pelle – VitAntica https://www.vitantica.net Vita antica, preindustriale e primitiva Thu, 01 Feb 2024 15:10:35 +0000 it-IT hourly 1 Il cuir bouilli, cuoio bollito e corazze medievali https://www.vitantica.net/2019/09/06/il-cuir-bouilli-cuoio-bollito-e-corazze-medievali/ https://www.vitantica.net/2019/09/06/il-cuir-bouilli-cuoio-bollito-e-corazze-medievali/#comments Fri, 06 Sep 2019 00:10:25 +0000 https://www.vitantica.net/?p=4496 Anche se la cinematografia e la letteratura ci hanno abituati ad armature metalliche molto elaborate ed estremamente resistenti, la realtà è che nel corso della storia militare umana lavorare il metallo ha sempre rappresentato un’opera complessa e costosa.

Gli eserciti dell’antichità, di fronte a spese ingenti per rivestire di placche o di anelli metallici i loro soldati, preferivano investire in armature prodotte con materiali più poveri e comuni. Armature di lino, osso, corno e carta sono state utilizzate per secoli o millenni nelle più svariate regioni del mondo; al cuoio, tuttavia, spetta un ruolo da protagonista nella storia dei materiali protettivi.

Come spiegato sinteticamente in questo post, le molteplici tecniche di concia della pelle consentivano di ottenere materiali dalle diverse proprietà meccaniche, dalla pelle leggera e morbida adatta alla fabbricazione di abiti fino al cuoio spesso e rigido impiegato per suole di scarpe, cinture e scudi.

Il cuoio, in particolare, ha precedenti storici che sembrano collocarlo tra i materiali di prima scelta per la realizzazione di armature leggere e dai costi più contenuti rispetto a quelle metalliche.

Il cuir bouilli

Divenuto relativamente comune durante il Medioevo, l’uso del cuir bouilli (dal francese “cuoio bollito”) ha radici ancora più antiche. Il primo impiego del cuoio in ambito militare fu per la realizzazione di scudi ed elmetti: in una palude di torba irlandese è stato rinvenuto uno scudo straordinariamente ben conservato e datato a circa 2.500 anni fa.

Anche con l’arrivo delle prime corazze metalliche il cuoio bollito continuò a rappresentare una valida alternativa per la protezione personale o degli animali da guerra. Non era raro rivestire la propria cavalcatura da torneo con protezioni di cuir bouilli, e le corazze di cuoio bollito erano comuni nei reparti di fanteria europei.

Nella battaglia di Agincourt (1415) il cronista Jean de Wavrin descrive gli arcieri inglesi: erano protetti da elmetti di cuoio bollito o copricapi di vimini rinforzati da strisce metalliche. Diversi testi medievali e rinascimentali testimoniano la diffusione delle protezioni di cuoio bollito: sappiamo ad esempio che nel 1278 Edoardo I d’Inghilterra obbligò i partecipanti al torneo tenutosi al Windsor Great Park ad indossare protezioni di cuir bouilli (e ad usare spade in osso di balena).

Placca di protezione posteriore per cavallo, in cuir bouilli (inizio XVI secolo)
Placca di protezione posteriore per cavallo, in cuir bouilli (inizio XVI secolo)

Quando il re Enrico V d’Inghilterra morì il 31 agosto dell’anno 1422, un’effige in cuoio bollito fu posta sulla sua bara durante il viaggio della salma verso l’Inghilterra. I Musei Vaticani ospitano invece un crocifisso a dimensioni quasi reali realizzato il legno ricoperto da cuir bouilli, costruito nel 1540 come replica di un crocifisso in argento presentato a Carlo Magno intorno all’anno 740 e sopravvissuto al sacco di Roma del 1527.

Il cuir bouilli è stato impiegato anche per fabbricare contenitori resistenti per libri, reliquie, strumenti medici o di scrittura. Il cuoio bollito è un materiale che si prestava benissimo alla costruzione di foderi per spade: era resistente, relativamente rigido e leggero.

Perché il cuoio bollito?

Con la definizione “cuir bouilli” si indica genericamente la pelle indurita e irrigidita prodotta secondo diverse metodologie a caldo o a freddo.

E’ meglio precisare che il termine “cuoio bollito” è improprio: per ottenere i migliori risultati possibili occorre non immergere mai la pelle in acqua bollente. Come vedremo in seguito, l’acqua bollente tende a produrre proprietà meccaniche non particolarmente adatte alla realizzazione di protezioni efficaci e durature.

Se prodotto correttamente, il cuoio bollito può tuttavia dimostrarsi particolarmente resistente. I moderni test meccanici sul cuoio bollito hanno dimostrato che questo materiale può ridurre considerevolmente la penetrazione di una freccia nei tessuti viventi, specialmente se rivestito da uno strato di polvere minerale e colla animale.

Il grosso vantaggio del cuoio bollito è la possibilità di dargli una forma in modo semplice utilizzando stampi e forme di legno. Fino a quando è intriso d’acqua, il cuoio può essere plasmato a piacere; attraverso un processo di essiccazione, il cuoio tenderà a ritrarsi su se stesso, ad irrigidirsi e ad assumere la forma imposta dalla matrice su cui è stato applicato.

Contenitore in cuir bouilli per libri, risalente al XV secolo.
Contenitore in cuir bouilli per libri, risalente al XV secolo.

Il cuoio bollito è sicuramente più leggero di un’armatura metallica di pari volume e tende ad ammorbidirsi leggermente dopo un uso intensivo a causa del sudore e del calore corporeo, per poi irrigidirsi nuovamente se lasciato asciugare al sole.

Anche se il cuir bouilli costituisce una buona difesa contro armi contundenti leggere o un buon compromesso tra resistenza e praticità, non è comunque in grado di fermare un fendente o un affondo di spada degno di tale nome, oltre a non mitigare i danni interni causati da impatti particolarmente violenti.

Come produrre cuir bouilli

Il cuir bouilli può essere realizzato seguendo due approcci differenti, uno a freddo e l’altro a caldo. I procedimenti a freddo producono cuoio indurito di discreta qualità e rigidità, e non comportano rischi per la buona riuscita del prodotto finale; i metodi a caldo, invece, possono ottenere risultati notevoli a patto di mantenere un controllo costante delle temperature coinvolte.

Immersione in acqua fredda

Il modo più semplice per produrre cuir bouilli è quello di immergere la pelle in acqua fredda per un periodo compreso tra i 15 minuti e le 12 ore. La pelle più indicata per ottenere cuoio rigido e resistente (indipendentemente dal metodo di lavorazione) è quella già conciata usando sostanze di origine vegetale; per aumentarne la durezza, la pelle veniva spesso battuta con un martello per compattarla non appena estratta dal suo bagno d’acqua fredda.

Dopo essersi asciugato e aver perso tutta l’acqua accumulata al suo interno, il cuoio risulterà duro e rigido, manterrà la forma data e tenderà ad ammorbidirsi con il sudore e l’umidità ambientale, riprendendo comunque velocemente la sua durezza non appena avrà modo di asciugarsi.

Immersione in acqua calda

L’immersione in acqua calda contribuirà a rendere il cuoio più rigido e duro. Con l’aumentare della temperatura dell’acqua aumenta la futura rigidità del cuoio e diminuiscono i tempi di immersione.

Il cuoio non è una sostanza uniforme: alcune zone tenderanno ad essere troppo sensibili al calore, mentre altre reagiranno meglio a temperature elevate. Questa diversa sensibilità termica porterà la pelle ad essere più rigida in certi punti rispetto ad altri, specialmente se verrà immersa in acqua prossima al punto di ebollizione.

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Trattamento con acqua bollente

L’acqua bollente tende a cuocere la materia organica, pelle compresa. A contatto con acqua bollente il cuoio si restringe molto velocemente e si polimerizza: le sostanze che lo compongono perdono struttura e formano un reticolo tridimensionale rigido e plastico, così duro da diventare troppo fragile per un uso pratico come materiale protettivo.

La lavorazione a caldo del cuoio richiede un certo livello di esperienza nella lavorazione della pelle e tempi di immersione in acqua bollente non superiori ai 2 minuti. Dopo averla estratta dall’acqua, la pelle avrà perso molta della sua superficie originale (circa la metà dopo una trentina di secondi, aumentando di spessore del 25%) e si irrigidirà velocemente man mano che si raffredda.

Trattamento misto

Se si produce cuir bouilli utilizzando acqua fredda e lo si lascia asciugare al sole, si potrà ottenere un cuoio resistente e sufficientemente rigido da poter essere indossato senza subire grosse deformazioni a causa dell’uso continuo.

Se il cuir bouilli prodotto a freddo viene successivamente bagnato con acqua bollente (ma non immerso completamente), il liquido in ebollizione irrigidirà ulteriormente la superficie esterna del cuoio, lasciando inalterati gli strati interni e ottenendo un buon compromesso tra durezza, flessibilità e resistenza.

Immersione in cera d’api

L’immersione nella cera d’api liquida è un procedimento che indurisce il cuoio allo stesso modo dell’acqua bollente, ma ha il vantaggio di renderlo più semplice da lavorare e da tagliare, oltre a consentirgli di mantenere meglio la forma impressa dall’artigiano.

I problemi con la tecnica d’immersione a cera d’api sono legati non solo al costo della cera durante il Medioevo (materiale riservato generalmente alla nobiltà e al clero; la gente comune usava candele di sego), ma anche al fatto che la cera non fa altro che appesantire il cuoio senza renderlo particolarmente resistente come il trattamento ad acqua.

L’immersione in cera d’api rende il cuoio impermeabile ai liquidi e all’umidità. Anche se il materiale risultante sarà meno resistente del cuoio trattato con acqua, sarà comunque perfetto per trasportare liquidi come acqua o liquori, oppure sostanze suscettibili all’umidità.

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Fonti per “Il cuir bouilli, cuoio bollito e corazze medievali”

Boiled leather
Cuir Bouilli/Hardened Leather FAQ
Cuir Bouilli Technique – An Historical Method of Hardening Leather
The Armourer and His Craft

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Coracle, antica imbarcazione fluviale https://www.vitantica.net/2019/07/08/coracle-antica-imbarcazione-fluviale/ https://www.vitantica.net/2019/07/08/coracle-antica-imbarcazione-fluviale/#respond Mon, 08 Jul 2019 00:10:32 +0000 https://www.vitantica.net/?p=4397 La storia delle imbarcazioni fluviali è ricca di esempi di ingegno: sapersi adattare con i materiali a disposizione era una virtù fondamentale nell’antichità, a maggior ragione quando l’adattabilità poteva fare la differenza tra la vita e la morte.

Anche se la canoa a scafo monossilo è un’ imbarcazione non troppo complessa da realizzare, resistente e adatta all’uso fluviale, in realtà non è il natante più facile e veloce da costruire: è necessario un duro lavoro di scavo, lavoro che può essere mitigato dall’uso del fuoco ma che in ogni caso richiede una buona dose di pazienza.

Un’imbarcazione più semplice e veloce da realizzare è il coracle: anche se meno stabile e resistente di un solido tronco di legno scavato con cura, garantisce il galleggiamento e una certa manovrabilità anche in acque molto basse.

L’origine del coracle

“Coracle” è un termine che deriva dalla parola gallese cwrwgl, presente nella documentazione storica inglese fin dal XVI secolo. Abbiamo tuttavia la certezza che questo genere di imbarcazione sia stato utilizzato per millenni dagli abitanti delle isole britanniche.

In Scozia sono stati ritrovati resti di imbarcazioni molto simili ai coracle inglesi del XVI secolo e databili alla prima Età del Bronzo. Queste imbarcazioni non erano impiegate esclusivamente per lo spostamento lungo corsi fluviali, ma anche per la pesca: coppie di coracle si dedicavano alla cattura di pesci d’acqua dolce distendendo una rete che veniva tenuta saldamente con una mano, mentre la mano libera veniva impiegata per manovrare un remo.

Le più antiche istruzioni per la realizzazione di un coracle è contenuta in una tavoletta cuneiforme mesopotamica risalente a circa 4.000 anni fa: le istruzioni fanno riferimento alla costruzione di un quffa (noto come “coracle iracheno”) ordinata da Enki ad Atra-Hasis per salvare l’uomo dal Grande Diluvio.

Coracle indiano usato presso le cascate di Hogenakkal
Coracle indiano usato presso le cascate di Hogenakkal

Anche gli indiani realizzavano coracle, più bassi e larghi di quelli inglesi, fin dall’epoca preistorica. Ancora oggi sulle cascate di Hogenakkal si usano coracle larghi da 2 a 3 metri per trasportare turisti o per la pesca di fauna ittica d’acqua dolce.

La struttura del coracle

La struttura tipica di un coracle europeo è costituita da un reticolo di rami di salice tenuti insieme da corteccia estratta dallo stesso albero. Il telaio viene quindi ricoperto da pelle animale, tradizionalmente cuoio bovino, rivestita da catrame di conifere o di betulla.

I coracle di origine orientale hanno un telaio di bambù, materiale ideale per flessibilità e resistenza, e sono anch’essi rivestiti di pelle e impermeabilizzati tramite l’uso di resina o di olio di cocco.

Le strisce di betulla (o frassino) che formano il telaio, lunghe mediamente 2-2,5 metri, vengono immerse in acqua per circa una settimana prima del loro utilizzo, per aumentarne la flessibilità.

Le bull boat nordamericane, un mix di tecnologia nativa ed europea, avevano un telaio di ossa di bisonte (Lewis e Clark descrivono un coracle dal telaio composto da 15 costole di bisonte) e una copertura impermeabilizzata di pelle estratta dallo stesso animale.

Il coracle ha una forma arrotondata, spesso tondeggiante o ovale, che ricorda quella di un guscio di noce. Il fondo dell’imbarcazione è piatto e fornisce allo scafo un pescaggio molto limitato, spesso di soli pochi centimetri rispetto alla superficie dell’acqua.

Coracle antico custodito al Field Museum of Natural History, Chicago
Coracle antico custodito al Field Museum of Natural History, Chicago

Ogni coracle viene costruito specificamente per le condizioni fluviali che dovrà affrontare. Ad esempio, i coracle costruiti per affrontare il fiume gallese Teifi hanno un fondo piatto adatto ad affrontare rapide; quelli realizzati per il fiume Tywi, invece, sono più tondeggianti e profondi.

Il design del coracle rende l’imbarcazione poco stabile rispetto ad una canoa. Dato che “siede” sulla superficie dell’acqua invece di solcarla, il coracle può essere spostato facilmente dalle correnti o dal vento e tende ad inclinarsi sulla base degli spostamenti del centro di massa del suo contenuto.

Uso del coracle

I coracle sono imbarcazioni perfette per la pesca in acque basse: disturbano poco la superficie se manovrati da un esperto e possono facilmente essere orientati con un braccio solo, lasciando libera una mano che verrà impiegata per gestire una rete da pesca o impugnare una lancia.

Il coracle può essere facilmente trasportato sulla terraferma da una persona sola, caricandolo sulle spalle o sopra la testa. La trasportabilità è un aspetto molto importante, dato che la maggior parte dei coracle sono di dimensioni tali da poter ospitare solo un occupante (anche se in India non è raro che coracle di 2,5 metri di diametro riescano a trasportare fino a otto persone).

I quffa che ancora oggi percorrono il Tigri o l’Eufrate, usati da almeno 3.000 anni e per nulla differenti in quanto a struttura da quelli europei, possono raggiungere il diametro di 5,5 metri e trasportare fino a 4-5 tonnellate di carico.

Un coracle pesa generalmente tra i 15 e i 20 kg, caratteristica che rendeva queste imbarcazioni un mezzo di trasporto ideale per i viaggi solitari di cacciatori di pelli ed esploratori.

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Coracle
The Tradition of Coracle Fishing in Wales
Coracles: The surprising history of Britain’s strangest boat
Pagine dedicate alla Marina Militare e Mercantile ed alla marineria etnica e storica

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Documentario: tende di pelle di renna dei popoli siberiani https://www.vitantica.net/2018/12/11/documentario-tende-pelle-renna-popoli-siberiani/ https://www.vitantica.net/2018/12/11/documentario-tende-pelle-renna-popoli-siberiani/#respond Tue, 11 Dec 2018 00:10:36 +0000 https://www.vitantica.net/?p=3167 I Nenci, sono una tribù indigena della Russia di origine samoieda che condivide lo stesso territorio, il circondario autonomo Jamalo-Nenec in Siberia, con Komi, un’altra tribù samoieda. Sono entrambi popoli dediti all’allevamento di renne, alla caccia e alla pesca.

Dall’allevamento di renne i Nenci e i Komi ottengono la malica, la tipica pellicia di renna che usano per costruire le loro tende, chiamate choom o tchum.

Lo sciamanesimo dei Nenezi si è preservato fino al XXI secolo: a capo della folta schiera di divinità e di spiriti legati al mondo naturale vi è Num, il Dio supremo che dimora in tutti gli elementi e responsabile di ogni fenomeno atmosferico.

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E’ adorato in modo particolare dai Nenezi della tundra che, due volte l’anno, sono soliti sacrificare in suo onore grandi renne bianche.

Tra le tribù Chandejar è particolarmente sentita l’adorazione dello spirito del pesce, a causa della grande importanza che questo alimento ha nella loro dieta quotidiana.

I Nenci della Tundra venerano lo spirito orso (la cui testa, quando ucciso, è solitamente issata sopra un albero) e il lupo, grande predatore di renne.

Lo sciamano, chiamato Tadibja, è solito costruire statuette in legno raffiguranti animali le quali, catturando in sé lo spirito di ciò che viene raffigurato, propiziano la caccia e la pesca.

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La concia della pelle nei tempi antichi https://www.vitantica.net/2017/10/10/la-concia-della-pelle-nei-tempi-antichi/ https://www.vitantica.net/2017/10/10/la-concia-della-pelle-nei-tempi-antichi/#comments Tue, 10 Oct 2017 02:00:54 +0000 https://www.vitantica.net/?p=516 La concia della pelle è un trattamento che serve a conservare e rendere lavorabili le pelli animali. La pelle è un materiale organico costituito in buona parte da proteine che degradano facilmente e velocemente se esposte agli agenti atmosferici. Occorre quindi conciare la pelle, trattarla per renderla virtualmente inattaccabile dalla putrefazione e impermeabile modificando la sua struttura proteica.

Nell’antichità ci si accorse, forse per puro caso, che le pelli esposte al fumo o immerse in acqua ricca di materia vegetale in decomposizione (che contiene dosi variabili di tannini) duravano di più e non subivano il processo di putrefazione tipico della pelle fresca.

Origine della concia della pelle

Esplorando nel corso dei secoli questo processo di concia naturale, i nostri antenati idearono uno dei primi metodi per la concia della pelle, che prevedeva l’immersione in acqua ricca di tannini e l’uso di oli vegetali.

Parallelamente a questo metodo ne vennero sviluppati altri, tra i quali la concia della pelle utilizzando il cervello dell’animale ucciso. Il cervello contiene abbastanza acidi da essere in grado di conciare una pelle intera e rende il materiale particolarmente morbido e lavorabile, oltre che molto più resistente all’acqua grazie ai grassi idrorepellenti contenuti nell’organo.

La concia della pelle ha origini antichissime: le testimonianze archeologiche più antiche che descrivono una procedura per la lavorazione pelle risalgono ad oltre 9000 anni fa, ma la preparazione della pelle animale ha una storia probabilmente molto più antica.

I cacciatori-raccoglitori erano capaci di sfruttare ogni materiale estratto dagli animali che trovavano o cacciavano ed è del tutto plausibile che furono loro i primi a scoprire, per errore o per caso, come trattate il tessuto connettivo animale per conservarlo a lungo e renderlo impermeabile.

Il lavoro in conceria non era per i deboli di stomaco: l’aria era costantemente satura di odori disgustosi dovuti alla decomposizione di materiale organico e agli ingredienti utilizzati nelle varie fasi di lavorazione.

Le concerie dell’antichità erano generalmente relegate ai margini degli insediamenti urbani, ma per quanto fossero repellenti svolgevano almeno un paio di ruoli fondamentali per l’intera comunità: producevano cuoio e pelle, indispensabili per la vita quotidiana dei nostri antenati, e contribuivano allo smaltimento dei liquami cittadini riciclando urina e feci.

Nei quartieri vicini ad una conceria, infatti, non era raro trovare bambini impiegati come “raccoglitori di escrementi” (non necessariamente animali) e grossi vasi adibiti alla raccolta di urina (soprattutto umana), ingredienti fondamentali per il metodo di concia con escrementi.

Pulizia della pelle prima della concia
concia della pelle, raschiatura
Foto dei primi del ‘900, nativa americana intenta a raschiare una pelle di cervo

Il primo passo nel trattamento della pelle animale, oggi come in passato, è quello di ripulirla da qualunque frammento di carne e tendini utilizzando uno strumento adeguato (uno “scraper”) o semplicemente un coltello, operazione definita “scarnatura” in tempi moderni.

Occorre rimuovere ogni vena, membrana, tendine e pezzi di carne (utilizzabili per produrre adesivi e colle) presenti sul lato privo di peli, altrimenti si rischia che l’intera lavorazione venga rovinata dalle decomposizione del materiale organico in eccesso.

I peli erano tradizionalmente eliminati bruciandoli su una fiamma, oppure immergendo la pelle in urina o in una soluzione alcalina di calce; l’alternativa più semplice (e lunga) era quella di lasciare la pelle esposta al sole per 3-4 mesi cospargendo più volte la pelliccia con una soluzione salina.

Una volta rimosso ogni pezzo organico indesiderato, si lavava la pelle e la si stendeva ben tesa ad asciugare al sole per qualche giorno fino ad ottenere una superficie semi-rigida; quando la pelle era essiccata a dovere, iniziava la concia vera e propria.

Concia vegetale ai tannini

Questo metodo comporta l’impiego della corteccia di alcuni alberi (come le querce, le betulle, i castagni e le acacie, ma le piante utilizzabili sono moltissime) per trattare la pelle e renderla resistente e impermeabile, donandole inoltre una tipica colorazione marrone.

Alcuni esempi di concia naturale ai tannini sono le “mummie di palude” del Centro-Nord Europa, conservatesi per oltre 2000 anni fino ad oggi grazie all’immersione in acqua ricca di materia vegetale in decomposizione.

In Europa era spesso utilizzata la corteccia di quercia prelevata da piccoli rami o alberi molto giovani: la corteccia contiene forti dosi di tannini che rivestono le proteine di collagene della pelle rendendole meno sensibili all’acqua e proteggendole dagli attacchi dei batteri, al tempo stesso rendendo il tessuto più morbido e lavorabile.

Questa procedura era molto lenta: le pelli dovevano essere messe in tensione con un telaio e immerse per 1-3 mesi  in una soluzione di acqua e corteccia, controllando di frequente lo stato del tessuto per evitare che le dosi di tannini, molto variabili di albero in albero, rovinassero il risultato di qualche mese di lavoro. La pelle conciata in questo modo, inoltre, non era molto flessibile ed era generalmente utilizzata per calzature, borse e cinture.

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Concia con escrementi
La conceria di Fex, Marocco, utilizza ancora escrementi animali per conciare la pelle
La conceria di Fex, Marocco, utilizza ancora escrementi animali per conciare la pelle

Uno dei primi metodi utilizzati per la concia era quello di immergerla pelle in escrementi animali, preferibilmente di cane (considerati i migliori) o di piccione: tramite un processo di fermentazione, alcuni batteri contenuti nelle feci e nell’urina sono in grado di produrre enzimi capaci di aggredire le fibre e ammorbidire il tessuto.

Gli antichi conciatori riempivano grossi tini con acqua ed escrementi, vi immergevano le pelli e le calpestavano ripetutamente per giorni, velocizzando l’ammorbidimento del tessuto e facilitando il lavoro dei batteri fecali.

Questa procedura, che contribuì grandemente alla brutta reputazione delle concerie antiche, produceva in realtà pelle di qualità superiore rispetto a quella trattata con tannini, e in tempi più veloci.

Concia con il cervello

L’ impiego del cervello è probabilmente la procedura che garantisce i risultati migliori, producendo pelle scamosciata di altissima qualità e flessibilità. In passato, il cervello è stato sostituito da tuorli d’uova o olio e sapone mescolati con acqua, ma un buon cervello è insostituibile e i nostri antenati lo sapevano bene.

Il cervello dell’animale veniva ridotto in poltiglia, mescolato con acqua e distribuito sulla pelle massaggiandola accuratamente e assicurandosi che tutta la superficie fosse cosparsa dalla mistura in modo uniforme.

Questo procedimento doveva essere ripetuto almeno tre volte ad intervalli di 15-20 minuti fino a raggiungere la morbidezza desiderata, per poi lasciar essiccare la pelle in un luogo ventilato e asciutto.

Non appena la pelle diventava secca in alcuni punti (e non su tutta la superficie) era giunto il momento di ammorbidirla ulteriormente usando le mani: occorreva tenderla e piegarla in varie direzioni per diverso tempo, facendo attenzione a non assottigliare troppo la superficie interna (troppo sottile diventa facilmente suscettibile a rotture e strappi) e ad esercitare un’azione continua sulla pelle per consentire alla soluzione di grassi cosparsa in precedenza di permeare completamente il tessuto.

Una volta completamente asciutta e morbida, la pelle era pronta per il passo finale, comune anche in tutti i trattamenti precedentemente descritti.

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Affumicatura

Dopo aver ammorbidito la pelle era il momento di affumicarla per renderla più resistente all’attacco di insetti, muffe e agenti atmosferici: la pelle conciata è comunque un materiale organico soggetto a deterioramento, anche se molto più lento della pelle non trattata. L’affumicatura della pelle, inoltre, la rendeva impermeabile e lavabile con acqua fredda.

Era sufficiente esporre la pelle al fumo per circa 30-60 minuti per renderla virtualmente inattaccabile. Il fuoco predisposto per l’affumicatura era generalmente alimentato da legna secca e fresca per massimizzare la produzione di fumo e tenuto ad un regime molto basso per limitare al minimo le fiamme: in questa fase la pelle potrebbe prendere fuoco molto facilmente e rovinarsi nell’arco di pochi secondi.

Leather Processing & Tanning Technology Handbook
Tanning (leather)

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