guerrieri – VitAntica https://www.vitantica.net Vita antica, preindustriale e primitiva Thu, 01 Feb 2024 15:10:35 +0000 it-IT hourly 1 Video: Combattimento dei Trenta https://www.vitantica.net/2020/03/11/video-combattimento-dei-trenta/ https://www.vitantica.net/2020/03/11/video-combattimento-dei-trenta/#respond Wed, 11 Mar 2020 00:05:08 +0000 https://www.vitantica.net/?p=4820 Il Combattimento dei Trenta fu una battaglia-torneo organizzata dalle due grandi potenze europee coinvolte nella guerra di successione bretone, Francia e Inghilterra, svoltasi il 26 marzo 1351.

Lo scontro concordato fu organizzato sotto forma di grande torneo nei pressi di una grande quercia, a metà strada tra Ploërmel e Josselin, con tanto di spettatori e nobiltà locale chiamati ad assistere allo scontro e a godere del grande rinfresco preparato per l’occasione.

Lo schieramento dei Blois, che contava 31 uomini, era capeggiato da Beaumanoir; quello dei Montfort, composto dallo stesso numero di combattenti, aveva come capitano Bemborough. Beaumanoir aveva a disposizione trenta guerrieri bretoni, mentre il suo rivale poteva contare su 20 inglesi, sei mercenari tedeschi e quattro bretoni.

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Il filmato qui sotto mostra una messa in scena del Combattimento dei Trenta.

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Il Combattimento dei Trenta https://www.vitantica.net/2020/03/09/combattimento-dei-trenta/ https://www.vitantica.net/2020/03/09/combattimento-dei-trenta/#respond Mon, 09 Mar 2020 00:30:37 +0000 https://www.vitantica.net/?p=4806 La concezione romantica dei cavalieri medievali europei sta ormai decadendo sotto i colpi della realtà storica. Ben lontani dall’essere tutti ligi ai codici d’onore e rispettosi del proprio avversario, le circostanze spesso violente e spietate del Medioevo richiedevano di fare il necessario per sopravvivere: tradimenti, omicidi e massacri di innocenti costituivano una buona parte delle gesta del tipico cavaliere medievale.

Ci sono episodi, tuttavia, che hanno contribuito a diffondere e gonfiare il romanticismo del cavalierato: uno di questi è ciò che viene chiamato Combattimento dei Trenta, una battaglia organizzata dalle due grandi potenze europee coinvolte nella guerra di successione bretone, Francia e Inghilterra, svoltasi il 26 marzo 1351.

La guerra per la successione bretone

Francia e Inghilterra non sono mai state molto amichevoli l’una con l’altra. Durante ciò che viene comunemente definita “Guerra dei cent’anni” le battaglie furono molte, e le casate di Montfort e di Blois furono tra le grandi protagoniste degli scontri.

I Montfort, sostenuti dagli Inglesi, non perdevano occasione per decimare i Blois, spalleggiati dalla Francia, e i loro avversari facevano lo stesso alla prima circostanza utile. Ma durante la conquista del Ducato di Bretagna si raggiunse una posizione di stallo tra le due fazioni: nessuna delle parti coinvolte riusciva ad avere la meglio, motivo per cui fu deciso di comune accordo di organizzare una sorta di torneo, una vera e propria battaglia tra pochi combattenti selezionati che avrebbero lottato per la supremazia del territorio conteso.

Sembra che l’iniziativa del torneo fu presa a seguito di una sfida personale tra due cavalieri: Robert Bemborough, soldato dei Montfort e dislocato a Ploërmel, fu ufficialmente sfidato a duello da Jean de Beaumanoir, che occupava il villaggio di Josselin per conto dei Blois.

Pare che fu lo sfidato, Bemborough, a proporre di allargare la sfida a qualche decina di cavalieri per ciascuna fazione, trasformandola in una sorta di mini-battaglia; la proposta fu accettata con entusiasmo dai Blois.

L’estensione del duello ad altri combattenti, secondo alcuni cronisti dell’epoca, non era motivata dalla convinzione che uno scontro circoscritto avrebbe potuto mettere fine al conflitto. La risposta di Bemborough alla sfida rivoltagli da Jean de Beaumanoir fu che un semplice duello non avrebbe intrattenuto le dame inglesi e francesi quanto una vera battaglia tra 20-30 uomini scelti.

Le Combat des Trente (entre Ploërmel et Josselin), Pierre Le Baud (1480)
Le Combat des Trente (entre Ploërmel et Josselin), Pierre Le Baud (1480)

Secondo i due cronisti Jean Le Bel e Jean Froissart, il torneo era animato da ragioni d’onore, escludendo ogni sorta di conflitto personale tra i combattenti coinvolti. Il problema della proprietà del Ducato di Bretagna viene esposto come una semplice questione di principio, più che un tassello strategico per la supremazia di Francia o Inghilterra.

Non mancano tuttavia storie popolari e documenti che raccontano versioni differenti: quelli francesi sostengono che Bemborough facesse scorrerie tra la popolazione locale uccidendo chiunque senza ragione; in questo caso, Jean de Beaumanoir viene presentato come il liberatore del popolo dalla tirannia inglese.

La battaglia

Lo scontro concordato fu organizzato sotto forma di grande torneo nei pressi di una grande quercia, a metà strada tra Ploërmel e Josselin, con tanto di spettatori e nobiltà locale chiamati ad assistere allo scontro e a godere del grande rinfresco preparato per l’occasione.

Lo schieramento dei Blois, che contava 31 uomini, era capeggiato da Beaumanoir; quello dei Montfort, composto dallo stesso numero di combattenti, aveva come capitano Bemborough. Beaumanoir aveva a disposizione trenta guerrieri bretoni, mentre il suo rivale poteva contare su 20 inglesi, sei mercenari tedeschi e quattro bretoni.

La documentazione storica ci consente di sapere anche i nomi dei guerrieri coinvolti nel torneo, un elenco consultabile a questo link: Combat of the 30: Jean de Beaumanoir v. Robert Bramborough.

La battaglia fu combattuta da cavalieri e fanti armati di spade, daghe, lance e asce. Secondo Froissart, il torneo fu impregnato di gesti di galanteria e azioni eroiche, ma non mancarono i morti e i feriti: dopo diverse ore di combattimento, un totale di sei corpi giacevano senza vita sul campo di battaglia, 4 dello schieramento francese e due appartenenti alle fila inglesi.

Le Combat des Trente (1857)
Le Combat des Trente (1857)

La fatica e i caduti portarono di comune accordo ad un’interruzione, per consentire ai guerrieri di mangiare, abbeverarsi ed essere curati dalle ferite subite. Alla ripresa delle ostilità, il leader inglese Bemborough fu ferito mortalmente da un soldato francese, costringendo i suoi uomini a formare un solido schieramento difensivo attorno al corpo del capitano.

Dopo diversi tentativi, i Francesi riuscirono a sfondare le difese inglesi grazie allo scudiero Guillaume de Montauban, che ruppe le linee difensive effettuando una carica in sella al suo cavallo e mettendo fuori gioco sette cavalieri inglesi, costringendo i rimanenti alla resa.

Il risultato della battaglia fu la vittoria dello schieramento francese. Gli Inglesi contarono nove morti e oltre venti feriti; alcuni di loro furono presi come ostaggi e rilasciati dopo il pagamento di un piccolo riscatto.

Le conseguenze dello scontro

Anche se il torneo non ebbe alcun effetto sul risultato della guerra bretone di successione, fu cantato per molto tempo dai trovieri e preso ad esempio come ideale di scontro cavalleresco. Una pietra commemorativa fu collocata sul luogo dello scontro, a metà strada tra Josselin e Ploermel.

Anche in questo caso non mancarono versioni della vicenda diametralmente opposte: nella versione francese, i Montfort erano i “cattivi”, dipinti come una masnada di mercenari e briganti che tormentavano la povera gente francese.

L’obelisco commemorativo voluto da Napoleone nel 1811 e posizionato sul sito dello scontro afferma che “trenta bretoni i cui nomi sono riportati qui sotto, lottarono per difendere i poveri, i braccianti e gli artigiani e scacciare gli stranieri attratti dal suolo della Contea. Posteri dei Bretoni, imitate i vostri antenati!“.

Gli Inglesi, invece, non esaltarono particolarmente la vicenda, forse per nascondere la sconfitta. La versione inglese sostiene che i Francesi avessero in qualche modo imbrogliato. Edward Smedley (1788–1836), nella sua “Storia di Francia“, afferma che la manovra dello scudiero che sfondò lo schieramento difensivo inglese aveva “le sembianze di un tradimento”.

La battaglia ebbe eco anche nelle decadi successive, con conseguenze durature sullo status della nobiltà inglese e francese: a distanza di vent’anni, Jean Froissar si accorse della presenza di un reduce dello scontro, Yves Charruel, seduto al tavolo di Carlo V grazie alla posizione sociale ottenuta dalla partecipazione al Combattimento dei Trenta.

Combat of the Thirty
A Verse Account of the Combat of the Thirty
Combat of the 30 – 26 March 1351
The Combat of the Thirty: Knightly deeds in a dirty little war

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Come si allenavano i guerrieri medievali? https://www.vitantica.net/2020/02/03/allenamento-guerrieri-medievali/ https://www.vitantica.net/2020/02/03/allenamento-guerrieri-medievali/#respond Mon, 03 Feb 2020 00:03:03 +0000 https://www.vitantica.net/?p=4773 Cavalieri e soldati del Basso Medioevo scendevano in battaglia indossando un equipaggiamento ingombrante e pesante. La dotazione da guerra prevedeva, oltre al peso dell’armatura, svariati chilogrammi di armi e oggetti d’utilità quotidiana; tutto questo peso richiedeva necessariamente una buona forma fisica e una discreta dose di forza e resistenza.

Combattere con armi bianche, inoltre, stanca molto velocemente, come spiegato in questo post sulle spade. Brandire una spada, una lancia o una mazza per qualche minuto contro una serie di combattenti motivati ed esperti richiede necessariamente grande resistenza, anche senza l’ingombro dell’armatura.

Per quanto i secoli passati possano essere stati turbolenti, non c’era costantemente una guerra da combattere. Soldati e cavalieri trascorrevano buona parte del loro tempo a riposo, svolgendo mansioni di routine o semplicemente lavorando nei campi o in città. Come facevano i guerrieri medievali a mantenere una robusta forma fisica anche durante i periodi di pace?

Il Castello della Salute

La risposta alla necessità di mantenersi in forma anche durante i periodi più pacifici arrivò da Sir Thomas Elyot, che nel 1537 (forse già nel 1534) pubblicò The Castell of Helth. Chiamato modernamente “The Castle of Health“, si tratta di un volume incentrato sul mantenimento della salute fisica dei guerrieri e indirizzato a chiunque non fosse familiare con il greco, la lingua solitamente impiegata per diffondere la conoscenza scientifica. Anche se tecnicamente la pubblicazione dell’opera non è collocabile nel Basso Medioevo, le fondamenta dei suoi contenuti derivano dalle esperienze e dalle conoscenze maturate durante l’ “età di mezzo”.

Ritratto di Elyot realizzato da Hans Holbein il Giovane
Ritratto di Elyot realizzato da Hans Holbein il Giovane

The Castle of Health riscosse un notevole successo, venendo pubblicato in ben 17 edizioni, ma fu inizialmente sottoposto a censura a causa della critica da parte dei medici del tempo, che temevano la diffusione di conoscenze riservate tra il grande pubblico.

In modo simile ad un moderno personal trainer, Elyot consiglia una serie di esercizi ed attività capaci di mantenere forte e in salute un guerriero, basandosi sul livello di partenza del combattente e collocando gli esercizi in quattro categorie distinte.

Secondo la teoria degli umori in voga al tempo di Elyot, le personalità “flemmatiche” o “sanguigne” tendono ad essere rispettivamente lente e grasse, o grasse e appassionate; per queste personalità, secondo l’autore, sono più indicati esercizi orientati allo sviluppo della forza o della resistenza.

I consigli per il mantenimento di un buono stato di salute prevedevano una dieta equilibrata, riposo, purghe e aria di buona qualità. Enfatizzavano inoltre il valore dell’esercizio fisico regolare, anche se  alcuni suggerimenti potrebbero sembrare bizzarri o privi di fondamenta scientifiche ad un lettore moderno.

The Castle of Health non è l’unica opera a descrivere il regime d’allenamento di un cavaliere: la biografia di Jean II Le Maingre (1409), noto col nome di Boucicaut e celebre combattente del suo tempo, espone alcuni esercizi eseguiti dal cavaliere per mantenersi in forma. Nell’allenamento di Boucicaut sono previsti esercizi contemplati anche nel The Castle of Health, come l’arrampicata, la pratica con armi bianche, il sollevamento di carichi pesanti e la danza.

Copertina del "The Castel of Helth"
Copertina del “The Castel of Helth”
Esercizi forti o violenti

Con “forti e violenti” Elyot intendeva ciò che oggi viene comunemente definito allenamento per la forza, una selezione di esercizi mirati a irrobustire la muscolatura.

Tra questi esercizi erano inclusi:

  • Lotta, “soltanto per i giovani uomini inclini alla guerra”;
  • Scavare terreno pesante, ricco d’argilla;
  • Trasportare o sostenere carichi pesanti;
  • Arrampicarsi o camminare lungo un pendio scosceso;
  • Afferrare una corda e arrampicarsi;
  • Rimanere appeso con le mani su qualunque cosa posizionata sufficientemente in alto da lasciare il corpo in sospensione;
  • Alzare le mani in posizione verticale, stringendo i pugni e mantenendo questa posa per qualche tempo;
  • Tenere salde le braccia sui fianchi mentre un compagno cerca di allontanarle dal corpo.
Esercizi veloci

Questi esercizi non hanno uno scopo ben preciso, ma sono probabilmente poco indicati per le personalità “flemmatiche” o “sanguigne”. Elyot suggerisce che siano più adatti a persone propense alla collera, malinconiche o neurotiche, spesso dalla corporatura esile e dominate da umori come bile gialla e bile nera.

  • Corsa;
  • Esercizi con le armi;
  • Lancio della palla;
  • Camminare sulle punte dei piedi tenendo le mani in alto;
  • Muovere le mani in alto e in basso senza utilizzare pesi.

Prefazione del The Castel of Helth

Esercizi veementi

Gli “esercizi veementi” sono una combinazione di esercizi veloci ed esercizi violenti. Elyot suggerisce che questo tipo di esercizi sia adatto a persone di corporatura normale già abituate a movimenti intensivi e veloci.

  • Ballare danze che prevedano il sollevamento della partner;
  • Lanciare una palla e rincorrerla;
  • Lanciare un giavellotto;
  • Corsa con finimenti, una sorta di allenamento di resistenza dove un compagno d’armi tenta di frenare il movimento tramite un’imbragatura.
Esercizi moderati

Tra gli esercizi moderati rientrano le attività di resistenza, come lunghe camminate o l’allenamento per il combattimento a cavallo. Questi esercizi sono adatti a chiunque, specialmente a chi è ancora stremato da esercizi violenti o veloci e ha bisogno di un training più moderato, o agli anziani.

Isolamento muscolare

Elyot introduce anche un concetto alla base del moderno bodybuilding, l’isolamento di un gruppo muscolare. Questo tipo di allenamento può appianare gli squilibri muscolari presenti in un individuo concentrando lo sforzo su alcune aree specifiche del corpo.

Per le gambe, le braccia e le spalle, Elyot raccomanda stretching e l’uso di pesi, insieme alla pratica con armi bianche come lance o picche. Per il petto e i polmoni, invece, l’autore prescrive una respirazione ritmica come quella praticata durante il canto, allo scopo di espellere l’eccesso di umori.

“Elyot aveva capito chiaramente le differenti necessità d’esercizio per i differenti tipi di corporatura. Anche se i nostri antenati si sbagliavano nel credere che l’esercizio dovrebbe essere contestualizzato nel modello umorale di come corpo e mente funzionano, avevano sicuramente ragione sul fatto che l’esercizio contribuisce alla salute fisica e mentale” afferma Joan Fitzpatrick, autrice di un’ analisi del The Castle of Health.

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How to have a good workout: lessons from the 16th century
10 Workout Tips From a 14th Century Knight
Sir Thomas Elyot
The Castel of helth

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Modern History TV: essere un arciere medievale https://www.vitantica.net/2019/10/21/modern-history-tv-essere-un-arciere-medievale/ https://www.vitantica.net/2019/10/21/modern-history-tv-essere-un-arciere-medievale/#comments Mon, 21 Oct 2019 00:01:44 +0000 https://www.vitantica.net/?p=4615 Essere un buon arciere non è affatto semplice: dopo qualche ora di pratica ininterrotta ci si rende conto di quanto sia faticoso un gesto apparentemente semplice quale tendere una corda.

Gli arcieri inglesi iniziavano il loro addestramento fin da giovanissimi, un addestramento utile a sviluppare la precisione necessaria alla battaglia ma anche la muscolatura indispensabile per resistere a ore e ore di lanci verso obiettivi specifici.

Un arco lungo inglese risultava difficile da tendere anche per gli standard bellici medievali, esercitando forze superiori al 70-80 libbre. Anche essendo in buona forma fisica, muscolatura e tendini si affaticano molto velocemente a scapito di potenza e precisione.

La struttura scheletrica degli arcieri medievali mostra tutti gli effetti che una pratica continua e di lunga durata può provocare in un individuo: braccio sinistro più grande e massiccio, ossa irrobustite in corrispondenza del polso sinistro, della spalla sinistra e delle dita della mano destra.

La gittata dell’arco lungo inglese, secondo alcuni storici, poteva superare i 300 metri. Sappiamo che nel 1542 Enrico VIII stabilì che la distanza minima di pratica per gli adulti dovesse essere di 200 metri per le frecce “da volo” (più leggere di quelle da guerra), di poco inferiore per quelle pesanti.

La dotazione militare di un arciere medievale prevedeva da 60 a 72 frecce. Nessun arciere scagliava tutte le sue frecce alla massima velocità: anche il combattente più fisicamente preparato si sarebbe affaticato in pochissimo tempo. Usando gli archi da guerra più pesanti, la media di lancio era di 6-8 frecce al minuto.

La difficoltà nell’utilizzo dell’arco lungo inglese viene mostrata in questo video in cui Luke Woods, esperto  nell’impiego dell’arco lungo inglese, insegna l’uso dell’arco lungo a Jason Kingsley, presentatore del canale Modern History TV.

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Equipaggiamento da guerriero scoperto sul sito della battaglia di Tollense https://www.vitantica.net/2019/10/18/equipaggiamento-guerriero-battaglia-tollense/ https://www.vitantica.net/2019/10/18/equipaggiamento-guerriero-battaglia-tollense/#comments Fri, 18 Oct 2019 00:14:42 +0000 https://www.vitantica.net/?p=4608 Nel 1996 fa un team di archeologi ha scoperto la località di un antico campo di battaglia dell’Età del Bronzo all’interno della Valle di Tollense, nella regione nord-orientale della Germania.

Il sito, risalente al II millennio a.C., ospitava i resti di oltre 140 individui e un’incredibile quantità di oggetti d’uso quotidiano; un gruppo di questi artefatti, in totale 31 oggetti, potrebbe costituire l’equipaggiamento personale di un guerriero.

La battaglia di Tollense

La battaglia della Valle di Tollense rappresenta il teatro del più antico conflitto violento dell’Età del Bronzo avvenuto nelle regioni settentrionali d’Europa. Dal sito chiamato Weltzin 20 sono state recuperate punte di freccia di selce e di bronzo, oltre a numerosissimi frammenti di oggetti di legno e di ossa umane.

La maggior parte delle ossa appartengono a maschi adulti in buone condizioni fisiche. Considerate le tracce di traumi ossei guariti da tempo e quelli “freschi”, gli archeologi ritengono che si tratti di guerrieri coinvolti in uno scontro violento combattuto con l’uso di armi da mischia e da lancio; la battaglia potrebbe aver visto la partecipazione di oltre 2.000 – 4.000 guerrieri.

Resti umani scoperti in uno dei siti della Valle di Tollense
Resti umani scoperti in uno dei siti della Valle di Tollense

Nei sedimenti fluviali del sito Weltzin 20 sono stati rinvenuti 31 oggetti che, in origine, erano probabilmente avvolti in un contenitore di materiale organico, contenitore ormai dissolto a causa dei naturali processi di decomposizione.

Le ricerche condotte alla Aarhus University hanno mostrato come le due fazioni appartenessero probabilmente a due distinti gruppi etnici: uno schieramento proveniva da una regione distante e aveva una dieta a base di miglio, una pianta poco conosciuta a Tollense. E’ possibile che lo scontro sia avvenuto lungo una delle “strade dello stagno”, una delle rotte commerciali su lunghe distanze utilizzate per scambiare questo metallo, indispensabile per produrre bronzo di buona qualità.

Il kit del guerriero

In cima al cumulo di oggetti è stato trovato un punteruolo di bronzo dal manico di betulla e un coltello. Sotto questi due utensili c’erano uno scalpello, frammenti di bronzo, tre oggetti cilindrici, tre frammenti di lingotti e una gamma di piccoli scarti di bronzo, probabilmente il risultato della lavorazione di questa lega.

In aggiunta, sono stati rinvenuti un contenitore da cintura, tre spilloni, una spirale di bronzo, un cranio umano e una costola. A distanza di 3-4 metri sono stati scoperti una punta di freccia di bronzo, un coltello di bronzo dal manico in osso, una spilla con testa a spirale e una seconda punta di freccia di bronzo con una parte dell’asta di legno ancora attaccata.

Inventario del gruppo di oggetti scoperti nel sito Weltzin 20
Inventario del gruppo di oggetti scoperti nel sito Weltzin 20

I 31 oggetti pesano in totale 250 grammi. “Si tratta della prima volta in cui si scopre una dotazione personale sul campo di battaglia, e fornisce indizi sull’equipaggiamento di un guerriero” spiega Thomas Terberger del Dipartimento di Preistoria dell’Università di Göttingen.

La datazione degli artefatti ha dimostrato che gli oggetti appartengono all’epoca in cui si svolse la battaglia. “Il bronzo sotto forma di frammenti” continua Terberger, “era probabilmente utilizzato come forma di moneta. La scoperta di un set di artefatti ci fornisce inoltre indizi sull’origine degli uomini che parteciparono a questa battaglia, e ci sono sempre più prove che alcuni di questi guerrieri fossero originari delle regioni meridionali dell’Europa Centrale.”

Un’enorme battaglia

Considerando che la densità della popolazione della regione si attestava a circa 5 individui per chilometro quadrato, i reperti rinvenuti nei siti della battaglia della valle di Tollense suggerirebbero che si sia trattato di uno scontro di proporzioni enormi per l’Età del Bronzo.

Si stima che nello scontro siano morti tra i 750 e i 1.000 guerrieri, con una mortalità pari al 20-25%. In una sola zona di 12 metri quadrati sono state trovate quasi 1.500 ossa, suggerendo che quella particolare zona lungo il fiume possa essere stata occupata da una pila di cadaveri, o che abbia rappresentato l’ultima postazione difensiva degli sconfitti.

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Nella battaglia furono impiegate lance, mazze, coltelli, archi e spade. Anche se non ci sono resti di spade all’interno del sito, alcune ferite sono coerenti con i danni causati da queste armi. Alcuni combattenti scesero in campo a cavallo, come testimoniano le ossa di almeno cinque cavalli: la posizione di una testa di freccia su un omero indicherebbe che un cavaliere sia stato colpito da un arciere a piedi.

Il fatto che non siano stato trovati altri oggetti tra le ossa, ad eccezione di punte di freccia, lascia supporre che i corpi siano stati depredati dopo la battaglia. I resti non presentano connessioni anatomiche, suggerendo che le vittime siano state gettate nel fiume per liberare il campo.

Fonti per “Kit del guerriero scoperto sul sito della battaglia di Tollense”

Tollense valley battlefield
Lost in combat?
Lost in combat? A scrap metal find from the Bronze Age battlefield site at Tollense

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Ninja: gli shinobi tra verità storica e mito https://www.vitantica.net/2019/03/18/ninja-shinobi-verita-storica-e-mito/ https://www.vitantica.net/2019/03/18/ninja-shinobi-verita-storica-e-mito/#respond Mon, 18 Mar 2019 00:10:01 +0000 https://www.vitantica.net/?p=3778 La popolarizzazione dei combattenti antichi avvenuta durante il XX secolo grazie al cinema e alla letteratura ha contribuito a creare figure leggendarie, spesso circondate da misteri mai esistiti, dotate di abilità mai possedute o relegate a ruoli mai assunti.

Una di queste figure è quella dello shinobi, conosciuto più comunemente come ninja. I ninja si prestano particolarmente alla spettacolarizzazione cinematografica: spie combattenti dotate di poteri soprannaturali ed equipaggiate con armi non tradizionali. Li abbiamo visti in tutte le salse, in una quantità incalcolabile di film d’azione e in panni per nulla attribuibili a spie giapponesi d’epoca medievale. Cosa c’è di vero, quindi, sui ninja?

Ninja: un termine poco utilizzato

Il termine “ninja” è stato storicamente poco utilizzato. Il ben più diffuso “shinobi”, una forma contratta di “shinobi-no-mono“, si trova nella letteratura giapponese fin dall’ VIII secolo (ad esempio, nell’opera poetica Man’yoshu) e significa “sottrarre; nascondersi”.

Shinobi è un termine generalmente destinato ad un utilizzo al maschile; per le spie di sesso femminile si utilizzava più comunemente la parola kunoichi. Questa distinzione tuttavia non fu utilizzata all’inizio della storia delle spie giapponesi: fino al XV secolo gli shinobi non erano formalmente raggruppati in clan, e qualunque spia poteva essere considerata shinobi.

Altri termini sono stati impiegati per identificare chi praticava attività di spionaggio: monomi (“colui che vede”), nokizaru (“macaco sul tetto”), rappa (“bandito”) e Iga-mono (“uomo di Iga”, una regione storicamente legata agli shinobi).

Esiste anche un’intero ventaglio di nomi regionali impiegati per definire uno shinobi: a Kyoto si usavano le parole “suppa, “ukami” o “dakkou“, mebntre nella prefettura di Miyagi la parola “kurohabaki“; a Niigata erano comuni invece “nokizaru“, “kanshi” e “kikimonoyaku“.

Shinobi e fonti storiche

Per quanto siano nate innumerevoli leggende sulle origini degli shinobi giapponesi, le fonti storiche degne di tale nome e in grado di descriverne l’origine e le attività in cui erano coinvolti sono scarse.

Le ragioni dell’assenza di fonti storiche sembrano essere legate sia alla segretezza delle loro vite, sia allo scarso interesse che suscitavano nelle corti del tempo, più interessate alle nobili gesta dei samurai che ai sotterfugi e alle meschinità delle spie.

La ripugnanza che suscitavano le attività si spionaggio ha origini antiche: l’episodio di Koharumaru, incaricato nel X secolo di spiare Taira no Masakado camuffato da trasportatore di carbone, è indicativo del disprezzo provato nei confronti le spie da parte della società nipponica del tempo.

Allo stesso tempo, tuttavia, le attività degli shinobi erano ritenute indispensabili per raccogliere informazioni o effettuare sabotaggi: nella cronaca Taiheiki (XIV secolo) si riporta l’episodio di uno shinobi particolarmente abile che riuscì a dare alle fiamme un intero castello.

Nei casi sopra citati gli shinobi non erano altro che soldati e samurai a cui venivano affidate missioni di spionaggio. Le prime, vere tracce storiche di individui esclusivamente dediti allo spionaggio risalgono al XV secolo: in questo periodo la parola shinobi identifica con chiarezza gruppi di agenti segreti volti a sabotare e infiltrarsi oltre le linee nemiche.

A partire dal XV secolo i ninja furono reclutati in svariate occasioni come spie, briganti, sabotatori, agitatori e terroristi; potevano compiere atti totalmente indecorosi per un samurai (anche se i samurai, di fatto, non perdevano occasione per compiere atti indegni e poco nobili) in un periodo, l’epoca Sengoku, in cui molti potentati locali erano impegnati in faide con i feudi confinanti.

Bansenshukai
Bansenshukai

Tutto ciò che sappiamo sulle abilità e sull’addestramento dei ninja proviene principalmente da manuali e rotoli realizzati meno di 4 secoli fa. A partire dal XVII secolo furono redatti diversi manuali di ninjutsu dai discendenti di Hattori Hanzo e del clan Fujibayashi, legato al clan Hattori: tra questi si contano il Ninpiden (1655), il Bansenshukai (1675) e lo Shoninki (1681).

Le scuole moderne di ninjutsu sono emerse tutte a partire dagli anni ’70 del 1900: benché basate sulle tecniche di alcuni manuali storici, l’autenticità delle scuole moderne è materia controversa per via dell’assenza di informazioni precise sulla discendenza dei maestri di ninjutsu.

Iga e Koga

Gli shinobi iniziarono ad organizzarsi in gilde composte da diverse famiglie di shinobi e a sviluppare un sistema di gradi: i jonin erano i ninja di rango più elevato, seguiti dai chunin e dai genin. Per quanto di basso rango, i genin svolgevano attività fondamentali come la raccolta di informazioni sensibili, il sabotaggio e l’infiltrazione.

E’ in questo periodo che le province di Iga e Koga iniziano a delinearsi come produttrici di shinobi di professione. I villaggi Iga e Koga addestravano uomini specificamente per le attività di spionaggio, nascosti tra montagne remote e inaccessibili in grado di custodire i segreti più preziosi dei ninja.

Tra il 1485 e il 1581 gli shinobi Iga e Koga furono utilizzati più volte dai daimyo giapponesi per raccogliere informazioni e sabotare il nemico, fino a quando Oda Nobunaga decise di radere al suolo i villaggi della provincia di Iga, costringendo i sopravvissuti a trovare rifugio tra le montagni di Kii o ad affidarsi a Tokugawa Ieyasu (come fece Hattori Hanzo, che divenne una delle guardie dello shogun).

Dopo l’insediamento dei Tokugawa, gli Iga assunsero il ruolo di guardie dello shogun a Edo, mentre i Koga quello di forza di polizia. Gli shinobi continuarono comunque a partecipare ad attività di spionaggio e infiltrazione: nel 1614, Miura Yoemon reclutò 10 shinobi per infiltrarli nel castello di Osaka e fomentare l’antagonismo nei nemici dei Tokugawa.

Con la caduta dei clan Iga e Koga, i daimyo iniziarono ad addestrare i loro shinobi: una legge del 1649 stabilì che solo i daimyo che guadagnavano più di 10.000 koku potevano possedere e addestrare ninja.

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Il ruoli dei ninja

Per quanto tendessero a svolgere ruoli contrari all’etichetta dei samurai, come spionaggio, sabotaggio e assassinio, molti shinobi erano loro stessi samurai o membri dell’esercito (come gli ashigaru). Non si trattava di truppe “anti-samurai” come spesso vengono dipinti: erano soldati specializzati in missioni segrete e spionaggio.

Samurai e Bushido

Spesso svolsero ruoli di fondamentale importanza in battaglie campali e furono impiegati dagli organi di governo dello shogunato per eseguire operazioni estremamente pericolose. Escludendo i villaggi delle regioni di Iga e Koga, gli shinobi erano spesso soldati scelti particolarmente versati nello spionaggio che partecipavano tuttavia anche ad assedi e scontri armati.

Il compito principale degli shinobi era quello di raccogliere informazioni sfruttando ogni mezzo possibile. Il sabotaggio (spesso portato a termine appiccando il fuoco a risorse strategicamente importanti del nemico) era un ruolo secondario ma altrettanto importante.

Il diario dell’abate Eishun, vissuto nel XVI secolo, descrive un attacco incendiario condotto da shinobi Iga:

Questa mattina, il sesto giorno dell’undicesimo mese del decimo anno di Tenbun, gli Iga sono entrati nel castello di Kasagi in segreto e hanno dato alle fiamme alcuni dei quartieri dei sacerdoti. Hanno incendiato anche i fabbricati all’interno del San-no-maru. Hanno catturato l’ Ichi-no-maru e il Ni-no-Maru.

Attribuire agli shinobi, in modo storicamente accurato, l’assassinio di personalità celebri è difficile: operazioni di questo tipo lasciano raramente tracce evidenti. Alcuni omicidi sono stati attribuiti ai ninja posteriormente al fatto, senza alcuna prova sostanziale di un loro coinvolgimento nel delitto.

Sappiamo tuttavia che Oda Nobunaga subì diversi tentativi d’omicidio da parte di alcuni shinobi, come un tiratore scelto Koga nel 1571 (Sugitani Zenjubo) e nel 1573 (Manabe Rokuro). Lo shinobi Hachisuka Tenzo fu invece inviato da Nobunaga per assassinare il daimyo Takeda Shingen.

Ninjutsu, le arti dello spionaggio

Con il termine ninjutsu si identifica in tempi moderni l’ampio bagaglio di abilità che uno shinobi doveva possedere per far fronte ad ogni circostanza avversa.

Il primo addestramento allo spionaggio specializzato sembra essere emerso verso la metà del XV secolo: gli shinobi iniziavano l’addestramento da giovanissimi e imparavano tecniche di sopravvivenza e di sorveglianza, l’uso di veleni ed esplosivi e abilità fisiche come l’arrampicata, la corsa su lunghe distanze e il nuoto.

Sappiamo inoltre che alcuni ninja, come lo shinobi Iga riportato in un resoconto storico relativo a Ii Naomasa, disponevano di conoscenze mediche utili in battaglia; per ridurre al minimo il loro odore corporeo, tendevano ad avere una dieta vegetariana in preparazione di una missione.

Monaco komuso
Monaco komuso

Gli shinobi dovevano necessariamente possedere anche la conoscenza di svariati mestieri per poter infiltrarsi tra il nemico sotto mentite spoglie. Si travestivano spesso da sacerdoti, monaci, mendicanti, mercanti, ronin e intrattenitori: travestirsi da sarugaku (menestrello) consentiva di infiltrarsi all’ìinterno degli edifici nemici, mentre l’abito dei monaci komuso permetteva di mascherare completamente il volto tramite il tipico cappello a canestro.

Le tecniche di spionaggio, d’infiltrazione e “stealth” venivano vagamente raggruppate in quattro gruppi: tecniche di fuoco (katon-no-jutsu), d’acqua (suiton-no-jutsu), di legno (mokuton-no-jutsu) e di terra (doton-no-jutsu).

Grazie ad alcuni manuali e rotoli custoditi per generazioni dai clan di shinobi, siamo in grado ci conoscere alcune delle strategie utilizzate per lo spionaggio:

  • Hitsuke: distrarre le guardie appiccando fuochi lontano dal punto d’ingresso dello shinobi;
  • Tanuki-gakure: arrampicata sugli alberi e camuffamento tra il fogliame. Rientra tra le “tecniche di legno”;
  • Ukigusa-gakure: uso delle piante acquatiche per nascondere i movimenti subacquei;
  • Uzura-gakure: rannicchiarsi come una palla e rimanere immobili per apparire come una roccia.
Miti e leggende metropolitane sui ninja
Abiti neri

Indossare un distintivo abito nero per raccogliere informazioni non è molto pratico: è estremamente riconoscibile tra una folla vestita in abiti tradizionali o contadini. Come accennato in precedenza, gli shinobi preferivano di gran lunga mimetizzarsi nel tessuto sociale indossando gli abiti di figure comuni di “basso profilo”.

Abiti blu

Circola una sorta di “correzione” del mito legato alle uniformi nere dei ninja: erano blu, il miglior colore per nascondersi durante la notte. L’uso del colore blu appare in uno dei manuali scritti durante il XVII secolo, ma viene semplicemente consigliato perché era un pigmento comune nella moda del tempo e utile a non distinguersi.

Spade dritte

In molte film il ninja impugna spade dal filo dritto. Non esiste alcuna prova che gli shinobi utilizzassero questo tipo di spade, che richiedevano una lavorazione differente dalle lame da combattimento normalmente prodotte dai fabbri giapponesi.

La prima apparizione di queste spade dritte (ninjato) è del 1956 nel libro “Ninjutsu” di Heishichiro Okuse; la forma delle “spade ninja” fu poi popolarizzata dal Ninja Museum di Igaryu nel 1964.

Ninjutsu e combattimento

Nessuno dei tre manuali storici del ninjutsu (Ninpiden, Bansenshukai e Shoninki) riporta tecniche di combattimento. Il Bansenshukai dice soltanto che uno shinobi dovrebbe allenarsi nel combattimento con la spada, ma non fornisce alcuna istruzione sul combattimento.

Questo non significa che i ninja non fossero combattenti, ma che molto probabilmente provenivano da classi guerriere. Si dava per scontato che conoscessero i fondamentali del combattimento: il ninjutsu non era un’arte marziale, ma una collezione di tecniche di sopravvivenza, spionaggio e sabotaggio.

NINJAS IN JAPAN AND THEIR HISTORY
25 Fascinating Facts About The Real Ninja Of History
THE SHOCKING TRUTH ABOUT NINJA MARTIAL ARTS (FROM HISTORICAL DOCUMENTS)

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Le armi dell’ Esercito di Terracotta https://www.vitantica.net/2018/10/26/armi-esercito-terracotta/ https://www.vitantica.net/2018/10/26/armi-esercito-terracotta/#respond Fri, 26 Oct 2018 02:00:10 +0000 https://www.vitantica.net/?p=2375 Il primo imperatore della Cina, Qin Shi Huang, fu un personaggio leggendario quanto particolare: fece giustiziare eruditi e bruciare libri (stando ai suoi detrattori dell’epoca), era talmente ossessionato con l’ immortalità da morire da avvelenamento da mercurio, diede inizio ai lavori di costruzione della Grande Muraglia e, come tocco finale, fu sepolto in un mausoleo grande quanto un’intera città in compagnia di migliaia soldati di terracotta.

Secondo le stime più recenti, ciò che viene definito l’ Esercito di Terracotta conterebbe oltre 8.000 fanti, 130 carri da guerra trainati da 520 cavalli di terracotta e almeno 150 cavalieri, oltre ad una folta schiera di ufficiali governativi, acrobati e musicisti.

Sima Qian, storico che narrò i lavori di costruzione della tomba dell’imperatore circa un secolo dopo la morte del monarca, racconta che i lavori ebbero inizio nel 246 a.C. quando Qin aveva 13 anni e che durarono circa 40 anni; l’opera di costruzione coinvolse circa 700.000 persone tra scavatori, scultori, carpentieri, architetti, alchimisti e fabbri.

Ed è proprio del lavoro dei fabbri che hanno partecipato alla realizzazione dell’Esercito di Terracotta che parleremo in questo post. Dalle tre fosse in cui sono stati scoperte le migliaia di soldati di terracotta sono state estratte decine di migliaia di armi di bronzo, oggetti che ancora oggi sono in corso di studio e di catalogazione da parte degli archeologi di tutto il mondo e che hanno sollevato un importante interrogativo: come fu possibile organizzare e portare a termine la realizzazione di decine di migliaia di armi in soli 38 anni?

Una quantità immensa di armi
Distribuzione delle armi in una delle tre fosse che ospitano i guerrieri di terracotta
Distribuzione delle armi in una delle tre fosse che ospitano i guerrieri di terracotta

Armare un esercito non è un compito facile, anche se si tratta di soldati di terracotta difficilmente destinati ad una battaglia reale. E’ un lavoro che richiede una quantità immensa di fabbri, una pianificazione scrupolosa e un’enorme disponibilità di fondi economici.

Molti rimangono stupiti dai lineamenti sempre diversi dei soldati (furono utilizzati almeno 10 stampi per le teste, aggiungendo dettagli dopo la cottura dell’argilla), dall’incredibile livello di dettaglio dei loro volti e dallo sguardo risoluto ma assente che li caratterizza; ben pochi sanno, tuttavia, che ciascuno di questi soldati era dotato di un armamentario degno di un guerriero in carne ed ossa.

Fino ad ora sono state rinvenute oltre 40.000 punte di freccia, centinaia di grilletti per balestre, spade di bronzo, lance e alabarde in uno stato di conservazione tale da poter offendere mortalmente ancora oggi. Molte delle armi in dotazione ai soldati di terracotta furono saccheggiate poco dopo il termine dei lavori o finirono per disgregarsi col passare del tempo (soprattutto le parti in legno), ma rimangono ancora moltissimi oggetti a testimoniare l’incredibile lavoro dei fabbri cinesi.

L’elemento ancora più sorprendente di questo apparato bellico è rappresentato dai tempi di realizzazione: per edificare il mausoleo, costruire l’armata di terracotta e le armi ad essa destinata furono necessarie solo quattro decadi, un’opera titanica se si considerano i mezzi tecnologici dell’epoca.

L’analisi della distribuzione delle armi ha contribuito a svelare alcune delle strategie delle armate di Qin: i grilletti di balestra evidenziano la posizione dei balestrieri sui fianchi e nelle prime linee, mentre le armi da carro posizionano queste letali macchine da guerra verso il centro della formazione da battaglia.

Le balestre
La balestra più completa scoperta nel sito degli scavi. Ha un arco di 145 centimetri ed è lunga 130 centimetri.
La balestra più completa scoperta nel sito degli scavi. Ha un arco di 145 centimetri ed è lunga 130 centimetri.

Ad oggi sono stati rinvenuti 250 grilletti da balestra in bronzo, l’unica parte dell’arma in grado di conservarsi con il trascorrere dei secoli. Ogni grilletto è composto da un meccanismo in tre parti unite da due perni: l’analisi dettagliata di questi pezzi ha mostrato piccole differenze di costruzione legate molto probabilmente a stampi di forme differenti provenienti da botteghe che seguivano differenti metodologie di fusione e lavorazione del bronzo.

Da queste piccole differenze emerge un quadro complesso e differente dalla catena di montaggio che ci si aspetterebbe per realizzare decine di migliaia di oggetti: ogni bottega era incaricata di armare una sezione dell’esercito di terracotta e le armi che i guerrieri indossano rispecchiano particolari metodi di fusione e di lavorazione del bronzo. Questo metodo di lavoro consentì ad ogni fabbro di operare indipendentemente dal resto delle botteghe coinvolte nella realizzazione degli armamenti dei soldati di terracotta.

Punte di freccia

Le punte di freccia sono l’arma più comune nelle fosse che ospitano i soldati di terracotta e sono raccolte in gruppi da 100, rappresentando la dotazione standard di ogni faretra da balestriere. Le punte hanno una forma triangolare e un punto di congiunzione cilindrico che un tempo le teneva attaccate al fusto della freccia.

Contrariamente ai grilletti da balestra, le frecce sono tutte molto somiglianti, con variazioni di forma e dimensioni statisticamente non rilevanti, almeno in apparenza. Le punte hanno un contenuto di stagno più alto del normale per ragioni pratiche: il bronzo ad alto contenuto di stagno tende ad essere più duro e affilato, un materiale ideale per un’arma penetrante come la punta di una freccia.

Il raggruppamento delle frecce indicherebbe che la loro realizzazione sia avvenuta suddividendo i fabbri in “cellule” semi-autonome che sfruttavano gli stessi forni per metalli e gli stessi stampi per ottenere punte di freccia molto simili tra loro e dalla composizione chimica quasi identica.

Grilletti e frecce, quindi, furono realizzati in tempi relativamente brevi e in grandi quantità grazie al lavoro parallelo di diverse officine, autonome nelle procedure di fusione e modellazione del bronzo. Questo metodo di lavoro, molto diverso da una singola e mastodontica catena di montaggio, richiede fabbri esperti e strumentazione ridondante, ma è molto meno suscettibile a cambiamenti nel progetto iniziale: dato che il mausoleo di Qin rimane ancora oggi un’opera unica nel suo genere, è plausibile che i progetti iniziali possano aver subito modifiche in corso d’opera.

L’organizzazione del lavoro

 

Tipi di statue presenti nell'esercito di terracotta di Qin
Tipi di statue presenti nell’esercito di terracotta di Qin

Ma come mantenere uno standard quando sono al lavoro fabbri con diversi livelli di competenza e differenti mezzi tecnici a disposizione? Analizzando le lance, le spade e le alabarde è possibile risalire fino a 4 livelli di supervisione indicati dalle iscrizioni incise sulle armi.

Il primo livello era probabilmente un controllo di qualità operato dagli stessi fabbri, mentre l’ultimo, riservato alle armi da assegnare a ufficiali o generali dell’armata di terracotta, era rappresentato dallo stesso Primo Ministro di Qin e dai suoi funzionari di rango più elevato.

Le lunghe iscrizioni di lance e alabarde forniscono numerose informazioni, come la bottega di produzione e il fabbro responsabile della realizzazione dell’arma. L’analisi minuta dei segni di lima rimasti impressi sui punti di giunzione o sulle lame delle armi ha inoltre rivelato incisioni in grado di separare il lavoro di una bottega da un altro: il lavoro di affilatura sembra essere stato effettuato utilizzando sistemi rotatori differenti da fabbro a fabbro, con solchi caratteristici che hanno lasciato segni distinguibili su ogni lama o punta di freccia.

I fabbri che lavorarono all’ Esercito di Terracotta sembrano quindi aver operato in celle semi-indipendenti assegnate a particolari sezioni dell’esercito d’argilla, con vari livelli di supervisione decentralizzata fino ad un controllo di qualità centrale operato da alti funzionari governativi.

Le armi dell’esercito di terracotta dovevano rispettare uno standard severo, come se fossero destinate a soldati pronti a scendere in guerra; alcune mostrano addirittura segni di utilizzo, lasciando intendere che fossero state realmente impiegate in battaglia. Non erano armi cerimoniali, ma vere e propri strumenti da combattimento destinati ad accompagnare l’imperatore Qin nell’aldilà.

Making Weapons for the Terracotta Army

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Grandi guerrieri d’Oriente https://www.vitantica.net/2018/10/16/grandi-guerrieri-oriente/ https://www.vitantica.net/2018/10/16/grandi-guerrieri-oriente/#comments Tue, 16 Oct 2018 02:00:37 +0000 https://www.vitantica.net/?p=2307 La storia di terre lontane come India, Cina e Giappone viene spesso sottovalutata da noi europei. Si tratta di regioni che per millenni interi sono state caratterizzate da ondate di conquista e di disgregazione, da riunificazioni e separazioni continue che hanno portato alla nascita di guerrieri e generali rimasti nella leggenda.

La memoria di alcuni di questi personaggi sopravvive ancora oggi nella tradizione popolare ed è stata ulteriormente rafforzata da pellicole cinematografiche di grande successo, da libri di grande tiratura e addirittura da videogames forse meno conosciuti in Occidente ma molto popolari sul vastissimo mercato asiatico.

 

Prithviraj Chauhan (XVII secolo)

Prithviraj Chauhan

Prithviraja III, signore della guerra indiano della dinastia Chahamana, ereditò il trono all’età di 11 anni dopo essere stato dichiarato il legittimo successore grazie alle sue prodezze in battaglia e al coraggio dimostrato in innumerevoli scontri armati.

Secondo la tradizione, Prithviraja fu in grado di sconfiggere un leone a mani nude, un gesto che solo pochi altri uomini della leggenda furono in grado di compiere. Non solo: Prithviraja era in grado di combattere bendato, colpendo il bersaglio con un arco senza mai sbagliare.

La sua capacità di combattere in totale cecità gli tornò utile quando fu catturato da Muhammad di Ghor: i suoi carcerieri lo torturarono e gli bruciarono i bulbi oculari servendosi di ferri arroventati. Quando Muhammad decise di ridicolizzare il suo prigioniero illustre organizzando una gara di tiro con l’arco, Prithviraja colpì senza esitazione il centro del bersaglio lasciando sbalorditi i presenti.

Prithviraja riuscì a liberarsi dalla sua prigionia uccidendo in un sol colpo Muhammad dopo aver seguito il suono della sua voce.

 

Tsutsui no Jomyo Meishu (XII secolo)

Tsutsui no Jomyo Meishu

Il Giappone sembra essere stata la terra natale di molti guerrieri leggendari, ma samurai e shinobi non furono gli unici gruppi guerrieri ad addestrare combattenti capaci e temibili: Tsutsui no Jomyo Meishu fu infatti un monaco guerriero vissuto nel XII secolo ed è considerato uno dei combattenti più temibili dell’intera storia del Giappone.

Armato di naginata, spada, arco e una faretra ricolma di frecce, Jomyo Meishu si rese noto per la difesa del suo monastero sul fiume Uji contro le schiere di samurai Taira bramose di conquista. A separarlo dal nemico c’era solo un ponticello di legno composto da due lunghe travi che solcavano il corso d’acqua.

Lasciandosi alle spalle i suoi compagni, Jomyo Meishu scagliò una freccia verso il nemico (colpendo alla gola un soldato) e gridò “Sono il monaco Jomyo Meishu di Tsutsui, un guerriero che vale migliaia di uomini. Se qualcuno si considera alla pari, che si faccia avanti. Lo incontrerò!“.

I samurai Taira risposero al fuoco, mancandolo di un soffio. Jomyo Meishu svuotò quindi la sua faretra colpendo mortalmente 12 samurai e ferendone altri 11, senza mai mancare il bersaglio.

Ancora insoddisfatto, Jomyo Meishu attraversò con furia le travi di legno brandendo la sua naginata e uccidendo cinque uomini in un batter d’occhio. L’arma si incagliò nel corpo di un sesto soldato, costringendo il guerriero ad estrarre la sua spada: armato di katana uccise altri otto uomini fino alla rottura dell’arma sul cranio del nono samurai Taira.

Ma Jomyo Meishu non aveva finito: estrasse il pugnale e continuò a combattere fino a rimanere a mani nude. A quel punto fu preso con la forza dai suoi compagni e condotto lontano dalla battaglia.

 

Miyamoto Musashi (XVI – XVII secolo)

Musashi Miyamoto

E’ molto difficile riassumere la vita di Miyamoto Musashi in qualche paragrafo, ma molti guerrieri antichi e moderni lo considerano il più grande spadaccino di tutti i tempi. La sua carriera iniziò da ragazzino, quando decise che avrebbe dedicato la sua vita al perfezionamento dell’arte della scherma.

Iniziò a vagabondare per il Giappone all’età di 15-16 anni lasciando l’eredità di famiglia al marito della sorella e sconfiggendo avversari di ogni scuola di scherma armato soltanto di un bokken, una spada di legno usata per l’allenamento. Dopo la Battaglia di Sekigahara, Musashi sparì dalla circolazione per 2-3 anni apparendo nuovamente nelle cronache a Kyoto, ormai ventenne.

Uno dei momenti che lo resero immortale nella storia della scherma fu la faida contro la scuola Yoshioka di Kyoto, una delle otto scuole più rinomate della città. Dopo aver sconfitto il maestro (Seijuro) e suo fratello (Denshichiro) presentandosi in ritardo, come suo solito, per innervosire il suo avversario, Musashi si trovò nella rete di una cospirazione che coinvolse ogni membro della scuola rivale e volta ad uccidere il guerriero leggendario.

Dopo l’organizzazione di un terzo duello da svolgersi durante la notte (l’avversario sarebbe stato Yoshioka Matashichiro, al tempo dodicenne), Musashi si insospettì e si recò sul luogo dello scontro diverse ore prima scoprendo che la scuola Yoshioka aveva intenzione di nascondere spadaccini e arcieri nella boscaglia per ucciderlo non appena si fosse fatto vivo per il duello.

Al momento opportuno, Musashi uscì dal suo nascondiglio uccidendo in un sol colpo il suo avversario con il bokken; ritrovatori circondato, estrasse le sue due spade (vere) e si ricavò una via d’uscita a colpi di fendenti, sparendo nella notte in una scia di sangue.

Il suo duello più famoso fu quello del 1612 con Sasaki Kojiro, spadaccino noto come “Il Demone delle Province Occidentali”: Musashi si presentò in ritardo all’appuntamento e armato di un bokken ricavato sul momento dal remo della barca che lo aveva trasportato fino al luogo dello scontro.

 

Hattori Hanzo (XVI secolo)

Hattori Hanzo, guerrieri d'oriente

Hattori Hanzo è considerato il più celebre ninja della storia del Giappone. La sua abilità nel combattimento e nelle tecniche di evasione era tale da fargli conquistare il nome “Hanzo il Demone”; era anche noto per la sua estrema abilità nel maneggiare la lancia.

La famiglia Hattori fu una servitrice di minore entità del clan Matsudaira (successivamente noto come Tokugawa) che risiedeva nella provincia di Iga, nota per le sue spie e circondata da un alone di mistero.
Il suo addestramento iniziò in tenera età e le sue prime missioni da shinobi si svolsero a 12 anni. Nel corso degli anni successivi perfezionò le abilità da ninja e da samurai raggiungendo livelli considerati soprannaturali dai suoi nemici.

All’età di 16 anni partecipò alla sua prima vera battaglia, l’assedio al Castello di Udo. Negli anni successivi partecipò al salvataggio di ostaggi Tokugawa al Castello di Kaminogo e partecipò all’assedio del Castello di Kakegawa nel 1569.

 

Xiahou Dun (II – III secolo d.C.)

Grandi guerrieri d'Oriente

Chiamato “il Drago con un solo occhio”, Xiahou Dun era così temibile da costringere alla fuga qualunque soldato comune. La sua figura entrò nella leggenda quando fu colpito all’occhio durante una battaglia contro Lu Bu: dopo aver estratto la freccia dall’orbita, si infilò il bulbo oculare in bocca e iniziò a masticarlo.

La tradizione lo dipinge come un eroe modesto e rispettoso, oltre che ligio al dovere: nelle “Cronache dei Tre Regni” si racconta che scese in guerra accompagnato dal suo educatore per terminare la sua formazione.

All’età di 13-14 anni pare che uccise un uomo che aveva osato insultare il suo maestro e da allora la sua fama crebbe a dismisura fino a diventare uno degli uomini di fiducia di Cao Cao.

 

Wu Mei (o Ng Mui, XVII secolo)

Ng Mui

Considerata un vero e proprio genio delle arti marziali, Wu Mei faceva parte dei leggendari “Cinque Anziani dello Shaolin” e sopravvisse alla distruzione del tempio sotto la dinastia Qing. Figlia di un generale della corte imperiale Ming, aveva ricevuto un’educazione da nobile e aveva iniziato l’addestramento alle arti marziali in tenera età.

La sua abilità più nota era quella di riuscire ad “assorbire” le tecniche marziali di altre scuole, capacità che la portò ad elaborare una serie di nuove metodologie di combattimento a mani nude tra cui il Wing Chun, Ng Mui e Airone Bianco.

 

Lu Bu (II secolo d.C.)

Grandi guerrieri asia

Descritto come un uomo imponente e che incuteva un timore irrefrenabile, Lu Bu possedeva incredibili abilità di combattimento, era un arciere formidabile e un cavaliere esperto. Era soprannominato “Generale Volante” per la sua abilità marziale e cavalcava un destriero che chiamava “Lepre Rossa”.

Una delle sue caratteristiche più note era il suo scarso senso di lealtà: era noto per i suoi cambi di schieramento in base alla convenienza e cambiò ben cinque maestri, servendoli per poi tradirli per ragioni più o meno futili; intrattenne addirittura una relazione amorosa con la moglie di uno dei maestri e adorava andare a letto con le compagne dei suoi soldati.

Secondo i resoconti dell’epoca, possedeva un temperamento mutevole, aveva una scarsa capacità di pianificazione e di gestione del suo battaglione, era costantemente corroso dal sospetto e non era in grado di gestire i suoi subordinati.

La sua serie di tradimenti fu interrotta da signore della guerra Cao Cao, che lo condannò all’impiccagione.

 

Dian Wei (II secolo d.C.)

Montagna d’uomo che brandiva due alabarde del peso di 20 kg ciascuna. Servì sotto Cao Cao fino a ricoprire il ruolo di comandante e di guardia personale del signore della guerra. Dian Wei aveva l’ambizione di diventare uno youxia, un eroe popolare traducibile come “vigilante errante”.

Secondo la leggenda, poteva impugnare 10-12 lance in una volta sola e indossare una doppia armatura senza perdere in forza e velocità. Nel ruolo di guardia personale, brandiva un’ascia gigante dalla lama di 33 centimetri e stazionava di fronte alla tenda di Cao Cao dall’alba al tramonto, dormendo di fianco alla tenda del suo comandante quasi ogni notte.

Incontrò la morte nella Battaglia di Wancheng coprendo la fuga di Cao Cao dall’esercito di Zhang Xiu.

 

Saito Musashibo Benkei (XII secolo)

Monaco guerriero Benkei

Noto fin dall’adolescenza come Oniwaka (“figlio di un demone”), Benkei era un uomo enorme dalla forza straordinaria che, secondo la tradizione, sconfisse almeno 200 uomini in battaglia e quasi un migliaio in duello.
Ricevette un’educazione guerriera viaggiando per svariati monasteri buddisti del Giappone, prediligendo la naginata come arma primaria.

Benkei si rese noto girando i dintorni di Kyoto ogni notte nel tentativo di ottenere 1000 spade da altrettanti samurai, guerrieri che lui considerava vanitosi e arroganti. Dopo aver collezionato 999 spade ci fu l’incontro che cambiò la sua esistenza: un piccolo uomo dall’aspetto nobiliare lo sconfisse in duello, rivelando successivamente di essere Minamoto no Yoshitsune, uno dei più celebri samurai e generali dell’intera storia del Giappone.

L’episodio della sua morte ha un livello di epicità incredibile: per difendere il suo signore, Benkei si posizionò sul ponte che costituiva l’unica via d’accesso al Castello di Koromogawa, dove si nascondeva Yoshitsune. Dopo aver perso qualche dozzina di uomini per mano del monaco guerriero, il nemico decise di abbattere il gigante a colpi di frecce: man mano che Benkei uccideva soldati, venivano scagliate frecce nei punti vitali senza tuttavia ottenere alcun risultato apparente.

Dopo la morte di circa 300 soldati per mano del guerriero, il nemico rimase impietrito nell’osservare Benkei trafitto da decine di frecce ma ancora in piedi, immobile, stagliarsi sul ponte. Con timore alcuni soldati si avvicinarono e si accorsero che il gigante era in realtà morto da diversi minuti, per quanto continuasse a reggersi sulle sue gambe.

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