ossidiana – VitAntica https://www.vitantica.net Vita antica, preindustriale e primitiva Thu, 01 Feb 2024 15:10:35 +0000 it-IT hourly 1 Ossidiana polacca d’importazione https://www.vitantica.net/2019/02/27/ossidiana-polacca-importazione/ https://www.vitantica.net/2019/02/27/ossidiana-polacca-importazione/#respond Wed, 27 Feb 2019 00:10:21 +0000 https://www.vitantica.net/?p=3791 Per interi millenni l’ossidiana ha rappresentato un materiale di prima scelta per la realizzazione di lame estremamente affilate, così taglienti da essere impiegate ancora oggi in campo chirurgico per praticare incisioni sottili in grado di rimarginarsi in fretta senza lasciare segni evidenti.

Col tempo, l’ossidiana iniziò ad assumere anche connotati magio-rituali. Il suo aspetto vetroso e luccicante fece nascere leggende sull’origine del vetro vulcanico (leggi questo post sull’ossidiana), considerato un materiale esotico e come tale molto richiesto in ogni parte del mondo.

Di recente gli archeologi dell’Accademia Polacca delle Scienze di Varsavia hanno iniziato l’analisi di alcuni artefatti di ossidiana rinvenuti in Polonia. L’ossidiana, introvabile in Polonia, veniva probabilmente trasportata lungo il fiume Vistola dalla Slovacchia o dall’Ungheria; è possibile che alcuni campioni analizzati dagli archeologi provengano invece dalla Turchia.

“Non posso raccontare una storia in grado di competere col ruolo dell’ossidiana nell’universo del Trono di Spade, in cui punte di freccia realizzate con questo materiale vengono impiegate per uccidere i White Walkers. Ma la gente ha da sempre rivolto attenzioni speciali nei confronti di prodotti esotici e materiali grezzi provenienti da terre lontane. Dev’essere stato lo stesso per l’ossidiana” spiega Dagmara H. Werra, a capo del gruppo di archeologi impegnati nell’analisi dell’ossidiana polacca.

Ossidiana scoperta in Polonia
Ossidiana scoperta in Polonia

Molti degli artefatti di ossidiana scoperti in Polonia risalgono a circa 20.000 anni fa, ma è possibile che alcuni siano ben più antichi; è tuttavia difficile determinare l’età esatta di un oggetto di pietra, non databile secondo i metodi impiegati per la datazione di campioni biologici.

Dopo l’analisi microscopica condotta dal Poznan Archeological Museum, è stato determinato che le punte di freccia di ossidiana scoperte in Polonia venivano utilizzate in modo molto simile alla selce: venivano assicurate ad un’asta usando colla e strisce di pelle.

Le lame di ossidiana non erano impiegate soltanto per realizzare punte di lancia o di freccia, ma anche per raschiare la pelle (la fase iniziale della sua preparazione) o per il taglio della carne.

Secondo Werra, l’ossidiana era considerata un materiale speciale, nonostante la tecnica di lavorazione usata per plasmarla fosse identica a quella della selce. Anche in località in cui l’ossidiana si trovava in natura, come in Messico, tendeva a rimanere un materiale impiegato in occasioni speciali.

“Per ora, non abbiamo alcuna applicazione confermata dell’ossidiana polacca in un contesto rituale o cerimoniale” spiega Werra, sottolineando che l’analisi degli artefatti è soltanto in fase preliminare.

Fino ad ora sono stati scoperti in Polonia circa un centinaio di oggetti di ossidiana risalenti al Paleolitico e al Mesolitico. “Questi oggetti probabilmente raggiungevano la nostra terra come prodotti finiti. Ci sono pochi esempi di lavorazione dell’ossidiana in Polonia”.

A partire dal Neolitico, tuttavia, ci fu un vero e proprio boom dell’ossidiana negli insediamenti polacchi. Il vetro vulcanico veniva importato in forma grezza seguendo il corso del fiume Vistola e lavorato una volta giunto a destinazione; ad oggi sono stati rinvenuti oltre 2.000 oggetti d’ossidiana prodotti nel Neolitico e migliaia di frammenti vetrosi, scarti della scheggiatura dell’ossidiana.

“Dragon glass” in the territories of present-day Poland was already known over 20 thousand years ago

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Il vetro nell’ Antico Egitto https://www.vitantica.net/2018/05/29/vetro-antico-egitto/ https://www.vitantica.net/2018/05/29/vetro-antico-egitto/#respond Tue, 29 May 2018 02:00:05 +0000 https://www.vitantica.net/?p=1715 La lavorazione del vetro ebbe origine molto probabilmente in Egitto oltre 5.500 anni fa: le prime creazioni di vetro furono piccole perle decorative modellate a partire dalle scorie vetrificate che si generano come sottoprodotto dalla fusione di metalli come rame e argento.

Ma l’utilizzo di materiali vetrificati per realizzare oggetti semi-preziosi risale a tempi ancora più antichi: durante l’ Età della Pietra, vetri naturali come l’ ossidiana (roccia vetrificata per azione vulcanica) o il vetro del deserto libico (sabbia vetrificata a causa di un impatto meteoritico) erano materiali rari considerati particolarmente preziosi, importati da altre regioni del mondo conosciuto per essere impiegati come pietre decorative in monili o oggetti rituali.

Vetro: prezioso e segreto

Gli egizi furono i primi a produrre artificialmente il vetro. Durante la tarda Età del Bronzo la produzione del vetro subì un rapido progresso tecnologico testimoniato da artefatti come lingotti colorati o vasi di vetro decorati considerati particolarmente preziosi in tutto il Medio Oriente.

La richiesta sempre crescente di artefatti di vetro costrinse molti dei maggiori centri di produzione del Mediterraneo a rendere segrete le procedure di fusione necessarie alla creazione di vetro di qualità: mescolando gli ingredienti di base e determinati pigmenti seguendo formule custodite gelosamente dai vetrai, era possibile ottenere vetro di particolare lucentezza o dalla trasparenza straordinaria.

Per tutta l’ Età del Bronzo il vetro rimase una merce rara e preziosa, un materiale di lusso che potevano permettersi solo poche famiglie ricche che vivevano sul Mediterraneo.

Con l’inizio dell’ Età del Ferro, tuttavia, la produzione di vetro egizia subì una violenta battuta d’arresto, con una ripresa delle tecniche di produzione avvenuta soltanto durante la dinastia tolemaica (305 a.C. – 30 a.C.).

Perle blu cobalto probabilmente create in Antico Egitto scoperte in tombe danesi risalenti a 3.400 anni fa. A. MIKKELSEN, NATIONAL MUSEUM OF DENMARK
Perle blu cobalto probabilmente create in Antico Egitto scoperte in tombe danesi risalenti a 3.400 anni fa. A. MIKKELSEN, NATIONAL MUSEUM OF DENMARK
L’evoluzione della produzione del vetro

Il vetro inizialmente prodotto nell’ Antico Egitto era molto diverso da quello che conosciamo oggi: mancava della lucentezza del vetro moderno, aveva una scarsa trasparenza, ma poteva essere modellato facilmente e colorato in modo permanente, rendendolo un materiale dalla vita virtualmente illimitata al contrario di contenitori fabbricati con materiali più poveri e comuni come legno, zucche o sacche di pelle animale.

Con il trascorrere dei secoli e l’avanzamento delle tecniche di fusione e lavorazione, il vetro egizio divenne un materiale sempre più pregiato: dopo le innovazioni tecnologiche introdotte durante la XVIII dinastia (1543-1292 a.C.). il vetro prodotto dai vetrai egizi raggiunse un grado di trasparenza quasi moderno.

Il problema più grande che i vetrai antichi dovevano affrontare era quello di plasmare una massa incandescente di vetro in modo veloce ed efficiente: la silice pura (più comunemente veniva utilizzata sabbia del deserto) ha un punto di fusione di circa 1.700°C, temperatura che può essere abbassata a circa 1.100°C in presenza di materiali come cenere di fibre vegetali o natron, un sale naturale estratto principalmente dai laghi salati della valle di Wadi El Natrun.

Per stabilizzare la massa di vetro ottenuta dalla fusione e renderla più resistente e facilmente modellabile, gli Egizi aggiungevano polvere di calcare o piombo.

La trasparenza del lingotto e del prodotto finale dipendevano dalla quantità di bolle d’aria incluse nel vetro, bolle che potevano essere contenute tritando ripetutamente la mistura di vetro o attraverso l’aggiunta di additivi.

Ma i vetrai dell’ Antico Egitto sembravano più interessati al colore che alla trasparenza del vetro: il pigmento più comunemente impiegato per colorare il vetro era il “blu egiziano“, una mistura di silice, calcare e ossido di rame creata durante il III millennio a.C. e il primo pigmento sintetico prodotto nella regione.

Bottiglia in vetro raffigurante una tilapia, un pesce molto comune lungo il Nilo, risalente alla XVIII dinastia (British Museum)
Bottiglia in vetro raffigurante una tilapia, un pesce molto comune lungo il Nilo, risalente alla XVIII dinastia (British Museum)
Gli ingredienti per il vetro

La fusione degli ingredienti prevedeva diversi passaggi:

  • Tritatura degli ingredienti: la sabbia, la polvere di calcare e il natron venivano mescolati insieme e tritati fino ad ottenere una polvere sottile;
  • La mistura veniva quindi cotta per almeno 24 ore ad una temperatura di circa 800-900°C per amalgamare gli ingredienti e far emergere le impurità più grossolane che danneggerebbero il risultato finale;
  • Le impurità venivano rimosse e il materiale restante nuovamente tritato;
  • La polvere di vetro veniva nuovamente fusa a 1.100°C, versata in stampi per creare lingotti e, dopo essersi raffreddata, ulteriormente tritata e fusa per eliminare la maggior parte delle impurità rimanenti e ridurre la presenza di bolle d’aria.

Il lingotto di vetro ottenuto alla fine del procedimento poteva essere lavorato su una fiamma e plasmato a piacimento. Il vetro poteva tuttavia essere lavorato anche a freddo trattando il materiale come una pietra dura e fragile.

Dopo aver ottenuto un frammento delle dimensioni desiderate, questo poteva essere tagliato, molato o perforato in base alle necessità, ma il prodotto finale risultava estremamente fragile e soggetto a facili rotture.

La lavorazione a caldo del vetro

I metodi di lavorazione più comuni erano quelli a caldo:

  • Il primo metodo, il più comune per almeno 3.000 anni, prevedeva l’applicazione di una copertura sottile di vetro fuso attorno ad un nucleo cilindrico d’argilla innestato su un palo di legno. Riscaldando il vetro per renderlo più morbido, si faceva rotolare la forma su una superficie piana (come una pietra piatta) fino a rendere uniforme la superficie esterna. La superficie interna, invece, restava poco uniforme e rendeva spesso visibili anche dall’esterno eventuali malformazioni dello stampo a cilindro;
  • Il secondo metodo prevedeva invece una colata di vetro fuso all’interno di uno stampo. Questo metodo non venne utilizzato spesso per via delle problematiche che presenta: impossibilità di creare oggetti cavi (la soffiatura del vetro fu introdotta in Egitto solo intorno al I secolo d.C.) e gamma limitata di oggetti realizzabili tramite questa tecnica.

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Gli Egizi avevano a disposizione tutti i materiali necessari per la soffiatura del vetro: ingredienti di partenza, forni in grado di raggiungere adeguate temperature di fusione e tubi di ceramica adatti alla soffiatura.

Nonostante le disponibilità tecnologiche, la soffiatura del vetro fu introdotta in Egitto dai territori romani (molto probabilmente dalla Siria) soltanto nel I secolo a.C. e la produzione di massa di oggetti di vetro soffiato ebbe inizio in Egitto solo dopo l’anno zero.

Anche se la soffiatura del vetro fu un’invenzione siriana, l’Egitto contribuì a migliorare la qualità del vetro soffiato: intorno all’anno 100 d.C. i vetrai di Alessandria scoprirono che l’aggiunta di diossido di manganese, un composto generalmente utilizzato come pigmento nero, poteva creare una trasparenza tale da consentire la produzione di finestre traslucide.

Glass
History of glass

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Selce e pietra focaia: utensili e fuoco https://www.vitantica.net/2017/12/05/selce-pietra-focaia/ https://www.vitantica.net/2017/12/05/selce-pietra-focaia/#respond Tue, 05 Dec 2017 02:00:28 +0000 https://www.vitantica.net/?p=958 I primissimi strumenti di pietra costruiti dai nostri antenati avevano prestazioni decisamente inferiore rispetto a ciò che i loro successori avrebbero prodotto nei millenni successivi. Secoli di esperienza e una serie incalcolabile di tentativi ed errori portò alla selezione delle migliori varietà di rocce capaci di produrre strumenti da taglio efficaci e duraturi.

Una di queste rocce, rivelatasi incredibilmente utile nell’arco della storia, fu la selce, chiamata anche pietra focaia sebbene il termine si riferisca genericamente a qualunque pietra in grado di creare scintille (come il calcedonio o l’agata).

Caratteristiche della selce

La selce è una roccia sedimentaria dura derivata dal quarzo che si presenta sotto diverse forme e colorazioni, dal nero al verde; ha un’aspetto vetroso o cereo, ma con l’esposizione all’aria si ricopre di una spessa crosta calcarea che può rendere difficile l’identificazione.

La selce occorre in natura sotto forma di noduli spesso inclusi in depositi carbonatici di gesso, calcare o scisto ed è una roccia che ha origine dall’accumulo di frammenti di microfossili che, sottoposti a pressione, si trasformano gradualmente in quarzite.

Scheggiatura della selce
Scheggiatura della selce

Come l ‘ossidiana, anche la selce è in grado di generare fratture concoidi se colpita con la giusta angolazione e la sua struttura criptocristallina contribuisce alla formazione di schegge affilate.

Queste caratteristiche la resero preziosissima fin dall’inizio dell’Età della Pietra e l’attività mineraria legata all’estrazione della selce risale al Paleolitico, anche se le miniere diventarono più comuni nell’arco del Neolitico.

La selce è un materiale che tende naturalmente a fratturarsi in modo simile al vetro. Per contrastare una frammentazione irregolare e poco controllabile, i nostri antenati impararono che l’esposizione lenta a temperature di 150-250 °C per circa una giornata, seguita da un raffreddamento lento a temperatura ambiente, rendeva la selce più omogenea e consentiva di produrre frammenti dotati di bordi più affilati e regolari.

Impararono a loro spese che l’esposizione a temperature troppo elevate o a shock termici repentini poteva invece causare una vera e propria esplosione in piccoli frammenti, alcuni affilati come rasoi e capaci di provocare ferite di una certa serietà.

Queste esplosioni sono generalmente provocate dalla presenza di impurità all’interno di un blocco di selce: le particelle estranee inglobate nella roccia si espandono a velocità differenti da quelle della selce, causando talvolta cedimenti catastrofici della struttura cristallina.

Lama ovale e schegge di selce
Lama ovale e schegge di selce
La selce nell’ Età della Pietra

La selce era un bene prezioso per le culture della pietra: veniva impiegata per realizzare qualunque tipo di strumento di uso quotidiano, dalle asce agli strumenti da taglio più minuti, dalle punte di trapani ad arco o a volano fino alle armi per la caccia o la guerra (come il temibile macuahuitl).

Anche i Neanderthal, come testimonierebbero due schegge di selce scoperte nel Kent dagli archeologi della Southampton University nel 2010, utilizzavano questa roccia circa 110.000 anni fa per realizzare armi da caccia e strumenti da taglio.

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L’importanza di questa roccia nel Neolitico fu tale da far nascere un vero e proprio culto della selce nei pressi delle miniere britanniche di Grime’s Grave. Grime’s Grave è un’antica miniera di selce del Neolitico composta da coltre 400 depressioni nel terreno e datata a circa 5.000 anni fa.

Gli antichi minatori di selce scavarono pozzi larghi 12 metri e profondi fino a 14 metri, utilizzando strumenti di pietra e picconi di corno di cervo, per raggiungere lo strato che ospitava la selce di qualità migliore, estendendo orizzontalmente i loro scavi fino a creare un’intricata rete di gallerie sotterranee.

Coltello di selce assicurato ad un manico di corno tramite colla animale e tendine.
Coltello di selce assicurato ad un manico di corno tramite colla animale e tendine. Nehawka Primitive Skills

Ciò che rese speciale questa antica miniera di selce è il fatto che, in epoca neolitica, era estremamente semplice reperire materiale di ottima qualità anche in superficie, senza necessariamente scavare il terreno per una dozzina di metri con strumenti primitivi.

Il ritrovamento di oggetti cerimoniali o utensili in selce mai utilizzati e la disposizione rituale di alcuni artefatti suggerirebbero che il sito avesse anche un’ importanza religiosa.

Anche dopo il termine dell’attività mineraria (durata oltre 1000 anni), Grime’s Grave restò per molto tempo un luogo di particolare rilevanza: gli abitanti locali sacrificavano animali e occasionalmente esseri umani gettandoli nei pozzi della miniera, forse nella speranza di non rimanere mai a corto di selce in futuro.

La selce come pietra focaia

Fu probabilmente durante l’estrazione e la lavorazione della selce che i nostri antenati si resero conto di un’altra utilissima caratteristica di questa roccia: se la selce viene colpita da minerali ferrosi può produrre una scintilla a bassa temperatura ma sufficientemente calda da innescare la combustione di un’esca.

In determinate condizioni ambientali, l’impiego della selce per accendere un fuoco si rivela più pratico e veloce di qualunque metodo basato sulla frizione, specialmente se la roccia viene colpita da un oggetto metallico o da pirite ferrosa.

innesco a pietra focaia di un fucile ad avancarica
Dettaglio del meccanismo di innesco a pietra focaia di un fucile ad avancarica

L’uso della selce come pietra focaia entrò nella quotidianità probabilmente prima degli antichi Romani e divenne velocemente uno strumento di uso comune, se non indispensabile, durante i secoli successivi.

Con l’invenzione delle armi da fuoco, la pietra focaia entrò a far parte dell’equipaggiamento standard di ogni soldato a partire dalla fine del 1500 e per circa 2 secoli fu l’unico modo di innescare la carica di polvere nera che armava cannoni e fucili ad avancarica.

I primi acciarini metallici da utilizzare in combinazione con la pietra focaia risalgono al I secolo a.C. e hanno la caratteristica forma a “C” che verrà mantenuta fino al Medioevo, anche se molte forme di acciarino (a “P”, a “R”, a slitta o ovali) furono realizzate nell’arco della storia.

La forma dell’acciarino è soltanto una caratteristica che rende più comodo il suo utilizzo; forme differenti non compromettono la capacità di creare scintille ed è solo la quantità di carbonio contenuta nel ferro dello strumento che può incrementarne o diminuirne l’efficacia.

Acciarino tradizionale e pezzo di selce
Acciarino tradizionale e pezzo di selce

Prima dell’ Età del Ferro, i nostri antenati non disponevano di metalli sufficientemente duri e la scelta del materiale per l’acciarino ricadde spesso sulla pirite ferrosa, conosciuta anche come “oro dello sciocco”.

Le piriti ferrose sono comuni nelle rocce sedimentarie che frequentemente contengono anche noduli di selce e si presentano sotto forma di cristalli striati a base di zolfo e ferro. Altri materiali naturali utili per la fabbricazione di un acciarino sono il quarzo e l’agata, usati tradizionalmente in Giappone per innescare i fuochi cerimoniali nei rituali propiziatori.

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L’ esca ideale per la pietra focaia è l’ amadou, un materiale ottenuto sfibrando la carne dei funghi dell’esca Fomes fomentarius e Inonotus obliquus. Questo materiale spugnoso è l’ideale per accogliere una scintilla a bassa temperatura: tenendone un pezzo direttamente sopra o sotto la pietra focaia, la prima scaglia incandescente di metallo che la colpirà darà inizio alla combustione senza fiamma tipica dell’ amadou.

Per una breve guida su come realizzare un’esca efficace e quali materiali utilizzare, clicca qui.

RITUAL MYSTERIES IN A PREHISTORIC FLINT MINE

Chert – Sandatlas

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Scheggiatura della pietra https://www.vitantica.net/2017/09/12/scheggiatura-della-pietra/ https://www.vitantica.net/2017/09/12/scheggiatura-della-pietra/#respond Tue, 12 Sep 2017 07:00:43 +0000 https://www.vitantica.net/?p=228 La scheggiatura della pietra è il processo di lavorazione della pietra attraverso fratture concoidi allo scopo di ottenere utensili come lame affilate o punte di freccia.

Sulla carta, questo procedimento richiede pochi materiali: una pietra da scheggiare, una pietra da utilizzare come “martello” e un pezzo d’osso per le lavorazioni più minute, ma la manualità coinvolta in questa tecnica richiede precisione e controllo ottenibili soltanto con anni di pratica.

Nelle culture in cui non si era ancora sviluppata la lavorazione dei metalli, la scheggiatura della pietra era un’abilità di primaria importanza capace di creare stratificazione sociale e probabilmente anche coinvolta nella selezione sessuale (chi produce strumenti di pietra migliori ha più probabilità di trovare un compagno).

Rimuovendo frammenti di pietra con precisione e delicatezza, i nostri antenati sono stati capaci di realizzare strumenti incredibilmente sofisticati e difficilmente replicabili dagli esperti moderni.

Attenzione: la scheggiatura (più in generale, la lavorazione) della pietra può causare silicosi, una malattia respiratoria dovuta all’inalazione di polveri di roccia, può causare seri infortuni alle dita e proiettare schegge di pietra in ogni direzione.

Utilizzare sempre protezioni contro la polvere, un paio di guanti da lavoro e protezione per gli occhi. E’ comune, inoltre, che frammenti di pietra possano volare in direzione dei vostri occhi, usate sempre un paio di occhiali da lavoro per proteggerli.

Quale pietra?

Le pietre migliori per la scheggiatura sono quelle composte da materiale fine, uniforme, possibilmente privo di fratture e fragile, come ossidiana e quarzite.

Un metodo primitivo per riconoscere una roccia lavorabile da una inutilizzabile era quello di percuoterla con un’altra roccia e ascoltarne il tono del tintinnio emesso: se si tratta di un suono alto, simile a quello di due pezzi di metallo che cozzano tra loro, potrebbe trattarsi di un buon materiale per la scheggiatura.

I materiali utilizzati nella storia sono il diaspro, l’agata, la quarzite, la selce e qualunque forma di vetro vulcanico come l’ ossidiana nera.

Frattura concoide nell'ossidiana

Le pietre più adatte alla realizzazione di bordi affilati sono quelle che mancano di una struttura cristallina uniforme, come l’ossidiana, capaci di generare fratture concoidi quando colpite con forza.

Una frattura concoide non segue il piano cristallino del materiale fratturato, ma crea frammenti e schegge con curvature che ricordano molto quelle delle conchiglie dei molluschi.

Quando si colpisce un blocco di ossidiana, ad esempio, si genera un “bulbo di percussione” in prossimità del punto di impatto. Dal bulbo di percussione si estendono le onde d’urto lasciando segni simili alle increspature generate da un sasso caduto in acqua.

Tecniche di lavorazione della pietra

Esistono tre principali metodologie di lavorazione, tutte e tre utilizzate in differenti fasi di “vita” della pietra:

Scheggiatura per percussione:

Si tratta dell’atto di colpire la pietra in modo controllato con una roccia dura (“martello duro”) allo scopo di staccare grosse schegge di materiale. Se la pietra ha la giusta composizione e densità formerà una frattura concoide, un frammento dai bordi arrotondati che ricorda vagamente la forma di una conchiglia. La frattura concoide si propaga nella pietra dal punto d’impatto seguendo un angolo di circa 100°.

Scheggiatura per pressione:

questa metodologia prevede la rimozione di pietra facendo pressione con uno strumento generalmente di corno o legno (“martello morbido”), consentendo molta più precisione rispetto alla scheggiatura per percussione. Il martello viene premuto contro il punto di contatto allo scopo di staccare sottili schegge di pietra.

Intaglio:

l’intaglio è la fase finale della lavorazione e prevede l’utilizzo del martello morbido per creare ogni rifinitura minuta.

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Come scheggiare la pietra

Il primo passo è quello di utilizzare il martello duro per creare frammenti di varie dimensioni fino ad ottenerne uno soddisfacente per l’utilizzo finale. E’ preferibile iniziare con frammenti anche 3-4 volte più grandi del pezzo finito: la scheggiatura della pietra è talvolta imprevedibile e avere materiale in abbondanza vi consentirà di rimediare agli errori più facilmente.

Il colpo inferto col martello duro dovrebbe seguire queste regole di massima:

  • Non colpire esattamente sul bordo del materiale da lavorare, non farà altro che sbriciolarne le estremità. Il martello deve colpire a qualche millimetro (3-10 mm) di distanza dal bordo per infliggere un danno controllato e creare una scheggia;
  • Più ci si allontana dal bordo, più di dovrà applicare forza per staccare una scheggia;
  • Se, pur colpendo correttamente, non si stacca un frammento, è probabilmente necessario impartire più forza al colpo o tenere più saldamente la pietra da scheggiare;
Rifinitura della pietra

Una volta ottenuto un frammento lavorabile, è possibile utilizzare il metodo di scheggiatura per pressione, rimuovendo piccole schegge per dare forma alla pietra e alleggerirla dal materiale in eccesso.

La scheggiatura a pressione segue le stesse regole della frattura concoide, ma permette un controllo più raffinato del materiale. Per lavorare la pietra con la scheggiatura a pressione si procede per riduzione, asportando materiale secondo varie tecniche come quelle mostrate qui sotto:

Pietra riduzione

I pezzi di roccia semilavorati possono essere sottoposti a trattamento termico per migliorare la qualità del materiale grezzo. Generalmente il trattamento termico si effettua a pezzo quasi finito, dato che è più difficile scaldare uniformemente un grosso blocco di roccia: i pezzi da sottoporre al trattamento vengono lasciati per 24 ore in una buca sul cui fondo sono state posizionare braci ardenti adagiate su un letto di sabbia, coprendo il tutto con un fuoco vivo da lasciar spegnere naturalmente.

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Ossidiana, il vetro vulcanico https://www.vitantica.net/2017/09/11/ossidiana-il-vetro-vulcanico/ https://www.vitantica.net/2017/09/11/ossidiana-il-vetro-vulcanico/#comments Mon, 11 Sep 2017 07:00:37 +0000 https://www.vitantica.net/?p=183 Tra le meraviglie che l’attività vulcanica riesce a creare, come intere isole o labirinti di caverne, c’è un materiale le cui particolari proprietà sono note e utilizzate da millenni: l’ ossidiana.

L’origine dell’ossidiana

L’ossidiana è un vetro vulcanico che si forma quando una lava ricca di feldspato e quarzo si raffredda rapidamente senza creare grossi cristalli, ma formando una struttura polimerica che genera un materiale duro, fragile e che si frattura creando bordi estremamente taglienti, così taglienti da essere tutt’ora utilizzati per la realizzazione di bisturi chirurgici d’eccellenza.

Frammenti di ossidiana provenienti da Creta
Frammenti di ossidiana provenienti da Creta

Il nome dell’ossidiana lo si deve a Obsidius, un esploratore Romano che in Etiopia trovò alcune pietre nere che chiamò “lapis obsidianus”. L’ossidiana è reperibile in località che hanno vissuto eruzioni vulcaniche riolitiche (ad alto contenuto di silicio), come Lipari e Pantelleria in Italia, o Creta nel Mediterraneo. Il suo primo utilizzo risale a circa 700.000 anni fa, mentre i resti di una lavorazione precisa ed esperta risalgono al V millennio a.C.

L’ossidiana è generalmente scura con tonalità di colore date dalla presenza di impurità, andando da un marrone scuro a un nero profondo. Non si tratta di un vero minerale perché manca di una struttura cristallina vera e propria; inoltre, la sua composizione è troppo variabile per essere classificata come un minerale e viene spesso definita “mineraloide”.

L’ossidiana è un materiale relativamente instabile dal punto di vista geologico. E’ raro trovare pezzi di ossidiana più vecchi di 20 milioni di anni perché, nell’arco del tempo, l’ossidiana tende a trasformarsi da vetro vulcanico a semplice roccia in un processo noto come “devetrificazione”: in questa fase le molecole di silicio pian piano si riorganizzano in una struttura cristallina, facendo perdere le peculiari proprietà dell’ossidiana.

La degradazione dell’ossidiana è favorita e accelerata dalla presenza di acqua: avendo un basso contenuto d’acqua (inferiore all’ 1%), tende ad idratarsi con il tempo formando perlite.

Ossidiana nella storia antica

Grazie alla sua capacità di creare bordi estremamente taglienti, l’ossidiana è stata utilizzata fin dall’antichità per produrre lame e punte di armi. Ancora oggi alcuni strumenti chirurgici da taglio hanno lame di ossidiana, più affilate (ma più fragili) dell’acciaio anche a livello microscopico.

Il primo impiego noto dell’ossidiana come strumento da taglio risale a circa 700.000 anni fa, ma per trovare abbondanza di reperti da taglio è necessario spostarsi in siti neolitici. Intorno al 12.500 a.C. furono prodotti un’infinità di strumenti d’ossidiana in Anatolia e Medio Oriente, mentre il primo utilizzo da parte di una vera e propria civiltà risale al V millennio a.C..

La Mesopotamia del V millennio a.C. fabbricava lame di ossidiana per utilizzi rituali o militari. Anche in antico Egitto l’ossidiana ricopriva un ruolo rilevante nella realizzazione di strumenti da taglio, specialmente quella importata dalle regioni del Mar Rosso: veniva impiegata per praticare circoncisioni, specchi e oggetti decorativi.

Le culture preispaniche americane basavano intere economie sull’estrazione e la lavorazione dell’ossidiana. L’utilizzo dell’ossidiana da parte dei popoli colombiani era vasto e sofisticato: i nativi trafficavano il vetro vulcanico in ogni angolo delle Americhe e ogni frammento può essere ricondotto ad un particolare vulcano o deposito, dando modo di ricostruire le antiche rotte commerciali. L’ossidiana cilena del vulcano Chaitén, ad esempio, è stata trovata ad oltre 400 km di distanza dal suo deposito naturale, suggerendo una vasta e complessa rete di scambio basata su questa roccia lavica.

Ossidiana frattura concoide
Frattura concoide su un blocco di ossidiana
Lavorazione dell’ossidiana

I nostri antenati si resero conto che l’ossidiana, quando si spacca, crea fratture concoidi come il quarzo o la selce. Una frattura concoide non segue il piano cristallino del materiale fratturato, ma crea frammenti e schegge con curvature che ricordano molto quelle delle conchiglie dei molluschi.

Quando si colpisce un blocco di ossidiana, si genera un “bulbo di percussione” in prossimità del punto di impatto. Dal bulbo di percussione si estendono le onde d’urto che lasciano sulla roccia segni simili alle increspature generate da un sasso caduto in acqua.

Grazie alla sua struttura non cristallina e alla capacità di generare fratture concoidi, l’ossidiana è relativamente più semplice da lavorare rispetto ad altre pietre dure. Le fratture generate dalla percussione sono facilmente prevedibili e questo consente di manipolare meglio il materiale per ottenere le forme desiderate.

punte di ossidiana
Punte di ossidiana

Le popolazioni mesoamericane precolombiane elevarono ad arte la lavorazione dell’ossidiana, utilizzando questo materiale non solo per la fabbricazione di lame ma anche per creare oggetti decorativi come specchi e piatti.

In linguaggio Nahuatl, l’ossidiana era definita itztli ed è stata trovata in quasi tutti i siti archeologici mesoamericani. Gli oggetti di vetro vulcanico erano utilizzati da chiunque, indipendentemente dallo status sociale ed economico: strumenti per la caccia, per l’agricoltura e per la preparazione del cibo (non sono rari i ritrovamenti di carcasse di animali e pesci in prossimità di strumenti da taglio in ossidiana) .

Grosse schegge di ossidiana fornivano bordi taglienti al macuahuitl, una versione primitiva ma efficace delle spade del Vecchio Continente. Sebbene alcuni popoli possedessero nozioni di metallurgia di base e lavorassero metalli teneri come l’oro, nessun metallo a loro conosciuto consentiva di avvicinarsi alle capacità di taglio di una lama di ossidiana.

L’ossidiana era anche strettamente legata alle divinità dell’oltretomba e veniva impiegata per realizzare strumenti utilizzati per l’ autosacrificio rituale (tagli sul corpo allo scopo di donare sangue alle divinità protettrici) o per la creazione di statuette e offerte votive.

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Macuahuitl, la “spada” azteca https://www.vitantica.net/2017/09/05/macuahuitl-la-spada-azteca/ https://www.vitantica.net/2017/09/05/macuahuitl-la-spada-azteca/#respond Tue, 05 Sep 2017 11:42:06 +0000 https://www.vitantica.net/?p=78 Prima del rame, del bronzo, del ferro e dell’acciaio, cosa usavano i nostri antenati come arma di offesa? Principalmente legno e pietra. Ma la natura di questi due materiali (il primo relativamente debole rispetto ai metalli, il secondo più fragile) non deve trarre in inganno: pietra e legno, combinati sapientemente, hanno consentito di creare una delle armi bianche più devastanti della storia: il macuahuitl.

Armi sofisticate contro tecnologia primitiva

Quando gli Spagnoli giunsero in Messico, si trovarono di fronte i temibili guerrieri aztechi armati di strumenti che impallidivano in quanto a tecnologia e resistenza di fronte alle armi europee: archi relativamente primitivi contro corazze in grado di respingere colpi di balestra, nessuna protezione contro armi da fuoco che falciavano il nemico ancor prima che potesse avvicinarsi, e una strategia militare quasi inesistente contro una tecnicamente impeccabile supportata da secoli e secoli di guerre europee.

Ciò che gli Spagnoli non realizzarono immediatamente è che le corazze tecnologicamente avanzate, le armi da fuoco e la ultracentenaria esperienza bellica non erano elementi sufficienti a vincere facilmente una guerra come quella condotta contro gli Aztechi. I conquistadores rimasero particolarmente colpiti da un’arma, il macuahuitl, un bastone di legno rivestito sui bordi da schegge di ossidiana, apparentemente capace di decapitare un cavallo.

Gli Aztechi avevano sviluppato, nel corso della loro storia, una particolare abilità nella lavorazione del legno e della pietra lavica. Questa loro capacità consentì, tra le altre cose, la nascita dell’ atlatl, un’arma da getto realizzata anche in altre regioni del mondo, e una serie di lame in ossidiana incredibilmente decorate e taglienti.

Una clava di legno e ossidiana

La pietra lavica, tuttavia, non è il materiale più adatto alla creazione di lame lunghe più di 15-20 centimetri: superata una certa lunghezza il rischio di frattura è troppo elevato per poter considerare affidabile e durevole una lama di ossidiana.

Ma il combattimento corpo a corpo non è fatto soltanto di armi corte: più la nostra arma colpisce con potenza, più i danni causati saranno ingenti. Per aumentare la potenza inferta dal colpo di un’arma da taglio o contundente ci sono essenzialmente due metodi: aumentarne il peso o incrementare il suo raggio d’azione, in modo tale che la parte terminale dell’arma acquisisca maggiore velocità durante i tipici movimenti circolari di una spada, un’ ascia da battaglia o una mazza.

Macuahuitl pietra

Gli Aztechi ovviarono al problema della fragilità dell’ossidiana e della lunghezza delle loro armi da combattimento ravvicinato mescolando legno e pietra. Il macuahuitl era essenzialmente un bastone di legno di quercia lungo dai 50 ai 100 centimetri e dalla vaga forma a remo; sui bordi dell’estremità più larga dell’arma venivano innestate schegge di pietra taglienti come rasoi.

Ogni scheggia era larga da 2 a 5 centimetri e veniva incastrata nel corpo in legno dell’arma utilizzando anche una miscela adesiva probabilmente ricavata dalla resina di conifere o dal lattice di alcuni alberi (come quello dell’ albero della gomma). Una scheggia di ossidiana non è altro che materiale roccioso vetrificato, vero e proprio vetro naturale del tutto somigliante a quello prodotto artificialmente e capace di formare superfici affilatissime se lavorato con la tecnica più adatta.

Riproduzioni moderne del macuahuitl

Quanto era efficace il macuahuitl? Secondo Bernal Díaz del Castillo, al seguito di Hernán Cortés, quest’arma poteva facilmente decapitare un uomo, arrivando addirittura a tagliare la testa di un cavallo con un solo, potente colpo dall’alto.

Per la trasmissione Deadliest Warrior di SpikeTV, la produzione ha ricreato un macuahuitl per utilizzarlo contro la replica della testa di un cavallo dotata di scheletro e ricoperta da gel balistico. Éder Saúl López, che manovrava l’arma, è stato in grado di decapitare il bersaglio utilizzando tre colpi; non esattamente il singolo fendente dei resoconti spagnoli, ma un risultato ugualmente impressionante.

L’esperimento ha anche dimostrato che il macuahuitl aumenta la sua potenza se, dopo aver raggiunto il limite di penetrazione dell’arma, lo si recupera con violenza come se fosse una sega, lacerando qualunque tessuto incontrato dalle lame. Ma una società che apprezzava la schiavitù come quella azteca preferiva catturare vivo il nemico;  un movimento di questo tipo avrebbe causato danni così ingenti ad un potenziale schiavo da cancellare ogni speranza di sopravvivenza.

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Nonostante l’utilizzo di materiali primitivi, il macuahuitl era un’arma temibile in battaglia, ma fu anche una delle ragioni fondamentali delle ripetute sconfitte militari azteche. Un’arma del genere prevede movimenti ampi e circolari, quindi molto spazio tra un soldato e l’altro; i guerrieri aztechi avanzavano in modo disordinato menando fendenti verso qualunque cosa si muovesse, mentre i conquistadores, abituati alla disciplina e a mantenere fila serrate, combattevano compatti difendendo e attaccando come una singola unità.

Le lame di ossidiana, inoltre, tendevano a staccarsi dal corpo in legno per incastrarsi nei tessuti della vittima, o a frantumarsi quando incontravano materiale osseo o l’acciaio delle corazze. Il macuahuitl perdeva velocemente la sua efficacia come arma da taglio dopo una dozzina di fendenti, lasciando nelle mani del guerriero azteco soltanto una lunga e pesante mazza minimamente competitiva nei confronti della tecnologia bellica spagnola del tempo.

Infine, il macuahuitl fu ideato da una società profondamente schiavista che vedeva nei prigionieri non solo un bene di lusso ma una vera e propria offerta alle divinità. Tornare in città in compagnia di una folta schiera di prigionieri (prelevati da città o villaggi rivali) era considerato segno di distinzione per un guerrieri azteco; era importante quindi evitare di uccidere, se possibile, il maggior numero di potenziali schiavi per farsi un nome.

Il macuahuitl era perfetto per lo scopo: le corte lame di ossidiana infliggevano colpi debilitanti ma raramente fatali nel breve periodo (la casta guerriera veniva addestrata fin dalla giovane età a colpire per dislocare o ferire); il bastone a remo era un’arma contundente incredibilmente efficace per stordine un nemico privo di protezioni e militarmente inferiore, perfetta per un agguato di breve durata e tatticamente disorganizzato.

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Nonostante i suoi evidenti limiti, il macuahuitl è un’arma unica nel suo genere che ha consentito ai guerrieri aztechi di avere il predominio sul Messico per almeno un secolo. Era un’arma destinata a guerrieri dalla grande forza fisica e realizzata da artigiani che padroneggiavano le tecniche di lavorazione del legno e della pietra come pochi altri nel mondo.

Ad oggi non esiste alcun esemplare di macuahuitl risalente al periodo pre-conquista: l’ultimo macuahuitl sopravvissuto agli Spagnoli fu distrutto dall’incendio all’ Armeria Real di Madrid nel 1884.

Macuahuitl

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