colombo – VitAntica https://www.vitantica.net Vita antica, preindustriale e primitiva Thu, 01 Feb 2024 15:10:35 +0000 it-IT hourly 1 Eclissi lunari più famose della storia https://www.vitantica.net/2018/07/05/eclissi-lunari-storia/ https://www.vitantica.net/2018/07/05/eclissi-lunari-storia/#respond Thu, 05 Jul 2018 02:00:03 +0000 https://www.vitantica.net/?p=1873 L’ eclissi lunare è un fenomeno astronomico che ha da sempre affascinato l’essere umano. Spesso considerato un evento a metà tra la bizzarria della natura e il mistero della magia, l’ eclissi lunare ha contribuito in modo sostanziale a fornire impulso allo studio del cielo tra i popoli maggiormente dediti all’astronomia, come le culture mesopotamiche o centro-americane.

Durante un’eclissi lunare totale, la Terra si trova nel bel mezzo del percorso che la luce solare effettua per raggiungere la Luna; in questo modo il nostro pianeta ostruisce gradualmente la luminosità solare fino a nascondere il disco lunare, dando l’impressione che un terzo corpo celeste si sia frapposto tra noi e la Luna. Grazie alla dinamica stessa delle eclissi di luna, questo fenomeno è visibile in qualunque regione non sia direttamente esposta ai raggi solari, i continenti che attraversano la fase notturna.

Un fenomeno che tende a verificarsi durante l’eclissi lunare totale è la “luna di sangue”: il quasi totale oscuramento del disco lunare e i gas atmosferici della Terra causano una maggiore dispersione di particolari frequenze della luce visibile, donando una colorazione rossastra alla Luna.

Nel corso dei millenni passati molte civiltà hanno osservato, registrato e venerato le eclissi lunari, connettendo spesso questi fenomeni a presagi o entità/eventi sovrannaturali totalmente fuori dal controllo umano. Molti popoli hanno descritto o interpretato le eclissi in modo simbolico: gli Egizi credevano che il fenomeno fosse connesso con un’enorme scrofa sacra che lentamente divorava la Luna per un periodo limitato di tempo, mentre i Maya ritenevano che un giaguaro mitologico ingoiasse il nostro satellite a intervalli più o meno regolari.

Eclissi lunare

29 gennaio 1137 a.C.

La prima citazione documentata di un’ eclissi lunare risale a circa 1.000 anni prima di Cristo e si può trovare nell’opera cinese Zhou-Shu, ritrovata nel 280 d.C. all’interno della tomba di un esponente della nobiltà. Secondo il professore S.M. Russell, l’evento ebbe luogo il 29 gennaio del 1137 a.C.

28 agosto 413 a.C.

L’ eclissi avvenuta durante gli scontri della seconda battaglia di Siracusa è rimasta nella storia per via delle conseguenze che ebbe sugli Ateniesi. Secondo Tucidide, Nicia era un uomo particolarmente superstizioso: all’arrivo dell’ eclissi chiese ai sacerdoti ateniesi come dovesse comportarsi, ricevendo in risposta di attendere 27 giorni prima di attaccare i siracusani. Il nemico approfittò quasi immediatamente della tregua voluta da Nicia e attaccò le 86 navi ateniesi ferme al porto, sconfiggendo la flotta greca.

20 settembre 331 a.C.

Nel momento in cui le armate macedoni di Alessandro Magno terminarono la traversata del fiume Tigri, si manifestò un’eclissi lunare. Plinio e Plutarco menzionano l’eclissi totale di Luna, sostenendo che si verificò circa 11 giorni prima della Battaglia di Gaugamela, il momento che determinò la vittoria di Alessandro sulle armate di Dario.

14 d.C.

Poco dopo la morte di Augusto, Tacito menziona un’eclissi lunare identificata con l’evento del 27 settembre del 14 d.C.

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734 d.C.

Le Cronache Anglo-Sassoni registrano un’eclissi lunare, definita come “L’eclissi di Tatwine e Beda” a seguito della morte dei due arcivescovi Tatwine e Beda e l’investitura come vescovo di re Ecgberht. Il documento sembra suggerire l’idea che l’evento astronomico fosse collegato in qualche modo con la morte dei due prelati.

1019

L’astronomo arabo Abū al-Rayḥān Muḥammad ibn Aḥmad al-Bīrūnī, autore di decine di trattati sull’astronomia, descrive nel dettaglio l’eclissi lunare del 17 settembre 1019 prezzo Ghazna, Afghanistan, appuntando anche l’altezza sulla volta celeste delle stelle più conosciute.

1349

Thomas Bradwardine, teologo e matematico britannico, riporta un episodio che riguarda una strega intenta a convincere alcune persone dei suoi poteri speculando sulla vaga conoscenza di un’eclissi lunare imminente nel mese di luglio. Bradwardine, che aveva studiato astronomia presso scuole arabe, formulò la sua previsione in modo più preciso, definendo come data esatta il 1 luglio 1349 e svelando l’inganno della strega.

1453

Nel 1453, le truppe del sultano Maometto II ritornarono all’ assedio di Costantinopoli con 250.000 uomini e un cannone di otto metri capace di sparare proiettili di 600 kg. Nonostante i soli 7.000 uomini a difesa della città, i Turchi furono respinti per ben tre volte e gli assediati ripararono le mura durante la notte per arginare ulteriori assalti.
Il 22 maggio dello stesso anno si verificò un’eclissi lunare che gli abitanti di Costantinopoli interpretarono come un cattivo presagio; sei giorni dopo, Maometto II e le sue truppe riuscirono a penetrare nella città conquistandola e saccheggiandola.

1 marzo 1504

Durante la sosta forzata di Colombo in Giamaica nel 1503, l’ammiraglio aveva con sé un almanacco astronomico che copriva gli anni dal 1475 al 1506. Dopo che i nativi, indignati dai furti di cibo dell’equipaggio di Colombo, fermarono i rifornimenti di viveri a 6 mesi dall’arrivo degli Europei, Colombo consultò l’almanacco scoprendo l’arrivo imminente di un’ eclissi di luna. Organizzò quindi un incontro con il cacicco locale, sostenendo che Dio fosse arrabbiato con gli indigeni per il trattamento ricevuto e che la divinità avrebbe dimostrato la sua ira facendo “infiammare la luna”. L’ eclissi lunare si verificò come previsto (accompagnata dalla classica “luna di sangue”) gettando nel panico gli indigeni; cronometrando con una clessidra la durata dell’evento, Colombo sostenne quindi che gli indigeni sarebbero stati perdonati alla ricomparsa della Luna.

Lunar Eclipses: What Are They & When Is the Next One?
LUNAR ECLIPSES OF HISTORICAL INTEREST
Historically significant lunar eclipses

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Il successo dell’ ananas dopo il viaggio di Colombo https://www.vitantica.net/2018/06/01/ananas-viaggio-colombo/ https://www.vitantica.net/2018/06/01/ananas-viaggio-colombo/#respond Fri, 01 Jun 2018 19:00:43 +0000 https://www.vitantica.net/?p=1724 L’ananas (Ananas comosus) è una pianta originaria delle regioni tra Brasile e Paraguay che fece il suo primo ingresso in Europa nel 1496 con il ritorno di Colombo dal suo secondo viaggio. Il frutto era ben noto ai nativi sudamericani, dal Brasile al Messico, dove veniva coltivato da Maya e Aztechi.

Anche se la storia della domesticazione dell’ananas è sostanzialmente sconosciuta, fu una delle prime piante americane ad affermarsi nel Vecchio Continente e probabilmente quella che inizialmente riscosse più successo tra la nobiltà europea.

Gli Europei scoprono l’ ananas

Colombo si imbatté nell’ananas per la prima volta quando attraccò sull’isola di Guadalupa. Gli indigeni di lingua Tupi chiamavano questo frutto nanas (“frutto eccellente”), come successivamente raccontò l’esploratore André Thevet nel 1555 durante le sue esplorazioni brasiliane.

Dopo averla assaggiata, apprezzata e aver trovato un nome adatto al frutto (piña de Indes, “pigna degli Indiani”), Colombo decise di riportare alcuni esemplari di questo frutto in Spagna nel 1496, al ritorno dal suo secondo viaggio verso le Americhe, assieme a campioni di tabacco e zucche.

Il viaggio di ritorno non fu di breve durata e quasi tutti gli esemplari di frutta e verdura che Colombo tentò di riportare in Europa andarono distrutti. Tutti tranne un esemplare di ananas che raggiunse la tavola di re Ferdinando II di Aragona, l’unica a non essere marcita diventando un ammasso appiccicoso di zuccheri fermentati.

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Ananas: frutto per sovrani e nobiltà

Per Pietro Martire d’Anghiera, il primo incontro del sovrano spagnolo con l’ananas fu un evento da ricordare: “L’invincibile Re Ferdinando riferisce di aver mangiato un altro frutto portato dalle Americhe. Ricorda una pigna nella forma e nel colore, è ricoperto da scaglie ed è più sodo di un melone. Il suo sapore supera quello di tutto il resto della frutta”.

Anche Gonzalo Fernández de Oviedo y Valdes, inviato a Panama dalla corte di Spagna, rimase stupido dal gusto e dalla forma dell’ananas: “E’ il più bello tra i frutti che ho visto. Non credo esista al mondo un altro frutto di tale squisitezza e apparenza”.

Poco dopo il suo arrivo in Europa, l’ ananas conquistò velocemente il gusto dei più ricchi. Anche se al tempo l’industria dello zucchero iniziava a fiorire grazie alle prime piantagioni di canna da zucchero (specialmente quelle portoghesi in Africa), gli alimenti dolci rimanevano fuori dalla portata della gente comune, che si riforniva di zuccheri dalla frutta europea la cui crescita è subordinata al clima stagionale.

L’ ananas assunse in poco tempo il titolo di “re della frutta”, diventando sia un alimento pregiato sia il simbolo del diritto divino dei regnanti europei; le difficoltà di conservazione durante il lungo viaggio attraverso l’Atlantico e l’offerta estremamente limitata in Europa non fecero altro che aggiungere ulteriore prestigio a questo frutto così raro e prelibato.

Dunmore Pineapple, considerato "l'edificio più bizzarro di Scozia", si trova nel Dunmore Park e la sua costruzione iniziò nel 1761. La struttura centrale con il tetto a forma di ananas fu utilizzata anche per la coltivazione di questo frutto.
Dunmore Pineapple, considerato “l’edificio più bizzarro di Scozia”, si trova nel Dunmore Park e la sua costruzione iniziò nel 1761. La struttura centrale con il tetto a forma di ananas fu utilizzata anche per la coltivazione di questo frutto.
La sfida dell’ ananas in Europa

Le stesse caratteristiche che rendevano l’ananas un frutto così desiderato e pregiato resero di fatto impossibile la sua coltivazione in Europa per quasi due secoli. L’ananas è una pianta erbacea perenne e ha bisogno di un clima stabile, umido e caldo per tutto l’anno; un frutto giunto a fine maturazione può facilmente danneggiarsi, se viene conservato a temperatura ambiente può restare commestibile per solo 3-4 giorni, e ogni pianta è in grado di produrre un singolo frutto ogni 18 mesi circa.

Per garantire una riserva più o meno costante di ananas per la nobiltà europea, i Portoghesi introdussero il frutto in India intorno alla metà del XVI secolo, ma fu solo oltre un secolo dopo che si iniziò a coltivarlo nelle serre del Vecchio Continente.

Verso la metà del XVII secolo fu realizzata in Olanda la prima serra di concezione moderna: fin da subito si iniziarono a condurre esperimenti sugli ananas provenienti dal Suriname, colonia olandese dal 1667 sotto il nome di “Guyana olandese”. Pieter de la Court fu il primo in Europa a far crescere ananas in serra, procedimento che nel secolo successivo si diffuse su buona parte del Vecchio Continente rendendo possibile coltivare questo frutto anche sulle isole inglesi.

Escogitare un sistema per far crescere ananas in Europa non fu affatto semplice: per avere un buon raccolto erano necessarie serre costruite su misura, cure costanti e attente per evitare l’attacco dei parassiti e un’ enorme quantità di carbone per mantenere un clima delle serre stabile e caldo per tutto l’anno.

Infine, in natura l’ ananas viene impollinato principalmente dai colibrì, caratteristica che costrinse i botanici europei dei secoli passati ad effettuare meticolosi e faticosi impollinazioni artificiali. Secondo le stime di alcuni storici, ogni singola pianta di ananas richiedeva un investimento equivalente a circa 8.000 dollari moderni, una cifra enorme per il XVII secolo.

Carlo II si è fatto ritrarre in compagnia di un' ananas nel 1677 (Photo: Royal Collection Trust/Her Majesty Queen Elizabeth II)
Carlo II si è fatto ritrarre in compagnia di un’ ananas nel 1675-1677 (Photo: Royal Collection Trust/Her Majesty Queen Elizabeth II)
L’ ananas come ornamento pregiato

In alcuni periodi, come sotto il regno di Carlo II d’Inghilterra, mangiare ananas era considerato uno spreco: il frutto veniva impiegato esclusivamente come costosissimo oggetto ornamentale e riutilizzato nelle occasioni mondane fino alla sua putrefazione quasi totale.

Intorno alla metà del 1700 iniziarono addirittura a fare la loro apparizione negozi che affittavano ananas a chiunque avesse intenzione di ostentare la sua ricchezza (e disponesse dei fondi necessari da noleggiarne uno).

Il grado di status-symbol dell’ananas durante il regno di Carlo II raggiunse il culmine durante l’ accesa trattativa con la Francia per il possesso delle isole di Saint Kitts e Nevis, un piccolo arcipelago nelle Antille: nel 1668, in occasione del banchetto ufficiale con l’ambasciatore francese, Carlo ordinò il recupero di un’ ananas dall’isola Barbados (anch’essa nelle Antille) per poterla posizionare in cima ad una montagna di frutta europea ed esotica che sarebbe stata servita al termine della cena; lo scopo del sovrano era quello di comunicare molto chiaramente che l’Inghilterra si riteneva la legittima proprietaria delle Antille facendo notare al suo commensale francese che “noi riusciamo ad avere degli ananas, voi no“.

Everything You Ever Wanted to Know About Pineapples
The Strange History of the “King-Pine”

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Quanto tempo occorreva per attraversare il Mediterraneo su un’antica nave a vela? https://www.vitantica.net/2018/04/20/tempo-attraversare-mediterraneo-antica-nave-vela/ https://www.vitantica.net/2018/04/20/tempo-attraversare-mediterraneo-antica-nave-vela/#comments Fri, 20 Apr 2018 02:00:29 +0000 https://www.vitantica.net/?p=1631 Trasportare merci e persone da una costa all’altra del mondo conosciuto non era affatto semplice in passato: il mezzo di trasporto più efficiente era la nave a vela, ma i viaggi per mare erano tutt’altro agevoli o di breve durata, anche quando si navigava in una distesa d’acqua circoscritta come il Mediterraneo.

Le variabili degli spostamenti via mare

Calcolare i tempi di percorrenza di un’ imbarcazione antica non è un’impresa facile. Il mare non è una superficie piana o regolare, le condizioni atmosferiche e i venti svolgono un ruolo di primaria importanza nella velocità e nella manovrabilità di una nave: percorrere 100 chilometri nel mare in burrasca o con il vento contrario richiede molto più tempo rispetto a coprire la stessa distanza avendo il vento a favore o il mare calmo.

Occorre inoltre tenere in considerazione il carico: alcuni tipi di nave impiegati nell’antica Grecia potevano trasportare fino a 500 tonnellate di merce e risultavano inevitabilmente più lenti e meno manovrabili di natante dalla stazza inferiore. Il carico costringeva anche ad effettuare soste più o meno frequenti nei porti commerciali dislocati lungo la rotta verso la destinazione designata.

Una nave tende ad avere prestazioni migliori se viene sospinta da un vento di poppa: in questo caso può puntare la prua verso la propria destinazione e muoversi velocemente seguendo una rotta sostanzialmente rettilinea.

Quando invece i venti sono contrari, la navigazione diventa più lenta e difficoltosa per la necessità di sfruttare venti che provengono da direzioni differenti: le vele devono essere costantemente ritirate o spiegate, la nave deve viaggiare a zig-zag e viene facilmente investita trasversalmente dai fiotti marini, che spruzzano acqua sul ponte superiore e fanno accumulare acqua nella sentina (la parte più bassa dell’imbarcazione in cui tendono ad accumularsi i liquidi che si infiltrano nello scafo).

Raffigurazione di una nave romana del III secolo. La capacità di carico era di circa 86 tonnellate ed era lunga 25 metri
Raffigurazione di una nave romana del III secolo. La capacità di carico era di circa 86 tonnellate ed era lunga 25 metri
Tempi di viaggio sul Mediterraneo

Per calcolare dei tempi medi di percorrenza di una nave a vela antica, quindi, è necessario basare le proprie valutazioni sia sui viaggi compiuti con venti favorevoli, sia sulle traversate che hanno incontrato condizioni di navigazione poco vantaggiose.

Fortunatamente, molti capitani di vascello erano soliti tenere un diario giornaliero sulle condizioni di viaggio e la rotta seguita, mentre diversi documenti storici riportano informazioni sulle antiche modalità di viaggio, permettendoci di estrapolare dati utili per capire quanto tempo occorresse per attraversare il Mediterraneo o mari più vasti.

Plinio il Vecchio fu uno dei primi a menzionare alcune traversate marine compiute in tempi da record con venti favorevoli e condizioni di navigazione ottimali.

  • Da Ostia alle coste africane: 270 miglia marine (500 km) percorse in 2 giorni alla velocità di 6 nodi (un nodo corrisponde a 1,852 km/h);
  • Da Ostia a Gibilterra: 935 miglia marine (1.730 km) percorse in 7 giorni alla velocità di 5,6 nodi;
  • Da Messina ad Alessandria d’Egitto: 830 miglia marine (1.537 km) percorse in 6-7 giorni alla velocità di 5,8 nodi;
  • Da Pozzuoli ad Alessandria d’Egitto: 1000 miglia marine (1.852 km) percorse in 9 giorni alla velocità di 4,6 nodi;

Nelle migliori condizioni era quindi possibile percorrere 200-250 km al giorno e i dati riportati da Plinio sono in linea con le informazioni fornite da altri autori come Filostrato (Corinto-Pozzuoli in 4 giorni), Tucidide, Sinesio di Cirene e Senofonte (secondo il quale una nave pirata percorse 400 miglia nautiche da Rodi e Efeso in 4 giorni).

Nel caso di rotte che prevedevano tratti di navigazione costiera i tempi erano più lunghi: la necessità di seguire il profilo costiero era un fattore limitante per la velocità di viaggio.

Il viaggio da Bisanzio a Rodi richiedeva mediamente 9-10 giorni per percorrere circa 880 miglia nautiche, con una velocità media inferiore ai 4 nodi: la necessità di navigare lungo la costa impediva di raggiungere la velocità di punta prima di essere entrati nel mare aperto a sud dell’isola.

Raffigurazione di una nave dell'antico Egitto nella tomba di Menna, scriba sotto la XVIII dinastia
Raffigurazione di una nave dell’antico Egitto nella tomba di Menna, scriba sotto la XVIII dinastia
Viaggio via mare in condizioni sfavorevoli

Con condizioni atmosferiche e rotte sfavorevoli, i tempi di percorrenza cambiavano sensibilmente:

  • Da Rodi a Gaza: 410 miglia marine (759 km) in 7 giorni alla velocità di 2,6 nodi
  • Da Alessandria d’Egitto a Marsiglia: 1800 miglia (3.333 km) in 30 giorni alla velocità di 2,5 nodi
  • Da Gaza a Bisanzio: 1000 miglia (1.852 km) in 20 giorni alla velocità di 2 nodi
  • Da Alessandria d’Egitto a Cipro: 250 miglia (463 km) in oltre 6 giorni alla velocità di 1,8 nodi
  • Da Bisanzio a Rodi: 445 miglia (824 km) in 10 giorni alla velocità di 1,8 nodi
  • Da Pozzuoli a Ostia: 120 miglia (222 km) in 3 giorni alla velocità di 1,8 nodi

I tempi di percorrenza dilatati non sono dovuti esclusivamente alla presenza di venti contrati o di un mare agitato. La navigazione costiera richiesta in molte rotte commerciali prevedeva la sosta in porto durante la notte, mentre solo i vascelli che navigavano in mare aperto tendevano a limitare gli approdi ai porti principali, continuando a solcare il mare durante tutto l’arco della giornata.

Combinando i dati sui tempi di viaggio, è possibile dedurre la lunghezza del viaggio tra le rotte commerciali più trafficate dell’antichità:

  • Da Alessandria d’Egitto a Bizanzio: passando da Rodi, circa 17-20 giorni di viaggio
  • Da Alessandria d’Egitto a Napoli: passando da Cipro, Rodi, Creta, Malta, Siracusa e Messina, circa 50-70 giorni di viaggio
  • Da Alessandria d’Egitto a Rodi: circa 7-10 giorni di viaggio
  • Da Alessandria d’Egitto a Roma: circa 10-13 giorni di viaggio
  • Da Cartagine a Roma: circa 2-4 giorni di viaggio
  • Da Gibilterra a Roma: 7-10 giorni di viaggio
  • Da Marsiglia ad Alessandria d’Egitto: 20-30 giorni
  • Da Napoli a Roma: circa 3 giorni di viaggio
Foto della zattera Kon-Tiki e del suo equipaggio durante il viaggio nel Pacifico del 1947
Foto della zattera Kon-Tiki e del suo equipaggio durante il viaggio nel Pacifico del 1947
Tempi di viaggio sull’oceano

Il viaggio oceanico prevedeva invece tempi di percorrenza calcolati in settimane o in mesi, non in giorni. Grazie ai diari di navigazione di esploratori come Colombo, Diaz e alcuni esempi di archeologia sperimentale possiamo calcolare quanto tempo richiedeva un viaggio in barca a vela attraverso l’Oceano Atlantico o il Pacifico.

  • Spedizione “Kon-Tiki”: spedizione effettuata nel 1947 dal norvegese Thor Heyerdahl allo scopo di fornire uno scenario realistico della colonizzazione delle isole polinesiane da parte delle etnie asiatiche. Il viaggio durò 101 giorni e la zattera di Heyerdahl percorse un totale di 4.300 miglia nautiche fino alle Isole Tuamota;
  • Primo viaggio di Colombo: il primo viaggio di Cristoforo Colombo attraverso l’Atlantico durò circa 9 settimane, dal 3 agosto 1492 al 12 ottobre dello stesso anno, giorno in cui sbarcò nelle Bahamas;
  • Viaggio di San Brandano (1976-1977): nella metà degli anni ’70 del 1900 Tim Severin e il suo equipaggio crearono una replica dell’imbarcazione che San Brandano avrebbe utilizzato per raggiungere le coste americane. Il viaggio durò circa 13 mesi per un totale di 4.500 miglia nautiche (7.200 km), partendo dall’Irlanda e toccando le Ebridi e l’Islanda.

SPEED UNDER SAIL OF ANCIENT SHIPS – NEW YORK UNIVERSITY
History of Ships
Tim Severin

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Miti sull’esplorazione e la conquista dell’ America https://www.vitantica.net/2018/03/31/miti-esplorazione-conquista-america/ https://www.vitantica.net/2018/03/31/miti-esplorazione-conquista-america/#respond Sat, 31 Mar 2018 02:00:49 +0000 https://www.vitantica.net/?p=1538 Colombo inaugurò l’epoca delle grandi scoperte e delle grandi conquiste americane. Spagna, Portogallo e altre potenze europee iniziarono a spingersi nel Nuovo Mondo facendo leva sulla loro superiorità tecnologica e strategica, conquistando interi regni con manipoli di soldati e convertendo milioni di indigeni che, prima del contatto con i conquistatori del Vecchio Mondo, vivevano in armonia con la natura e in culture semi-primitive. Questo è generalmente il quadro dipinto per l’ epoca delle grandi esplorazioni americane, ma quanto c’è di vero in tutto questo?

 

Le Americhe furono conquistate grazie alla superiorità tecnologica degli Europei?

L’ Europa ha un’antichissima e raffinata tradizione bellica che potrebbe far pensare ad una sua “superiorità militare assoluta” durante il periodo delle grandi esplorazioni. Per alcuni aspetti non è un’affermazione molto distante dalla realtà, ma è un errore supporre che nel resto del mondo si combattesse senza riguardo per la strategia o la tecnologia disponibile.

Molti popoli nativi americani non conoscevano l’uso dei metalli e leghe superiori, come bronzo, ferro e acciaio, ma questo non significa che le loro armi fossero poco raffinate o efficaci. Le cronache del tempo riportano numerosissimi episodi in cui l’invasore europeo fu ferocemente respinto verso l’oceano con armi di legno o pietra e l’uso di tattiche di guerriglia in grado di rendere controproducente la superiorità tecnologica dei conquistatori.

Uno scenario molto comune era il seguente: avvolti da protezioni metalliche come pettorali o elmi e appesantiti dalla necessità di trasportare provviste, utensili e armi in terra sconosciuta e ostile, i conquistatori europei non potevano muoversi agilmente in territori paludosi o nel fitto della foresta, dando modo ai nativi di compiere manovre veloci e furtive che in breve tempo decimavano gli invasori.

Gli indigeni furono anche molto veloci ad imparare i punti deboli del nemico e ad adottare alcune delle sue armi: un esempio è l’introduzione del cavallo in Nord America, che contribuì ad un cambiamento radicale nelle tecniche di guerriglia dei nativi, fino ad allora limitati negli spostamenti dall’assenza totale di mammiferi cavalcabili.

 

Spagnoli, Portoghesi e Inglesi decimarono la popolazione nativa americana?

Miti sull'esplorazione e la conquista dell' America

Di certo i conquistatori europei non contribuirono alla crescita demografica dei nativi americani durante l’epoca delle grandi esplorazioni. Lo sterminio di interi villaggi non era affatto raro, ma la colpa della scomparsa di intere civiltà non è attribuibile alla sola bellicosità degli invasori europei.

Le malattie furono le vere protagoniste della sparizione dei popoli che da secoli vivevano e prosperavano nelle Americhe, alcune importate dal Vecchio Continente mentre altre già esistenti e attive prima del viaggio di Colombo. Con l’arrivo dei primo stranieri sul suolo americano, diverse epidemie colpirono violentemente la popolazione indigena uccidendo milioni di persone, raggiungendo in alcune regioni una mortalità superiore al 90%.

Tra le malattie più letali si registrano il vaiolo, il tifo, il morbillo, l’influenza, la peste bubbonica, la malaria e la pertosse, malattie ormai croniche in Eurasia al momento della “scoperta” dell’America; i popoli del Vecchio Continente e dell’Asia avevano ormai sviluppato una sorta di resistenza ad alcune di queste malattie grazie alla condivisione degli spazi vitali con i grandi mammiferi domestici (vacche, capre, maiali, ecc…), animali del tutto inesistenti nelle Americhe prima dello sbarco dei primi coloni.

In aggiunta alle “malattie d’importazione”, i cambiamenti climatici in atto già dal XIV secolo provocarono la ricomparsa, in forme particolarmente virulente, di agenti patogeni già esistenti nel Nuovo Mondo, come la sequenza di pestilenze cocoliztli che decimò gli Aztechi nel XVI secolo.

 

Tenochtitlan, la capitale azteca, fu conquistata da una manciata di conquistadores spagnoli alla guida di Cortés?

Anche se è vero che Tenochtitlan cadde dopo 10 settimane di assedio da parte dell’esercito di Cortés, la fase finale della città non corrisponde al primo incontro tra gli spagnoli e l’impero azteco: il primo incontro tra Cortés e gli Aztechi non fu affatto trionfale, e nemmeno un assedio.

Il mito dice che quando Hernán Cortés arrivò per la prima volta a Tenochtitlan riuscì a conquistare una delle città più popolate del mondo con un centinaio di uomini, la superiorità militare e tecnologica spagnola e facendo leva sulla superstizione religiosa dei Mexica: gli abitanti della città scambiarono addirittura gli uomini a cavallo per centauri, adorandoli come creature soprannaturali, e l’imperatore Montezuma II pensò che Cortés fosse l’incarnazione (o un discendente) del dio Quetzalcoatl.

La documentazione storica dice invece che la vicenda si sviluppò diversamente: quando Montezuma II decise finalmente di incontrare Cortés dopo numerosi rifiuti, lo spagnolo si diresse verso Tenochtitlan con 600 soldati, 15 cavalieri, 15 cannoni e quasi un migliaio di portantini e guerrieri indigeni arruolati dalle parti di Veracruz. Durante il percorso verso Tenochtitlan Cortés riuscì a stipulare alleanze con i Totonac, i Nahuas e i Tlaxcalan arruolando almeno altri 3.000-4.000 combattenti.

L’ 8 novembre 1519 Cortés entrò pacificamente nella capitale azteca con tutto il suo esercito e incontrò l’imperatore Montezuma II (che molto probabilmente temeva che lo spagnolo fosse un ambasciatore di un regnante più potente, e non l’incarnazione del dio Quetzalcoatl), ricevendo regali d’oro che non fecero altro che eccitare le truppe spagnole (e i loro alleati nativi) frementi nell’ attesa di saccheggiare ogni prezioso in città.

Hernán Cortés e il suo esercito non conquistarono la città, ma furono accolti pacificamente con un misto di diffidenza e riverenza da parte degli abitanti locali. Ciò che accadde dopo può essere definito, più che un assedio, una barricata destinata a fallire e una delle notti più disastrose per la Spagna del XVI secolo (la “Noche Triste“): gli Aztechi, infuriati per il massacro del Templo Mayor, assediarono Cortés rinchiuso nel palazzo reale costringendolo alla fuga durante la notte.

La fuga andò male: i numeri relativi alle vittime cambiano in base alle fonti, ma qualche centinaio di spagnoli e qualche migliaio di nativi alleati morirono sotto i colpi di lance, propulsorie mazze degli Aztechi. Nessun soldato uscì illeso dalla battaglia.

Quando Cortés ebbe una nuova occasione per cingere d’assedio Tenochtitlan lo fece in grande stile: il 26 maggio del 1521 si presentò di fronte alla città con 86 cavalieri, 700 fanti, 118 tra archibugieri e balestrieri, 16 cannoni e ben 50.000 nativi alleati, contro un esercito di 75-100.000 guerrieri aztechi armati di mazze, lance e archi. Le perdite furono gravissime per entrambe le parti: 20.000 nativi e 400-800 soldati da parte di Cortés e 200.000 tra guerrieri e civili per gli Aztechi.

 

I nativi americani vivevano in armonia con la natura prima dell’arrivo degli Europei?
Cahokia Monks Mound
Rappresentazione di Cahokia, una delle città precolombiane più grandi

Generalizzare la popolazione di un intero continente non può fare altro che creare errori di valutazione e miti che durano per secoli, e i nativi delle Americhe non fanno eccezione. E’ vero che le popolazioni indigene spesso vivevano a contatto più stretto con la natura rispetto agli Europei, ormai abituati ad una vita cittadina o di campagna; è anche vero tuttavia che all’arrivo dei primi esploratori da Oriente i nativi vivevano in culture molto elaborate e spesso organizzate in agglomerati urbani molto popolati e non così diversi dalle città del Vecchio Continente.

La vita delle popolazioni che vivevano negli attuali Stati Uniti era regolata da ritmi naturali alterati dall’attività umana: zucche e mais venivano regolarmente coltivati negli stessi campi, campi ottenuti tramite la tecnica del “taglia e brucia” che fu fondamentale per la creazione delle Grandi Praterie e di foreste facilmente attraversabili e percorse da sentieri battuti.

In Centro America la situazione non era molto differente, anzi: nel Messico dei Maya, ricoperto in buona parte da foreste tropicali, era estremamente difficile vivere in isolamento totale da un insediamento umano. La maggior parte della popolazione viveva in villaggi e cittadine distanti gli uni dalle altre non più di 10 chilometri e animati da un ricco commercio di cibo, preziosi e materie prime.

 

Colombo scoprì per primo l’America nel 1492 perchè solo nel XV secolo gli Europei iniziarono ad essere curiosi sul mondo?

Primo: Colombò non fu il primo a mettere piede sul continente americano e per lungo tempo non si rese nemmeno conto di aver scoperto un nuovo continente; tecnicamente, non sbarcò nemmeno nel continente, essendo giunto nelle Bahamas durante il suo primo viaggio.

Secondo: il primo europeo a sbarcare su suolo americano fu molto probabilmente norreno. Vinland, il nome norreno per il Nord America, fu scoperta da Leif Erikson, che sbarcò nell’area dell’attuale Boston intorno alla fine del X secolo. Vinland viene descritta in diverse saghe ben 500 anni prima che Colombo decidesse di imbarcarsi nel suo viaggio e ospitò anche un insediamento permanente di 100-300 persone per almeno due anni, fino a quando i nativi decisero di averne abbastanza dei norreni e dei loro saccheggi.

Non bisogna inoltre dimenticare che ben prima di Colombo i Portoghesi avevano iniziato da almeno un secolo ad esplorare i confini del mondo conosciuto, navigando ad esempio lungo le coste inesplorate dell’Africa; lo stesso avevano fatto i Cinesi, raggiungendo il Madagascar tra il 1431 e il 1433 con un viaggio così avventuroso da far impallidire le 10 settimane di viaggio di Colombo. L’epoca delle grandi esplorazioni oceaniche sarebbe iniziata con o senza Colombo e il navigatore non fu di certo il primo a sbarcare nelle Americhe.

 

Colombo voleva dimostrare che la Terra era sferica?
Mappa della Terra piatta creata da Orlando Ferguson nel 1893

Questo è un mito che persiste con forza ancora oggi, ma non ha nulla di reale. Come spiegato in questo post sulla teoria (non scientifica) della Terra piatta, nel XV secolo era ormai un fatto ampiamente accettato e dimostrato che il pianeta fosse una sorta di sfera.

Le principali discussioni cosmologiche riguardavano invece suo il posto nell’universo: si trattava di una specie di mela che galleggiava nell’oceano? Era semplicemente sferica e qualche forza impediva alle acque dei mari di cadere verso il basso?

I dotti della corte spagnola che esaminarono i dettagli sul viaggio verso Occidente non lo giudicarono impossibile perché ritenevano che la Terra fosse piatta, ma per un errore matematico ben evidente commesso da Colombo.

Il navigatore intendeva raggiungere il Cipango (Giappone) navigando verso Ovest per circa 68° di longitudine, ma aveva male interpretato la lunghezza di un miglio marino arabo da quello italiano, riducendo enormemente la circonferenza reale del pianeta: secondo Colombo, il Giappone distava dalla Spagna solo 5.000 chilometri, quando in realtà si trattava di ben 20.000 chilometri.

Gli esperti della corte spagnola, pur non sapendo esattamente quanto fosse distante il Giappone, si resero immediatamente conto dell’errore di calcolo di Colombo. Sapevano per certo che navigando ad Ovest prima o poi si sarebbe giunti in Giappone, ma non credevano che una caravella potesse percorrere quell’enorme distanza senza conseguenze fatali per l’equipaggio: una nave così piccola non avrebbe avuto a disposizione sufficienti viveri per attraversare quell’enorme distesa di mare.

Fu esattamente quello che si verificò durante il primo viaggio di Colombo: dopo aver percorso l’Atlantico, i viveri erano quasi esauriti e l’equipaggio era sulla via dell’ammutinamento; Colombo si salvò grazie all’immenso colpo di fortuna di scoprire una terra sconosciuta nel punto esatto in cui aveva calcolato di trovare le coste del Giappone.

Myths about the colonization of Spanish America
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I nativi americani erano davvero “ambientalisti”? https://www.vitantica.net/2018/03/05/i-nativi-americani-erano-davvero-ambientalisti/ https://www.vitantica.net/2018/03/05/i-nativi-americani-erano-davvero-ambientalisti/#respond Mon, 05 Mar 2018 02:00:44 +0000 https://www.vitantica.net/?p=1427 Foreste incontaminate, acque limpide e praterie sterminate su cui pascolava un’infinità di animali: questo era il paesaggio che i primi esploratori occidentali si trovarono di fronte non appena misero piede nelle Americhe. Tutto lasciava supporre che il continente avesse subito ben pochi interventi umani nel corso degli ultimi millenni, suggerendo che le popolazioni locali vivessero a contatto diretto con l’ambiente e nel pieno rispetto della natura.

La realtà, come spesso accade, è ben diversa: i nativi americani non furono i primi “ambientalisti” della storia e la loro relazione con il mondo naturale è stata male interpretata per secoli interi.

Le “metropoli” dei nativi americani

Il problema con questa immagine idilliaca in cui l’essere umano vive in totale immersione e simbiosi con gli elementi è che, per sua stessa natura, l’uomo è portato a combattere o tentare di controllare l’ecosistema a suo vantaggio, e i nativi americani non furono l’eccezione a questa regola.

Al tempo dell’arrivo di Colombo nei Caraibi, nel Nord e Centro America si contavano tra i 50 e i 100 milioni di individui nati e cresciuti nel continente; individui che, come nel resto del mondo, tendevano a formare agglomerati urbani di medie o grandi dimensioni per sfruttare il vantaggio offerto dai numeri.

Il fatto che cacciassero con armi di legno, osso e pietra e che dimostrassero un certo rispetto per gli animali che uccidevano non deve trarre in inganno, inducendo a pensare ad un “ambientalismo ante-litteram“: la socialità è uno degli elementi fondamentali per la strategia di sopravvivenza dell’ Homo sapiens, la sua vera arma di distruzione di massa.

Ricostruzione di Cahokia
Ricostruzione di Cahokia

Tra il 600 a.C. e il 1400 vicino alla moderna città di St. Louis, Missouri, si ergeva Cahokia, una città di oltre 16 km quadrati che includeva circa 120 tumuli di terra utilizzati per attività sociali o scopi rituali (leggi questo post su Cahokia per saperne di più).

Dall’ anno 1050 la popolazione passò da circa 1.000 unità a circa 40.000 individui nell’arco di circa un secolo; nel XIII secolo il numero degli abitanti era probabilmente superiore a quello di Londra.

Città come Cahokia non erano affatto rare: Etzanoa, scoperta nel 2017 in Kansas, era una città composta da oltre 120 case e popolata da almeno 12.000 individui.

Caccia e agricoltura non sostenibili

Grandi insediamenti urbani comportano grandi responsabilità, come procurare cibo e materiale di prima necessità per tutta la popolazione. Come in molte altre culture semi-primitive del resto del mondo, i nativi americani conoscevano perfettamente la tecnica del “taglia e brucia” (slash & burn), che prevede l’incendio controllato di una porzione di foresta per lasciar spazio a colture più produttive e creare un terreno di caccia più favorevole alle tecniche predatorie umane.

Come spesso accade, controllare un incendio con metodologie primitive è un vero lavoraccio e non era raro che si perdesse il controllo delle fiamme, disboscando enormi aree di foresta che offrivano riparo a molte specie animali, come il cervo, il castoro e il bisonte, che erano già all’inizio del loro percorso di estinzione per via della caccia intensiva condotta dai nativi.

Dopo aver coltivato mais e altre colture fino a impoverire il terreno, era molto più comodo spostarsi in nell’area vicina, dar fuoco ad ogni arbusto e albero nella zona e seminare il nuovo appezzamento di terreno.

In qualunque area fossero presenti nativi dediti all’agricoltura sono state rilevate numerose tracce di vasti disboscamenti causati da fuochi controllati: grandi gruppi di nativi americani e deforestazione andavano a braccetto.

Head-Smashed-In Buffalo Jump, formazione rocciosa presso Alberta, Canada, sfruttata per millenni dai Piedi neri per la caccia al bufalo.
Head-Smashed-In Buffalo Jump, formazione rocciosa presso Alberta, Canada, sfruttata per millenni dai Piedi neri per la caccia al bufalo.
La caccia al bisonte come esempio di spreco di risorse

Quando il bisonte americano (Bison bison) percorreva indisturbato il continente settentrionale formando branchi di milioni di esemplari, i nativi americani non si preoccupavano minimamente di uccidere solo l’indispensabile, come spiego in questo post sulla caccia al bisonte.

Uno dei metodi di caccia più comuni tra i Blackfoot (Piedi neri) era il “salto del bisonte” (buffalo jump): spaventando un’intera mandria e controllandone la direzione della fuga (anche tramite “imbuti naturali” composti da pietre e arbusti) era possibile orientarla verso una rupe, causando la morte di decine o centinaia di animali dei quali solo un numero ristretto veniva effettivamente consumato o lavorato per estrarre pelle, ossa o tendini.

Decine di tonnellate di carne rimanevano inutilizzate sul posto del massacro e lasciate a decomporsi a cielo aperto o agli animali opportunisti.

I piccoli gruppi tribali di nativi non rappresentavano un grande problema per l’ecosistema e le risorse che consumavano erano facilmente e velocemente sostituite dal naturale ciclo riproduttivo di animali e piante locali.

Quando tuttavia si formavano vasti insediamenti urbani come Cahokia, l’impoverimento del terreno e la caccia non sostenibile erano elementi che spesso costringevano la popolazione a spostarsi verso aree più fertili e meno colpite dall’attività predatoria umana.

Scontri per le proprietà tribali

Contrariamente alla nozione comune che i nativi americani non conoscessero la proprietà privata, questo concetto era regolarmente messo in pratica nella maggior parte delle comunità di medie dimensioni ed esistevano veri e propri diritti di sfruttamento di fiumi, laghi o foreste.

Gli appezzamenti di terra coltivata erano spesso proprietà di una famiglia e passati in eredità ai figli, insieme ai diritti di sfruttamento delle risorse presenti sul terreno.

Le tribù composte da numerosi nuclei familiari gestivano vasti territori di caccia o pesca con frazioni assegnate ad ogni clan della comunità e sconfinare in territori di caccia sotto una differente “giurisdizione” poteva causare scontri violenti o delicate trattative per risolvere il problema.

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“Sostenere che gli Indiani vivessero senza avere effetti sulla natura è come dire che vivessero senza toccare nulla, che fossero sostanzialmente un popolo senza storia” afferma lo storico Louis S. Warren.

“Gli Indiani spesso manipolavano il loro ambiente locale e anche se avevano solitamente un impatto minore sull’ambiente rispetto ai coloni europei, l’idea di preservare la terra in un qualche stato selvatico sarebbe stata poco pratica e assurda ai loro occhi. Gli Indiani modificavano, spesso profondamente, gli ecosistemi che li circondavano”.

Primitivismo e “buon selvaggio”

Il concetto di “buon selvaggio” da cui ha avuto origine l’immagine ambientalista dei nativi americani è un mito nato intorno al XVIII secolo con la cultura del primitivismo: senza i paletti imposti dalla civilizzazione, la corrente primitivista considerava l’essere umano un animale fondamentalmente buono e pacifico capace di vivere in armonia con il mondo naturale e dotato di un altruismo non riscontrabile nelle società occidentali.

Purtroppo, ogni aspetto della vita primitiva suggerisce il contrario: gli scontri con le tribù rivali erano all’ordine del giorno, uccisioni per necessità, per violazioni del territorio o per l’infrazione di tabù culturali/religiosi erano spesso causa di violenza.

Come disse Stanley Kubrick sulla figura del “buon selvaggio”:

L’uomo non è un nobile selvaggio, è piuttosto un ignobile selvaggio. È irrazionale, brutale, debole, sciocco, incapace di essere obiettivo verso qualunque cosa che coinvolga i propri interessi. Questo, riassumendo. Sono interessato alla brutale e violenta natura dell’uomo perché è una sua vera rappresentazione. E ogni tentativo di creare istituzioni sociali su una visione falsa della natura dell’uomo è probabilmente condannato al fallimento.

Cahokia
Dances With Myths

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Miti e leggende metropolitane sulla storia antica https://www.vitantica.net/2018/03/02/miti-leggende-metropolitane-storia-antica/ https://www.vitantica.net/2018/03/02/miti-leggende-metropolitane-storia-antica/#respond Fri, 02 Mar 2018 02:00:49 +0000 https://www.vitantica.net/?p=1396 Cintura di castità

L’esistenza delle cinture di castità medievali è stata spesso messa in discussione dagli storici moderni: tutti gli esemplari esistenti sono falsi o aggeggi anti-masturbazione inventati tra il XIX e il XX secolo nella convinzione che la masturbazione provocasse malattie mentali.

Ci sono alcune citazioni letterarie risalenti al XV-XVI secolo di strumenti che sembrano somigliare ad cinture di castità, ma la quantità e l’attendibilità delle fonti sono così scarse da essere state considerate storicamente quasi irrilevanti. La cintura di castità medievale sembra quindi essere una leggenda metropolitana.

Biblioteca reale di Alessandria

Pare che la famosa Biblioteca di Alessandria non sia stata distrutta dalle armate musulmane che catturarono la città nel 642, sotto l’ordine esplicito del califfo Omar.

In realtà, ci sono ben 4 date possibili per la sua distruzione:

  • Incendio appiccato da Giulio Cesare nel 48 a.C. durante la conquista della città;
  • Attacco ad Alessandria di Aureliano nel 270 d.C. circa;
  • Editto di Teodosio contro la “saggezza pagana” del 391 d.C.
  • Conquista araba del 642 d.C.
Terra piatta

Gli abitanti europei del Medioevo non credevano che la Terra fosse piatta, come spiegato in questo post sulla storia della teoria della Terra piatta. La nozione che si trattasse di una sorta di sfera era ormai comune dai tempi di Platone e Aristotele.

Non fu quindi Colombo a dimostrare che la Terra è sferica: le obiezioni mosse contro il suo viaggio verso Occidente dai dotti del tempo non si basavano sul concetto che il pianeta fosse piatto, ma sulla verifica degli errori di calcolo commessi dal navigatore nel calcolare la circonferenza della Terra (leggi anche questo post sui miti e le leggende metropolitane sull’esplorazione dell’ America).

mito del saluto romano
Jacques-Louis David, Le Serment des Horaces. Wikipedia
Templari

Sui cavalieri templari sono nate un’infinità di leggende, la maggior parte delle quali nemmeno si avvicinano alla realtà storica. Una delle leggende più antiche è che avessero trovato il Santo Graal, nascondendolo in una località sicura per proteggerlo; un’altra leggenda molto comune è che i Templari adorassero qualche sorta di entità diabolica, un mito nato dalle confessioni sotto tortura di alcuni cavalieri interrogati sotto l’accusa di eresia.

Una delle leggende più recenti è il tesoro dei templari di Oak Island: nata tra il XIX e il XX secolo, questa leggenda metropolitana dice che sull’isola di Oak Island canadese sia nascosto il famigerato tesoro dei templari, una ricchezza così vasta da avere un valore quasi incalcolabile.

Saluto romano

Nessuna testimonianza storicamente attendibile cita questo gesto. Il mito del saluto romano potrebbe essere nato da un dipinto di Jacques-Louis David del 1785, “Il giuramento degli Orazi“: tre soldati romani giurano di difendere la patria facendo ciò che in seguito verrà chiamato “saluto romano”. Nel corso dei due secoli successivi il mito crebbe supportato dall’arte neoclassica e in seguito dall’ideologia fascista e nazista.

Ebrei in Egitto

Non risulta alcuna prova archeologica che testimoni la presenza di Ebrei in Egitto durante il periodo descritto dalla Bibbia e nessuna traccia di una migrazione di massa lungo la Penisola del Sinai.

Inoltre, le piramidi furono costruite tramite l’impiego di operai specializzati ben pagati e non da schiavi, in un periodo 800-2.000 anni prima di quello in cui, secondo le fonti bibliche, si verificò l’Esodo.

Infine, le moderne tecnologie di analisi del DNA impiegate per determinare le migrazioni e gli incroci tra diverse etnie nell’antichità non hanno finora rilevato alcun legame genetico tra gli antichi Ebrei (che, secondo la Bibbia, erano circa 2 milioni) e gli Egizi, nonostante la presunta convivenza durata secoli.

Elmi vichinghi

I Vichinghi non indossavano regolarmente elmi muniti di corna (e probabilmente non usavano il famigerato muro di scudi). L’elmo cornuto è un’invenzione del XIX secolo, periodo in cui si verificò un revival della cultura norrena: nel 1876 l’illustratore e costumista Carl Emil Doepler creò un elmo vichingo cornuto per la rappresentazione de “L’ Anello del Nibelungo” di Wagner durante il Festival di Bayreuth, dando origine al mito dell’elmo vichingo sormontato da corna.

Interpretare correttamente alcuni aspetti del mondo norreno non è semplice: le fonti principali sono spesso infarcite da personaggi leggendari, come Ragnar Lothbrok, o sono state interpretate in modo scorretto tra il XIX e il XX secolo.

Aquila di sangue vichinga
Aquila di sangue vichinga, mito nato dall’errata interpretazione di alcuni versi scaldici
Cranio dei nemici come coppa

Rimanendo in tema Vichinghi, un’altra usanza priva di alcuna prova archeologica è l’uso come coppa del cranio dei nemici uccisi in battaglia. Il mito è nato dall’errata interpretazione nel XVII secolo di un frammento di poesia scaldica che si riferiva a corna animali usate come recipienti per liquidi.

La poesia scaldica è spesso criptica e l’errata interpretazione dei versi norreni ha portato alla nascita di alcuni leggende che persistono ancora oggi, come quella dell’ aquila di sangue vichinga.

Marco Polo e la pasta

Marco Polo non fu il primo europeo a introdurre la pasta nel Vecchio Continente dalla Cina. La leggenda metropolitana è nata dalla rivista Macaroni Journal, finanziata da un complesso di aziende alimentari per promuovere l’uso della pasta negli Stati Uniti.

Pare invece che siano stati gli Arabi a introdurre la pasta di grano duro in Europa durante la conquista della Sicilia nel VII secolo d.C.; Marco Polo probabilmente introdusse in Occidente alcuni campioni di pasta di soia.

I 300 Spartani

La leggenda dei 300 Spartani contro la macchina da guerra persiana dura da quasi 2.500 anni ma la verità storica è diversa. 300 guerrieri spartani erano sicuramente presenti alle Termopili, ma erano in compagnia di almeno 4.000 alleati durante i primi 2 giorni di scontri e nell’ultima battaglia erano presenti almeno 1.500 guerrieri greci.

700 soldati vennero reclutati da Tespie, altri 400 da Tebe, gli stessi Spartani portarono con loro circa 300 iloti (cittadini simili a schiavi, leggi questo post per la Crypteia, la polizia segreta spartana che sterminava gli iloti ogni anno) e il resto dei combattenti raggiunse il luogo dello scontro da molte altre polis. La maggior parte dei Tebani si arrese all’esercito di Serse mentre 298 Spartani (e i loro iloti) furono uccisi.

Speranza di vita e longevità

Aspettativa di vita e vita media

Gli abitanti del Medioevo (e di altre epoche storiche) non morivano improvvisamente intorno ai 30 anni come se avessero raggiunto una data di scadenza. Come spiego in questo post sull’ aspettativa di vita dei nostri antenati, una volta superati i 20-25 anni era abbastanza comune raggiungere i 60 o i 70 anni.

Buddha

Il Buddha storico (Siddhartha Gautama) non era obeso. L’immagine di Buddha “in carne” viene da un eroe della tradizione cinese del X secolo chiamato Budai: secondo il buddismo cinese, Budai era la reincarnazione di Matreya, il ristoratore del Buddismo originale dopo la perdita degli insegnamenti del Buddha storico.

La nascita di Cristo

Gesù non nacque il 25 dicembre, ma probabilmente in settembre. La data del 25 dicembre fu stabilita a tavolino da Papa Giulio I nel 350 d.C. come giorno ufficiale per le celebrazioni forse per favorire la transizione tra il paganesimo e il cristianesimo nelle regioni d’Europa in cui si festeggiava tradizionalmente il solstizio d’inverno.

Vomitoria

Vomitare durante un pasto particolarmente abbondante non era una consuetudine dell’Antica Roma. Un vomitorium era in realtà l’ingresso di uno stadio o di un teatro. Il mito dei vomitoria nasce da un’interpretazione della Lettera a Helvia di Seneca, in cui l’autore descriveva metaforicamente l’ingordigia romana: “Hanno vomitato in modo da poter mangiare e mangiato in modo da poter vomitare“.

“E’ solo una specie di tropo (equivoco, spostamento di significato)”, che gli antichi romani fossero tanto ricchi da permettersi rituali di abbuffate e di spurgo, spiega Sarah Bond, assistente professore presso la University of Iowa.

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