aborigeni – VitAntica https://www.vitantica.net Vita antica, preindustriale e primitiva Thu, 01 Feb 2024 15:10:35 +0000 it-IT hourly 1 Database dei popoli tribali, indigeni o primitivi, antichi e moderni https://www.vitantica.net/2018/11/17/database-popoli-tribali-indigeni-primitivi-antichi-moderni/ https://www.vitantica.net/2018/11/17/database-popoli-tribali-indigeni-primitivi-antichi-moderni/#respond Sat, 17 Nov 2018 11:37:28 +0000 https://www.vitantica.net/?p=2768

I termini popoli indigeni, aborigeni, nativi o autoctoni si riferiscono a quelle popolazioni le cui origini in un particolare luogo risalgono alla preistoria, anche se il termine viene spesso impiegato con un significato più vasto indipendente dalle loro origini, anche a causa dell’evidente difficoltà nello stabilire la diretta discendenza preistorica di molte popolazioni che basano la loro storia sulla tradizione orale.

Alcuni di questi popoli fanno parte di quelle che vengono definite “tribù mai contattate” (leggi questo articolo sulle principali tribù mai contattate o isolate), popoli indigeni che non hanno avuto alcun contatto con la società moderna e che si concentrano oggi in Asia, Oceania e America meridionale.

Spesso le popolazioni indigene sono estremamente vulnerabili e non hanno difese immunitarie verso le malattie trasmesse dall’esterno, come il morbillo o la varicella, malattie verso le quali le società occidentali hanno sviluppato una resistenza grazie ad un’esposizione lunga diversi secoli. Alcune di queste tribù vivono costantemente in fuga, per salvarsi dall’invasione delle loro terre da parte di coloni, taglialegna, esploratori petroliferi e allevatori di bestiame.

Questo database nasce dalla mia personale curiosità nei confronti dei popoli indigeni di tutto il mondo, del loro stile di vita legato al contatto diretto con l’ecosistema in cui vivono e dall’interesse che nutro per i loro costumi, le loro conoscenze e le tecnologie “povere” che impiegano nella loro quotidianità.

Ben lontano dall’ essere un catalogo completo, questo database dei popoli tribali, indigeni e primitivi vuole essere un piccolo ma comodo punto di riferimento per chi fosse interessato ad approfondire lo stile di vita tradizionale di culture americane, europee e asiatiche, antiche o moderne.

Il database è ancora in fase di espansione e potrà subire modifiche nei prossimi giorni. Chiunque fosse interessato a contribuire ad allargare questo database sarà il benvenuto. Scrivete un messaggio sulla pagina Facebook di VitAntica e vi risponderò il prima possibile.

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Wurdi Youang, la Stonehenge australiana https://www.vitantica.net/2018/04/16/wurdi-youang-stonehenge-australiana/ https://www.vitantica.net/2018/04/16/wurdi-youang-stonehenge-australiana/#respond Mon, 16 Apr 2018 02:00:24 +0000 https://www.vitantica.net/?p=1621 Il sito di Wurdi Youang, Australia, potrebbe essere il primo osservatorio astronomico della storia, precedente a Stonehenge e ad altri complessi di pietra legati all’osservazione della volta celeste.

La struttura, definita la “Stonehenge aborigena”, è stata scoperta oltre due secoli fa. Non si ha ancora una datazione certa del sito, ma la posizione delle pietre e la loro penetrazione nel terreno suggerirebbero che si possa trattare di una struttura costruita diverse migliaia di anni fa.

Sappiamo ormai per certo che l’area di Wurdi Youang fu occupata dagli aborigeni Wathaurong almeno 25.000 anni fa, fino a quando la loro cultura non fu definitivamente cancellata intorno al 1835 per opera dei coloni europei e della loro volontà di cancellare ogni traccia di cultura aborigena.

Wurdi Youang Stonehenge australiana

L’osservatorio astronomico degli aborigeni Wathaurong

La probabilità che la disposizione delle pietre di Wurdi Youang sia del tutto casuale è ridottissima, come spiega Ray Norris, astrofisico dell’agenzia scientifica australiana e leader del gruppo di ricerca di Wurdi Youang. Per escludere l’ipotesi di una formazione nata spontaneamente senza alcun intervento umano, Norris e i suoi colleghi hanno misurato la posizione di ogni singola roccia in relazione al Sole, dimostrando la connessione con solstizi ed equinozi.

Il sito, noto anche come Wada Wurrung e Rothwell Archaeological Site, è composto da un ovale delimitato da pietre e dal diametro di circa 50 metri. L’ovale è stato disegnato sul terreno da oltre 100 rocce di basalto dal diametro compreso tra i 20 centimetri e 1 metro, con una massa totale di circa 23 tonnellate.

Tre rocce particolarmente grandi si trovano all’estremità occidentale dell’anello di pietre, in una posizione che le mette in allineamento con il Sole durante i solstizi e gli equinozi con un’accuratezza di qualche grado. I segmenti quasi rettilinei della sezione orientale, invece, sembrano puntare verso la posizione del Sole calante durante i solstizi.

Wurdi Youang Stonehenge australiana
Struttura e orientamento di Wurdi Youang

La civiltà aborigena australiana, quindi, potrebbe essere stata molto più sofisticata di quanto si ritenesse in precedenza, se non altro in campo astronomico. “E’ la prima volta che siamo in grado di dimostrare che, oltre ad essere interessati alla posizione del Sole, gli Aborigeni facessero anche misurazioni astronomiche” spiega Norris.

Un tradizione astronomica cantata

Gli Aborigeni hanno da sempre tramandato la loro conoscenza attraverso la tradizione orale, in particolare tramite l’utilizzo di canzoni. Molte di queste canzoni hanno come tema oggetti astronomici quali Sole, Luna e stelle, e il loro movimento nel cielo.

Una delle storie tradizionali, condivisa tra tutte le comunità aborigene australiane, parla del “Grande Emu” (Coalsack) che siede in cielo. Il Grande Emu non è altro che una forma disegnata nel cielo notturno da “macchie scure” della Via Lattea durante la stagione della riproduzione di questo uccello.

Si tratta quindi di una sorta di “costellazione oscura” che durante l’autunno dell’emisfero meridionale si posiziona quasi perfettamente in corrispondenza di una roccia del Kuring-Gai Chase National Park, sulla quale è stato inciso un emu.

Il Grande Emu della tradizione aborigena australiana
Il Grande Emu della tradizione aborigena australiana

Il popolo Walpiri e quello Yolngu cantano anche della donna-sole (Walu) che insegue l’uomo-luna (Ngalindi), una canzone che spiega la dinamica delle eclissi solari e lunari in un tempo di qualche migliaio di anni precedente al XVI° secolo, quando il meccanismo celeste che regola le eclissi venne finalmente spiegato dall’ astronomia occidentale.

Questi sono solo esempi di come la conoscenza astronomica degli Aborigeni fosse più avanzata di quanto siamo portati ad immaginare. Gli Aborigeni avevano calendari complessi spesso basati sulle stelle visibili durante le differenti stagioni, sfruttavano gli astri per capire il momento giusto per cacciare, pescare, raccogliere erbe o spostarsi in un luogo più adatto.

Molte di queste nozioni astronomiche tradizionali sono purtroppo andate perdute durante i tentativi degli Europei di sopprimere la cultura aborigena. Durante l’epoca della “generazione rubata” (Stolen generation, dal 1869 al 1969), moltissimi bambini aborigeni furono allontanati dalle loro famiglie per essere inseriti in istituti e missioni religiose allo scopo di convertirli alla “vita civile”: ai bambini veniva impedito di parlare la lingua dei loro antenati o di mantenere tradizioni aborigene antiche di millenni utilizzando repressione psicologica e fisica.

Fortunatamente, l’epoca della generazione rubata e della repressione sistematica degli aborigeni è finita (anche se le sue conseguenze sono palpabili ancora oggi) e l’astronomia moderna ha iniziato a collaborare con la tradizione per svelare le conoscenze astronomiche degli antichi australiani, nozioni in larga parte perdute nel corso degli ultimi due secoli.

“Questa scoperta ha un’enorme importanza per la comprensione delle straordinarie abilità di questa cultura” dice Janet Mooney, a capo dell’ Indigenous Australian Studies. “Rende fieri non solo me in quanto aborigena, ma anche molti altri aborigeni australiani”.

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The Emu in the Sky
Aboriginal Stonehenge: Stargazing in ancient Australia

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I rapaci piromani: l’uomo non è il solo animale che usa il fuoco https://www.vitantica.net/2018/01/21/rapaci-piromani-animale-che-usa-fuoco/ https://www.vitantica.net/2018/01/21/rapaci-piromani-animale-che-usa-fuoco/#respond Sun, 21 Jan 2018 02:00:10 +0000 https://www.vitantica.net/?p=1281 Il dominio del fuoco fu un traguardo fondamentale per l’evoluzione fisica, culturale e tecnologica dell’essere umano: con il fuoco si possono rendere alcuni alimenti commestibili o più facilmente digeribili; si possono realizzare strumenti o mettere in pratica strategie di caccia più produttive; un fuoco da campo è spesso stato il fulcro delle attività sociali umane.

Fino ad ora si è sempre pensato che il controllo del fuoco fosse una prerogativa tipicamente umana, una delle abilità che ci differenzia enormemente dal resto del regno animale; ma negli ultimi anni si sono accumulate prove del fatto che anche alcuni rapaci australiani sembra siano in grado di utilizzare deliberatamente le fiamme come strumento per aumentare le loro possibilità di caccia.

Nibbio e falco usano il fuoco, dicevano gli aborigeni
Falco bruno (Falco berigora)
Falco bruno (Falco berigora)

Nel 2016, l’ornitologo Bob Gosford documentò diverse occasioni in cui alcuni uccelli rapaci, come il nibbio bruno (Milvus migrans) e il falco bruno (Falco berigora), contribuivano attivamente alla diffusione di incendi boschivi naturali, un’abilità già nota agli aborigeni australiani ma spesso messa in discussione dalla comunità scientifica per assenza di prove.

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Le prove accumulate da Gosford non erano tuttavia in grado di dimostrare con certezza se i rapaci australiani contribuissero alla diffusione degli incendi in modo involontario, o con un preciso intento predatorio.

Per ottenere una risposta sulla natura del loro comportamento, Gosford ha trascorso il 2017 raccogliendo ulteriori testimonianze che sembrano confermare il fatto che nibbi e falchi australiani sfruttino le fiamme come strumento per facilitare le loro attività di caccia.

Gli oltre 20 rapporti da parte di altrettanti testimoni oculari raccontano di come alcuni rapaci siano stati osservati mentre afferravano col becco pezzi di legno ancora ardenti per trasportarli in aree non ancora colpite dagli incendi, appiccando deliberatamente fuochi boschivi per stanare le loro prede preferite.

Si pensa che questi uccelli traggano vantaggio dalle fiamme generate dai fulmini che spesso danno origine ad incendi boschivi nelle regioni settentrionali dell’Australia.

Caccia con le fiamme

L’incendio boschivo naturale è una dinamica ben nota in queste zone e contribuisce a mantenere sano l’ecosistema: le piante locali si sono ormai adattate ad un ciclo di “distruzione e rinascita” e non risentono particolarmente degli effetti distruttivi del fuoco.

Nibbio bruno (Milvus migrans)
Nibbio bruno (Milvus migrans)

Un effetto secondario degli incendi boschivi è la fuga dalle fiamme degli animali terrestri: piccoli o grandi che siano, tutte le creature che vivono a contatto con la terra o che spendono il loro tempo sugli alberi sono naturalmente terrorizzate dalle fiamme e tendono ad allontanarsi al primo segnale d’allarme.

Queste fughe dagli incendi sono ciò che i rapaci attendono con ansia: prima o poi le loro prede preferite saranno costrette ad uscire allo scoperto, in aree meno coperte da vegetazione (come le zone di transizione) e che le rendono bersagli perfetti per questi uccelli predatori.

Evidentemente alcuni rapaci hanno ben compreso il nesso tra incendi boschivi e disponibilità di facili prede, così bene da aver imparato ad agire attivamente nella diffusione delle fiamme.

Rapaci che appiccano incendi

Almeno tre specie di rapaci (nibbio fischiatore, nibbio bruno e falco bruno) sono state osservate trasportare piccoli rametti in fiamme per oltre 50 metri su zone di terreno non ancora bruciate o che non si trovano lungo il percorso di un incendio, appiccando volontariamente il fuoco e attendendo che le loro prede uscissero allo scoperto.

Nibbio fischiatore (Haliastur sphenurus)
Nibbio fischiatore (Haliastur sphenurus)

In questo modo i rapaci australiani sono capaci di ottimizzare le loro strategie di caccia sfruttando la paura che le fiamme suscitano in ogni animale. Uno dei resoconti raccolti da Gosford riguarda un incendio boschivo a Kakadu: il vigile del fuoco Dick Eussen stava lottando contro le fiamme assieme ai suoi colleghi, ma non appena circoscrivevano un focolaio se ne generava immediatamente un altro dal lato opposto della strada.

Alla settima occorrenza di un nuovo focolaio non previsto, Eussen e i suoi compagni hanno scoperto il colpevole: un nibbio fischiatore (Haliastur sphenurus) prelevava continuamente rametti infuocati dall’incendio che i pompieri cercavano di domare per poi depositarli alle loro spalle, dando origine ad un altro focolaio e attendendo che piccoli roditori, anfibi o rettili uscissero allo scoperto.

Intentional Fire-Spreading by “Firehawk” Raptors in Northern Australia

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Larve e insetti commestibili https://www.vitantica.net/2017/12/01/larve-commestibili/ https://www.vitantica.net/2017/12/01/larve-commestibili/#respond Fri, 01 Dec 2017 02:00:18 +0000 https://www.vitantica.net/?p=998 Per quanto possa sembrare disgustoso ad un europeo o a un americano, gli insetti sono ancora oggi un’ importante fonte di proteine per milioni di persone, specialmente nel Sud-Est Asiatico, in Centro-Sud America e tra le popolazioni semi-primitive o non industrializzate.

Per millenni gli insetti, adulti o larve, hanno rappresentato una discreta porzione della dieta umana: sono relativamente semplici da raccogliere in gran numero e sono ricchi di nutrienti spesso difficili da ottenere con la caccia.

I nostri antenati preistorici erano ottimi opportunisti e di certo non si facevano sfuggire un facile pasto a base di insetti: i coproliti (feci fossili) trovate in molte località del mondo dimostrerebbero che la dieta del Paleolitico conteneva una buona percentuale di insetti come formiche, larve di coleotteri, pidocchi e termiti.

Le pitture rupestri di Altamira (30.000-9.000 a.C.), Spagna, testimoniano visivamente l’importanza della raccolta di insetti commestibili e di alveari selvatici tra le popolazioni primitive dell’epoca, e circa 5.000 anni fa era molto comune in Cina consumare bachi da seta e svariate specie di larve di coleotteri come principali fonti di proteine.

Una volta superato lo scoglio psicologico iniziale (più comune nei Paesi industrializzati occidentali che nel resto del mondo), chi approccia il mondo dell’ entomofagia si ritrova spesso sorpreso dai sapori e dalle consistenze degli insetti che assaggia.

Gli insetti commestibili

Attualmente tra gli insetti commestibili si contano (fonte: Wikipedia):

  • 235 specie e sottospecie di farfalle e falene (adulte o larve)
  • 344 coleotteri (adulti o larve)
  • 313 specie e sottospecie di formiche, api e vespe (adulte o larve)
  • 239 tra cavallette, grilli e scarafaggi (adulti o larve)
  • 39 specie di termiti
  • 20 specie e sottospecie di libellule (adulte o larve)

Tra le specie commestibili di insetti ci sono moltissime varietà di larve di coleotteri, farfalle, falene e altri insetti di svariate categorie tassonomiche che per millenni hanno rappresentato un’importante integrazione proteica nella dieta dei nostri antenati. Qui sotto riporto alcune delle larve commestibili più note o consumate nel mondo.

N.B. Alcuni insetti, sia morti che vivi, possono ospitare una vasta gamma di agenti patogeni, parassiti e pesticidi potenzialmente nocivi per l’organismo umano. Anche se alcuni insetti sono generalmente sicuri da mangiare anche crudi, è sempre preferibile cuocerli in qualunque modo disponibile, sia esso la bollitura, la tostatura o l’esposizione alla fiamma viva.

Verme mezcal

Larva spesso inserita nelle bottiglie di Mezcal. Si tratta in realtà di tre larve commestibili utilizzate per lo stesso scopo: la Comadia redtenbacheri, la larva di una falena messicana che infesta generalmente le foglie di agave, la Scyphophorus acupunctatus, un altro parassita dell’agave, e il bruco della farfalla Aegiale hesperiaris.

Larve di api

miele e api

Le larve delle api da miele europee (Apis mellifera) sono ottime fonti di proteine e carboidrati oltre a contenere fosforo, magnesio e potassio in quantità significative. In aggiunta, queste larve sono anche ricche di grassi e vitamine, sono facilmente ottenibili una volta localizzato un alveare e possono essere mangiate anche crude.

Generalmente, le larve di qualunque specie di ape sono commestibili, comprese quelle delle api carpentiere e dei calabroni, e chi le ha assaggiate descrive una consistenza interna gelatinosa e un gusto molto dolce simile al miele.

Scarabeo rinoceronte
Larva di scarabeo rinoceronte
Larva di scarabeo rinoceronte. Fonte: Biodiversity and Ecosystem Function in Tropical Agriculture

Gli scarabei rinoceronte sono una sottofamiglia degli scarabei che comprende oltre 300 specie conosciute, molte delle quali commestibili sia in fase adulta sia nello stadio larvale.

Sono spesso allevati in Asia come animali da compagnia e per il combattimento, ma sono noti da millenni per essere una ricca fonte di nutrienti: le larve sono composte per il 40% da proteine (contro il 20% della carne di pollo) e sono un’importante contributo calorico nella dieta di moltissimi Paesi del mondo ad esclusione di quelli industrializzati.

Le larve dello scarabeo rinoceronte europeo (Oryctes nasicornis) si nutrono di alberi morti e possono superare i 10 centimetri di lunghezza nell’arco di 2-4 anni di sviluppo.

Bruchi Psychidae

I bruchi appartenenti a questa famiglia di lepidotteri (farfalle e falene) sono talvolta commestibili, come il bruco chiamato “fangalabola” (Deborrea malgassa) originario del Madagascar. Le larve possono superare i 4 centimetri di lunghezza nelle specie tropicali e sono ricche di proteine e grassi.

Verme del bambù

Verme del bambù

Non si tratta tecnicamente di un verme ma della larva di una falena, la Omphisa fuscidentalis. Il verme del bambù cresce nelle foreste di bambù di Thailandia, Laos, Myanmar e Cina. Dopo l’accoppiamento, ogni falena depone dalle 80 alle 130 uova alla base di un germoglio di bambù; dalle uova usciranno larve entro 12 giorni e inizieranno a perforare un nodo del bambù creando un foro d’ingresso e uno d’uscita.

Entro tre giorni le larve diventano bianche e iniziano a risalire il bambù nutrendosi della polpa per circa 45-60 giorni, per poi tornare verso il foro d’uscita e iniziare un periodo di “letargo” della durata di 8 mesi.

Un verme del bambù può superare i 4 centimetri di lunghezza e il 26% del suo corpo è costituito da proteine (il 51% da grassi). In molti Paesi orientali è considerata una leccornia e possono essere mangiati fritti, cotti alla fiamma o crudi.

Punteruolo rosso della palma (Rhynchophorus ferrugineus)
Larve di punteruolo rosso
Larve di punteruolo rosso. Fonte: BugsFeed

Il temibile punteruolo rosso della palma, responsabile della morte di milioni di piante in tutto il mondo (Italia compresa), quando si trova allo stadio di larva è un insetto del tutto commestibile, considerato prelibato in Indonesia, Vietnam e Borneo. Nella dieta degli indigeni Iatmul della Papua Nuova Guinea, le larve di punteruolo coprono il 30% del fabbisogno proteico medio.

Il punteruolo depone le uova (da 50 a 500) all’interno delle palme utilizzando il rostro per asportare le fibre più tenere. Le larve sono estremamente voraci, raggiungono dimensioni ragguardevoli e possono scavare l’interno di una palma risalendo lungo tutta l’altezza dell’albero mentre ne divorano la polpa. Come i vermi del bambù, anche le larve di punteruolo della palma possono essere mangiate crude, tostate, cotte al vapore o fritte.

Tenebrione mugnaio (Tenebrio molitor)
Larva, pupa e tenebrione adulto
Larva, pupa e tenebrione adulto. Fonte: Il Naturalista

Il tenebrione mugnaio, o tarma della farina, è un insetto molto comune nelle abitazioni, in particolare nelle dispense dove può compromettere le scorte di cereali e derivati come pasta e pane defecandoci sopra. Le larve di tenebrione possono raggiungere i tre centimetri di lunghezza e sono considerate commestibili per molte specie (essere umano incluso).

Le larve di tenebrione sono spesso utilizzate come cibo per rettili, pesci e uccelli, sono un alimento ad alto contenuto di proteine (dal 14% al 25% ogni 100 grammi) e contengono potassio, sodio, rame, ferro e zinco in quantità simili a quelle della carne di manzo. Le larve di tenebrione sono considerate gateway bug, uno dei primi insetti che si assaggiano quando ci si avvicina all’ entomofagia.

Larva “witchetty”
larva Witchetty
Larva Witchetty. Fonte: Wikimedia commons

Larva della falena australiana Endoxyla leucomochla che si nutre degli arbusti di Acacia kempeana. Il realtà, il termine “witchetty” (che nella lingua aborigena Adnyamathanha significa “larva del bastone uncinato”) viene usato dagli Aborigeni per indicare qualunque larva commestibile.
Chi l’ha assaggiata ha definito il sapore come simile alle mandorle e quando viene cotta l’involucro esterno diventa croccante mentre l’interno rimane semi-liquido come un uovo fritto.

Zazamushi

Con il termine zazamushi si indica un complesso di larve appartenenti alle famiglie Trichoptera e Megaloptera. Le larve di queste specie, di circa 2 cm di lunghezza, vivono nascoste sotto le pietre fluviali. In Giappone esiste una tradizione di pesca agli zazamushi sul fiume Tenryugawa: le larve vengono generalmente consumate dopo essere state lavate e cotte in salsa di soia e zucchero.

Tarma della cera
Larve di tarme della cera
Larve di tarme della cera

Le tarme della cera appartengono a tre specie differenti: la tarma minore della cera (Achroia grisella), la tarma maggiore (Galleria mellonella) e la larva della falena Aphomia sociella. In natura queste larve sono parassiti degli alveari e si nutrono di bozzoli, polline, pelle di scarto delle api e soprattutto della cera: non attaccano direttamente le api, ma masticano la casa in cui vivono.

Nel regno animale, le tarme della cera rappresentano un’importante fonte di proteine e grassi per molti uccelli, rettili e piccoli mammiferi insettivori, e sono talvolta consumate dall’essere umano.

Larve di calabrone gigante asiatico
Larve di Vespa mandarinia
Larve di Vespa mandarinia

Il calabrone gigante asiatico (Vespa mandarinia) è il calabrone più grande al mondo: lungo fino a 50 millimetri, può provocare dolorose punture definire “come un chiodo rovente conficcato nella gamba”. Ogni anno causa dalle 20 alle 40 vittime solo in Giappone.
Le larve di calabrone asiatico, tuttavia, sono considerate una vera prelibatezza. Possono essere mangiate fritte o sotto forma di sashimi. Le larve di Vespa mandarinia secernono sostanze che oggi vengono replicate sinteticamente per la produzione di integratori alimentari in grado di migliorare la resistenza fisica.

TOP 50 EDIBLE INSECTS LIST

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Antichi riti funebri https://www.vitantica.net/2017/11/01/antichi-riti-funebri/ https://www.vitantica.net/2017/11/01/antichi-riti-funebri/#respond Wed, 01 Nov 2017 08:00:14 +0000 https://www.vitantica.net/?p=744 In occasione della “commemorazione di tutti i fedeli defunti” del 2017 (volgarmente detto “Giorno dei Morti”) ho pensato di reperire alcune informazioni sugli antichi rituali funebri di alcune regioni del mondo, concentrandomi esclusivamente sui rituali destinati alla gente comune; niente piramidi e mausolei, quindi, ma funerali di gente comune che per una ragione o un’altra trovò miglior vita in svariati periodi storici.

Sepoltura celeste (Tibet)

La sepoltura celeste è un antico rito funebre tibetano che prevede che il cadavere venga scuoiato e consumato dagli avvoltoi. La prima testimonianza storica di questo rito ci viene da un trattato buddista del XII secolo conosciuto come “Libro della Morte” (Bardo Thodol), ma è molto probabile che l’usanza abbia avuto origine in tempi molto precedenti.

La sepoltura celeste prevede la recitazione di mantra seguita dalla preparazione del corpo del defunto, che deve procedere tra chiacchierate e sorrisi per sollevare l’anima del trapassato dai pesi terreni. A volte il corpo viene esposto intero agli avvoltoi, altre volte viene ridotto in pezzi per consentire anche a corvi e aquile di cibarsi più agevolmente.

Cremazione vichinga

Contrariamente all’idea comune diffusa da Hollywood, i Vichinghi non dicevano addio ai loro cari deponendone i corpi senza vita su un drakkar e appiccando il fuoco all’imbarcazione: le barche avevano troppo valore per poter essere bruciate ogni volta che moriva un membro della comunità.

Il funerale vichingo più comune prevedeva la cremazione su una pira costruita all’aperto (affinché l’anima potesse volare nel Valhalla trasportata dal vento) e la raccolta delle ceneri del defunto in un’urna che successivamente veniva sepolta.

Gli individui di rango sociale più elevato potevano permettersi la sepoltura delle proprie ceneri all’interno di una grande bara decorata a forma di nave (più raramente in una nave portata sulla terraferma e poi sepolta, come per il drakkar di Oseberg) in compagnia di oggetti preziosi, armi e animali sacrificali.

Non era raro inoltre che un corpo venisse sepolto semplicemente in un buco nel terreno, in seguito riempito di terra e coperto da pietre.

Sepoltura vichinga nei pressi a Rousay, Isole Orcadi
Sepoltura vichinga nei pressi a Rousay, Isole Orcadi
Decomposizione

I riti funebri degli aborigeni australiani variano moltissimo in base al clan d’appartenenza. Uno dei rituali funerari più conosciuti, quello dei Wollaroi, prevede la costruzione di una piattaforma su cui viene deposto il corpo.

Il cadavere viene quindi coperto da rami e foglie e si attende per qualche mese che la decomposizione faccia il suo corso; nel frattempo, i “succhi” che colano dal corpo vengono raccolti e usati come unguento magico che donerebbe a chi lo usa le capacità del defunto. Quando rimangono solo le ossa, queste vengono raccolte e sepolte, oppure deposte nel tronco cavo di un albero.

Mesopotamia

I Sumeri credevano che l’aldilà ti trovasse sottoterra e la sepoltura sembrava il metodo migliore per accedere più agevolmente al mondo dei morti. Le persone comuni erano seppellite vicino alla loro residenza, ma se il rituale funerario non veniva rispettato alla lettera potevano tornare sotto forma di fantasmi.

La cremazione era considerato un rituale incapace di dare pace al defunto: salendo verso l’alto dove dimorano gli dei, l’anima umana non avrebbe mai trovato una casa per l’eternità vedendosi rifiutare l’accesso al regno divino.

Egitto

Nell’ Antico Egitto non solo veniva sepolta la gente comune, ma anche gatti e cani, che spesso subivano un processo di mummificazione. Che fosse umano o animale, il defunto veniva sepolto con i suoi oggetti più cari e dopo aver recitato alcuni incantesimi dal Libro dei Morti. I più ricchi potevano invece permettersi la mummificazione e una tomba degna di nota.

Il funerale quasi moderno

Nell’ Antica Roma (e spesso anche in Grecia), il decesso di un membro della famiglia aveva aspetti molto moderni.

Il parente più vicino baciava il defunto e gli chiudeva gli occhi, dando inizio ai lamenti funebri. Il corpo veniva quindi posizionato per terra, lavato e consacrato con unguenti; dopo la preparazione, veniva disteso nell’atrio della casa con i piedi in direzione della porta d’ingresso prima di essere portato in processione (pompa funebris) al cimitero per la cremazione. Dopo un’offerta a Cerere, il corpo poteva essere cremato.

In realtà, cremazione e inumazione erano entrambe pratiche molto comuni nella Roma antica, ma indipendentemente dal metodo di sepoltura gli antichi Romani sentivano l’obbligo morale di commemorare i loro antenati ad ogni occasione possibile.

Sepoltura del 1500 a.C. a Platamona, Grecia
Sepoltura del 1500 a.C. a Platamona, Grecia
Torri del silenzio

Le Torri del Silenzio (dakhma) sono strutture in legno e argilla alte dai 10 ai 30 metri e strettamente collegate ai riti funebri dell’ Antica Persia e dello Zoroastrismo.

Lo Zoroastrismo considera impuri i cadaveri, tra cui dimorerebbe il “demone dei cadaveri” che corrompe ogni cosa; per evitare la contaminazione dei cadaveri, i corpi venivano posizionati in cima ad una torre circolare per esporli al sole e agli uccelli saprofagi (“spazzini”), evitando il contatto con la terra o l’uomo. Una volta che i cadaveri erano ridotti a sole ossa, queste cadevano verso il basso andando a riempire un pozzo centrale.

Bara-albero

I Caviteño, abitanti delle regioni rurali di Cavite, Filippine, seppelliscono i loro morti all’interno di alberi cavi. L’albero viene scelto in anticipo dal diretto interessato quando si ha il sentore che il punto di morte sia vicino; non appena passato a miglior vita, il corpo è inserito verticalmente all’interno della cavità.

Teschi degli antenati

A Kiribati, stato insulare dell’ Oceania, i corpi vengono riesumati mesi dopo la sepoltura per estrarre il cranio del defunto. La famiglia si occupa quindi di pulire il teschio, oliarlo, preservarlo e metterlo in mostra all’interno della casa, di tanto in tanto facendo qualche offerta simbolica al caro estinto.

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Il propulsore (atlatl o woomera) https://www.vitantica.net/2017/09/16/il-propulsore-atlatl-o-woomera/ https://www.vitantica.net/2017/09/16/il-propulsore-atlatl-o-woomera/#respond Sat, 16 Sep 2017 07:00:13 +0000 https://www.vitantica.net/?p=248 Il propulsore, anche chiamato atlatl (per gli Aztechi) o woomera (per gli aborigeni australiani), è una delle prime armi da lancio utilizzate dai nostri antenati. Si tratta di uno strumento che consente di imprimere forza e velocità ad un dardo aumentando l’ efficienza meccanica del braccio umano.

Un dardo può raggiungere agevolmente il centinaio di metri di distanza dal lanciatore, anche se la precisione di un propulsore decresce gradualmente una volta che si superano i 30 metri dal bersaglio.

Si ritiene che il propulsore sia stato utilizzato in qualunque continente fin dal Tardo Paleolitico (circa 30.000 anni fa) come arma da caccia e da guerra. Gli atlatl di questo periodo e quelli successivi erano in legno (come molti propulsori ad eccezione di quelli a laccio) e talvolta anche finemente decorati con figure animali.

Il vasto impiego dell’ atlatl da parte delle popolazioni primitive o semi-primitive del passato è testimoniato dall’incredibile quantità di reperti riconducibili a quest’arma: la maggior parte delle punte di pietra trovate nei siti paleolitici nordamericani databili ad oltre 3.000 anni fa sono da attribuirsi a dardi di atlatl e non a frecce per arco.

Struttura di un propulsore

Un atlatl è composto da un’asta lunga più o meno quanto un braccio ed è munito di un uncino ad un’estremità per poter incoccare il dardo e imprimergli forza durante il lancio. Si tratta sostanzialmente di un’estensione del braccio umano che aumenta la lunghezza della leva, di conseguenza aumentando la potenza del lancio.

atlatl tecnica di lancio

Inizialmente i propulsori erano semplice tavole rigide di legno, ma col passare del tempo vennero sperimentati materiali più flessibili e di differente lunghezza in base alla distanza raggiungibile e al grado di accuratezza desiderato. Propulsori più corti, infatti, obbligano a distanze di lancio più brevi ma impartiscono al dardo una traiettoria più rettilinea.

Il woomera australiano, lungo tra i 50 e i 90 centimetri, è una versione rigida dell’ atlatl pensata per molteplici utilizzi: la caratteristica forma ovale allungata rende il woomera uno strumento adatto anche a scavare il terreno in cerca di radici e tuberi o ad essere utilizzato come contenitore di fortuna per larve o bacche.

I woomera più sofisticati includono una punta di selce all’estremità opposta del perno di lancio, rendendo questo tipo di propulsore una sorta di antenato del coltellino multiuso.

Woomera australiano di 63 cm con decorazione geometrica e punta di selce
Woomera australiano di 63 cm con decorazione geometrica e punta di selce all’estremità a sinistra

Una delle innovazioni più importanti nell’evoluzione dei propulsori è l’uso di contrappesi sotto forma di piccole pietre legate o incastrate nella sezione centrale dell’arma. Queste pietre, del  peso solitamente compreso tra i 60 e gli 80 grammi, servono sia ad esercitare più resistenza all’accelerazione, aumentando la forza impressa al dardo, sia a stabilizzare il movimento del lancio, fornendo maggiore accuratezza.

Atlatl con peso centrale e anelli per dito indice e medio
Atlatl con contrappeso centrale e anelli per dito indice e medio
Replica di atlatl
Replica di atlatl con contrappeso realizzata da Devin Pettigrew
Il proiettile di propulsore

Il dardo di un atlatl è generalmente lungo tra 1 e 3 metri, con un diametro di 9-15 millimetri, ed è dotato di un incavo all’estremità opposta della punta per poterlo incastrare nell’uncino del propulsore.

A volte può essere dotato di penne per mantenere la stabilità in volo, altre volte è semplicemente una grossa freccia munita di una punta in pietra o osso. Questi proiettili erano capaci di infliggere ferite letali anche alla megafauna del Pleistocene, periodo in cui ancora esistevano almeno un centinaio di specie di mammiferi e grandi uccelli oltre i 40 kg ormai estinte da circa 15.000 anni.

Buona parte della tecnologia del propulsore risiede nel dardo: questo deve essere sufficientemente flessibile per poter accumulare energia durante il lancio, quando il giavellotto viene sottoposto a compressione e la coda della freccia viaggia più velocemente della punta. Non deve tuttavia essere eccessivamente elastico per non disperdere l’energia accumulata durante il lancio e causare problemi di accuratezza.

Prestazioni e variazioni del propulsore

Un atlatl costruito ad arte ottiene prestazioni di tutto rispetto: può uccidere un cervo fino a 30-40 metri di distanza e il proiettile può raggiungere la velocità di 150 km/h.

La rigidità del dardo influisce enormemente sulla distanza di lancio: dardi flessibili (ma non eccessivamente) possono abbondantemente superare i 40 metri di distanza e raggiungere anche i 200.

La flessibilità del propulsore, invece, sembra influire solo in piccola parte sulla gittata (circa il 10%). Anche le proporzioni tra l’atlatl e il dardo sono importanti: per massimizzare la portata dell’arma, il propulsore dovrebbe essere lungo circa 1/3 rispetto al giavellotto.

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Una forma di propulsore introdotta nell’antica Grecia è l’ amentum, una striscia di pelle utilizzata come propulsore per incrementare la distanza e la stabilità del lancio. Secondo alcuni esperimenti condotti in età napoleonica, un giavellotto lanciato utilizzando l’ amentum sarebbe capace di superare di ben 4 volte la gittata di un dardo lanciato a mano.

amentum

L’ amentum veniva legato in corrispondenza del baricentro del dardo per dare maggiore stabilità e accuratezza al lancio e poteva essere utilizzato sia a piedi che a cavallo. Il laccio forniva al dardo anche una rotazione che consentiva di stabilizzarlo in volo come un proiettile.

La variante macedone dell’ amentum era il kestros, una sorta di fionda a laccio utilizzata per scagliare dardi dalla punta di metallo lunghi in totale circa mezzo metro e dotati di penne per garantire stabilità in volo.

The World Atlatl Association

 

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