lampade – VitAntica https://www.vitantica.net Vita antica, preindustriale e primitiva Thu, 01 Feb 2024 15:10:35 +0000 it-IT hourly 1 Rushlight, le luci di giunco https://www.vitantica.net/2019/10/07/rushlight-luci-di-giunco/ https://www.vitantica.net/2019/10/07/rushlight-luci-di-giunco/#respond Mon, 07 Oct 2019 00:10:10 +0000 https://www.vitantica.net/?p=4563 I nostri antenati disponevano di ben poche fonti d’illuminazione rispetto alle civiltà moderne. Le lampade ad olio furono oggetti d’uso comune per interi millenni, ma richiedevano un rifornimento costante di combustibile; le torce imbevute di grasso animale, vegetale o di olio minerale non erano il massimo della praticità; le candele di cera costituirono per molto tempo un’alternativa funzionale ma molto costosa rispetto alle lampade ad olio, mentre quelle di sego, più economiche, emanavano un odore ben poco gradevole per via del materiale che consumavano come combustibile.

Il focolare fu per lungo tempo la principale fonte di luce nell’ ambiente domestico. In realtà, esistevano anche altre alternative, meno note in tempi moderni ma molto utilizzate nei secoli passati, perché rappresentavano fonti di luce a buon mercato e facilmente realizzabili.

Una di queste alternative era la “luce di giunco” (o rushlight in inglese), una piccola torcia realizzata con materia vegetale e imbevuta di grasso o olio.

La luce di giunco

La prima citazione di una luce di giunco risale al XVII secolo: l’antiquario inglese John Aubrey fu probabilmente il primo a descrivere questo metodo d’illuminazione, mentre Gilbert White fornì un resoconto accurato del procedimento costruttivo.

Le luci di giunco furono in uso sulle isole britanniche fino alla fine del XIX secolo, tornando ad essere utilizzate temporaneamente durante la Seconda Guerra Mondiale come luci d’emergenza.
Sappiamo tuttavia che il midollo di giunco fu utilizzato fin dall’ antica Roma come stoppino per candele e lampade ad olio; è del tutto possibile, quindi, che questo metodo di illuminazione sia molto più antico di quanto lascino supporre le prime testimonianze scritte relative al suo utilizzo.

Il giunco è una pianta acquatica cresce nelle zone paludose di Europa, Asia, Africa, Nord e Sud America. Si tratta di una pianta strutturalmente molto semplice, ma dotata di un nucleo di materia vegetale spugnosa e facilmente infiammabile.

Juncus effusus
Juncus effusus

Per realizzare una luce di giunco si raccoglieva il gambo maturo della pianta (principalmente il giunco comune, Juncus effusus, oppure Juncus maritimus e Juncus acutus) durante l’estate o l’autunno, attività generalmente svolta da donne e bambini almeno fino alla metà del 1800.

Per produrre una luce di giunco era necessario rimuovere l’epidermide verde del gambo per esporre il midollo spugnoso, avendo cura di lasciare una singola striscia di “pelle” esterna come supporto strutturale.

Dopo aver lasciato essiccare il gambo così preparato, il giunco veniva immerso una o due volte in una scodella di grasso fuso; per molto tempo fu pratica comune utilizzare grasso di maiale o di montone, perché diventano più solidi man mano che si rapprendono e hanno una consistenza che ne facilita la lavorazione.

Durata delle luci di giunco

Le fonti storiche sono discordanti sulla reale durata e qualità della fiamma prodotta da una luce di giunco. Nel “The Book of English trades, and library of the useful arts” (1827) si sostiene che una rushlight fosse mediamente lunga circa 30 centimetri e potesse bruciare per 10-15 minuti.

Secondo Gilbert White, una luce di giunco era lunga circa 72 centimetri e bruciava per quasi un’ ora ininterrottamente, producendo una luce chiara e relativamente potente.

La qualità della luce e la durata della combustione delle rushlight dipendevano ovviamente dall’abilità dell’artigiano che le produceva e dalla qualità dei materiali impiegati.

Era possibile prolungare la combustione di una luce di giunco utilizzando una fascina di rushlight, oppure producendo quelle che venivano definite “rushcandles“, candele di giunco in cui il midollo spugnoso del fusto veniva immerso più e più volte in cera o sego per ricoprirlo da più strati di materiale combustibile.

In alcune località britanniche si usava aggiungere una piccola quantità di cera prelevata da alveari selvatici o domestici, allo scopo di prolungare la durata della combustione e renderla più gradevole all’olfatto.

Nel video qui sotto, la riproduzione imperfetta di una luce di giunco sembra apparentemente produrre una fiamma pari a quella della candela utilizzata per accenderla. E’ possibile che le rushlight di buona qualità potessero illuminare quanto una candela di sego, anche se generalmente duravano meno di una candela di scarsa qualità.

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Vantaggi delle luci di giunco

Il grosso vantaggio delle luci di giunco non era la qualità della luce prodotta o la sua durata, ma il costo pressoché nullo per realizzarle. Chiunque poteva fabbricare piccole sorgenti di luce semplicemente raccogliendo giunchi e riutilizzando grasso animale o vegetale a buon mercato o di scarsa qualità.

Gilbert White sostiene che luci di giunco in grado di garantire luce per circa cinque ore fossero disponibili alla vendita nei mercati inglesi al costo di solo un quarto di penny (un farthing). Anche se una singola rushlight produceva una luce molto flebile, 3 o 4 luci di giunco accese insieme potevano fornire un’illuminazione sufficiente a condurre agevolmente le tipiche attività notturne di una casa contadina.

Fonti per “Rushlight, le luci di giunco”

Rush dips, rushlight and splint holders, nips
Rushlight: How the Country Poor Lit Their Homes (1904)
Rushlight

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Lampade a olio e grasso animale https://www.vitantica.net/2018/02/02/lampade-a-olio-grasso/ https://www.vitantica.net/2018/02/02/lampade-a-olio-grasso/#comments Fri, 02 Feb 2018 02:00:28 +0000 https://www.vitantica.net/?p=1317 Le lampade ad olio sono state per millenni la fonte di luce più economica e pratica per un uso quotidiano: erano semplici da produrre (anche se molte hanno forme e decorazioni complesse) e utilizzavano combustibili facilmente ottenibili in grandi quantità dalla lavorazione di svariati specie di animali o piante.

Le candele fecero la loro comparsa circa 5.000 anni fa ma, contrariamente a quelle create in epoche più recenti, venivano realizzate con grasso animale, perché la cera d’api era relativamente rara e incapace di soddisfare il fabbisogno di illuminazione dei nostri antenati.

Nell’ Europa preromana la principale fonte di luce erano lampade alimentate da olio d’oliva o sego e le candele di grasso animale o cera d’api erano considerate soltanto oggetti votivi da utilizzare nei Saturnali.

Anche dopo lo sviluppo di metodologie per la produzione candele di sego in grandi quantità, la lampada ad olio continuò a rappresentare la fonte di luce più economica per la maggior parte della popolazione e fu solo con le interruzioni cicliche del commercio dell’olio d’oliva, avvenute dopo il collasso dell’Impero Romano, che le candele iniziarono lentamente a sostituire le lampade ad olio.

Conchiglia trasformata in lampada ad olio alimentata da grasso animale
Conchiglia trasformata in lampada ad olio alimentata da grasso animale
Lampade ad olio preistoriche

Le prime lampade ad olio fecero la loro apparizione prima del Mesolitico: si trattava probabilmente di contenitori facilmente reperibili in natura come noci di cocco, conchiglie, gusci di uova o pietre di fiume dotate di concavità naturali; come stoppino veniva utilizzata qualunque fibra vegetale capace di assorbire una quantità sufficiente d’olio da mantenere una fiamma per lunghi periodi.

Le lampade ad olio ricavate dalla lavorazione di blocchi di pietra sembrano invece fare la loro apparizione intorno a 12.000 anni fa, ma occorre aspettare ancora qualche millennio per le prime lampade dall’aspetto molto simile a quelle che verranno utilizzate in Europa e in altre regioni del mondo ben oltre l’epoca medievale.

Lampade a olio della preistoria

Le lampade ad olio preistoriche possono essere racchiuse in tre categorie:

  • Circuito aperto: le lampade ad olio a circuito aperto sono semplicemente pezzi di roccia dotate di cavità naturali per il combustibile e fratture naturali capaci di canalizzare ed espellere il grasso fuso;
  • Circuito chiuso: la lampada a circuito chiuso è composta da una semplice concavità nella roccia, naturale o ricavata dall’uomo, utilizzata per accogliere l’olio combustibile;
  • Con manico: le lampade con manico sono forme evolute e rifinite di lampade a circuito chiuso create per facilitare il trasporto dell’utensile.

La lampada di Lascaux, rinvenuta negli anni 40 del 1900, è un tipico esempio di lampada ad olio con manico del periodo Magdaleniano (18-17.000 – 11-10.000 anni fa): si tratta di una lampada a forma di cucchiaio che, al momento della sua scoperta, conteneva ancora residui di combustione e ciò che restava dello stoppino, un filamento ottenuto da fibre di ginepro.

La lampada di Lascaux era probabilmente alimentata da grasso di animali ottenuti tramite la caccia. E’ stata ricavata da un pezzo di arenaria rossa lavorato e levigato fino ad ottenere una superficie liscia e uniforme su cui sono stati successivamente incisi alcuni simboli geometrici decorativi.

Lampada a olio di Lascaux
Lampada a olio di Lascaux
Le lampade grehe e romane

Con la scoperta e l’impiego di nuovi materiali come l’argilla o il bronzo le lampade ad olio diventano oggetti sempre più elaborati e radicati nella vita quotidiana di moltissimi popoli antichi.

I Greci e i Romani furono probabilmente i primi ad introdurre lampade d’argilla “a ruota” prima del III secolo a.C.: queste lampade erano generalmente semplici contenitori a scodella dotati di una piccola protuberanza a becco su cui poggiava un segmento di corda di lino, tessuto o altre fibre vegetali che fungevano da stoppino.

L’argilla si dimostrò ben presto un materiale ideale per la produzione di lampade ad olio: è possibile plasmarla secondo la forma desiderata, è facilmente estraibile da letti fluviali e disponibile in abbondanza.

Intorno al I secolo a.C. inizia la creazione di lampade d’argilla su scala relativamente vasta grazie all’invenzione di stampi su cui l’argilla, sotto forma di foglio dallo spessore più o meno uniforme, veniva modellata a pressione. La cottura dell’argilla permetteva di stabilizzare la forma e rendere l’oggetto resistente e indeformabile dal calore della combustione.

Lampada ad olio greca in terracotta risalente al III-II secolo a.C.
Lampada ad olio greca in terracotta risalente al III-II secolo a.C.. Fonte: Ancient Resources

L’uso della terracotta (o del bronzo, metallo facilmente lavorabile) rese possibile la realizzazione di lampade ad olio sempre più sofisticate e decorate: iniziarono ad apparire lampade a scodella chiusa dotate di una o più uscite tubolari per gli stoppini e di un’ apertura superiore tramite la quale riempire l’oggetto di combustibile.

Questo design limitava la possibilità di fuoriuscita dell’olio o del sego durante il trasporto della lampada e consentiva di regolare e fissare la lunghezza dello stoppino per variare l’efficacia della combustione.

Lampada ad olio romana in bronzo del I-II secolo d.C.
Lampada ad olio romana in bronzo del I-II secolo d.C.. Fonte: Hixenbaugh.net
Il combustibile delle lampade

Il combustibile delle lampade ad olio fu probabilmente l’elemento che garantì il successo di questa sorgente di luce almeno fino al 1600. Qualunque sostanza grassa in grado di sostenere una fiamma era considerata un valido combustibile: olio vegetale o grasso animale (oppure olio di balena) lavorato erano combustibili di prima scelta, mentre la cera d’api era di solito impiegata per alimentare lampade ad uso cerimoniale o per illuminare le case delle famiglie più benestanti.

Per ottenere il sego, il materiale di partenza è il grasso animale, specialmente quello che ricopre cuore e reni dei bovini. Dopo la bollitura a bassa temperatura e l’eliminazione delle scorie solide in sospensione, si ottiene un liquido biancastro che tenderà ad assumere una forma solida con l’abbassarsi della temperatura.

Il sego si mantiene allo stato solido a temperatura ambiente e può essere conservato a lungo a patto di immagazzinarlo in contenitori a tenuta stagna, per evitare che l’aria dia origine a processi di ossidazione capaci di compromettere la composizione del grasso.

Uno degli inconvenienti tipici della combustione del sego è l’odore: il sego di bassa qualità contiene impurità che possono produrre odori sgradevoli; il sego non particolarmente raffinato produce inoltre molto fumo e si scioglie molto rapidamente in prossimità di una fiamma o durante l’esposizione al sole estivo.

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