neanderthal – VitAntica https://www.vitantica.net Vita antica, preindustriale e primitiva Thu, 01 Feb 2024 15:10:35 +0000 it-IT hourly 1 Denny: madre Neanderthal, padre Denisova https://www.vitantica.net/2018/08/23/denny-madre-neanderthal-padre-denisova/ https://www.vitantica.net/2018/08/23/denny-madre-neanderthal-padre-denisova/#respond Thu, 23 Aug 2018 08:31:41 +0000 https://www.vitantica.net/?p=2114 Una ragazzina vissuta 80-90.000 anni fa sui monti Altaj è il primo ibrido tra due differenti specie di esseri umani arcaici, Neanderthal e Denisova. “Trovare una persona di origini miste è assolutamente straordinario” sostiene Pontus Skoglund del Francis Crick Institute di Londra. “E’ scienza ai massimi livelli con un pizzico di fortuna”.

Nel 2008 i ricercatori dell’ Accademia Russa delle Scienze effettuarono una scoperta che qualche tempo dopo avrebbe rivoluzionato l’interpretazione dell’evoluzione umana: un piccolo frammento osseo di un mignolo appartenuto ad un individuo dall’età compresa tra i 5 e i 7 anni, vissuto 40.000 anni fa sui monti Altaj siberiani all’interno delle grotte di Denisova.

Le analisi del DNA mitocondriale prelevato dal reperto mostrarono quasi immediatamente che si trattava di una scoperta unica nel suo genere: il bambino non era un esponente dell’ Homo sapiens e nemmeno un Neanderthal, ma qualcosa di totalmente differente, potenzialmente rivoluzionario.

Una nuova specie di essere umano

Per avere la conferma della scoperta, Svante Pääbo, del Max Planck Institute di Lipsia, decise di analizzare un altro reperto dall’origine sospetta, il molare superiore di un giovane adulto scoperto nel 2000 risalente allo stesso periodo e rinvenuto nella stessa località.

Il dente mostrava caratteristiche arcaiche, alcune simili a quelle dei denti di Neanderthal ma altre più affini all’ Homo erectus; l’analisi del DNA mitocondriale rivelò che anch’esso apparteneva ad un’altra specie di ominide, la stessa specie identificata con il frammento osseo del 2008.

Sull’ Uomo di Denisova, come viene definito modernamente questo ominide, sappiamo ben poco. Non abbiamo ancora determinato se si tratta di una specie separata dall’ Homo sapiens o di una sua sottospecie, ma sappiamo che ha vissuto nelle grotte di Denisova, grotte che ospitarono sia Neanderthal che esseri umani moderni; non conosciamo i dettagli delle sue origini, ma è ormai assodato che gli abitanti del sud-est asiatico e gli aborigeni australiani contengono nel loro genoma una percentuale compresa tra l’1 e il 5% di DNA denisoviano.

Denny, ibrido neanderthal e denisova
Denny, ibrido Neanderthal e Denisova

Secondo gli antropologi, l’ Homo di Denisova si separò dal Neanderthal circa 6-400.000 anni fa una volta giunto in Medio Oriente, ma continuò ad intrattenere rapporti con i suoi cugini fino al tardo Pleistocene, come dimostrerebbe una recentissima scoperta nelle caverne di Denisova.

Denny: ibrido di Neanderthal e Denisova

Denisova 11 (soprannominata Denny), il nome ufficiale di una ragazzina di circa 13 anni vissuta 80.000 anni fa, è un individuo speciale: il suo DNA è composto da cromosomi Neanderthal e Denisova, come ha dimostrato il team di Vivian Slon del Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology in una ricerca pubblicata su Nature.

Il DNA di Denny è stato confrontato con quello di due individui vissuti nelle grotte di Denisova, rivelando che oltre il 40% del suo genoma è coerente con quello Neanderthal.

“Avevamo già prove di rapporti interspecie tra differenti gruppi di ominini” spiega Slon, “ma questa è la prima volta che ci imbattiamo in un discendente diretto, di prima generazione. Il fatto stesso che abbiamo trovato questo individuo di origine Neanderthal-Denisova suggerirebbe che questi ominini si incrociassero più spesso di quanto pensassimo”.

L’analisi del genoma umano moderno ha ormai dimostrato che l’ Homo sapiens si incrociò più e più volte sia con i Neanderthal che con i Denisova. Una percentuale compresa tra l’1 e il 4% dei cromosomi degli esseri umani moderni non africani sembra appartenere ai Neanderthal, mentre il 2-6% del genoma melanesiano (specialmente in Papua Nuova Guinea) deriva da una popolazione di Denisova e da altre specie Homo arcaiche non ancora identificate.

Anche i nativi americani e gli aborigeni australiani hanno un DNA che contiene una piccola frazione di cromosomi di derivazione Denisova, mentre i popoli tibetani moderni dispongono di un gene denisoviano, chiamato EPAS1, che li rende capaci di adattarsi alla scarsità d’ossigeno delle grandi altitudini himalayane.

Neandertal mother, Denisovan father—Newly-sequenced genome sheds light on interactions between ancient hominins

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Eruzione del vulcano Toba, la più potente degli ultimi 25 milioni di anni https://www.vitantica.net/2017/12/16/eruzione-del-vulcano-toba/ https://www.vitantica.net/2017/12/16/eruzione-del-vulcano-toba/#comments Sat, 16 Dec 2017 10:00:47 +0000 https://www.vitantica.net/?p=1024 In Indonesia, nella regione settentrionale dell’isola di Sumatra, si trova un lago chiamato Toba, lungo 100 chilometri e largo circa 30, collocato ad un altezza di circa 900 metri dalla superficie del mare.

Questo lago, in realtà, è anche un supervulcano: il bacino lacustre non è altro che il cratere causato da un’eruzione vulcanica di proporzioni colossali che si verificò tra 69.000 e 77.000 anni fa.

Un’eruzione di proporzioni ciclopiche

L’eruzione del vulcano Toba fu probabilmente la più potente eruzione vulcanica registrata negli ultimi 25 milioni di anni. Questa eruzione catastrofica fu la terza di una serie di grandi eruzioni vulcaniche del Toba avvenute nell’ultimo milione di anni. La potenza fu tale che, sulla scala definita Volcanic Explosivity Index, è stata classificata oltre il grado 8 (definito “mega colossale”).

Mettendo a confronto l’eruzione del Toba con quella del Monte Tambora indonesiano del 1815, la differenza in magnitudine salta subito all’occhio: l’eruzione del Tambora, che causò l’inverno vulcanico chiamato l’ “Anno senza estate” (1816) nell’ Emisfero Nord, produsse 100 volte meno detriti rispetto a quella del Toba.

Volcanic Explosivity Index Toba

L’eruzione del Toba scagliò in aria un volume di 2-3.000 chilometri cubici di roccia fusa, 800 dei quali sotto forma di cenere che si depositò su tutta l’Asia meridionale coprendola con uno strato di 15 centimetri, con regioni come India e Malesia che vennero sepolte da strati di 6-9 metri di spessore.

L’eruzione riempì l’atmosfera di almeno 6 miliardi di tonnellate di anidride solforosa ed è facile immaginare gli effetti di questo gas combinato con l’acqua a decine di chilometri di distanza dall’eruzione.

Il flusso di lava emesso dal vulcano coprì un’area di 20-30.000 chilometri quadrati con uno strato di 50-150 metri di roccia fusa a 750°C (con alcune zone coperte addirittura da 400 metri di materiale lavico).

La temperatura superficiale della lava si ridusse a circa 100°C nel giro di pochi giorni, ma la massa di roccia fusa sotto la superficie più fredda conservò un’elevata temperatura per un periodo molto più lungo.

Effetti dell'eruzione del vulcano Toba
Effetti dell’eruzione del vulcano Toba
Inverno vulcanico

L’eruzione del Toba causò un drastico calo delle temperature su tutto il pianeta, con un inverno vulcanico della durata di 6-10 anni: la temperatura media globale crollò di 3-5 gradi (con picchi di circa 15°C di riduzione in Groenlandia a due anni di distanza dall’evento) e la Terra, che già si trovava in un periodo di raffreddamento che sarebbe durato per circa 1000 anni, si raffreddò ulteriormente e il calo delle temperature già in atto subì un’accelerazione.

Uno degli effetti principali della presenza di così tanta cenere nell’atmosfera fu la riduzione della quantità di luce disponibile: non si sa con precisione quanta luce solare fu bloccata dalla cenere, ma le stime si aggirano tra il 25% e il 90%.

Con una riduzione del 90% della luce solare, la fotosintesi delle piante si riduce ad un’efficienza del 25% (prendendo come 100% la quantità di luce disponibile in una giornata soleggiata estiva).

La linea degli alberi e della neve sulle montagne di tutto il mondo si abbassò di circa 2-3000 metri e la biomassa vegetale probabilmente diminuì dal 25% all’ 80%, con un periodo di recupero dopo l’inverno vulcanico della durata di almeno 30-50 anni.

Sull’orlo dell’estinzione

L’eruzione del Toba causò anche effetti diretti sulla popolazione umana del tempo. L’evento vulcanico del Toba si verifica in un periodo in cui i nostri antenati stavano perfezionando la tecnologia della pietra e sviluppando i primi sistemi di culto legati ai fenomeni naturali.

Le società umane del tempo,  che convivevano con altri ominidi come i Neanderthal e i Denisova (leggi questo post su Denny, l’ibrido Neanderthal-Denisova), erano strutturate in tribù più o meno egalitarie e stavano esplorando le prime metodologie sofisticate di pesca e di conservazione del cibo (come l’ affumicatura della carne).

Supervulcano Toba

Anche se affrontando questo argomento si entra in un territorio di accese discussioni accademiche e di differenti risultati ottenuti da calcoli e modelli di simulazione, una parte del mondo scientifico sostiene che la popolazione umana subì un drastico calo numerico.

Prima dell’eruzione, l’ Homo sapiens contava probabilmente 500.000 – 1 milione di individui sparsi per tutto il mondo, ma dopo l’esplosione del Toba la popolazione si ridusse in modo repentino e drammatico.

L’eruzione del Toba e il collo di bottiglia genetico

Secondo i sostenitori del “collo di bottiglia genetico” causato dall’eruzione del Toba (come Stanley Ambrose), dopo questo evento catastrofico rimase in vita una popolazione di Homo sapiens compresa tra i 1.000 e i 10.000 individui.

Le analisi genetiche condotte sui primi esseri umani moderni suggeriscono infatti che tra i 50.000 e i 100.000 anni fa la popolazione umana attraversò un periodo così duro da subire un calo demografico estremo: tutti gli esseri umani moderni discendono da un piccolo gruppo di sopravvissuti (1.000-10.000 coppie) esistito 70.000 anni fa.

Le critiche all’ipotesi del collo di bottiglia genetico causato dal Toba non sono poche, ma è facile giungere alla conclusione che l’eruzione vulcanica più potente degli ultimi 25 milioni di anni abbia tragicamente cambiato lo stile di vita dei nostri antenati.

Ad esempio, un inverno vulcanico della durata di 6-10 anni sarebbe stato in grado di distruggere buona parte delle risorse alimentari disponibili ai cacciatori-raccoglitori del tempo, costringendoli ad adottare nuove strategie di sopravvivenza.

Lago Toba
Lago Toba

Oggi il cratere del Toba è uno stupendo lago che ogni tanto ci ricorda cosa si cela sotto il suo letto attraverso terremoti e sbuffi di fumo emessi da uno dei coni vulcanici secondari. C’è ancora attività vulcanica nel sottosuolo: pare che il Toba generi eruzioni di grande entità ogni 300-400.000 anni e la prossima (statisticamente parlando) dovrebbe verificarsi tra 200-300.000 anni.

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Selce e pietra focaia: utensili e fuoco https://www.vitantica.net/2017/12/05/selce-pietra-focaia/ https://www.vitantica.net/2017/12/05/selce-pietra-focaia/#respond Tue, 05 Dec 2017 02:00:28 +0000 https://www.vitantica.net/?p=958 I primissimi strumenti di pietra costruiti dai nostri antenati avevano prestazioni decisamente inferiore rispetto a ciò che i loro successori avrebbero prodotto nei millenni successivi. Secoli di esperienza e una serie incalcolabile di tentativi ed errori portò alla selezione delle migliori varietà di rocce capaci di produrre strumenti da taglio efficaci e duraturi.

Una di queste rocce, rivelatasi incredibilmente utile nell’arco della storia, fu la selce, chiamata anche pietra focaia sebbene il termine si riferisca genericamente a qualunque pietra in grado di creare scintille (come il calcedonio o l’agata).

Caratteristiche della selce

La selce è una roccia sedimentaria dura derivata dal quarzo che si presenta sotto diverse forme e colorazioni, dal nero al verde; ha un’aspetto vetroso o cereo, ma con l’esposizione all’aria si ricopre di una spessa crosta calcarea che può rendere difficile l’identificazione.

La selce occorre in natura sotto forma di noduli spesso inclusi in depositi carbonatici di gesso, calcare o scisto ed è una roccia che ha origine dall’accumulo di frammenti di microfossili che, sottoposti a pressione, si trasformano gradualmente in quarzite.

Scheggiatura della selce
Scheggiatura della selce

Come l ‘ossidiana, anche la selce è in grado di generare fratture concoidi se colpita con la giusta angolazione e la sua struttura criptocristallina contribuisce alla formazione di schegge affilate.

Queste caratteristiche la resero preziosissima fin dall’inizio dell’Età della Pietra e l’attività mineraria legata all’estrazione della selce risale al Paleolitico, anche se le miniere diventarono più comuni nell’arco del Neolitico.

La selce è un materiale che tende naturalmente a fratturarsi in modo simile al vetro. Per contrastare una frammentazione irregolare e poco controllabile, i nostri antenati impararono che l’esposizione lenta a temperature di 150-250 °C per circa una giornata, seguita da un raffreddamento lento a temperatura ambiente, rendeva la selce più omogenea e consentiva di produrre frammenti dotati di bordi più affilati e regolari.

Impararono a loro spese che l’esposizione a temperature troppo elevate o a shock termici repentini poteva invece causare una vera e propria esplosione in piccoli frammenti, alcuni affilati come rasoi e capaci di provocare ferite di una certa serietà.

Queste esplosioni sono generalmente provocate dalla presenza di impurità all’interno di un blocco di selce: le particelle estranee inglobate nella roccia si espandono a velocità differenti da quelle della selce, causando talvolta cedimenti catastrofici della struttura cristallina.

Lama ovale e schegge di selce
Lama ovale e schegge di selce
La selce nell’ Età della Pietra

La selce era un bene prezioso per le culture della pietra: veniva impiegata per realizzare qualunque tipo di strumento di uso quotidiano, dalle asce agli strumenti da taglio più minuti, dalle punte di trapani ad arco o a volano fino alle armi per la caccia o la guerra (come il temibile macuahuitl).

Anche i Neanderthal, come testimonierebbero due schegge di selce scoperte nel Kent dagli archeologi della Southampton University nel 2010, utilizzavano questa roccia circa 110.000 anni fa per realizzare armi da caccia e strumenti da taglio.

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L’importanza di questa roccia nel Neolitico fu tale da far nascere un vero e proprio culto della selce nei pressi delle miniere britanniche di Grime’s Grave. Grime’s Grave è un’antica miniera di selce del Neolitico composta da coltre 400 depressioni nel terreno e datata a circa 5.000 anni fa.

Gli antichi minatori di selce scavarono pozzi larghi 12 metri e profondi fino a 14 metri, utilizzando strumenti di pietra e picconi di corno di cervo, per raggiungere lo strato che ospitava la selce di qualità migliore, estendendo orizzontalmente i loro scavi fino a creare un’intricata rete di gallerie sotterranee.

Coltello di selce assicurato ad un manico di corno tramite colla animale e tendine.
Coltello di selce assicurato ad un manico di corno tramite colla animale e tendine. Nehawka Primitive Skills

Ciò che rese speciale questa antica miniera di selce è il fatto che, in epoca neolitica, era estremamente semplice reperire materiale di ottima qualità anche in superficie, senza necessariamente scavare il terreno per una dozzina di metri con strumenti primitivi.

Il ritrovamento di oggetti cerimoniali o utensili in selce mai utilizzati e la disposizione rituale di alcuni artefatti suggerirebbero che il sito avesse anche un’ importanza religiosa.

Anche dopo il termine dell’attività mineraria (durata oltre 1000 anni), Grime’s Grave restò per molto tempo un luogo di particolare rilevanza: gli abitanti locali sacrificavano animali e occasionalmente esseri umani gettandoli nei pozzi della miniera, forse nella speranza di non rimanere mai a corto di selce in futuro.

La selce come pietra focaia

Fu probabilmente durante l’estrazione e la lavorazione della selce che i nostri antenati si resero conto di un’altra utilissima caratteristica di questa roccia: se la selce viene colpita da minerali ferrosi può produrre una scintilla a bassa temperatura ma sufficientemente calda da innescare la combustione di un’esca.

In determinate condizioni ambientali, l’impiego della selce per accendere un fuoco si rivela più pratico e veloce di qualunque metodo basato sulla frizione, specialmente se la roccia viene colpita da un oggetto metallico o da pirite ferrosa.

innesco a pietra focaia di un fucile ad avancarica
Dettaglio del meccanismo di innesco a pietra focaia di un fucile ad avancarica

L’uso della selce come pietra focaia entrò nella quotidianità probabilmente prima degli antichi Romani e divenne velocemente uno strumento di uso comune, se non indispensabile, durante i secoli successivi.

Con l’invenzione delle armi da fuoco, la pietra focaia entrò a far parte dell’equipaggiamento standard di ogni soldato a partire dalla fine del 1500 e per circa 2 secoli fu l’unico modo di innescare la carica di polvere nera che armava cannoni e fucili ad avancarica.

I primi acciarini metallici da utilizzare in combinazione con la pietra focaia risalgono al I secolo a.C. e hanno la caratteristica forma a “C” che verrà mantenuta fino al Medioevo, anche se molte forme di acciarino (a “P”, a “R”, a slitta o ovali) furono realizzate nell’arco della storia.

La forma dell’acciarino è soltanto una caratteristica che rende più comodo il suo utilizzo; forme differenti non compromettono la capacità di creare scintille ed è solo la quantità di carbonio contenuta nel ferro dello strumento che può incrementarne o diminuirne l’efficacia.

Acciarino tradizionale e pezzo di selce
Acciarino tradizionale e pezzo di selce

Prima dell’ Età del Ferro, i nostri antenati non disponevano di metalli sufficientemente duri e la scelta del materiale per l’acciarino ricadde spesso sulla pirite ferrosa, conosciuta anche come “oro dello sciocco”.

Le piriti ferrose sono comuni nelle rocce sedimentarie che frequentemente contengono anche noduli di selce e si presentano sotto forma di cristalli striati a base di zolfo e ferro. Altri materiali naturali utili per la fabbricazione di un acciarino sono il quarzo e l’agata, usati tradizionalmente in Giappone per innescare i fuochi cerimoniali nei rituali propiziatori.

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L’ esca ideale per la pietra focaia è l’ amadou, un materiale ottenuto sfibrando la carne dei funghi dell’esca Fomes fomentarius e Inonotus obliquus. Questo materiale spugnoso è l’ideale per accogliere una scintilla a bassa temperatura: tenendone un pezzo direttamente sopra o sotto la pietra focaia, la prima scaglia incandescente di metallo che la colpirà darà inizio alla combustione senza fiamma tipica dell’ amadou.

Per una breve guida su come realizzare un’esca efficace e quali materiali utilizzare, clicca qui.

RITUAL MYSTERIES IN A PREHISTORIC FLINT MINE

Chert – Sandatlas

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I Neanderthal erano navigatori? https://www.vitantica.net/2017/09/14/i-neanderthal-erano-navigatori/ https://www.vitantica.net/2017/09/14/i-neanderthal-erano-navigatori/#respond Thu, 14 Sep 2017 18:32:47 +0000 https://www.vitantica.net/?p=284 Grazie ai progressi in ambito archeologico e antropologico compiuti negli ultimi anni, siamo ormai ben lontani dall’immagine scimmiesca utilizzata decadi fa per descrivere l’uomo di Neanderthal.

Sappiamo che questa linea evolutiva separata dall’essere umano moderno possedeva la capacità di creare e controllare il fuoco, utilizzava diverse forme di comunicazione, intratteneva scambi commerciali con i più recenti (evolutivamente parlando) Homo sapiens, fino addirittura ad incrociarsi con l’uomo anatomicamente moderno.

Abbiamo addirittura la prova genetica di un incrocio tra Neanderthal e Denisova grazie al ritrovamento delle ossa di Denny, una ragazzina vissuta 80-90.000 anni fa sui monti Altaj che rappresenta il primo caso di ibridazione certa tra due differenti specie di esseri umani arcaici.

Una serie di scoperte relativamente recenti effettuate sulle isole del Mediterraneo hanno suggerito anche l’ipotesi che i Neanderthal fossero in grado di costruire imbarcazioni e navigare, spostandosi in lungo e in largo sul mare fino a coprire distanze di centinaia di chilometri.

“I Neanderthal devono aver necessariamente utilizzato un qualche tipo di imbarcazione; e’ difficile pensare che abbiano nuotato” spiega l’archeologo Alan Simmons della University of Nevada. “Molte delle isole non hanno ponti naturali con cui raggiungerle, quindi gli antichi esploratori dovevano possedere la capacità di costruire navi e le conoscenze per sapere come condurle”.

Chi sbarcò per primo sulle isole del Mediterraneo?

Fino ad ora, l’archeologia si è concentrata quasi esclusivamente sui resti neolitici presenti sulle isole del Mediterraneo, scartando l’ipotesi che tra di essi si potessero nascondere le tracce di altri esponenti del genere Homo. “Su moltissime isole, ci sono incredibili resti di antichità classiche e per molti anni nessuno ha cercato siti più vecchi” sostiene Simmons.

Nelle ultime due decadi, tuttavia, sono emerse le prove che alcune isole siano state popolate fin da tempi ben precedenti al Neolitico: alcuni ritrovamenti sulle isole di Melos, Cefalonia e Cipro hanno rivelato artefatti risalenti a 11-12.000 anni fa.

I Neanderthal erano navigatori?

“Abbiamo scoperto le prove che alcuni cacciatori umani possano aver condotto all’estinzione gli ippopotami pigmei di Cipro circa 12.000 anni fa. Questo suggerisce che gli antichi navigatori non disponessero di piante e animali addomesticati da portare su queste isole, cosa che comporta un complesso bagaglio di abilità, ma potrebbero essere stati semplici cacciatori-raccoglitori“.

“L’idea generale era che nessuna delle piccole isole del Mediterraneo ospitasse insediamenti precedenti al Neolitico perché erano troppo povere di risorse naturali per supportare un’occupazione permanente. Tutto ciò non corrisponde al vero. I cacciatori e i raccoglitori possono diventare molto creativi”.

Neanderthal a Creta?

Ma alcuni reperti ancora più antichi di quelli neolitici indicherebbero date ben precedenti per la colonizzazione umana delle isole mediterranee: una serie di artefatti di pietra rinvenuti a Creta indicherebbero date superiori ai 110-170.000 anni fa, il periodo in cui si presume abbia avuto origine l’essere umano anatomicamente moderno.

Il fatto che Creta si trovi ad oltre 150 km dal continente indica che i primi navigatori erano dotati di una certa abilità nel costruire imbarcazioni, ed erano probabilmente in possesso di conoscenze ben superiori a quelle che gli sono state attribuite in tempi moderni.

Sarà necessaria ancora molta, moltissima ricerca per scoprire la vera storia delle migrazioni umane. Uno dei problemi fondamentali è la datazione: gli artefatti di Creta vanno ben oltre le capacità di datazione del radiocarbonio e la collocazione temporale di questi oggetti, basata sulla stratificazione del terreno, non aiuta a stabilire con certezza il periodo in cui furono realizzati.

Non sono ancora state trovati, inoltre, resti di imbarcazioni primitive, probabilmente realizzate in materiali deperibili (come il legno) che non hanno resistito al passare del tempo.

Sappiamo però che la colonizzazione australiana ebbe inizio almeno 50.000 anni fa ad opera di antichissimi navigatori, e che i primi resti umani fossili in Indonesia (raggiungibile al tempo solo per mare) risalgono ad oltre 1 milione di anni fa.

E’ possibile che la navigazione (seppure in forma rudimentale) sia stata alla portata non soltanto dell’uomo anatomicamente moderno, ma anche del Neanderthal, o addirittura dell’Homo erectus.

Per saperne di più: Evidence suggests Neanderthals took to boats before modern humans

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