case – VitAntica https://www.vitantica.net Vita antica, preindustriale e primitiva Thu, 01 Feb 2024 15:10:35 +0000 it-IT hourly 1 Il wigwam (o wikiup), la capanna dei nativi americani https://www.vitantica.net/2019/05/06/wigwam-wikiup-capanna-nativi-americani/ https://www.vitantica.net/2019/05/06/wigwam-wikiup-capanna-nativi-americani/#respond Mon, 06 May 2019 00:03:50 +0000 https://www.vitantica.net/?p=4089 Quando i primi esseri umani anatomicamente moderni sentirono la necessità di trovare riparo dalle intemperie e dalle minacce dell’ecosistema in cui vivevano, iniziarono a sfruttare ogni risorsa naturale a loro disposizione: anfratti nella roccia, fronde spinose disposte a cerchio, cavità naturali nel terreno e ogni tipo di materiale vegetale e animale a loro disposizione.

Uno dei rifugi più versatili e diffusi in Nord America fu quello che i nativi chiamarono wigwam, wickiup o wetu, una capanna semi-permanente a cupola realizzata con legno, cordame ottenuto da fibre vegetali o animali e qualunque materiale di copertura facilmente ottenibile nell’ecosistema di residenza.

Meno trasportabile del tipi ma più resistente ad ogni evento atmosferico, il wigwam si diffuse rapidamente in tutte le culture cacciatrici-raccoglitrici semi-nomadi perché costituiva un riparo semplice da realizzare e risultava molto efficace contro la maggior parte dei pericoli ambientali.

Struttura del wigwam

La struttura del wigwam è costituita da un telaio di pali di legno flessibili disposti a cupola, e da una copertura di fogliame, erba, corteccia o pelli in grado di rendere impermeabile e termicamente isolato questo tipo di rifugio.

Le caratteristiche costruttive del wigwam variano in base alla cultura, disponibilità di materiali e al clima: i wigwam costruiti in aree desertiche, ad esempio, spesso presentano una copertura solo accennata, data la scarsità di precipitazioni; i wigwam realizzati in regioni più fredde, invece, possono presentare strati di copertura multipli per isolare gli occupanti dal gelo e dalle intemperie.

Wigwam del popolo Ojibwe in una foto del XIX secolo
Wigwam del popolo Ojibwe in una foto del XIX secolo

Il telaio del wigwam viene generalmente realizzato con rami verdi o fusti d’albero sottili lunghi da 3 a 5 metri. La flessibilità è una proprietà meccanica di primaria importanza, senza la quale non è possibile costruire una struttura a cupola resistente e duratura.

I pali vengono piantati verticalmente nel terreno lungo un perimetro circolare del diametro di 3-5 metri e poi incurvati e conficcati nella terra in modo tale da formare un telaio a cupola.

I pali strutturali più lunghi formeranno le arcate che attraverseranno il centro del perimetro circolare, mentre quelli più corti verranno disposti all’esterno.

Per rendere la struttura più resistente, gli archi vengono assicurati tra loro da altri pali flessibili disposti parallelamente al terreno, formando un telaio a griglia in grado di resistere a vento, pioggia e neve.

Una volta terminato il telaio, sarà necessario ricoprire la struttura con erba, fogliame, pelli o corteccia in modo tale da isolarla dall’ambiente esterno.

Stili differenti di wigwam

I wickiup delle culture nordamericane della costa occidentale presentavano notevole varietà in quanto a dimensioni, forme e materiali impiegati per la loro realizzazione.

Wigwam in grado di ospitare un'intera famiglia
Wigwam in grado di ospitare un’intera famiglia

Gli Acjachemen californiani, ad esempio, costruivano rifugi conici sfruttando la flessibilità dei rami di salice e impiegando come copertura stuoie intessute con foglie di tule (Schoenoplectus acutus). Questi wickiup, chiamati localmente kiichas, erano rifugi temporanei utilizzati soltanto per dormire o per trovare riparo in caso di pioggia forte.

Gli apache Chiricahua, invece, costruivano strutture a cupola alte circa 2,5 metri e larghe oltre 2 metri usando arbusti freschi di quercia o di salice disposti a intervalli di 30 centimetri lungo la pianta circolare della capanna.

I pali erano poi legati tra loro con fibre di foglie di yucca e ricoperti da erba; al centro della capanna veniva realizzata un’apertura per lasciar fuoriuscire il fumo prodotto dal focolare interno, mentre l’ingresso era chiuso da una pelle animale sospesa in corrispondenza dell’entrata.

Secondo l’antropologo Morris Opler, il wickiup dei Chiricahua era quasi interamente costruito e gestito dalle donne:

“La donna non solo realizza l’arredo della casa ma è responsabile della costruzione, del mantenimento e della riparazione del rifugio e per la pianificazione di ogni cosa che lo riguardi. Ottiene l’erba e gli arbusti per i letti e li sostituisce quando sono troppo vecchi e secchi”.

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Vantaggi del wigwam rispetto al tipi

Il tipico wigwam degli Stati Uniti nord-occidentali ha una superficie a cupola in grado di resistere anche a fenomeni atmosferici violenti.

Il wickiup è più complesso da realizzare rispetto ad un tipi, necessita di più tempo ed è meno trasportabile, elementi non ideali per una cultura che fa del totale nomadismo il suo stile di vita.

Ma per le società semi-nomadi che risiedono in ambienti caratterizzati da eventi atmosferici di una certa rilevanza, il wigwam costituisce il riparo perfetto per un’intera famiglia.

I wigwam potevano assumere forme e dimensioni molto variabili, dipendenti dalle necessità del momento e dalla disponibilità di materiale: dai piccoli wickiup adatti ad ospitare 2-3 persone per la notte fino a grandi wigwam in grado di accogliere un’intera famiglia allargata composta da oltre una dozzina di individui.

Quando un wigwam o un wickiup terminavano la loro “vita operativa” venivano semplicemente abbandonati o dati alle fiamme; trovata una nuova località più adatta ad accamparsi, venivano facilmente ricostruiti in una giornata di lavoro con la collaborazione dell’intera famiglia o della tribù d’appartenenza.

 

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Case a fossa riutilizzate per oltre 1.000 anni durante l’Età della Pietra https://www.vitantica.net/2018/01/23/case-a-fossa-eta-della-pietra/ https://www.vitantica.net/2018/01/23/case-a-fossa-eta-della-pietra/#respond Tue, 23 Jan 2018 02:00:35 +0000 https://www.vitantica.net/?p=1287 Quando si pensa agli esseri umani dell’Età della Pietra si tende ad immaginarli seminudi, intenti a costruire armi di selce di fronte ad un fuoco da campo e riparati dalle pareti di roccia di una caverna. La verità è che gli uomini del tempo erano simili a noi in tutto e per tutto: indossavano abiti complessi, avevano rituali sociali e religiosi articolati e vivevano in tende, capanne di legno o case di terra (case a fossa) che tendevano a mantenere e a riutilizzare anche per un intero millennio.

Case utilizzate per secoli

L’archeologo norvegese Silje Fretheim del Dipartimento di Archeologia e Storia Culturale alla Norwegian University of Science and Technology ha scoperto che molti rifugi e case del Mesolitico, spesso realizzate con legna e strati isolanti di terra, sono stati abitati per oltre 1.000 anni con intervalli di 40-50 anni prima del loro riutilizzo. “Pochi edifici esistenti sono sopravvissuti per 1.000 anni. L’utilizzo per un tempo così lungo ci dice che c’era una ragione valida per mantenere queste abitazioni” spiega Fretheim.

Il Mesolitico norvegese durò per quasi 5.500 anni: la Norvegia era inizialmente abitata da clan di cacciatori-raccoglitori nomadi che nell’arco dei secoli diventarono sempre più sedentari, passando da tende in pelle d’animale ad abitazioni più permanenti.

“Ho figli che vanno a scuola e ho scoperto che la maggior parte degli istituti insegna ancora che i popoli dell’Età della Pietra vivevano nelle caverne. Non lo facevano” afferma Fretheim.

Sito archeologico e "cerchio da tenda"
Sito archeologico e “cerchio da tenda” presso Mohalsen, Norvegia, risalente a circa 10.000 anni fa. Photo: Hein B. Bjerck

L’archeologo e il suo team hanno analizzato 150 siti risalenti al Mesolitico, molti dei quali straordinariamente ben conservati grazie al clima nordeuropeo. “In altre parti del mondo, i resti di case dell’ Età della Pietra e le tracce lasciate dai loro abitanti sono sepolti sotto i campi coltivati moderni, o si trovano sott’acqua perché il terreno vicino alla costa affondò dopo l’ultima era glaciale.”

“In Norvegia comunque” continua il ricercatore, “i resti del Mesolitico sono in ottimo stato perché le aree attorno alla costa si sono invece sollevate dopo la scomparsa del ghiaccio. Un’altra ragione è il fatto che l’agricoltura in Norvegia è stata meno intensiva e non ha coperto le tracce dell’Età della Pietra”.

I rifugi del Mesolitico più mobili, come le tende, hanno lasciato quelli che vengono definiti “anelli da tenda”, anelli di pietre posizionati attorno alle pelli animali del rifugio per evitare che svolazzassero al vento.

Dalle tende alle case permanenti: case a fossa

Queste aree tendono a contenere anche una discreta concentrazione di rifiuti e artefatti prodotti dalle attività umane. “L’area di questi ripari ricopriva una superficie dai 5 ai 10 metri quadrati, elemento che potrebbe indicare che i nuclei familiari si spostassero assieme alle loro tende” spiega Fretheim.

9.500 anni fa iniziò tuttavia una rivoluzione nelle soluzioni abitative: con il ritiro progressivo dei ghiacci le case si fanno più grandi e permanenti e le tende vengono gradualmente sostituite da quelle che vengono definite “case a fossa”, abitazioni scavate nel terreno con le pareti ricoperte da terra che diventarono il principale tipo di casa utilizzato durante il Neolitico nordeuropeo. “Diverse famiglie vivevano assieme o forse diversi team di caccia condividevano le stesse case” sostiene Fretheim.

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Le case a fossa erano una soluzione abitativa di nuova concezione (con esempi in ogni parte del mondo) che forniva nuove possibilità:

  • Il telaio poteva essere realizzato con qualunque materiale di recupero, dal legno alle ossa di mammut;
  • Le pareti ricoperte di terra fornivano un’ottimo isolamento termico durante l’inverno e mantenevano il fresco in estate;
  • Le dimensioni superiori a quelle di una tenda (spesso hanno un diametro superiore ai 3,5 metri) consentivano di ospitare diverse persone e una discreta quantità di oggetti d’uso quotidiano;
  • Potevano essere utilizzate anche per conservare alcuni alimenti (erano il classico “luogo fresco e asciutto”) o per svolgere cerimonie e rituali;
  • Il focolare centrale permetteva di svolgere molte attività quotidiane all’interno, lontano dal gelo esterno;
  • Anche se meno trasportabili di una tenda, erano relativamente veloci da costruire e semplici da manutenere.

Secondo l’archeologo, man mano che il clima e il livello dei mari si stabilizzavano e che la foresta occupava la superficie ricoperta in precedenza dal ghiaccio, i cacciatori-raccoglitori dell’epoca iniziarono a localizzare le zone che ospitavano le migliori risorse alimentari o di materiali, riducendo la necessità di lunghi inseguimenti delle prede o estenuanti appostamenti per la pesca.

Gli abitanti della regione iniziarono a insediarsi sempre più stabilmente in aree ricche di selvaggina e fonti alimentari spontanee, creando la necessità di abitazioni permanenti e riutilizzabili anche a distanza di decadi.

“Gli oggetti fisici creati dall’essere umano continuano ad avere effetti sulle persone e sui paesaggi anche dopo molto tempo. Le case a fossa furono le prime tracce visibili lasciate sul paesaggio, per cui la gente le riconosceva e sceglieva di ricostruire in questi siti invece che occuparne di nuovi. Le persone diventarono sempre più sedentarie e connesse a quelle che a loro sembravano ottime località in cui trascorrere la loro vita”.

Houses reused for over 1000 years during Stone Age

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L’isola-eremo di Luke Skywalker esiste ed è in Irlanda https://www.vitantica.net/2018/01/03/eremo-luke-skywalker-esiste-irlanda/ https://www.vitantica.net/2018/01/03/eremo-luke-skywalker-esiste-irlanda/#respond Wed, 03 Jan 2018 14:00:48 +0000 https://www.vitantica.net/?p=1232 Star Wars è un universo noto per la varietà di ambientazioni esotiche. Per rendere gli scenari realistici e vagamente familiari sono stati utilizzati come locations alcuni dei paradisi naturali più affascinanti o meno conosciuti del nostro pianeta: Tunisia (Tatooine), Norvegia (Battaglia di Hoth) e California (Luna di Endor) sono solo alcuni dei panorami mozzafiato terrestri sfruttati dal franchising.

L’isola del pianeta di Ahch-To, rifugio di Luke Skywalker nell’ultimo film Star Wars: Gli Ultimi Jedi, è ispirata ad una località reale: l’ isola di Skellig Michael, a circa 11 km di distanza dalla costa irlandese di Kerry, è un santuario naturale e archeologico e ospita un complesso monastico vecchio di almeno 1200 anni ad un’altezza di circa 180 metri sul livello del mare e caratterizzato da costruzioni chiamate clochán, sostanzialmente identiche al rifugio di Skywalker.

Riproduzione del complesso monastico di Skellig Michael per il film Star Wars: Gli Ultimi Jedi
Riproduzione del complesso monastico di Skellig Michael per il film Star Wars: Gli Ultimi Jedi

Per realizzare il rifugio di Luke Skywalker, la produzione ha preferito non ricorrere al sito archeologico originale ma ha ricostruito il sito monastico di Skellig Michael nella Penisola di Dingle, Irlanda. La scelta di ricostruire i clochán di Skellig Michael è dovuta a ragioni logistiche e alla necessità di preservare intatto il complesso monastico, patrimonio UNESCO dal 1996: solo poche persone ogni anno possono ottenere l’autorizzazione a visitare il monastero e le scalate fino ai clochán sono proibite durante le giornate più umide o piovose per via del potenziale rischio di incidenti fatali durante l’ascesa.

clochan Skellig Michael

Un clochán è un rifugio a finta cupola in pietra tipico del sud-ovest irlandese, di forma circolare ed eretto a secco, senza l’utilizzo di malta o altri leganti tra le pietre. I primi clochán dell’isola di Skellig Michael furono costruiti dai monaci cristiani che raggiunsero l’isola tra il VI e il VII secolo d.C. e sebbene non siano le uniche strutture di questo genere in Europa sono probabilmente le più isolate.

Il complesso monastico di Skellig Michael è composto da sei celle clochán, due oratori, una chiesa costruita in epoca medievale e una serie di cisterne per la raccolta dell’acqua piovana. Secondo gli archeologi, il monastero era in grado di sostenere non più di dodici monaci e un abate: l’isola non offre vaste superfici coltivabili, la verdura era prodotta in piccoli orti condivisi e la maggior parte delle proteine proveniva dalla pesca e dalle uova d’uccello ottenute dalle numerose specie di uccelli marini che nidificano a Little Skellig, l’isola vicina a Skellig Michael.

Scalinata di pietra che porta ai clochan di Skellig Michael
Scalinata di pietra che porta ai clochán di Skellig Michael

I clochán dell’isola di Skellig Michael, raggiungibili dopo aver percorso una lunga e ripida scalinata composta da circa 600 scalini di pietra, sono la risposta all’assenza di legname sufficientemente grande da essere impiegato nella costruzione di strutture tipiche di località più densamente coperte da vegetazione. Le pietre che compongono le pareti sono piatte e tagliate in modo tale che la superficie esterna risulti più ruvida rispetto a quella rivolta all’interno dell’edificio.

Il tetto dei clochán non è una vera e propria cupola ma un tholos: le pietre vengono deposte in cerchi concentrici progressivamente aggettanti, facendole avvicinare verso il centro della struttura fino a quando l’apertura superiore viene completamente chiusa. Questa tecnica costruttiva, che non prevedeva ulteriori supporti interni per reggere il peso della pietra e contrastare la forza di gravità, costringeva a realizzare pareti perimetrali spesse tra 1 e 2 metri per scongiurare il rischio di cedimento strutturale.

Vista interna della finta cupola di un clochán
Vista interna della finta cupola di un clochán

I clochán somigliano molto a strutture forse più note da noi italiani, come le capanne a tholos dell’Italia centrale chiamate caciare o caselle. Le costruzioni a tholos sono modellate sulle tombe ad alveare o a cupola (tholos in greco) dell’ Età del Bronzo, costituite da un ambiente circolare con mura in pietra e parzialmente o completamente interrate. I monumenti funerari di questo tipo e le prime abitazioni a tholos fanno la loro apparizione almeno 5.000 anni fa e rappresentano probabilmente i più antichi esempi di edifici con pseudocupola.

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LE CAPANNE IN PIETRA A SECCO CON COPERTURA A THOLOS

The Real-World Architecture of Luke Skywalker’s Jedi Hideaway

Crew build a Jedi-style temple on a dramatic cliff overlooking the Atlantic as Star Wars Episode VIII continues filming in Ireland… but could flocking fans overshadow ancient monastic site?

 

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