invenzioni – VitAntica https://www.vitantica.net Vita antica, preindustriale e primitiva Thu, 01 Feb 2024 15:10:35 +0000 it-IT hourly 1 Il Turco, l’automa che giocava a scacchi https://www.vitantica.net/2020/11/09/turco-meccanico-automa-giocava-scacchi/ https://www.vitantica.net/2020/11/09/turco-meccanico-automa-giocava-scacchi/#respond Mon, 09 Nov 2020 00:14:46 +0000 http://www.vitantica.net/?p=4994 Nel 1770, l’inventore ungherese Wolfgang von Kempelen svelò al mondo un prodigio della meccanica: Il Turco, un automa in grado di giocare a scacchi. La macchina di von Kempelen non solo poteva accorgersi delle eventuali irregolarità messe in atto dal giocatore avversario, ma anche competere con i più abili scacchisti della corte di Maria Teresa d’Austria.

Il Turco girò l’Europa e le Americhe per oltre 80 anni, incontrando Napoleone e Franklin, e battendo avversari umani con strategie basate su versatilità e creatività. Per quasi un secolo, il mondo si convinse che un automa e il suo creatore fossero riusciti a riprodurre una sorta di intelligenza evoluta, impensabile per la scienza del XVIII e XIX secolo.

Breve riepilogo degli automi meccanici nella storia

Il concetto di automa meccanico, una realizzazione artificiale in grado di eseguire azioni ed elaborazioni in modo del tutto autonomo, non è recente: il termine deriva dal termine greco automatos (“che agisce di propria volontà”), e già in epoca ellenistica venivano costruiti giocattoli meccanici o attrezzature meccanico-idrauliche.

Ctesibio, Filone di Bisanzio, Archita ed Erone furono i più noti costruttori di automi nell’antica Grecia. Contemporaneamente a loro, nel III secolo a.C., il Libro del Vuoto Perfetto cinese riporta la descrizione dell’automa realizzato dall’ingegnere meccanico Yan Shi:

«Il re rimase stupito alla vista della figura. Camminava rapidamente, muovendo su e giù la testa, e chiunque avrebbe potuto scambiarlo per un essere umano vivo. L’artefice ne toccò il mento e iniziò a cantare perfettamente intonato. Toccò la sua mano e mimò delle posizioni tenendo perfettamente il tempo… Verso la fine della dimostrazione, l’automa ammiccò e fece delle avance ad alcune signore lì presenti, il che fece infuriare il re che avrebbe voluto Yen Shih giustiziato sul posto ed egli, per la paura mortale, istantaneamente ridusse in pezzi l’automa al fine di spiegarne il suo funzionamento. E, in effetti, dimostrò che l’automa era fatto con del cuoio, del legno, della colla e della lacca, bianco, nero, rosso e blu. Esaminandolo più da vicino il re vide che erano presenti tutti gli organi interni: un fegato completo, una cistifellea, un cuore, dei polmoni, una milza, dei reni, lo stomaco ed un intestino. Inoltre vide che era fatto anche di muscoli, ossa, braccia con le relative giunture, pelle, denti, capelli, ma tutto artificiale… Poi il re fece la prova di togliergli il cuore e osservò che la bocca non era più in grado di proferir parola. Gli tolse il fegato e gli occhi non furono più in grado di vedere; gli tolse infine i reni e le gambe non furono più in grado di muoversi. Il re ne fu deliziato.»

Questa macchina straordinaria (se davvero esistita) è l’espressione della costante curiosità umana nei confronti della vita artificiale. Nei secoli successivi non mancarono grandi inventori arabi, cinesi ed europei che, secondo le fonti, furono in grado di realizzare oggetti in grado di muoversi, animali artificiali e automi umanoidi apparentemente in grado di spostarsi secondo il comando del loro creatore.

Lu Ban, uno dei più celebri inventori della storia cinese, e Archita dopo di lui, pare fossero riusciti a costruire automi volanti di legno, come riportano diverse fonti autorevoli dell’epoca. Secondo Aulo Gellio, Archita fu capace di costruire un uccello meccanico in grado di volare per 200 metri (probabilmente grazie alla spinta propulsiva del vapore).

Jabir ibn Hayyan, alchimista del VIII secolo, si dichiarava in grado di costruire serpenti, scorpioni e umanoidi in grado di eseguire operazioni a comando; il Libro dei dispositivi ingegnosi (IX secolo) dei tre fratelli Banū Mūsā, tra i più grandi innovatori e inventori del loro tempo, racconta del primo automa flautista programmabile, basato sui concetti alla base dell’organo ad acqua.

La paternità del primo automa programmabile è stata comunque assegnata ad Al-Jazari, autore dell’opera “Compendio sulla teoria e sulla pratica delle arti meccaniche” e vero innovatore nel campo della meccanica. Realizzò una nave che ospitava 4 automi umanoidi che potevano eseguire diversi brani pre-programmati; ad ogni brano, i quattro musicisti meccanici eseguivano combinazioni espressive composte da oltre 50 movimenti facciali o degli arti.

Riproduzione del Turco. Foto di Marcin Wichary/Creative Commons
Riproduzione del Turco. Foto di Marcin Wichary/Creative Commons

Nel Rinascimento il concetto di automa divenne uno dei temi centrali della meccanica del tempo: Leonardo da Vinci progettò un cavaliere in armatura capace di muoversi sul posto, e i giardini europei si riempirono di congegni semi-automatici pneumatici o idraulici. Ma fu con il meccanicismo cartesiano che gli automi divennero ancora più complessi e bizzarri, come l’ “anatra digeritrice” (1737) di Jacques de Vaucanson, un automa in bronzo che sembrava digerire e defecare il cibo che ingeriva.

Fu proprio in questo periodo, nella seconda metà del 1700, che Wolfgang von Kempelen realizzò il Schachtürke, o più semplicemente “Il Turco”, un automa capace di giocare a scacchi, e risultare abile e competitivo, contro un avversario umano.

Il Turco

L’idea di realizzare un automa complesso e stupefacente nacque da un incontro, avvenuto nel 1769, tra Kempelen e François Pelletier alla corte di Maria Teresa d’Austria. Pelletier era considerato uno dei più abili illusionisti francesi del suo tempo, ed era noto per utilizzare grandi quantità di magneti per eseguire i suoi giochi di prestigio; Kempelen era convinto tuttavia di poter fare meglio, e promise di tornare alla corte con un’invenzione in grado di superare ampiamente tutte le illusioni di Pelletier.

Il Turco fece il suo debutto di fronte a Maria Teresa l’anno successivo, circa sei mesi dopo l’esibizione di Pelletier. Prima di mostrarne il funzionamento, Kempelen mostrò a tutti i presenti che i cassetti e gli sportelli della sua macchina contenevano esclusivamente ingranaggi, lasciando che fosse l’audience stessa ad assicurarsene.

Dopo l’ispezione, Kempelen dichiarò che la sua macchina era pronta a sfidare chiunque nel gioco degli scacchi, usando i pezzi bianchi e riservandosi il “diritto” alla prima mossa sulla scacchiera. La macchina si dimostrò incredibilmente capace, non solo nel gioco ma anche nel rilevare mosse irregolari.

Se l’avversario eseguiva una mossa irregolare, il Turco scuoteva la testa in segno di disapprovazione, muovendo poi il pezzo alla sua posizione originale. Lo scrittore Louis Dutens, presente durante l’esibizione, tentò di ingannare la macchina muovendo la regina come un cavallo, ma si vide rifiutare la mossa e riposizionare il pezzo nella sua casella di partenza.

Volantino dell'esibizione del Turco. Wikimedia Commons
Volantino dell’esibizione del Turco. Wikimedia Commons

Il Turco sconfisse tutti coloro che tentarono di batterlo in un tempo massimo di 30 minuti, compresi coloro con esperienza nel gioco degli scacchi. L’automa fu anche in grado di completare il “percorso del cavallo”, un problema matematico-scacchistico in cui un cavallo deve toccare ogni casella della scacchiera senza passare due volte per lo stesso punto.

La caratteristica più strabiliante del Turco era la sua capacità di conversare in inglese, francese e tedesco con gli spettatori e l’avversario usando una tavoletta. Inutile dire che ogni matematico e ingegnere del tempo furono estremamente colpiti dall’invenzione di Kempelen, alcuni a tal punto da tenere un diario delle conversazioni avute con il Turco, come fece il matematico Carl Friedrich Hindenburg.

Il Turco ebbe meno successo scacchistico in Europa, non per scarso interesse (in molti volevano sfidarlo) ma perché Kempelen, ad ogni occasione utile per esibirlo, escogitava una scusa per non farlo. Tra il 1770 e il 1780 il Turco giocò solo una partita con Sir Robert Murray Keith, e il suo inventore ripeteva in continuazione che la macchina fosse soltanto una sorta di passatempo, niente di così rilevante.

Dopo il match con Murray Keith, Kempelen smontò completamente la sua macchina, ma per ordine imperiale fu costretto a ricostruirla per esibirla durante la visita del Granduca di Russia. La macchina suscitò così tanto interesse da costringere Kempelen ad iniziare un tour europeo nel 1783.

A Versailles il Turco perse la sua prima partita contro Charles Godefroy de La Tour d’Auvergne, e le sconfitte continuarono ad accumularsi una volta giunto a Parigi, dove fu sconfitto da diversi scacchisti locali e da François-André Danican Philidor, considerato il miglior scacchista del suo tempo.

A Londra, il Turco e Kempelen incontrarono Philip Thicknesse, il primo ad avanzare pubblicamente sospetti sul funzionamento della macchina. Thicknesse descrisse il turco come una truffa molto elaborata che sfruttava una macchina complicata per nascondere un bambino capace di giocare a scacchi.

Joseph Racknitz, nel 1789, realizzò questa illustrazione per tentare di spiegare il funzionamento non meccanico del Turco di von Kempelen. Wikimedia Commons
Joseph Racknitz, nel 1789, realizzò questa illustrazione per tentare di spiegare il funzionamento non meccanico del Turco di von Kempelen. Wikimedia Commons

Anche Edgard Allan Poe nutrì diversi dubbi sul reale funzionamento automatico della macchina. Se il Turco fosse una macchina pura, obiettò Poe, vincerebbe ogni partita; dopo averci riflettuto, anche lo scrittore giunse alla conclusione che ci fosse un operatore umano all’interno dell’automa.

La scoperta dell’inganno

Dopo la morte di Kempelen, il Turco fu acquistato nel 1805 dal musicista bavarese Johann Nepomuk Mälzel, che proseguì con i tour per l’Europa dopo aver appreso il segreto del funzionamento della macchina ed effettuato alcune riparazioni. Il tour europeo ebbe così successo da spingere Mälzel a preparare un viaggio negli Stati Uniti, viaggio che si rivelò un vero successo.

Gli scettici sul reale funzionamento autonomo del Turco non mancarono, ma le descrizioni che fornirono sul presunto funzionamento della macchina erano incorrette e basate solo su una semplice osservazione esterna del congegno. Fu solo nella seconda metà del 1800 che il segreto del turco fu rivelato in un articolo pubblicato sulla rivista “The Chess Monthly“.

Nel 1854 il Turco bruciò in un incendio scoppiato nel Chinese Museum di Charles Willson Peale, dove era ospitato, e il figlio del suo precedente possessore, Silas Mitchell, ritenne che fosse il momento adatto per svelare il segreto dell’automa.

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L’interno del Turco era composto da meccanismi molto complessi studiati per attirare l’attenzione dell’osservatore e distrarre dal vero funzionamento della macchina. La sezione a sinistra era studiata in modo tale da mostrare l’interno della macchina tenendo segreta la parte destra, in cui risiedeva il giocatore umano che manovrava l’automa.

L’abitacolo era provvisto di un cuscino e consentiva una visuale completa della scacchiera e dell’avversario. Il manichino di un turco ottomano, con tanto di tunica, turbante e pipa nella mano sinistra, nascondeva due porte che ospitavano altri ingranaggi; la macchina era pensata per illudere gli spettatori che non ci fosse alcun trucco, e che la sua capacità di gioco fosse totalmente attribuibile alla meccanica interna.

La scacchiera era sufficientemente sottile da consentire il movimento dei pezzi tramite magneti. Ogni pezzo era dotato di un piccolo magnete alla base che si attaccava ad un magnete sotto la scacchiera corrispondente alla casella in cui era posizionato, in modo tale da dare un quadro completo della partita al giocatore nascosto nella macchina.

Nel vano nascosto era presente anche una sorta di pantografo che consentiva di manovrare il braccio sinistro del Turco. Muovendo il pantografo sul una scacchiera interna, il braccio si spostava nella posizione corrispondente della scacchiera esterna. Il braccio poteva muoversi in alto e in basso, e afferrare pezzi sulla scacchiera; durante questi movimenti, alcuni ingranaggi facevano rumore per dare l’impressione che l’automa si stesse muovendo solo grazie alla sua meccanica interna.

Ma chi era lo scacchista nascosto all’interno del Turco? Nessuno lo sa. L’ipotesi ritenuta più credibile è che Kempelen reclutasse giovani scacchisti ad ogni tappa del suo viaggio, istruendoli velocemente sul funzionamento della macchina e lasciando che la meccanica interna li nascondesse da un’attenta ispezione.

The Mechanical Chess Player That Unsettled the World
The Turk
The Turk (Automaton)
Debunking the Mechanical Turk Helped Set Edgar Allan Poe on the Path to Mystery Writing

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Le “Quattro Grandi Invenzioni” cinesi https://www.vitantica.net/2018/09/18/quattro-grandi-invenzioni-cinesi/ https://www.vitantica.net/2018/09/18/quattro-grandi-invenzioni-cinesi/#respond Tue, 18 Sep 2018 02:00:28 +0000 https://www.vitantica.net/?p=2150 La Cina è stata la terra d’origine di molte invenzioni che hanno rivoluzionato il mondo. Tra queste invenzioni ce ne sono quattro, definite “Le Quattro Grandi Invenzioni“, che sono celebrate nella cultura cinese per il loro significato storico e per il contributo che hanno fornito all’avanzamento del genere umano.

Bussola

L’invenzione della prima bussola magnetica primitiva sotto la dinastia cinese Han tra il II e il I secolo a.C. segnò l’inizio di una rivoluzione in campo geografico che favorì nei secoli successivi l’esplorazione di terre lontane e sconosciute. Prima dell’introduzione della bussola, la navigazione in mare avveniva principalmente sfruttando la posizione nota di alcuni punti di riferimento geografici o astronomici ed era resa difficoltosa dalla presenza di nubi, nebbia o altre condizioni atmosferiche in grado di ridurre la visibilità in mare aperto; la bussola consentì finalmente di potersi allontanare dalla costa e di ignorare qualunque clima avverso avendo un costante e (apparentemente) inamovibile punto di riferimento in qualunque parte del globo ci si trovasse.

Le prime bussole magnetiche furono inventate in Cina circa 2.000 anni fa e non furono intesi inizialmente come strumenti per la navigazione ma come oggetti divinatori utilizzati nella geomanzia cinese e nel feng shui. E’ possibile che alcuni artefatti Olmechi risalenti ad oltre 1.000 anni prima di Cristo rappresentassero anch’ essi strumenti divinatori simili a quelli cinesi, ma ad oggi non c’è alcuna testimonianza in grado di dimostrare che fossero anche impiegati per l’orientamento per terra o in mare.

Non esiste un reale consenso accademico sulla data in cui fu inventata la prima bussola magnetica per la navigazione: i primi riferimenti al magnetismo e all’ attrazione tra magnetite e ferro appaiono nella letteratura cinese intorno al IV secolo a.C. e intorno al 70-80 d.C. fa la sua comparsa un cucchiaio in magnetite che puntava verso il Polo Sud magnetico.

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Polvere da sparo

La polvere da sparo fu un successo ottenuto per puro caso durante la ricerca dell’immortalità, una vera e propria ossessione per i governanti cinesi del passato. La polvere da sparo è una mistura di zolfo, polvere di carbone e salnitro (nitrato di potassio) e nell’anno 1044 (anno di pubblicazione del trattato Wujing Zongyao) esistevano diverse formule di polvere nera che contenevano salnitro in percentuali variabili dal 27% al 50%.

Il funzionamento della polvere da sparo è bene o male molto simile a quello di esplosivi, proiettili e razzi moderni: il carbone e lo zolfo costituiscono la riserva di combustibile mentre il salnitro è l’ossidante. Introducendo una componente termica nella mistura, come una fiamma o calore eccessivo, la polvere da sparo reagisce violentemente comportandosi da basso esplosivo (non c’è detonazione ma deflagrazione, una combustione molto veloce del composto).

Nel corso dei secoli successivi gli inventori cinesi perfezionarono la formula ottenendo misture capaci di perforare pentole di ferro battuto e sufficientemente potenti da costruire vere e proprie granate non molto differenti da quelle moderne.

Nel 1280 l’arsenale di Weiyang prese fuoco e con esso il suo contenuto di dispositivi esplosivi basati sulla polvere da sparo. Secondo i resoconti dell’epoca, l’esplosione uccise all’istante 100 guardie e i frammenti delle travi portanti dell’edificio furono scagliati a distanze superiori ai 3 km.

Intorno alla metà del XIV secolo la conoscenza della polvere da sparo era stata perfezionata a tal punto che i livelli nitrato di potassio potevano variare dal 12% al 91% in base al tipo di applicazione. Esistevano almeno 6 formule differenti in grado di massimizzare il potenziale distruttivo della polvere nera, e altre formule create appositamente per la propulsione di piccole frecce a razzo.

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La carta

Per millenni il genera umano ha prodotto supporti per la scrittura di tutti i tipi: lastre di pietra, tavolette d’argilla, frammenti d’osso, papiri e pergamene. Ma la possibilità di produrre fogli a basso costo e da quasi qualunque pianta fu un’innovazione straordinaria che ebbe origine in Cina verso l’ VIII secolo a.C. con la realizzazione di carta da imballaggio con fibre di canapa.

Il primo frammento di carta che contiene caratteri leggibili risale all’anno 8 a.C. mentre l’inventore ufficiale della tecnologia fu Cai Lun, funzionario della dinastia Han che secondo la tradizione inventò la carta nel 105 d.C. utilizzando la polpa di gelso, scarti di canapa e reti da pesca. Oggi sappiamo che la carta è sicuramente più antica di Cai Lun, ma l’inventore cinese fu il primo a creare un procedimento standardizzato per la produzione di carta.

La carta iniziò ad essere impiegata come supporto per la scrittura intorno al III secolo d.C. dopo circa un secolo di utilizzo come avvolgimento di pacchi e porcellane. Verso il VI secolo trovò ulteriori impieghi come carta igienica e per la fabbricazione di pratiche bustine per il tè che contribuivano a preservare la fragranza delle foglie essiccate.

Verso la fine del X secolo i vantaggi della carta su altri materiali furono così evidenti da far nascere la prima banconota di carta. Il resto del mondo aveva solo di recente appreso la tecnologia di produzione: il mondo islamico perfezionò il procedimento di fabbricazione della carta costruendo mulini in grado di pestare in modo automatico la polpa vegetale.

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Stampa

L’invenzione di metodi pratici per la diffusione della conoscenza umana contribuirono a rivoluzionare il mondo rendendo il sapere economico e alla portata di quasi ogni essere umano. L’origine della stampa è legata ai blocchi di legno utilizzati per creare il Sutra del Diamante custodito alla British Library, un volume stampato nell’anno 868 e probabilmente il più antico testo stampato del mondo.

La stampa su tessuti con blocchi di legno incisi è invece ancora più antica: anche se giunse in Europa solo nel XIV secolo, l’archeologia ha scoperto che la stampa di tessuti era una pratica comune in Cina almeno 1000 anni prima.

La stampa con blocchi di legno si prestava bene agli ideogrammi ma non era particolarmente comoda per i caratteri mobili. Intorno all’ XI secolo Bi Sheng perfezionò la stampa a caratteri mobili creando i primi caratteri in ceramica (Shen Kuo ne parla in uno dei suoi trattati). Nel volgere di poche decadi sorsero innumerevoli botteghe per la stampa su larga scala di fogli o interi libri: anche se il procedimento di composizione di una pagina era lungo e tedioso, la pubblicazione di grandi volumi di fogli lo rendeva efficiente e relativamente veloce rispetto alla copiatura manuale.

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Four Great Inventions

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Il fuoco greco, l’arma incendiaria più temibile dell’antichità https://www.vitantica.net/2018/06/18/fuoco-greco-arma-incendiaria/ https://www.vitantica.net/2018/06/18/fuoco-greco-arma-incendiaria/#comments Mon, 18 Jun 2018 15:00:23 +0000 https://www.vitantica.net/?p=1801 Il fuoco greco fu una temibile arma incendiaria sviluppata dall’ impero bizantino nella seconda metà del VII secolo d.C. e tipicamente utilizzata durante le battaglie navali, con conseguenze disastrose e terrificanti per il nemico. Il fuoco greco regalò diverse vittorie agli eserciti di Costantinopoli, contribuì a respingere gli assedi arabi e rappresentò uno degli sviluppi tecnologici più rilevanti e determinanti della storia bellica europea.

La definizione “fuoco greco” entrò in uso a partire dalle Crociate; a Costantinopoli, prima della popolarità del termine utilizzato ancora oggi, questa tecnologia veniva definita come “fuoco marino”, “fuoco romano”, “fuoco di guerra”, “fuoco liquido” o “fuoco appiccicoso”.

La nascita del fuoco greco

Occorre precisare che la tecnologia delle armi incendiarie non nacque con l’invenzione del fuoco greco: per secoli Greci, Romani e popoli mesopotamici utilizzarono misture a base di zolfo, petrolio o bitume per appiccare fuochi a imbarcazioni o edifici del nemico sfruttando granate o frecce per scagliare proiettili incendiari anche a grande distanza. Le armi incendiarie esistono da quando l’essere umano imparò a manipolare il fuoco a piacimento, anche se i primi resoconti scritti risalgono a circa 3.000 anni fa.

L’invenzione del fuoco greco viene attribuita da Teofane, monaco o storico bizantino del VIII secolo, a Kallinikos (latinizzato in Callinicus), un architetto e artificiere di origine libanese che intorno all’anno 672 ideò per conto dei Bizantini una mistura di “fuoco marino” in grado di bruciare completamente le navi arabe che minacciavano il Mediterraneo.

Restano diversi dubbi sulla paternità dell’invenzione: Kallinikos giunse a Costantinopoli circa due anni dopo il primo rapporto di un’arma incendiaria del tutto identica al fuoco greco, ed è assai più probabile che la tecnologia sia stata il frutto del lavoro di diversi alchimisti e artificieri che vivevano nell’ impero bizantino.

Sifone portatile per il fuoco greco, una sorta di lanciafiamme antico, mentre viene utilizzato dalla cima di una torre d'assedio. L'illustrazione proviene dal manoscritto Codex Vaticanus Graecus 1605 (IX-XI secolo)
Sifone portatile per il fuoco greco, una sorta di lanciafiamme antico, mentre viene utilizzato dalla cima di una torre d’assedio. L’illustrazione proviene dal manoscritto Codex Vaticanus Graecus 1605 (IX-XI secolo)

Kallinikos, quindi, potrebbe essersi limitato a perfezionare il fuoco greco trasformandolo in un’arma più pratica e meno pericolosa per coloro che la manovravano. La data dell’invenzione è inoltre arbitraria se si considera che il 672 è l’anno in cui si registrò il primo l’impiego di questa tecnologia: il mondo arabo, dopo aver occupato Siria, Palestina ed Egitto, cinse d’assedio Costantinopoli per due volte, venendo respinto in entrambi i casi e subendo gravi perdite di uomini e navi proprio a causa del fuoco greco.

Fuoco greco: arma navale avvolta nel segreto

La formula del fuoco greco era un segreto custodito gelosamente dai Bizantini, così gelosamente da non lasciare alcuna documentazione scritta in grado di sopravvivere fino all’epoca moderna. Ad oggi, nessuno conosce con precisione la composizione chimica del fuoco greco, anche se nel corso del tempo sono state formulate diverse ipotesi. Qualche secolo dopo il primo utilizzo in battaglia del fuoco greco, l’imperatore Costantino VII, nella sua opera De Administrando Imperio, avverte i suoi eredi di non rivelare mai il segreto di quest’arma perché “è stato mostrato e rivelato da un angelo al grande e santo primo imperatore cristiano, Costantino”.

Sappiamo però che la sola mistura incendiaria era fondamentalmente inservibile se non supportata dalla giusta attrezzatura: era necessario modificare i dromoni (navi simile alle galee) per trasportare in modo sicuro la sostanza incendiaria; occorreva installare a bordo diverse armi a sifone in grado di “sparare” il fuoco greco verso le imbarcazioni nemiche; era indispensabile infine sottoporre ad un addestramento speciale gli operatori che avrebbero utilizzato queste armi per evitare di mettere a rischio l’intero equipaggio o danneggiare irreparabilmente il dromone.

Granate utilizzate per contenere fuoco greco risalenti al X-XII secolo ed esposte al National Historical Museum di Atene
Granate utilizzate per contenere fuoco greco risalenti al X-XII secolo ed esposte al National Historical Museum di Atene

L’intero apparato-arma del fuoco greco si basava, secondo un manoscritto della biblioteca di Wolfenbüttel, su una fornace posizionata sulla prua del dromone: il fuoco greco veniva scaldato da una fiamma all’interno di un contenitore di rame ed espulso tramite sifoni, che aspiravano una parte della miscela incendiaria attraverso un tubo di bronzo e la espellevano dall’estremità opposta.
Anche il vichingo Ingvar il Viaggiatore descrisse in modo simile il sistema di sparo del fuoco greco dopo un incontro con alcune navi che utilizzavano quest’arma.

La conoscenza dell’intero sistema che consentiva di utilizzare il fuoco greco era strettamente compartimentalizzata: i tecnici conoscevano solo alcuni aspetti dell’arma mentre gli operatori ne conoscevano altri, in modo tale che un tecnico non sarebbe mai riuscito a manovrare un’arma a sifone e un operatore a replicare l’intero sistema per conto del nemico o per qualunque altro scopo non gradito all’impero. Nell’anno 814 i Bulgari riuscirono a catturare ben 36 sifoni e una certa quantità di materiale incendiario, ma non furono in grado di comprendere il funzionamento del sistema e non riuscirono mai a padroneggiare il fuoco greco.

Cosa sappiamo del fuoco greco

Sebbene non siano sopravvissuti documenti in grado di fornire una ricostruzione accurata della composizione della mistura incendiaria del fuoco greco, la principessa bizantina Anna Comnena riporta una descrizione della miscela impiegata contro i Normanni nel 1108:

“Dal pino e da altri alberi sempreverdi si raccoglie resina infiammabile. La si strofina con lo zolfo e la si inserisce in tubi di canne e viene soffiata da uomini con respiri violenti e continui. In questo modo incontra la fiamma all’estremità [della canna], prende fuoco e ricade come un mulinello selvaggio sulle facce del nemico”

Incrociando i vari riferimenti al fuoco greco risalenti all’ epoca bizantina o posteriori, l’archeologia moderna ha delineato alcune caratteristiche di quest’arma chimica:

  • Era una sostanza liquida e non una sorta di proiettile;
  • Continuava a bruciare sull’acqua. Secondo alcune fonti, addirittura prendeva fuoco a contatto con l’acqua;
  • Poteva essere estinto solo con l’utilizzo di sabbia, aceto o urina;
  • La fiamma del fuoco greco produceva una gran quantità di fumo.

Per molto tempo l’ipotesi più popolare sul fuoco greco fu quella che vedeva l’arma come una sorta di “bomba” alimentata da una versione rudimentale della polvere da sparo; per quanto affascinante, l’ipotesi non teneva in considerazione il fatto che non c’è alcuna prova che gli Europei o gli Arabi (al tempo, i leader mondiali in campo chimico) conoscessero la polvere nera nel VII secolo.

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Una seconda ipotesi basata principalmente sull’ apparente impossibilità di estinguere il fuoco greco parla di una mistura di acqua e calce viva, una sostanza ben nota ai Bizantini ma che ha bisogno del contatto con l’acqua per prendere fuoco. Molti resoconti dell’epoca parlano invece del fuoco greco come di una sostanza liquida che veniva spesso versata direttamente sui ponti delle navi nemiche o inserita in contenitori di terracotta per realizzare qualcosa di simile ad una granata. Anche se i ponti delle navi erano generalmente bagnati e potenzialmente reattivi nei confronti della calce viva, l’effetto non sarebbe stato sufficiente ad innescare fuochi tali da incendiare completamente un’imbarcazione.

La maggior parte degli archeologi moderni ritiene che il fuoco greco fosse una mistura a base di petrolio crudo o raffinato, qualcosa di simile al napalm moderno. Sappiamo che i Bizantini potevano contare su affioramenti naturali di petrolio nelle regioni del Mar Nero e che intorno al VI-VII secolo alcuni storici dell’epoca citarono sostanze come “l’ olio dei Medi” o “nafta” impiegate in battaglia come armi incendiarie; è molto probabile quindi che la nafta o il petrolio non raffinato fossero ingredienti essenziali per la miscela del fuoco greco. Questa idea sembra essere supportata dal trattato militare del 1187, scritto da Mardi ibn Ali al-Tarsusi per Saladino, che riporta la versione araba del fuoco greco (chiamata “naft“), una mistura di petrolio, zolfo e resine vegetali.

Greek Fire
Greek fire – Wikipedia

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La nascita del microscopio ottico https://www.vitantica.net/2018/04/18/nascita-del-microscopio-ottico/ https://www.vitantica.net/2018/04/18/nascita-del-microscopio-ottico/#respond Wed, 18 Apr 2018 02:00:40 +0000 https://www.vitantica.net/?p=1583 Allo stesso modo del telescopio, anche l’invenzione del primo microscopio è legata alla storia delle lenti ottiche. Le prime lenti, chiamate “pietre di lettura”, consentivano di ingrandire gli oggetti osservati fino a 6-10 volte e venivano generalmente utilizzate per l’ingrandimento del testo di un manoscritto o per osservare i dettagli minuti degli insetti.

Le pietre da lettura aprirono la strada all’osservazione di dettagli minuti del mondo naturale, come le caratteristiche di ali, zampe e testa degli insetti, ma erano strumenti per nulla economici e venivano realizzati con vetro dotato di scarsa trasparenza e lavorati con tecniche manuali che creavano imperfezioni nel materiale e deformazioni delle immagini prodotte.

Il microscopio di Zacharias Janssen

Per il primo microscopio vero e proprio bisogna aspettare gli anni ’90 del 1500, periodo in cui Zacharias Janssen (a cui il figlio attribuiva anche la paternità del telescopio) e suo padre Hans iniziarono a sperimentare la combinazione di diverse lenti emisferiche scoprendo, dopo qualche tentativo fallito, di poter ottenere ingrandimenti superiori a quelli consentiti da una singola lente da lettura.

Come per un telescopio, anche un microscopio composito è dotato di un obiettivo (la lente, o il sistema di lenti, più vicina all’oggetto da osservare) e un oculare (un sistema di lenti posto vicino all’occhio). L’obiettivo si occupa di raccogliere la luce e “inviarla” all’oculare, la cui funzione è quella di ingrandire ulteriormente l’immagine già ingrandita generata dall’obiettivo.

Questa combinazione consente di creare ingrandimenti regolabili e generalmente superiori a quelli ottenibili da una singola lente, anche se i primi microscopi compositi soffrivano di limitazioni ottiche dovute all’inesperienza dei loro creatori e alla tecnologia del vetro ancora troppo arretrata per realizzare lenti limpide e prive di imperfezioni.

Microscopio di Janssen

Anche se i prototipi del microscopio di Janssen non sono sopravvissuti fino ad oggi, sappiamo dalla documentazione storica che uno dei primi esemplari (probabilmente costruito nel 1595 insieme al padre Hans) era costituito da 3 tubi del diametro di circa 5 centimetri e 2 lenti, otteneva ingrandimenti da 3x a 9x ma generava immagini poco nitide.

L’ingrandimento era regolabile tramite lo slittamenti dei tre tubi: quando lo strumento veniva esteso al massimo, raggiungeva i 45 centimetri di lunghezza e otteneva ingrandimenti di 9x.

Il microscopio di Cornelius Drebbel

Dopo aver lavorato alla costruzione dei suoi primi telescopi, Galileo Galilei realizzò nel 1610 che alcune configurazioni di due o più lenti consentivano di ingrandire oggetti vicini, ma fu solo nel 1624, dopo aver visto un microscopio in un’esibizione a Roma nel 1622, che costruì la sua versione migliorata del microscopio composito.

Il microscopio su cui Galileo basò il proprio modello fu lo strumento di Cornelius Drebbel, un inventore olandese a cui si attribuisce nel 1621 la costruzione del primo microscopio composito basato su lenti convesse.

Alcuni storici ritengono che fu Drebbel il primo artigiano a inventare il microscopio composito e che il primato di Janssen non sia fondato su basi solide. Durante una visita a Londra nel 1619, l’ambasciatore olandese Willem Boreel vide un microscopio ottico nel laboratorio di Drebbel e lo descrisse come uno strumento lungo circa mezzo metro, dal diametro di circa 5 centimetri e supportato da 3 delfini d’ottone.

Lo strumento che Drebbel creò nel 1621 e che Galileo osservò a Roma era un microscopio composto da due lenti convesse che consentivano di contenere la lunghezza dell’apparecchio e di ottenere un campo visivo più vasto rispetto alle lenti emisferiche.

Struttura del microscopio di Hooke
Struttura del microscopio di Hooke

Ben presto ci si rese conto che quando si accumulano lenti per ottenere ingrandimenti sempre maggiori ci si scontra con le leggi della fisica, specialmente quando si lavora con lenti di scarsa qualità: l’ immagine diventa sempre meno nitida, la luce raccolta dal microscopio diminuisce e il livello di dettaglio diventa velocemente inaccettabile.

I difetti dei primi microscopi

Alcuni dei primi utilizzatori del microscopio (come Robert Hooke) modificarono il loro strumento a 3 lenti rimuovendone una: la qualità delle lenti stesse e l’uso di una terza lente diminuivano così tanto la qualità dell’immagine da rendere l’apparecchio quasi inutilizzabile.

Nonostante i suoi difetti, il microscopio aprì gli occhi umani verso il mondo dell’infinitamente piccolo: nel 1625 Francesco Stelluti e Federico Cesi pubblicarono Apiarium, il primo resoconto delle loro osservazioni effettuate con un microscopio composito molto probabilmente basato su quello di Drebbel.

Nel 1655 invece Robert Hooke coniò la parola “cellula” nell’opera Micrographia, una collezione di disegni basati sulle sue osservazioni effettuate con un microscopio realizzato dal londinese Christopher White.

I microscopi di Stelluti/Cesi e Hooke, come tutti quelli prodotti nello stesso periodo, risentivano di problemi legati alla qualità delle lenti: le imperfezioni e l’opacità delle lenti realizzate all’epoca impedivano di ottenere immagini nitide e luminose.

Microscopio di van Leeuwenhoek
Microscopio di van Leeuwenhoek
Il microscopio di Antonie van Leeuwenhoek

I microscopi di Antonie van Leeuwenhoek (prodotti a partire dal 1674) potrebbero sembrare un passo indietro rispetto ad altri apparecchi della sua epoca: si basavano su lenti sferiche singole e non avevano un ingrandimento regolabile.

Ma la vera rivoluzione di van Leeuwenhoek fu la qualità delle sue lenti: dopo aver perfezionato i processi di produzione e lucidatura del vetro, riuscì a realizzare piccole lenti sferiche capaci di ingrandire fino a 275 volte e intelaiate su strutture d’argento o di rame.

Van Leeuwenhoek realizzò almeno 25 microscopi a lente singola, piccoli strumenti dotati di viti usate per regolare la messa a fuoco e la posizione del campione osservato. Per molti anni nessuno riuscì a replicare le tecniche di costruzione di van Leeuwenhoek, specialmente i miglioramenti che introdusse nei processi di lavorazione del vetro, ma l’artigiano olandese produsse oltre 500 lenti sferiche che distribuì in tutta Europa allo scopo di diffondere la sua invenzione senza rilasciare alcun segreto sul processo di lavorazione del vetro che aveva elaborato.

Il successo del microscopio di van Leeuwenhoek

La fitta corrispondenza di van Leeuwenhoek (circa 190 lettere) con la Royal Society è la testimonianza delle sue scoperte con il microscopio a lente singola:

  • Cercò di stimare la quantità di microrganismi presenti in un’unità d’acqua;
  • Descrisse accuratamente la struttura del cristallino;
  • Osservò microrganismi ciliati nel 1674;
  • Fu il primo ad osservare gli spermatozoi nel 1677;
  • Descrisse la struttura delle fibre muscolari nel 1682;
  • Descrisse batteri del genere Selenomonas, specie che normalmente vivono nel tratto intestinale degli animali, nel 1683.

La lente migliore prodotta da van Leeuwenhoek era una piccola sfera di vetro spessa circa 1,2 millimetri e dotata di una lunghezza focale di 1 millimetro. Consentiva di ingrandire oggetti 270 volte, ma alcuni storici sostengono che l’artigiano avesse creato lenti più potenti, capaci di ingrandimenti di 480x.

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Per i successivi 200 anni il microscopio di van Leeuwenhoek fu il modello dominante in campo scientifico e non subì notevoli variazioni: con un mondo intero da osservare sotto una lente, lo strumento a lente singola si dimostrò sufficiente fino a quando i biologi non si domandarono se ci fosse qualcosa di ancora più piccolo di ciò che potevano osservare in quelle piccole sfere di vetro.

Nell’arco di due secoli i regni animale e vegetale iniziarono a svelarsi in tutto il loro fascino: Marcello Malpighi, uno dei padri della biologia, analizzò la struttura dei polmoni e dei capillari, Jan Swammerdam osservò e descrisse i globuli rossi e dimostrò il ciclo vitale degli insetti, mentre Robert Hooke realizzò una serie di disegni sugli insetti dal valore entomologico inestimabile.

Timeline of microscope technology
A complete Microscope History
The Microscope in the Dutch Republic

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La nascita del telescopio rifrattore e riflettore https://www.vitantica.net/2018/04/07/nascita-telescopio-rifrattore-riflettore/ https://www.vitantica.net/2018/04/07/nascita-telescopio-rifrattore-riflettore/#respond Sat, 07 Apr 2018 02:00:42 +0000 https://www.vitantica.net/?p=1568 Galileo Galilei fu uno dei primi astronomi della storia ad utilizzare un strumento astronomico basato su lenti per osservare l’universo, ma chi fu il primo ad inventare il telescopio ?
La storia del telescopio è strettamente legata a quella delle lenti e delle superfici riflettenti.

Oggetti simili a lenti sembrano essere stati realizzati ben 4.000 anni fa (come la lente di Nimrud), ma non è ancora ben chiaro se siano state create per sfruttare le loro proprietà ottiche, come semplici decorazioni o come strumenti per l’accensione del fuoco.

Sappiamo però che gli esperimenti sulle proprietà della luce sono vecchi di almeno 2.500 anni: quando i Greci iniziarono ad osservare il mondo con occhio critico, si resero conto ad esempio delle proprietà ottiche di sfere riempite d’acqua, descrivendo fenomeni come la riflessione e la rifrazione della luce.

Tra il IX e il XII secolo nel mondo arabo e successivamente in Europa entrarono in uso quelle che furono definite “pietre da lettura”, delle piccole lenti di vetro emisferiche in grado di ingrandire gli oggetti sotto osservazione, come le lettere di un manoscritto. La creazione di queste lenti fu possibile grazie all’inventore arabo Abbas ibn Firnas, che perfezionò il procedimento di produzione del vetro per ottenere lenti con poche imperfezioni e dalla scarsa opacità.

Nello stesso periodo in Europa venivano prodotte le lenti Visby, oggetti a base di quarzo rinvenuti in diverse tombe vichinghe svedesi. Queste lenti, spesso montate su supporti d’argento, sarebbero state utilizzate come gioielli ma la loro origine non è ancora ben chiara, e ad oggi non esiste alcuna prova che siano state utilizzate come strumenti ottici.

Per le prime, vere lenti ottiche bisogna aspettare il XIII secolo, periodo in cui furono creati in Nord Italia i primi occhiali da vista. Firenze e Venezia diventarono importanti centri di produzione di lenti mentre l’Olanda e la Germania si affermarono nei secoli successivi come produttori di occhiali e strumenti ottici.

Hans Lippershey, inventore del telescopio rifrattore
Replica del telescopio rifrattore di Galileo Galilei
Replica del telescopio rifrattore di Galileo Galilei (The Board of Trustees of the Science Museum)

Non fu un caso che l’ inventore del primo telescopio, Hans Lippershey, fosse nato e cresciuto tra Paesi Bassi e Germania. Il 2 ottobre del 1608 Hans Lippershey, produttore di lenti e occhiali, cercò di brevettare a Middelburg un’invenzione descritta come uno strumento “per vedere cose lontane come se fossero vicine”.

Qualche settimana dopo, prima che la proposta di brevetto di Lippershey potesse essere esaminata dall’ufficio competente, un altro produttore di lenti olandese, Jacob Metius, depositò una proposta di brevetto identica. A Lippershey e Metius non furono concessi brevetti, ma a Lippershey fu garantita un rendita dalle copie del suo design.

Esistono diverse versioni che narrano come Lippershey giunse all’invenzione del telescopio. La prima sostiene che l’artigiano avesse osservato due bambini giocare con le lenti del suo laboratorio scoprendo grazie a loro come ingrandire oggetti lontani.

Un’altra storia afferma invece che Lippershey copiò il design del suo telescopio da qualche altro artigiano: Johannes Zachariassen, ad esempio, sostenne nel 1655 che suo padre, Zacharias Janssen, inventò il telescopio nel 1590, quasi 20 anni prima di Lippershey, ma ancora oggi non esiste alcuna prova sostanziale che Hans Lippershey abbia rubato il design del suo telescopio da Janssen.

Il telescopio di Lippershey era un rifrattore molto rudimentale basato su una lente convessa e una concava. Questo design consentiva di ottenere un’immagine non capovolta (come in un binocolo) e un’ingrandimento di circa 3x. La notizia dell’invenzione del telescopio si diffuse rapidamente in tutta Europa e scatenò la fantasia di astronomi e artigiani dell’epoca, che iniziarono a sperimentare nuovi design e a scoprire nuove proprietà ottiche delle lenti.

Descrizione delle macchie solari realizzata da Galileo tra il 1611 e il 1612
Descrizione delle macchie solari osservate con il telescopio rifrattore di Galileo tra il 1611 e il 1612

Thomas Harriot, astronomo e matematico inglese, fu il primo a disegnare la superficie osservabile della Luna sfruttando l’aiuto di un telescopio il 26 luglio 1609, circa 4 mesi prima delle osservazioni di Galileo Galilei.

Galileo perfeziona il telescopio

Galileo ricevette la notizia dell’invenzione di Lippershey nel giugno del 1609, quando si trovava a Venezia. Tentò subito di replicare il telescopio olandese, apportando sempre più miglioramenti allo strumento: il suo primo telescopio poteva ingrandire gli oggetti osservati fino a tre volte, ma nell’arco di poco tempò ne creò uno capace di ingrandire 8 volte, fino a creare il primo telescopio galileiano: era lungo circa un metro e disponeva di una lente-obiettivo del diametro di 37 millimetri, permettendo un ingrandimenti di 23x.

Con questo strumenti Galileo iniziò la serie di osservazioni astronomiche che lo resero celebre e immortale nella storia della scienza: tra ottobre e novembre del 1609 scoprì l’esistenza di alcuni satelliti di Giove (i satelliti galileiani Io, Europa, Ganimede e Callisto), osservò le valli lunari, le fasi di Venere e le macchie solari (quasi certamente il primo nella storia ad osservare il Sole indirettamente tramite una proiezione).

Lo strumento di Galileo fu il primo ad essere chiamato “telescopio”: il nome fu inventato nel 1611 da Giovanni Demisiani durante il banchetto in cui si celebrava l’ingresso di Galilei nell’ Accademia dei Lincei.

Grazie al suo telescopio, Huygens descrive Saturno e i suoi anelli nel Systema Saturnium del 1659
Grazie al suo telescopio, Huygens descrive Saturno e i suoi anelli nel Systema Saturnium del 1659

Keplero fu il primo ad accorgersi nel 1611 che il design di Galileo aveva limitazioni che un telescopio basato su due lenti biconvesse (invece che una concava e una convessa) non aveva. Era possibile combinare diverse lenti biconvesse per ottenere immagini ancora più ingrandite e un campo visivo più vasto.

La prima espressione complessa di questo design fu il telescopio costruito da Christiaan Huygens: lo strumento aveva come obiettivo una lente di 57 millimetri e come oculare un sistema di lenti piano-convesse capace di ottenere un ingrandimento di 50x. Grazie a questo telescopio, Huygens fu il primo ad osservare nel 1655 gli anelli di Saturno e la prima luna di questo pianeta, Titano.

Isaac Newton: inventore del telescopio riflettore
Il telescopio di Newton realizzato nel 1671
Il telescopio di Newton realizzato nel 1671 (The Royal Society, London)

Dopo Huygens ci si rese conto che un telescopio basato su lenti presenta una serie di problemi difficilmente superabili: accumulando lenti per aumentare l’ingrandimento o il campo visivo si generano aberrazioni cromatiche o di altra natura difficilmente risolvibili se non con la creazione di lenti sempre più grandi, costose e dalla lunghezza focale poco pratica: il telescopio kepleriano di Johannes Hevelius, lungo 46 metri e appoggiato sul tetto di tre case, si rivelò estremamente difficile da puntare e le lenti da cui era composto dovevano essere continuamente allineate durante l’uso.

Una soluzione al problema giunse dalle prime osservazioni delle proprietà degli specchi concavi. Nel 1652 l’astronomo gesuita Niccolò Zucchi provò a sostituire l’obiettivo di un telescopio con uno specchio concavo di bronzo, ma non fu soddisfatto della qualità dell’immagine e abbandonò l’idea.

Circa 10 anni dopo James Gregory progettò un telescopio che utilizzava uno specchio concavo e uno piano per concentrare l’immagine verso un punto d’uscita, un design comunemente utilizzato nei telescopi moderni; nessun artigiano di sua conoscenza era capace di realizzare specchi di qualità tale da poter essere impiegati come obiettivo ottici e il progetto di Gregory non si concretizzò mai.

Schema di funzionamento del telescopio riflettore newtoniano
Schema di funzionamento del telescopio riflettore newtoniano

Isaac Newton fu il primo ad avere sia le competenze matematico-ottiche sia l’abilità tecnica necessarie a realizzare il primo telescopio riflettore. Dopo essere giunto alla conclusione che le aberrazioni dei telescopi rifrattori non potevano essere eliminate completamente, iniziò a sperimentare con gli specchi concavi fino a costruire nel 1668 il primo telescopio riflettore della storia.

Lo specchio del telescopio di Newton, largo circa 5 centimetri, era stato costruito con una lega di stagno e rame (speculum) e lucidato fino a diventare riflettente e assumere una concavità sferica. La lega metallica dello specchio tendeva ad opacizzarsi col passare del tempo ed era necessario lucidare l’obiettivo almeno due volte l’anno per mantenere delle proprietà ottiche accettabili.

Il telescopio newtoniano, come tutti quelli prodotti nei successivi 40-50 anni, aveva il principale difetto di mostrare immagini poco nitide a causa di specchi poco riflettenti e della forma stessa dell’ obiettivo: la curvatura sferica non ottimizza la riflessione della luce verso un punto focale comune e crea aberrazioni delle immagini.

Illustrazioni sul funzionamento del telescopio riflettore realizzate da Isaac Newton
Illustrazioni sul funzionamento del telescopio riflettore realizzate da Isaac Newton (The Huntington Library, Art Collections, and Botanical Gardens)

Con questo strumento, Newton riuscì tuttavia ad osservare le lune galileiane di Giove e le fasi di Venere; spronato dal suo successo decise quindi di costruire un secondo telescopio riflettore in grado di un ingrandimento di 38x, presentandolo alla Royal Society of London nel dicembre del 1672.

Il telescopio newtoniano non riscosse immediatamente successo per via delle difficoltà nella produzione di specchi di buona qualità e della precisione richiesta per la costruzione del tubo ottico e della montatura.

Fu solo con il miglioramento nelle tecniche di produzione degli specchi e di lucidatura (e con il telescopio newtoniano di John Hadley del 1721) che ci si rese conto dei vantaggi del telescopio riflettore: anche se introduceva aberrazioni sferiche (superabili), eliminava quelle cromatiche ed era facilmente scalabile: costruire uno specchio di grandi dimensioni diventò progressivamente più semplice, pratico ed economico di una lente di pari diametro.

Who Invented the Telescope?
Timeline of telescope technology

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La bussola antica, dal feng shui all’epoca delle grandi esplorazioni https://www.vitantica.net/2018/01/25/la-bussola-antica-dal-feng-shui-allepoca-delle-grandi-esplorazioni/ https://www.vitantica.net/2018/01/25/la-bussola-antica-dal-feng-shui-allepoca-delle-grandi-esplorazioni/#respond Thu, 25 Jan 2018 12:00:38 +0000 https://www.vitantica.net/?p=1291 L’invenzione della prima bussola magnetica primitiva sotto la dinastia cinese Han tra il II e il I secolo a.C. segnò l’inizio di una rivoluzione in campo geografico che favorì nei secoli successivi l’esplorazione di terre lontane e sconosciute.

Prima dell’introduzione della bussola, la navigazione in mare avveniva principalmente sfruttando la posizione nota di alcuni punti di riferimento geografici o astronomici ed era resa difficoltosa dalla presenza di nubi, nebbia o altre condizioni atmosferiche in grado di ridurre la visibilità in mare aperto.

La bussola consentì finalmente di potersi allontanare dalla costa e di ignorare qualunque clima avverso avendo un costante e (apparentemente) inamovibile punto di riferimento in qualunque parte del globo ci si trovasse.

La bussola come strumento divinatorio

Le prime bussole magnetiche furono inventate in Cina circa 2.000 anni fa e non furono intesi inizialmente come strumenti per la navigazione, ma come oggetti divinatori utilizzati nella geomanzia cinese e nel feng shui.

E’ possibile che alcuni artefatti Olmechi risalenti ad oltre 1.000 anni prima di Cristo rappresentassero anch’essi strumenti divinatori simili a quelli cinesi, ma ad oggi non c’è alcuna testimonianza in grado di dimostrare che fossero anche impiegati per l’orientamento per terra o in mare.

Cristalli di magnetite
Cristalli di magnetite

Le prime bussole cinesi per il feng shui erano frammenti di magnetite, un minerale di ferro che mostra le più intense proprietà magnetiche di qualunque altro esistente in natura.

La magnetite si presenta generalmente sotto forma di cristalli neri e opachi o come masse compatte composte da piccoli granuli ferrosi (72% di ferro).

I nostri antenati notarono ben presto che queste rocce esercitavano una particolare attrazione verso i materiali composti da ferro ed erano in grado di trasferire questa proprietà a qualunque oggetto ferroso.

I Cinesi osservarono inoltre che quando la magnetite viene sospesa sull’acqua o nell’aria (ad esempio, legata ad un filo nel suo baricentro), consentendole di ruotare liberamente quasi senza attrito, si orientava verso un asse che andava dal Polo Sud al Polo Nord, un indicatore ideale per determinare il giusto orientamento di edifici e arredamenti tipico del feng shui.

Fu solo intorno all’ XI secolo d.C., tra l’anno 850 e il 1050, che la magnetite fu impiegata per la prima volta nella navigazione, circa 150 anni prima che la bussola facesse la sua apparizione sulle navi europee (1190) o del mondo arabo (1232).

Non esiste un reale consenso accademico sulla data in cui fu inventata la prima bussola magnetica per la navigazione: i primi riferimenti al magnetismo e all’attrazione tra magnetite e ferro appaiono nella letteratura cinese intorno al IV secolo a.C. e intorno al 70-80 d.C. fa la sua comparsa un cucchiaio in magnetite che puntava verso il Polo Sud magnetico.

Riproduzione del cucchiaio magnetico cinese
Riproduzione del cucchiaio magnetico cinese
Bussola ad ago magnetico

Il primo ago magnetico (definito “ago misterioso”) compare nel 923-926 mentre ciò che può essere finalmente definito “bussola magnetica” viene descritto nel 1088: Shen Kuo, inventore e tuttologo della dinastia Song, descrive dettagliatamente la magnetizzazione di un ago di ferro e la sua sospensione tramite un filo di seta in modo che si orientasse naturalmente verso l’asse Nord-Sud.

E’ comunque noto che almeno 40 anni prima di Shen Kuo (leggi questo articolo sul grande inventore cinese) la bussola magnetica fosse uno strumento impiegato sul campo di battaglia (assieme al “carro che punta a Sud“) per trovare la direzione giusta verso cui orientare le truppe durante le notti più scure.

Determinare con precisione quando e come la bussola fece il suo ingresso in Europa è ancora più difficile. Alexander Neckam, insegnante e abate dell’Abbazia di Cirencester vissuto tra il XII e il XIII secolo, dimostra di conoscere in profondità il funzionamento della bussola e il suo utilizzo in mare, ma non accenna alla provenienza dell’invenzione.

E’ possibile che la bussola ad ago magnetico fosse stata un “dono dell’Oriente” o che semplicemente fosse stata inventata parallelamente in Europa e utilizzata frequentemente per la compilazione dei portolani, mappe fondamentali per la navigazione costiera europea e primo passo verso una raffigurazione sempre più realistica della geografia del pianeta conosciuto.

Anche il mondo arabo si appropriò dell’uso della bussola magnetica intorno al XII-XIII secolo: un testo di origine persiana risalente al 1232 parla di una foglia magnetica a forma di pesce, design di origine cinese, impiegata durante un viaggio sul Mar Rosso.

Verso la fine del secolo, l’astronomo al-Malik al-Ashraf descrive l’uso di una bussola chiamata “indicatore Qibla” capace di indicare sempre la direzione della Mecca.

bussola magnetica europea del XIII
Disegno di una bussola magnetica europea del XIII secolo nella Epistola de magnete (1269) di Petrus Peregrinus (Pierre Pelerin de Maricourt)
La bussola moderna

Fu comunque tra il XIII e il XIV secolo che la bussola magnetica assunse il suo aspetto moderno. L’invenzione della prima “bussola a secco”, in cui l’ago magnetico non si trovava in sospensione sull’acqua ma su un fulcro che gli consentiva di ruotare liberamente nell’aria, viene comunemente attribuita a Flavio Gioia, navigatore italiano di Amalfi (probabilmente mai esistito, come ha dimostrato nel 2008 la storica italiana Chiara Frugoni) che per primo creò una scatola chiusa contenente il disegno di una rosa dei venti e un ago magnetico imperniato.

La bussola amalfitana contribuì all’apertura dell’epoca delle grandi esplorazioni oceaniche. Grazie ad essa fu possibile avere sempre a portata di mano uno strumento capace di indicare la direzione di navigazione con certezza e costanza, indipendentemente dalle condizioni atmosferiche o dalla visibilità della costa o della volta celeste.

Tra il XIV e il XV secolo vennero introdotti in Europa diversi standard che sarebbero diventati di uso comune nei secoli successivi: se i Cinesi erano più interessati al Sud, i navigatori europei preferirono optare per il Nord come punto di riferimento magnetico, notando anche che il Polo Nord magnetico e quello geografico non erano la stessa cosa e che questa declinazione magnetica può portare ad errori di navigazione sempre più pronunciati man mano che ci si sposta verso Nord o Sud.

Rosa dei venti di una bussola di navigazione del 1607.
Rosa dei venti di una bussola di navigazione del 1607.

Anche la rosa dei venti divenne uno standard per ogni bussola utilizzata in mare. Se inizialmente l’ago magnetico puntava solo verso Nord e Sud, ora poteva spostarsi lungo un quadrante composto da altre 30 direzioni intermedie e, successivamente, anche dai gradi bussola.

Enrico il Navigatore, principe portoghese e figura di primari importanza nell’era delle esplorazioni geografiche, fu uno dei più grandi promotori della bussola magnetica e la fece diventare una dotazione standard di tutte le navi esplorative portoghesi.

Le ricerche da lui promosse contribuirono ad ulteriori perfezionamenti di questo strumento e all’esplorazione dell’Africa. Qualche anno più tardi, Cristoforo Colombo si servì degli avanzamenti delle carte nautiche e della bussola magnetica per ideare il suo viaggio attraverso l’Atlantico, anche se sottostimò enormemente le dimensioni del pianeta immaginandoselo con una circonferenza equatoriale del 25% più ristretta.

History of the compass

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Timeline delle invenzioni dal I al XVII secolo https://www.vitantica.net/2017/12/27/timeline-invenzioni-al-xvii-secolo/ https://www.vitantica.net/2017/12/27/timeline-invenzioni-al-xvii-secolo/#respond Wed, 27 Dec 2017 02:00:52 +0000 https://www.vitantica.net/?p=1190 Non è stato immediato compilare questo elenco di invenzioni tra il I secolo d.C. e il XVII secolo, per cui chiedo scusa anticipatamente per eventuali inesattezze o errori. Inviate le vostre segnalazioni e provvederò a correggere!

I secolo d.C.: ombrello, mantici e eolipila
  • Eolipila: Erone di Alessandria inventa l’ eolipila, detta anche “motore di Erone”: si tratta di un motore mosso da due getti che espellono vapore, un’invenzione che ispirò motori a vapore e turbine idrauliche del millennio successivo.
  • Distributore automatico: nello stesso periodo, Erone inventa anche il primo distributore automatico della storia (distribuiva acqua benedetta in cambio di una moneta).
  • Mantici idraulici: l’inventore cinese Tu Shih inventa nel 31 d.C. i primi mantici idraulici per alimentare i forni di fusione del ferro.
  • Ombrello: Wang Mang inventa nel 21 d.C. il primo ombrello pieghevole, un oggetto inizialmente destinato ad un carro cerimoniale ma che successivamente verrà utilizzato su larga scala.
  • Estrazione mineraria idraulica: i Romani inventano un sistema per rilevare ed erodere oro dai depositi minerari sfruttando corsi d’acqua.
II secolo: carriola, sismometro, carta
  • Carriola: in una tomba a Chengdu, Cina, viene scoperta la prima carriola nota all’archeologia, risalente al 118 d.C.;
  • Sismometro: Zhang Heng, inventore e astronomo cinese, inventa nel 132 d.C. un sismometro basato sul movimento di un pendolo.
  • Catalogo stellare: Claudio Tolomeo compila un catalogo di tutte le stelle visibili ad occhio nudo.
  • Geografia di Tolomeo: Tolomeo redige un’opera che per i successivi 1300 anni sarà considerata la più completa rappresentazione del mondo abitato conosciuto. Nella Geografia si trovano anche tecniche di calcolo della latitudine e della longitudine e metodi per effettuare proiezioni cartografiche.
  • Carta: l’inventore cinese Cai Lun inventa nel 105 d.C. il primo metodo moderno per la produzione di carta.
III secolo: stampa, balestra e turbina ad acqua
  • Stampa: sotto la dinastia Han nasce la stampa con blocchi di legno incisi;
  • Turbina ad acqua: sembra sia apparsa la prima volta sotto l’Impero Romano ed era utilizzata per la macinatura dei cereali.
  • Carro che punta a Sud: durante la Guerra dei Tre Regni, l’inventore Ma Jun realizza un carro su due ruote sormontato da una piccola statua che indicava costantemente il Sud indipendentemente dalla direzione del veicolo e senza sfruttare il magnetismo. Lo strumento serviva ad orientarsi nei cunicoli scavati sotto le città assediate.
  • Balestra a ripetizione: in Cina viene inventata la balestra a ripetizione.
  • Segheria: a Ierapoli viene costruita la prima segheria meccanizzata alimentata da una ruota ad acqua.
IV secolo: staffe e vetro dicroico
  • Mulinello da pesca: secondo le testimonianze letterarie cinesi, intorno al IV secolo d.C. viene inventato il primo mulinello da pesca, ma la prima rappresentazione grafica di questo strumento risale al 1195.
  • Perforazioni petrolifere: il primo pozzo per l’estrazione del petrolio è cinese e risale al 347 d.C.. Fu scavato utilizzando pali di bambù con teste di perforazione metalliche; nonostante la bassa tecnologia di questo impianto d’estrazione, i primi perforatori raggiunsero la profondità di ben 240 metri. Il petrolio veniva utilizzato come combustibile per la produzione di sale.
  • Staffe: sempre in Cina fanno la loro apparizione le prime selle munite di staffe.
  • Vetro dicroico: la Coppa di Licurgo è il primo esempio di “nanotecnologia”: il vetro dicroico che la compone è stato contaminato da nanoparticelle d’oro e d’argento per ottenere spettacolari effetti di luce.
V secolo: collare per cavalli e bussola rudimentale
  • Collare per cavalli: i primi collari per cavalli, in grado di facilitare il compito di trascinamento di aratri o carichi pesanti, compaiono in Cina verso la metà del V secolo;
  • Carro che punta a Sud magnetico: Zu Chongzhi reinventa il carro sfruttando il magnetismo e senza la maggior parte della meccanica prevista per la versione precedente.
VI secolo: fiammiferi e carta igienica
  • Fiammiferi: i cinesi inventano i primi fiammiferi a zolfo nel 577 d.C.
  • Carta igienica: la prima testimonianza dell’utilizzo di carta igienica risale al 589 d.C. sotto la dinastia Sui.
VII secolo: fuoco greco, banconote e porcellana
  • Fuoco greco: Kallinikos inventa (o introduce) un’arma incendiaria chiamata fuoco greco.
  • Banconota: sotto la dinastia Tang vengono introdotte le prime banconote per evitare i pesanti e voluminosi sacchi di monete di rame durante le grandi transazioni di denaro.
  • Porcellana: sempre sotto la dinastia Tang appare la prima vera porcellana nelle regioni settentrionali della Cina.
VIII secolo: bustina da tè
  • Collare per cavalli in Europa: prima introduzione del collare per cavalli in Europa settentrionale.
  • Bustina da tè: le prime bustine da tè fanno la loro apparizione in Cina sotto la dinastia Tang: erano in carta piegata e cucita in modo tale da formare una busta in grado di preservare a lungo l’aroma e il gusto delle foglie.
IX secolo: polvere da sparo e concetto di zero
  • Polvere da sparo: alcuni alchimisti cinesi della dinastia Tang scoprono la miscela per produrre la polvere da sparo durante la ricerca dell’ elisir dell’immortalità (per millenni i cinesi furono ossessionati dall’immortalità). La prima ricetta precisa scritta per la produzione di polvere da sparo risale all’ XI secolo, ma già un secolo prima fu impiegata per realizzare le prime armi esplosive o a razzo della storia.
  • Zero: viene inventato in India il concetto di zero come numero e non come simbolo di separazione. Lo zero viene impiegato nei calcoli e trattato come tutti gli altri numeri;
X secolo: fuochi d’artificio e aratro pesante
  • Lancia di fuoco: la dinastia Song vede la nascita della prima arma da fuoco, un tubo di bambù (e successivamente di metallo) caricato con polvere nera in grado di sparare fiamme e schegge.
  • Fuochi d’artificio: inizialmente realizzati con involucri di bambù riempiti di polvere da sparo.
  • Aratro pesante: tra il X e l’ XI secolo appaiono in Europa i primi aratri pesanti, contribuendo sensibilmente all’aumento di popolazione registrato in questo periodo.
XI secolo: caratteri mobili e bacini di carenaggio
  • Caratteri mobili: nel 1088 in Cina viene pubblicata la prima opera stampata con il metodo dei caratteri mobili in ceramica.
  • Banconote: le banconote diventano di uso comune in Cina intorno all’anno 1024.
  • Bacino di carenaggio: il primo bacino di carenaggio sembra fare la sua comparsa nel 1068 in Cina.
  • Trasmissione a catena: l’inventore e astronomo Su Song inventa un sistema a trasmissione a catena per far muovere una sfera armillare e un orologio astronomico
XII secolo: bussola navale e cannoni
  • Bussola navale: nel 1119 lo storico cinese Zhu Yu descrive l’utilizzo di una bussola ad acqua dotata di un ago metallico magnetizzato che galleggiava all’interno di una ciotola.
  • Cannone: risale al 1128 la prima scultura raffigurante un cannone un cannone.
  • Occhiali da sole: sembra che i primi occhiali da sole siano stati realizzati in Cina sfruttando piccoli pannelli di quarzo affumicato incastrati in una montatura.
XIII secolo: razzi, mine esplosive e occhiali da vista
  • Razzi: in Cina vengono utilizzati i primi razzi militari a polvere da sparo.
  • Scappamento a corona e vèrghe: intorno al 1237 in Europa viene inventato il primo sistema di scappamento interamente meccanico, lo scappamento a corona e vèrghe;
  • Mina esplosiva: alcuni documenti storici risalenti al 1277 suggerirebbero il primo utilizzo di una mina esplosiva per fermare l’avanzata mongola verso Guangxi.
  • Occhiali da vista: i primi occhiali da vista sono probabilmente nati a Pisa nel 1286.
  • Cannone: prime testimonianze archeologiche della costruzione di cannoni di metallo e piccoli mortai dal peso contenuto, come il Cannone di Heilongjiang che risale probabilmente al 1288.
  • Polvere da sparo in Europa: Roger Bacon cita nel suo libro “Opus majus” del 1248 una ricetta per la preparazione della polvere da sparo.
XIV secolo: archibugio e astrario
  • Astrario: Giovanni Dondi inventa un orologio astronomico meccanico mosso da pesi e in grado di calcolare i moti del Sole, della Luna e dei cinque pianeti conosciuti, indicando anche le ore di luce alla latitudine di Padova, l’ora e i minuti in gruppi di dieci.
  • Archibugio: antenato del moschetto, la prima testimonianza del suo impiego risale al 1364 in Lombardia, anche se probabilmente il termine “archibuxoli” si riferiva al tempo ai tiratori di schioppo, un piccolo cannone portatile.
  • Armi da fuoco in Europa: nel 1331 Cividale del Friuli fu attaccata utilizzando qualche tipo di arma da fuoco non meglio identificabile. I primi cannoni, simili a quelli cinesi, appaiono nel Vecchio Continente nel 1326 e la produzione sul suolo europeo sembra essere iniziata nell’anno successivo.
XV secolo: clavicembalo whyskey
  • Caratteri mobili in metallo: nel 1454 viene stampata la Bibbia di Gutenberg, la prima opera in Europa stampata con questa tecnica.
  • Clavicembalo: verso la metà del secolo viene inventato il clavicembalo.
  • Grilletto: nel 1411 viene inventato il primo grilletto meccanico a frizione per armi da fuoco.
  • Whiskey: l’anno ufficiale della nascita del whiskey è il 1494.
  • Arma portatile ad avancarica: i fucili ad avancarica (prime forme di moschetto) fanno la loro prima apparizione intorno al 1475 in Italia e in Germania.
  • Anemometro: Leon Battista Alberti inventa il primo anemometro nel 1450.
XVI secolo: matite, microscopio e orologio da tasca
  • Orologio da tasca: Peter Henlein inventa nel 1510 il primo orologio tascabile.
  • Matita: la prima matita a grafite fu inventata nel 1565 da Conrad Gesner.
  • Bottiglia di birra: nel 1568 a Londra entra in circolazione la prima birra imbottigliata.
  • Proiezione di Mercatore: il cartografo Gerardo Mercatore crea nel 1569 una proiezione cartografica che verrà in seguito largamente impiegata per la realizzazione di mappe nautiche.
  • Macchina da maglieria: nel 1589, William Lee inventa a Parigi la prima macchina da maglieria per la produzione su larga scala di calze da donna.
  • Microscopio: anche se il dibattito sulla paternità di questo strumento è ancora aperta, il principale candidato come inventore del microscopio ottico a lente singola o composito (1590 circa) è l’olandese Zacharias Janssen (probabilmente realizzò lo strumento con l’aiuto del padre).
  • Teoria del contagio: Girolamo Fracastoro, collega di Copernico e professore di logica all’Università di Padova, pubblica nel 1546 il “De contagione et contagiosis morbis” (Sul contagio e sulle malattie contagiose), il primo trattato a descrivere il contagio da parte di germi patogeni.
  • Termometro galileiano: Galileo Galilei crea il primo termometro ad ampolla (probabilmente nel 1593), un termometro ad acqua e alcool.
XVII secolo: telescopio e pentola a pressione
  • Telescopio: la prima traccia scritta di un telescopio è un brevetto del 1608 registrato in Olanda da Hans Lippershey. Nel 1609 Galileo produsse una sua versione del telescopio a rifrazione.
  • Barometro ad acqua: Giovanni Battista Baliani inventa nel 1641 il primo barometro ad acqua, probabilmente l’evoluzione di uno strumento già in uso durante i viaggi esplorativi nelle Americhe.
  • Barometro a mercurio: Evangelista Torricelli crea intorno al 1643 il primo barometro a mercurio, chiamato anche “tubo di Torricelli”.
  • Bastoncini di Nepero: Giovanni Nepero, matematico, astronomo e fisico scozzese, inventa nel 1617 uno strumento di calcolo in grado di facilitare l’esecuzione di moltiplicazioni.
  • Pascalina: Blaise Pascal inventa l’antenato della moderna calcolatrice nel 1642. La Pascalina consentiva di addizionare e sottrarre numeri composti da massimo 12 cifre.
  • Velocità della luce: nel 1676 l’astronomo danese Ole Rømer è il primo ad effettuare una misura quantitativa della velocità della luce.
  • Pentola a pressione: Denis Papin inventa nel 1679 la pentola a pressione brevettandola con la descrizione «Il qui presente “digestore” rende digeribili molte quantità di cibi, tra cui le carni più dure».
  • Pompa pneumatica: Otto von Guericke inventa nel 1650 la prima pompa pneumatica in grado di creare il vuoto impiegato nel celebre esperimento degli “emisferi di Magdeburgo”.

 

Timeline of historic inventions

Inventions and Discoveries

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Conrad Haas, ingegnere missilistico del 1500 https://www.vitantica.net/2017/12/21/conrad-haas-ingegnere-missilistico/ https://www.vitantica.net/2017/12/21/conrad-haas-ingegnere-missilistico/#respond Thu, 21 Dec 2017 02:00:44 +0000 https://www.vitantica.net/?p=1171 L’utilizzo di razzi per la guerra o per la scienza potrebbe apparire uno sviluppo recente della tecnologia umana, ma ha radici antiche e spesso poco conosciute. Sappiamo per esempio che le prime frecce-razzo a polvere nera fecero la loro comparsa in Cina intorno al X secolo d.C., ma non sappiamo esattamente chi le abbia realizzate per primo o quando siano state ideate. Sappiamo però che basavano il loro funzionamento su conoscenze parziali della chimica, non scritte, spesso giudicate quasi occulte dai non iniziati alle dottrine alchemiche.

Per la prima bozza di documento su missilistica e razzi bisogna attendere la comparsa del trattato militare Huolongjing (Manuale del Drago di Fuoco), redatto intorno al XIV secolo e che descrive un’infinità di congegni basati sulla polvere da sparo, dalle frecce a razzo alle mine navali. E’ anche il primo documento scritto ad illustrare un design per un razzo multistadio, un modello di lancio fondamentale per le esplorazioni spaziali moderne.

In Europa lo studio dei razzi iniziò bene o male in corrispondenza del Manuale del Drago di Fuoco: il trattato militare Bellifortis, pubblicato nel 1405 e redatto dall’ingegnere militare tedesco Konrad Kyeser descrive almeno tre differenti applicazioni dei razzi, mentre Joanes de Fontana nel suo Bellicorum instrumentorum liber (circa 1420) parla di piccoli giocattoli a razzo, come colombe e lepri meccaniche, e di un siluro di grosse dimensioni con la testata (non esplosiva) a forma di mostro marino.

Conrad Haas

Ma il primo, vero pioniere della missilistica moderna fu probabilmente Conrad Haas, un ingegnere militare transilvano del XVI secolo. Fino al 1961, questo nome era quasi del tutto sconosciuto prima che un professore dell’Università di Bucarest, Doru Todericiu, scoprisse negli archivi della città ciò che oggi viene chiamato Manoscritto di Sibiu, il primo trattato su razzi e missilistica visto da un’ottica moderna.

Le informazioni su Conrad Haas sono poche e poco precise: nacque probabilmente a Dornbach nel 1509 e occupò il ruolo di Zeugwart (ufficiale d’artiglieria) per l’esercito imperiale di Ferdinando I. Nel 1551, il gran principe di Transilvania Stephen Bathory invitò Haas a Hermannstadt (l’attuale Sibiu, Romania) per assegnargli il ruolo di ingegnere militare e insegnante.

Descrizione di Conrad Haas di un razzo multistadio
Descrizione di Conrad Haas di un razzo multistadio

Prima e durante la sua permanenza a Sibiu, durata fino al 1570, si occupò della redazione di un trattato sulla missilistica effettuando numerosi esperimenti con i razzi. Il trattato conta ben 450 pagine ed è diviso in tre parti; solo la terza è direttamente attribuibile a Conrad Haas, ma le due sezioni precedenti dell’opera riguardano problemi di artiglieria e balistica molto probabilmente frutto del lavoro di Haas.

Razzi multistadio del manoscritto di Conrad Haas
Razzi multistadio e accoppiati del manoscritto di Conrad Haas

Le sue sperimentazioni con i razzi raggiunsero il culmine della spettacolarità qualche anno dopo il suo arrivo a Sibiu: nel 1555, l’intera città fu testimone del lancio riuscito del primo razzo a più stadi (forse 3) d’Europa, il primo di una lunga serie di test che Haas condurrà nei successivi 15 anni.

Ciò che distingue Haas dal resto degli antichi pionieri della missilistica è l’invenzione di alcune tecnologie e concetti del tutto innovativi per il suo tempo e in linea con le strategie di volo missilistico utilizzate in tempi moderni:

  • Conrad Haas fu il primo ad anticipare l’idea moderna di astronave, fornendo anche uno schema di razzo a più stadi governato da un pilota umano;
  • Ideò diverse configurazioni di razzi a 2 o 3 stadi;
  • Studiò come calcolare la quantità di combustibile ottimale per ogni stadio di un razzo, allo scopo di ottimizzare la spinta e il consumo di carburante;
  • Fu probabilmente il primo in Europa (e in molte altre regioni del mondo) ad impiegare diverse miscele di polvere nera in base a gittata, potenza, forma e impiego del razzo;
  • Progettò un metodo di propulsione a combustibile liquido che probabilmente non realizzò mai. Anche se il suo sistema a combustibile liquido non era per nulla pensato per il viaggio nel vuoto o nell’atmosfera rarefatta d’alta quota, Haas fu il primo europeo ad pensare a questo metodo di propulsione;
  • Haas progettò (ma non realizzò) un razzo multistadio dotato di una carica esplosiva innescata dal contatto con il terreno durante il rientro;
  • Fu il primo a studiare l’effetto delle ali a delta per stabilizzare il volo di un razzo.
Razzi ideati da Siemienowicz nel 1650
Razzi ideati da Siemienowicz nel 1650

Prima della scoperta del Manoscritto di Sibiu, si riteneva che il primo a ideare un razzo a tre stadi fosse stato l’artigliere polacco Kazimierz Siemienowicz nel 1650, evento documentato nel suo trattato Artis Magnae Artilleriae Pars Prima. Il manuale d’artiglieria di Siemienowicz, probabilmente derivato dal trattato di Haas e che semplificava notevolmente i calcoli balistici, fu il manuale di molti reparti d’artiglieria d’Europa per oltre due secoli.
Per il primo lancio di un razzo a combustibile liquido bisogna invece attendere il 1926 con il lancio di Robert H. Goddard, il primo test della lunga serie che portò all’era spaziale moderna.

Conrad Haas

Essays on the History of Rocketry and Astronautics: Proceedings of the Third through the Sixth History Symposia of the International Academy of Astronautics, volume 1

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