretagna.

L’analisi dei reperti colloca la sepoltura tra il 1.900 e il 1.700 a.C.; tra gli oggetti ritrovati ci sono due lamine d’oro a losanga finemente decorate, una testa di mazza in pietra, alcuni rivetti molto probabilmente appartenuti ad un coltello e una daga di bronzo passata alla storia per la sua impugnatura decorata con precisione millimetrica.

Il sito Bush Barrow
Il sito Bush Barrow

Non sappiamo con certezza perché questa sepoltura contenesse oggetti così preziosi, specialmente se paragonata alle altre tombe del complesso. E’ possibile che l’individuo sepolto a Bush Barrow fosse un capo o un individuo particolarmente apprezzato dalla sua comunità; ma se fosse questo il caso, non ci si spiega perché il suo tumulo funerario non sia il più alto e imponente del complesso, o non sia stato collocato al centro del Normanton Down Barrows.

La daga di Bush Barrow

La daga di Bush Barow potrebbe sembrara un’arma da taglio relativamente insignificante, con una lama simile a molte altre prodotte nello stesso periodo. Ma l’ impugnatura la rendeva un oggetto unico nel suo genere: realizzata in legno, era interamente ricoperta da minuscoli perni d’oro lunghi un millimetro e larghi 0,2 mm, inseriti individualmente nel manico da mani abilissime e capaci di manipolare oggetti così minuti.

L’impugnatura, andata distrutta a poche ore dal suo ritrovamento anche a causa delle tecniche di scavo di Cunnington, ha fortunatamente lasciato alcuni frammenti di legno ancora ricoperti da perni d’oro, frammenti che chiariscono perfettamente il duro e minuzioso lavoro di decorazione effettuato dai fabbri dell’Età del Bronzo.

Ogni centimetro quadrato dell’impugnatura ospitava circa un migliaio di microscopici perni d’oro, per un totale di circa 140.000 “chiodini” che ricoprivano l’intera lunghezza del manico. L’eccezionalità di questa lavorazione non risiede esclusivamente nella realizzazione di decine di migliaia di minuscoli oggetti d’oro, ma anche nel loro preciso collocamento sull’impugnatura.

“I perni d’oro sono una prova eccezionale dell’abilità e dell’artigianato dei fabbri dell’Età del Bronzo” spiega David Dawson, diretore del Wiltshire Heritage Museum in cui è custodita la daga. “Viene descritta a ragione come ‘l’opera degli dei'”.

Frammento dell'impugnatura della daga di Bush Barrow
Frammento dell’impugnatura della daga di Bush Barrow

“Il vero lavoro di precisione prevedeva la fabbricazione e il posizionamento di decine di migliaia di componenti microscopici realizzati individualmente, ognuno lungo circa un millimetro e largo 1/5 di millimetro” continua Dawson. “La conseguenza è che c’era quasi sicuramente una piccola parte di artigiani dell’Età del Bronzo che diventavano miopi una volta raggiunta un’età adulta. Non erano quindi in grado di fare altri lavori a parte la realizzazione di piccoli artefatti e dovevano essere costantemente supportati dalla loro comunità”.

Un lavoro per giovani e miopi

Il posizionamento dei perni d’oro sembra essere avvenuto in almeno quattro fasi. Nella prima fase, l’artigiano realizzava un sottile cavo d’oro, fine quanto un capello umano; nella seconda fase di lavorazione, una delle estremità del cavo veniva appiattita per ottenere la testa del chiodino e tagliata a circa un millimetro di distanza dalla testa usando una lama di ossidiana o di selce. Questo procedimento era ripetuto decine di migliaia di volte per ottenere tutti i perni necessari a ricoprire l’impugnatura dell’arma.

A questo punto, l’impugnatura veniva forata con un punteruolo dotato di una punta estremamente fine, creando le sedi per i perni d’oro. Inutile sottolineare quanto l’operazione fosse delicata: ogni errore poteva compromettere il risultato finale e la tenuta dei perni.

Nell’ultima fase, immediatamente precedente al posizionamento dei perni, l’impugnatura veniva ricoperta da un sottile strato di resina vegetale: l’adesivo avrebbe assicurato i chiodini nella loro sede impedendone la fuoriuscita.

Frammento dell'impugnatura della daga di Bush Barrow a confronto con la cruna di un ago
Frammento dell’impugnatura della daga di Bush Barrow a confronto con la cruna di un ago

L’inserimento dei perni avveniva quasi sicuramente tramite l’uso di pinzette d’osso o di legno, dato che i chiodini erano troppo piccoli per essere posizionati a mano. “Abbiamo stimato che l’intera operazione – la fabbricazione del cavo, dei chiodini, la foratura, la deposizione della resina e il posizionamento dei perni – avrebbe richiesto almeno 2.500 ore-lavoro per essere completata” sostiene Dawson.

Il livello di manualità necessario per questo genere di lavorazione suggerirebbe che questo tipo di artefatti non fosse unico o estremamente raro, ma rientrasse nella tradizione della lavorazione dell’oro dell’Europa occidentale.

Secondo l’ottico Ronald Rabbets “solo bambini e adolescenti, e adulti divenuti miopi per cause naturali o legate al loro lavoro in giovane età, sarebbero stati in grado di creare questi oggetti così piccoli”. Solo i più giovani e i più miopi, quindi, avrebbero avuto la giusta capacità di vedere da vicino necessaria a posizionare questi minuscoli frammenti d’oro.

Bush Barrow
Stonehenge’s most intricate archaeological finds were ‘probably made by children’
Where did the gold from the time of Stonehenge come from? Analysing the Bush Barrow dagger.

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Ascia di pietra, bronzo e acciaio a confronto https://www.vitantica.net/2019/05/10/ascia-pietra-bronzo-acciaio-confronto/ https://www.vitantica.net/2019/05/10/ascia-pietra-bronzo-acciaio-confronto/#comments Fri, 10 May 2019 00:10:40 +0000 https://www.vitantica.net/?p=4116 E’ difficile riuscire a trovare informazioni corrette e accurate sull’efficacia degli utensili utilizzati in epoca preistorica. Non molti ricercatori si dedicano alla ricostruzione pratica delle antiche tecnologie, ancora meno rivolgono la loro attenzione alla realizzazione di utensili d’uso quotidiano.

L’ archeologia sperimentale e gli “esperimenti imitativi”, con tutti i loro limiti che qualcuno più competente di me potrebbe elencare, forniscono tuttavia alcuni preziosi indizi sull’ingegno dei nostri antenati e sulle risorse da loro utilizzate per semplificarsi la vita.

Con l’inizio della lavorazione della pietra, l’ascia iniziò a costituire un utensile e un’arma estremamente versatile: poteva essere ovviamente impiegata per recuperare legname, ma trovava impiego in moltissimi altri ambiti in un contesto di vita a stretto contatto con la natura.

Dipendentemente dalla sua tecnologia costruttiva e dai materiali impiegati, l’ascia rappresentò anche uno strumento multiuso per lavori di precisione, per la caccia, per la guerra, o un semplice “spaccaossa” per la lavorazione delle carcasse animali.

Quanto è realmente efficace un’ascia di pietra?

Quali sono le reali prestazioni di un’ascia di pietra in confronto a bronzo e acciaio? Ogni ascia è dotata di una testa, una lama spessa, resistente e talvolta molto affilata. E’ facilmente intuibile che la testa di un’ascia costituisca un elemento importante per l’efficacia dell’utensile; anche il manico è rilevante, ma una testa degna di tale nome può essere all’occorrenza facilmente adattata ad una nuova impugnatura, più performante, resistente o leggera.

Una comparazione sul campo tra asce di pietra, bronzo e acciaio è stata fatta nel 2010 da James R. Mathieu e Daniel A. Meyer della Boston University e pubblicata sulla rivista Journal of Field Archaeology. Il metodo adottato nella ricerca prevede l’abbattimento di alcune specie di alberi tipiche dell’emisfero settentrionale utilizzando asce realizzate con diversi materiali.

Asce di bronzo (a sinistra) e asce di pietra (a destra) impiegate nell'esperimento
Asce di bronzo (a sinistra) e asce di pietra (a destra) impiegate nell’esperimento

Ciò che hanno fatto i ricercatori aveva un obiettivo fondamentale: mettere a confronto pietra, bronzo e acciaio in termini di efficienza per comprendere nel miglior modo possibile la praticità di questi utensili.

Calcolare con esattezza i tempi di abbattimento di un albero pare non sia così semplice: fin dal 1960 sono state effettuate diverse comparazioni nelle tempistiche di abbattimento utilizzando diversi tipi di acciaio; talvolta si è anche tentato di paragonare le asce moderne a quelle di pietra, ma il confronto di efficienza non si basa soltanto sul tempo necessario ad abbattere un tronco.

L’efficienza nell’abbattimento di un albero si calcola tenendo in considerazione anche il rapporto di kilocalorie consumate per ogni centimetro di taglio (pollice, in questo caso). Negli anni ’70 del 1900, ad esempio, Stephen Sarayadar e Izumi Shimada hanno calcolato che l’acciaio fosse quasi 4 volte più efficiente della pietra in quanto a tempistiche e circa 3 volte più efficiente in termini di calorie consumate.

Asce di pietra, bronzo e acciaio alla prova sul campo

Le asce di bronzo utilizzate nell’esperimento erano repliche di utensili risalenti al 1400-900 a.C., realizzate con una lega di bronzo al 90% da rame e al 10% di stagno e modellate sulla base di alcuni reperti custoditi allo University Museum of Archaeology and Anthropology.

Differenza di prestazioni tra asce di bronzo e asce di acciaio
Differenza di prestazioni tra asce di bronzo e asce di acciaio

Anche le asce di pietra sono state realizzate partendo da esemplari di teste d’ascia di pietra custoditi nello stesso museo e rinvenuti nei pressi del lago di Costanza, in Svizzera. Due teste d’ascia erano in selce, altre due invece di pietra afanitica, un tipo di roccia ignea criptocristallina composta da cristalli dal diametro inferiore agli 0,5 millimetri (come il basalto o l’andesite).

I test sono stati condotti con 4 teste d’ascia in acciaio (dal peso compreso tra i 600 grammi e i 2,3 kg), 4 teste di bronzo tra 1 kg e 1,9 kg e 8 teste di pietra (con peso compreso tra i 2 kg e i 2,7 kg). Sono state impiegate lame di larghezza differente e manici di lunghezza compresa tra i 30 e i 91 cm.

Gli alberi selezionati per l’abbattimento avevano un diametro da 8 centimetri a quasi 34 centimetri; sono stati utilizzati pioppi, pini, aceri, olmi, querce e betulle, esemplari rappresentativi della flora europea e nordamericana del Neolitico.

Come era facilmente prevedibile, l’ascia d’acciaio ha prestazioni differenti da quella di bronzo, ma la differenza di efficienza tra i due utensili non è così evidente: la lega di rame e stagno riesce comunque ad abbattere un tronco del diametro di 30 centimetri in meno di 15 minuti, una velocità poco differente a quella raggiunta con l’acciaio.

Il bronzo in realtà può ottenere un’affilatura efficace con l’indurimento, ma la sua morbidezza rispetto all’acciaio non gli consente di mantenere a lungo una filo tagliente. Questa scarsa durezza non sembra tuttavia aver pregiudicato l’abbattimento di alberi di diametro medio-piccolo in tempi competitivi a quelli di un’ascia di acciaio.

L’efficienza dell’ascia di pietra

Con la pietra il discorso è un po’ differente, ma il materiale litico può avere sorprendenti doti di durezza e resistenza. Nei confronti di tronchi di 30 centimetri, l’ascia di pietra può richiedere ben 30-50 minuti per completare un abbattimento; ma nel caso di alberelli di 10-20 centimetri, l’abbattimento risulta relativamente semplice in 5-15 minuti, tempistiche che variano in relazione alla specie di albero selezionata.

Differenza di prestazioni tra asce di pietra e asce di metallo
Differenza di prestazioni tra asce di pietra e asce di metallo

Una differenza sostanziale è stata osservata nel tipo di taglio. L’ascia di acciaio effettua tagli ben definiti e stacca brandelli di legno dai profili spigolosi e netti; quella di bronzo crea frammenti più piccoli e sottili, e con l’usura tende a ad avere meno efficacia.

L’ascia di pietra è in grado di effettuare tagli relativamente precisi, dipendentemente dal materiale della testa e dalla sua lavorazione. Ma i frammenti che stacca tendono ad essere sfibrati, senza spigoli ben delineati, risultando quasi “masticati”.

E’ sicuramente possibile realizzare pietre taglienti come rasoi utilizzando materiali come l’ossidiana o la selce, ma non si potrà ottenere un utensile utilizzabile per il lavoro pesante a causa della fragilità del materiale litico.

Le conclusioni che i ricercatori hanno tratto sono le seguenti: in primo luogo, asce di bronzo e acciaio possono essere considerate come appartenenti alla stessa categoria di “teste d’ascia di metallo” per via delle loro prestazioni simili.

Anche il manico ha giocato un ruolo rilevante nell’efficienza di un’ascia: un’impugnatura più lunga non consente di mantenere un ritmo veloce, ma compensa la sua lentezza con un’ efficienza energetica maggiore e tempi ridotti per l’abbattimento.

I tronchi di 10-15 centimetri di diametro possono essere velocemente abbattuti da un’ascia di pietra, con tempistiche molto simili a quelle di un’ascia metallica. Con alberi dal diametro di 20 centimetri o superiore, i punti di forza delle asce metalliche emergono sull’efficacia di un utensile di pietra, specialmente sotto l’aspetto di calorie consumate per albero e nella definizione dei tagli effettuati.

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Comparing Axe Heads of Stone, Bronze, and Steel: Studies in Experimental Archaeology

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Il bronzo di Corinto https://www.vitantica.net/2019/03/20/bronzo-di-corinto/ https://www.vitantica.net/2019/03/20/bronzo-di-corinto/#respond Wed, 20 Mar 2019 00:10:59 +0000 https://www.vitantica.net/?p=3806 Il bronzo di Corinto era una lega considerata molto pregiata durante l’antichità classica. La vera composizione di questa lega è ancora oggi materia di dibattito, ma sappiamo che veniva prodotta a Corinto e che gli oggetti realizzati con questo materiale venivano considerati più preziosi di quelli in oro o argento.

Una lega più preziosa dell’argento

A partire dal IV secolo a.C. Corinto si impose come un importantissimo centro di produzione e lavorazione del bronzo nella Grecia antica.

A Corinto e nel resto delle città dell’antichità classica, bronzo o ottone venivano prodotti seguendo diverse formule, tutte note come χαλκός o aes (in latino); il bronzo di Corinto veniva tuttavia considerato il più pregiato tra tutte le leghe bronzee.

E’ possibile che questa sua fama fosse nata semplicemente per la cura che i fabbri della città dedicavanno alla produzione di questa lega, ma oggi si ritiene che la ragione alla base della fama del bronzo di Corinto fosse la sua composizione: rame e metalli preziosi.

Plinio il Vecchio, nel Libro 34 della sua Naturalis Historia, distinse tre differenti tipi di bronzo di Corinto in base ai metalli aggiunti alla lega di rame: il primo tipo, luteum, prevedeva l’aggiunta di oro per donare una colorazione giallastra; il secondo, candidum, vedeva coinvolto l’argento e aveva una colorazione molto chiara; il terzo invece era una lega composta da oro, argento e rame in parti uguali.

Plinio fa inoltre riferimento ad un quarto tipo di bronzo di Corinto, noto come hepatizon, una lega dall’aspetto scuro il cui metodo di produzione era ormai andato perduto, anche se è possibile che fosse costituito da rame, oro e argento secondo un rapporto sconosciuto e seguendo una procedura che terminava con una sorta di brunitura.

Il metallo che compone questa statuetta potrebbe essere l'unico esempio di hepatizon attualmente esistente
Il metallo che compone questa statuetta potrebbe essere l’unico esempio di hepatizon attualmente esistente

L’autore romano sostiene che il bronzo di Corinto avesse un valore tale da poter essere collocato, in quanto a pregio, “ante argentum ac paene etiam ante aurum“, “prima dell’argento e quasi prima dell’oro”.

Anche Cicerone e Plutarco citano il bronzo di Corinto, sostenendo che, al contrario delle tradizionali leghe a base di rame, questa non sviluppava una patina opaca che ne riduceva la lucentezza.

Per quanto non esistano campioni certi di bronzo di Corinto sopravvissuti fino ad oggi, questa lega sembra simile al “rame nero” egizio (hesmen kem), un materiale dalla patina scura composto da rame, oro, argento e piccole percentuali di arsenico.

Si è anche ipotizzato che il bronzo di Corinto non fosse affatto una lega a base di rame e metalli preziosi, ma soltanto una forma molto rifinita di bronzo lucidata a tal punto da risplendere di riflessi argentei e dorati.

L’origine leggendaria del bronzo di Corinto

Secondo la leggenda, il bronzo di Corinto nacque per caso durante l’incendio di Corinto messo in atto da Lucius Mummius Archaicus nel 146 a.C.. Le fiamme divorarono le immense riserve d’oro, argento e rame della città, immagazzinate nello stesso edificio, fondendole insieme e creando questa lega così pregiata.

Secondo Plinio e gli storici contemporanei, tuttavia, la storia è da considerarsi poco attendibile per via del fatto che i creatori del bronzo di Corinto vissero in un periodo molto precedente all’incendio della città.

In base alle ricostruzioni degli archeologi, il bronzo di Corinto rimase in auge per circa un secolo e mezzo, fino alla fine del I secolo d.C. All’inizio del II secolo d.C. questa lega era già diventata una moda del passato anche se riferimenti al bronzo di Corinto si possono trovare fino al X secolo d.C.

Bronzo di Corinto nel resto del mondo

Corinto non fu la sola a produrre leghe a base di rame, oro e argento. I vasi cinesi di Hong-hee (1426) sono stati realizzati utilizzando una lega molto simile al bronzo di Corinto.

La lega chiamata tumbaga dagli Spagnoli giunti in America Centrale all’inizio della conquista del continente aveva una composizione estremamente variabile: dal 97% di rame e il 3% d’oro fino al 97% d’oro e 3% di rame, con un rapporto oro-rame superiore a quello ipotizzato per il bronzo di Corinto di maggiore pregio.

Il tumbaga era più duro del rame, aveva un punto di fusione inferiore a quello di rame e oro ma manteneva la sua malleabilità dopo essere stato martellato ripetutamente. Il tumbaga era il materiale di prima scelta per la realizzazione di oggetti religiosi da parte delle popolazioni precolombiane in grado di lavorare il rame.

Shakudo
Shakudo

In Giappone viene prodotta da almeno da 1.300 anni una lega chiamata Shakudo, un materiale colorato composto dal 4-10% d’oro e il 96-90% di rame. Lo shakudo fu utilizzato per realizzare alcune decorazioni delle spade tradizionali giapponesi, come gli tsuba, i menuki e i kozuka, oppure per la produzione di scatole ornamentali e piccoli oggetti votivi.

Come veniva prodotto il bronzo di Corinto?

Non abbiamo procedure dettagliate in grado di guidare passo-passo i fabbri moderni nel ricreare questa lega, ma grazie a fonti greche, latine, siriane ed egizie è possibile farsi un’idea di come veniva prodotto il bronzo di Corinto.

Dopo la creazione della lega era necessario un trattamento col calore, una tempra e una brunitura. Lo scopo era probabilmente quello di ossidare il rame per poi rimuoverlo dalla superficie della lega attraverso l’applicazione di acidi, con l’obiettivo di esporre gli strati d’oro o d’argento.

Il procedimento sembra essere in linea con uno dei più antichi testi metallurgici e alchemici del Mediterraneo, il Papiro X di Leida, sepolto nel III secolo d.C. a Tebe e sicuramente basato su testi più antichi.

La ricetta numero 15 del Papiro X di Leida è intitolata “la colorazione dell’oro” e prevede l’uso di sale, aceto e misy, una sostanza identificata con il minerale copiapite, un solfato basico e idrato di ferro trivalente.

Papiro X di Leida
Papiro X di Leida

Non solo: l’argentatura o doratura descritta nel papiro sono le stesse della procedura seguita dai popoli precolombiani per la produzione del tumbaga. L’uso della soluzione acida funziona in modo ottimale per leghe rame-argento o rame-oro-argento, ma non per una lega rame-oro senza argento.

Non tutti gli storici concordano sulla composizione del bronzo di Corinto. Secondo Donald Engels, questa lega non conteva oro e argento bensì un’elevata quantità di stagno, una ricetta unica di Corinto. L’aggiunta di grandi quantità di stagno non solo rendeva più duro il bronzo, ma donava alla lega ulteriore lucentezza se lucidata da mani esperte.

Questa ipotesi sembra tuttavia essere in contrasto con le fonti antiche, concordi sul fatto che con il termine “bronzo di Corinto” si indicasse una lega a base di rame e metalli preziosi.

Corinthian Bronze and the Gold of the Alchemists
Aes
An Experimental Diachronic Exploration of Patination Methodology of Dark Patinated (Arsenical) Copper Alloys on Case Studies from the Eastern Mediterranean Bronze Age and Early Iron Age

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I sette metalli dell’antichità https://www.vitantica.net/2019/02/08/sette-metalli-antichita/ https://www.vitantica.net/2019/02/08/sette-metalli-antichita/#respond Fri, 08 Feb 2019 00:10:54 +0000 https://www.vitantica.net/?p=3699 In tempi moderni siamo a conoscenza di circa 86-95 metalli sul totale di 118 elementi che popolano la tavola periodica. Il numero tende ad oscillare per via del fatto che le definizioni per metallo, non metallo e semimetallo subiscono cambiamenti a causa delle continue scoperte scientifiche e dell’assenza di una definizione universalmente riconosciuta delle loro proprietà.

Durante il XIII secolo Alberto Magno riuscì ad isolare l’arsenico e ad identificarlo come metallo, per quanto il suo utilizzo risalisse a tempi ben più antichi: nell’ Età del Bronzo, l’arsenico veniva spesso incluso nella leghe a base di rame e stagno per renderle più dure.

Prima della corretta identificazione dell’arsenico come metallo, gli antichi utilizzavano soltanto quelli che vengono definiti i “sette metalli dell’antichità“: oro, argento, rame, stagno, piombo, ferro e mercurio.

Su questi metalli le civiltà antiche basarono la loro ricchezza economica, il loro successo in battaglia, le loro ipotesi sul mondo naturale e i loro prodotti per la cura della persona.

Le ragioni dell’impiego di solo 7 metalli tra tutto il ventaglio di elementi metallici disponibili oggi sono da ascrivere alle loro caratteristiche fisiche e alla loro reperibilità.

Punto di fusione

Con l’eccezione del ferro, il penultimo metallo ad essere sfruttato lungo la linea temporale della lavorazione dei metalli, tutti gli altri 6 metalli dell’antichità possedevano un basso punto di fusione.

Ci primi forni per la fusione dei metalli non riuscivano a raggiungere temperature sufficienti a fondere alcuni dei metalli conosciuti. Di fatto, il ferro non veniva fuso nel senso letterale del termine, ma reso “morbido” per poterlo lavorare con più facilità.

cinabro minerale mercurio
Il cinabro non è altro che solfuro di mercurio sotto forma di minerale tossico

Il mercurio si trova raramente in stato nativo, molto più spesso all’interno di minerali come il cinabro, ma la sua bassissima temperatura di fusione (−38.829 °C) ne facilitava enormemente l’estrazione.

Stagno e piombo, dotati di punti di fusione molto bassi (rispettivamente 231 °C e 327 °C), potevano essere fusi utilizzando semplici forni alimentati da legna. Basta un accendino per fondere lo stagno, e la facilità di lavorazione del piombo lo resero uno dei metalli più utilizzati nell’antichità.

Argento e oro (il primo fonde a 961 °C, il secondo a 1064 °C) si trovano comunemente in forma nativa. Spesso l’oro non richiede la separazione da altri minerali per poter essere lavorato; l’argento invece si trova spesso sotto forma di galena, un mix di piombo e argento: la separazione dei metalli avveniva grazie ad un processo di separazione (coppellazione) basato sulle differenti temperature di fusione.

Anche il rame, con una temperatura di fusione di 1084 °C, si trova in forma nativa, ragione che lo portò ad essere impiegato dai nostri antenati migliaia di anni fa per realizzare asce (come quella di Ötzi), pugnali, scalpelli e tubature.

Per la lavorazione del ferro bisognerò tuttavia attendere l’evoluzione dei forni di fusione impiegati per gli altri metalli. Il ferro fonde a 1538 °C, una temperatura che fu raggiungibile solo utilizzando una combinazione di combustibili adatti (carbone), forni adeguati e una ventilazione costante in grado di massimizzare la produzione di calore.

Facilità di estrazione

Stagno, oro e argento si presentano comunemente anche in forma nativa, metallo puro non legato ad altri elementi. Lo stesso vale anche per il rame, ma si trova molto più abbondantemente all’interno di minerali come malachite e calcopirite.

Per separare il rame dai minerali che lo contengono occorre usare una fornace in grado di raggiungere almeno i 1089 °C. In passato tuttavia esistevano diversi depositi di rame nativo, come a Cipro e a Creta: poteva essere estratto semplicemente staccando pezzi di metallo dalla roccia.

Il mercurio può essere facilmente estratto dai composti che lo contengono scaldandoli a basse temperature: 500 °C sono sufficienti a separare questo metallo dal resto degli elementi.

Galena, mix di piombo e argento
Galena, mix di piombo e argento

Il piombo si trova spesso sotto forma di galena (solfuro di piombo), un minerale descritto da Plinio il Vecchio come “minerale di piombo”. E’ malleabile e fonde facilmente su carbone di legna producendo piccoe sfere di piombo.

La galena può contenere anche argento in percentuali variabili da 1 a 2%: in passato lo si estraeva semplicemente aggiungendo cenere d’ossa durante la combustione della galena per assorbire gli ossidi di piombo. Nell’antichità l’argento fu talvolta considerato più prezioso dell’oro e la galena rappresentò per secoli la principale fonte d’argento.

Rarità

Ad eccezione del ferro, uno dei metalli più diffusi in natura, gli altri sei metalli dell’antichità sono poco comuni o rari. Ma prima della scoperta delle modalità d’estrazione del ferro dai minerali che lo contengono, questo metallo era raro e l’unica fonte di ferro disponibile era quello di origine spaziale (ferro meteoritico).

Lo stagno, fondamentale per creare il bronzo, è un elemento relativamente raro nella crosta terrestre: 2 parti per milione (ppm) contro le 50.000 ppm del ferro, le 50 ppm del rame e le 14 ppm del piombo.

Le fonti di stagno erano rare nell’antichità, rarità che costrinse molti popoli produttori di bronzo ad istituire lunghe e complesse reti commerciali per estrarre la cassiterite (biossido di stagno), un minerale noto ai Greci (che chiamarono Cassiteridi alcune isole ricche di questo minerale) e citato da Plinio il Vecchio come principale fonte dello stagno utilizzato per la produzione del bronzo antico.

Cassiterite
Cassiterite

Il rame è l’ottavo metallo più abbondante sulla Terra. I suoi minerali sono presenti pressoché ovunque sul pianeta ed è facilmente riconoscibile nella sua forma nativa. Il rame è presente in oltre 160 minerali differenti, ma i più ricchi di questo metallo sono malachite, cuprite, calcopirite e crisocolla.

Il mercurio è un elemento estremamente raro nella crosta terrestre (circa 0,08 parti per milione). Dato che tende a non legarsi con moltissimi elementi che costituiscono la crosta terrestre, i minerali che lo contengono (come il cinabro) possono essere molto concentrati, con percentuali di mercurio fino al 2,5% della massa totale.

L’oro è un metallo relativamente raro (0,005 ppm nella crosta terrestre) che si manifesta prevalentemente in forma nativa principalmente sotto l’aspetto di piccole particelle, schegge o pepite incorporate in roccia come quarzo o pirite.

Anche l’argento è relativamente raro nella crosta terrestre (0,08 ppm) e si manifesta principalmente sotto forma di minerali come la galena. Essendo più reattivo dell’oro, si trova raramente in forma nativa, ragione per cui è stato considerato molto prezioso nei millenni passati: in Egitto veniva valutato più dell’oro fino al XV secolo a.C.

I sette metalli: facili da estrarre e da lavorare

Alla luce di queste informazioni, sembra evidente che la rarità dei metalli utilizzati nell’antichità non fosse un fattore così determinante per il loro impiego su larga scala quanto la loro facilità di manipolazione e il loro basso punto di fusione.

Malachite
Malachite

In assenza di analisi chimico-fisiche in grado di determinare l’esatta natura di un elemento, gli antichi contaminavano spesso i metalli che conoscevano con altri metalli a loro ignoti o semplicemente non identificati come tali: le contaminazioni volontarie e involontarie di arsenico nel bronzo antico furono frequenti, ma questo elemento non fu considerato un metallo fino a circa 700 anni fa.

La presenza in forma nativa di metalli come oro, argento e stagno semplificò sicuramente l’estrazione, ma ben presto i nostri antenati elaborarono metodi per estrarre i metalli che conoscevano dai minerali più comuni.

Di certo il basso punto di fusione aiutò nell’impresa: anche i forni utilizzati per la cottura della ceramica erano in grado di fondere metalli come stagno, piombo, mercurio, oro, argento e rame, aprendo il campo alla lavorazione dei metalli a qualunque civiltà conoscesse le tecniche di costruzione di forni efficienti.

Metals of antiquity
A Short History of Metals

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Khopesh, la spada a falce dell’ antico Egitto https://www.vitantica.net/2018/07/19/khopesh-spada-falce-antico-egitto/ https://www.vitantica.net/2018/07/19/khopesh-spada-falce-antico-egitto/#comments Thu, 19 Jul 2018 02:00:47 +0000 https://www.vitantica.net/?p=1864 Il mondo antico era ricco di armi da taglio dalle forme più disparate: lame uncinate o ondulate sono solo alcune delle geometrie che gli antichi idearono per rendere più efficaci i loro strumenti di morte. Nell’elenco delle lame dalla forma insolita c’è il khopesh, una spada “a falce” in dotazione alla fanteria dell’ antico Egitto per oltre un millennio.

Struttura del khopesh

Il tipico khopesh era in bronzo (intorno al 1.200 a.C. si iniziò ad impiegare il ferro), lungo dai 50 ai 60 centimetri e dalla caratteristica lama ricurva che ricorda un falcetto, capace di offendere da un lato, contundere brutalmente dall’altro e afferrare il nemico grazie alla geometria ad uncino della sua punta.

L’origine esatta del khopesh è difficile da collocare sulla linea temporale: sappiamo che la sua prima apparizione documentata è sulla Stele degli Avvoltoi, una stele di origine sumerica risalente a circa 4.500 anni fa che rappresenta Eannatum, sovrano della città di Lagash, che impugna un khopesh.

E’ possibile quindi che la tecnologia del khopesh sia giunta in Egitto tramite i Cananei o qualche popolazione mediorientale con cui gli Egizi intrattenevano scambi commerciali.

Khopesh decorato ritrovato a Nablus e risalente al XVIII secolo a.C.
Khopesh decorato ritrovato a Nablus e risalente al XVIII secolo a.C.

Nel corso dei secoli molti faraoni sono stati ritratti mentre impugnavano un khopesh, che col tempo sostituì la mazza come simbolo di regalità, o sepolti in compagnia di alcune di queste spade.

Alcune di queste armi sono sono state affilate per l’impiego sul campo o riportano segni di usura, mentre altre sembrano essere state intenzionalmente realizzate senza un filo tagliente, suggerendo l’idea che i khopesh trovati in molte sepolture siano in realtà armi cerimoniali mai utilizzate in battaglia.

Il tipico khopesh veniva realizzato fondendo il bronzo e versando il metallo fuso in uno stampo: una volta raffreddato, lo stampo veniva aperto o rotto per estrarre la spada completa di manico, un unico blocco di bronzo che rendeva l’arma più resistente rispetto a quelle con lame innestate su impugnatura di legno o corno.

La lama del khopesh è tagliente solo nel lato esterno e periferico dell’arma (contrariamente alla falce, che ha il lato interno affilato), in corrispondenza della curvatura accentuata che dona a questa spada il suo aspetto caratteristico; il lato interno è invece arrotondato o piatto.

E’ possibile che il khopesh si sia evoluto dalle asce “epsilon“, impiegate comunemente in battaglia dalle armate mediorientali e successivamente adottate anche dagli Egizi, che le usavano manovrandole con una mano sola per avere l’altra libera di impugnare uno scudo.

Khopesh del XV secolo a.C. scoperto a Gerusalemme
Khopesh del XV secolo a.C. scoperto a Gerusalemme
Vantaggi e svantaggi del khopesh

Il khopesh è un’ arma relativamente pesante in rapporto alla sua lunghezza. Lo spessore della sezione della lama può essere considerato eccessivo per gli standard moderni e il bronzo non è affatto una lega leggera; secondo gli archeologi, il khopesh ideale dovrebbe avere un peso compreso tra i 650 e i 750 grammi per essere manovrato con precisione, ma molti esemplari superano abbondantemente questo limite supportando l’ipotesi di un uso rituale di queste armi.

La forma del khopesh non offre particolari vantaggi per l’utilizzatore: la porzione tagliente della lama è relativamente ridotta rispetto a spade ricurve come le scimitarre e la forma stessa dell’arma conferisce al khopesh un baricentro spostato verso la punta, aspetto che può rendere meno efficace un fendente.

Questo tipo di spada richiedeva inoltre una quantità superiore di metallo rispetto a lame di ferro dritte o ricurve in modo uniforme, anche se le metodologie impiegate per la fabbricazione di un khopesh erano decisamente più semplici di quelle utilizzate successivamente per la lavorazione del ferro.

Alcune delle tipologie di khopesh prodotte durante la Tarda Età del Bronzo. Fonte: The Tell Apek Khopesh
Alcune delle tipologie di khopesh prodotte durante la Tarda Età del Bronzo. Fonte: The Tell Apek Khopesh

Il khopesh forniva però un grande vantaggio nel combattimento contro un nemico armato di scudo di legno o pelle, molto usati tra le antiche popolazioni africane come i Nubiani: la porzione tagliente della lama, che appesantiva l’estremità dell’arma opposta al manico, era ideale per penetrare nel telaio di uno scudo e renderlo sostanzialmente inutilizzabile dopo pochi colpi potenti.

La replica del khopesh

Anche se interamente realizzato in bronzo, un metallo più “morbido” dell’acciaio, il khopesh era un’arma estremamente efficace per la sua epoca. Alcune riproduzioni messe alla prova su carcasse di maiale hanno dimostrato di poter infliggere profonde ferite ai tessuti molli anche se impugnate da combattenti non esperti.

Anche se non fosse stato in grado di lacerare i tessuti o le protezioni del nemico, il khopesh era comunque capace di causare traumi estesi e spesso fatali se inflitti a zone sensibili e delicate del corpo umano.

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Bronze Age Military Equipment
A Visual History of Ancient Egyptian and Mesopotamian Swords, Blade, and Axes
Warfare and Weaponry in Dynastic Egypt

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La misteriosa sega a pendolo dell’ Età del Bronzo https://www.vitantica.net/2018/06/14/sega-a-pendolo-eta-del-bronzo/ https://www.vitantica.net/2018/06/14/sega-a-pendolo-eta-del-bronzo/#respond Thu, 14 Jun 2018 02:00:05 +0000 https://www.vitantica.net/?p=1771 L’archeologia sperimentale ha contribuito negli ultimi decenni a farci un’idea di come i nostri antenati costruissero case, imbarcazioni o oggetti d’uso comune.

Non significa necessariamente che simili metodi o tecnologie fossero realmente impiegate quotidianamente durante epoche storiche remote, ma l’ archeologia sperimentale è capace di fornire una buona approssimazione della gamma di soluzioni pratiche disponibili durante periodi che hanno lasciato poco o nulla di scritto.

Un aspetto che ha da sempre intrigato gli archeologi che si dedicano allo studio dell’ Età del Bronzo è l’abilità dimostrata dai nostri predecessori nel taglio della pietra.

In alcune circostanze, come in Egitto, abbiamo rinvenuto utensili e segni sulla roccia in grado di fornirci una spiegazione relativamente accurata di come gli antichi egizi tagliassero blocchi di calcare o granito per rifornire i cantieri delle piramidi; in altre situazioni, invece, le tecniche impiegate per il taglio della pietra sono ancora avvolte nel mistero.

Il mistero della sega a pendolo

Una particolare tecnologia probabilmente esistita circa tre millenni fa sembra aver eluso l’archeologia sperimentale per decadi: la sega a pendolo.

In nessuno scavo risalente all’Età del Bronzo è mai stato ritrovato un telaio o una lama facenti parte di questo tipo di attrezzo da taglio, ma circa 30 anni fa l’analisi di alcuni segni lasciati su blocchi di pietra utilizzati per la costruzione del Palazzo Reale di Micene, edificato circa 3.000 anni fa, aprirono il campo al sospetto che gli antichi tagliatori di pietra micenei si fossero serviti di seghe in grado di creare profonde incisioni ricurve.

Ancora oggi diversi archeologi sostengono che queste incisioni possano essere state fatte da attrezzi da taglio tradizionali, come seghe ricurve di bronzo bagnate da acqua e sabbia per aumentare il loro potere abrasivo.

Ma il ritrovamento di altri segni simili in diversi siti archeologici micenei, e la forma stessa di questi marchi sulla pietra, lascerebbero intendere, secondo alcuni studiosi, che fu impiegato uno strumento più complesso di una comune sega metallica ad azione manuale.

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Intorno agli anni ’90 del secolo scorso alcuni archeologi tedeschi proposero l’ipotesi che le incisioni micenee fossero state prodotte da uno strumento a pendolo, una sorta di sega che sfruttava l’oscillazione di un pendolo per praticare fenditure nella roccia.

Secondo uno dei ricercatori, l’attrezzo era alto tra i 3 e gli 8 metri e creava profondi tagli ricurvi che rappresentavano segmenti di cerchi geometrici imperfetti, ma è solo negli ultimi anni che alcuni studiosi si sono cimentati nell’impresa di ricreare una sega a pendolo funzionante.

La riproduzione della sega a pendolo

Nicholas Blackwell, archeologo della Indiana University Bloomington, ha ricostruito con l’aiuto di suo padre una sega a pendolo funzionante, misurando le prestazioni di diverse lame appositamente create da un fabbro di Creta specializzato nella lavorazione del bronzo.

Per costruire la sega, Blackwell ha analizzato sette differenti design ideati negli anni passati, concludendo di aver bisogno di uno schema costruttivo totalmente nuovo e relativamente semplice per ottenere un attrezzo funzionante.

Durante il test di Blackwell, la punta triangolare ha lasciato un segno irregolare e impreciso (B), mentre quella piatta dai bordi arrotondati ha tagliato la pietra con regolarità.
Durante il test di Blackwell, la punta triangolare ha lasciato un segno irregolare e impreciso (B), mentre quella piatta dai bordi arrotondati ha tagliato la pietra con regolarità.

Uno dei problemi che i costruttori precedenti non riuscirono a risolvere fu quello di costruire un pendolo che si adattasse alla profondità del taglio per penetrare la roccia esercitando costantemente una pressione verticale.

La soluzione di Blackwell è stata quella di costruire un telaio dotato di coppie di fori ovali, disposti verticalmente lungo i due pali di sostegno, in grado di ospitare il perno che consente l’oscillazione della sega: i fori ovali permettono di avere un margine verticale grazie al quale il pendolo può esercitare una pressione continua sul pezzo di roccia da tagliare prima di spostare il perno su una coppia di fori più bassa.

Le quattro lame di bronzo testate con la sega a pendolo di Blackwell
Le quattro lame di bronzo testate con la sega a pendolo di Blackwell

Le lame in bronzo utilizzate nell’esperimento di Blackwell hanno riservato qualche sorpresa.

La lama triangolare dalla punta arrotondata, inizialmente considerata ideale per effettuare i tagli osservati sulle pietre micenee, si è rivelata la meno adatta allo scopo, balzando continuamente sulle imperfezioni della roccia e causando tagli irregolari e poco profondi.

La lama più efficace si è invece rivelata piatta, con i bordi arrotondati verso l’alto: aggiungendo sabbia e acqua ogni due minuti per lubrificare il taglio e aumentare il potere abrasivo della sega, Blackwell e suo fratello sono riusciti a praticare un taglio ricurvo profondo 2,5 centimetri in circa 45 minuti su una lastra di calcare.

La tecnica d’utilizzo della sega a pendolo

I diversi tagli effettuati con la lama ricurva si sono dimostrati sostanzialmente identici a quelli d’epoca micenea. Una delle incisioni ha richiesto “solo” 24 minuti, suggerendo che una piccola squadra di operai dell’ Età del Bronzo potesse facilmente tagliare grossi blocchi di pietra nell’arco di una giornata di lavoro.

Un taglio parziale su un blocco di conglomerato lavorato in epoca micenea
Un taglio parziale su un blocco di conglomerato lavorato in epoca micenea

Quando il braccio di legno della sega entrava quasi in contatto con il blocco di pietra, uno o più operai allargavano la fenditura a colpi di martello o scalpello per consentire l’ingresso del braccio dell’attrezzo.

Ripetendo questa operazione più e più volte, era possibile segare un blocco di pietra profondo 50 centimetri in 8-10 ore.

“La sega a pendolo potrebbe essere stata la soluzione al problema miceneo di lavorare il conglomerato” spiega l’archeologo Wright del Bryn Mawr College in Pennsylvania. Il conglomerato è una roccia sedimentaria composta da granuli di svariata natura, dalla silice all’ argilla; il conglomerato miceneo è particolarmente duro e difficile da tagliare se paragonato ad altre rocce disponibili nell’area.

Nonostante l’esperimento di Blackwell si sia rivelato un successo, non dimostra affatto che la sega a pendolo fosse uno strumento reale usato dai micenei.

Jürgen Seeher, archeologo del German Archaeological Institute di Istanbul, ha proposto nel 2007 una soluzione alternativa: una sega ricurva molto lunga attaccata ad un palo di legno e tirata avanti e indietro da due uomini, sostenendo che “una sega a mano azionata da due uomini è molto più controllabile di un pendolo in sospensione libera”.

How a backyard pendulum saw sliced into a Bronze Age mystery

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La Spada di Goujian, ancora affilata dopo 2.500 anni https://www.vitantica.net/2018/01/12/la-spada-di-goujian-ancora-affilata-dopo-2-500-anni/ https://www.vitantica.net/2018/01/12/la-spada-di-goujian-ancora-affilata-dopo-2-500-anni/#respond Fri, 12 Jan 2018 02:00:47 +0000 https://www.vitantica.net/?p=1259 Lo scorrere del tempo è spesso impietoso con gli artefatti di metallo: l’ossidazione naturale dovuta all’esposizione agli elementi, velocizzata dall’acqua e da altri fattori, tende a corrodere il metallo rendendo molti oggetti del tutto irriconoscibili o separandoli in piccoli frammenti di difficile interpretazione.

Certi oggetti tuttavia hanno resistito alla corrosione per secoli o millenni nonostante le condizioni di conservazione non ottimali. Alcuni sono ancora ben riconoscibili, altri invece sembrano addirittura appena usciti dalla fucina del fabbro: la Spada di Goujian è un esempio perfetto di oggetto metallico in condizioni straordinarie.

La spada del re Goujian

La spada di Goujian è un’arma di bronzo realizzata tra l’ VIII e il V secolo a.C. e famosa per non aver perso l’affilatura nell’arco di ben 2.500 anni. La spada risale al periodo definito “Periodo delle primavere e degli autunni” (dal 722 a.C. al 481 a.C.), una fase della storia cinese in cui iniziò il declino dell’autorità centrale dando origine alla formazione dei regni indipendenti protagonisti degli scontri avvenuti durante il Periodo degli Stati combattenti (dal 453 a.C. al 221 a.C.).

La spada di Goujian è stata scoperta nel 1965 durante alcuni sopralluoghi archeologici nella contea di Jiangling, Cina, custodita all’interno di una bara e protetta da un fodero laccato. Secondo gli storici cinesi, fu realizzata per Goujian, il sovrano del Regno di Yue e passato alla storia per la sua perseveranza nella guerra con lo Stato rivale di Wu e per aver condotto una vita vicina ai propri sudditi, condividendo le loro sofferenze in tempi di difficoltà.

La scoperta della spada di Goujian si rivelò straordinaria ancora prima di estrarre l’arma: il fodero laccato formava un sigillo quasi perfetto attorno alla spada, sigillo che ha contribuito per oltre due millenni a fermare quasi completamente l’ossidazione del bronzo.

Una volta estratta, la spada si è rivelata un oggetto più unico che raro: la lama è finemente decorata da motivi romboidali gialli e scuri, da una dedica al sovrano di Yue ed è tutt’oggi affilata come se fosse appena stata prodotta.

Significato delle iscrizioni della Spada di Goujian
Significato delle iscrizioni della Spada di Goujian
Le caratteristiche della spada di Goujian

La spada di Goujian è lunga in totale 55,6 centimetri, con un’elsa di 8,4 centrimetri di lunghezza e un peso totale di 875 grammi. L’impugnatura è avvolta in filo di seta e decorata con cristalli blu e turchesi, mentre il pomolo è composto da 11 anelli concentrici.

Alla base dell’arma, la lama è larga 4,6 centimetri e non mostra alcuna opacizzazione a causa dell’ossidazione, un mistero svelato qualche anno dopo la scoperta dagli scienziati della Fudan University: la lama non è una semplice lega di rame e stagno, ma è stata realizzata utilizzando leghe di bronzo differenti per le varie parti dell’arma:

  • Corpo della lama: 80% rame, 18,8 % stagno, 0,4% piombo, 0,4% ferro
  • Rombi gialli: 83,1% rame, 15,2% stagno, 0,8% piombo, 0,8% ferro
  • Zone scure: 73,9% rame, 22,8% stagno 1,4% piombo, 1,8% ferro, tracce di zolfo e arsenico
  • Doppio filo: 57,3% rame, 29,6% stagno, 8,7% piombo, 3,4% ferro, 0,9% zolfo, tracce di arsenico
  • Cresta centrale: 41,5% rame, 42,6% stagno, 6,1% piombo, 3,7% ferro, 5,9% zolfo, tracce di arsenico

Il corpo principale dell’arma è quindi principalmente di rame, rendendola più morbida e meno predisposta a frantumarsi: il bronzo con alto contenuto di rame tende ad essere più morbido di quello con alto contenuto di stagno.

Il doppio filo della spada invece contiene una maggiore quantità di stagno, diventando più duro e capace di mantenere l’affilatura più a lungo. Lo zolfo infine diminuisce la possibilità che le iscrizioni e le decorazioni si possano ossidare.

Spada di Goujian

L’apice della lavorazione del bronzo

Durante il periodo in cui fu realizzata la spada di Goujian (probabilmente intorno al VI-V secolo), la Cina aveva quasi raggiunto l’apice nella costruzione di spade di bronzo elaborando alcune tecniche spesso sconosciute in altre parti del mondo, come l’utilizzo di strati metallici di diversa composizione per aumentare la resistenza dell’arma.

Un altro aspetto unico delle spade di bronzo cinesi risalenti a questa epoca è l’uso di grandi quantità di stagno (dal 17% al 21%) per realizzare leghe molto dure e fragili che non si piegano (ma si frammentano) se sottoposte a stress.

Su un lato della spada di Goujian è presente un’iscrizione composta da 8 caratteri, un sigillo di dedica che recita:

Questa spada è stata fatta per l’uso personale del Re di Yue Gou Jiian

Lancia di Fuchai
Lancia di Fuchai

La spada di Goujian sembra essere connessa con un altro artefatto dello stesso periodo: la Lancia di Fuchai. Pare che questa lancia, realizzata con tecniche molto simili e incisa con un’iscrizione pressoché identica a quella della spada di Goujian (a parte il nome del proprietario), sia appartenuta al Re Fuchai del Regno di Wu, sovrano confinante con il Regno di Yue costretto al suicidio dopo la sconfitta delle sue armate da parte dell’esercito di Goujian.

Sword of Goujian

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