parassiti – VitAntica https://www.vitantica.net Vita antica, preindustriale e primitiva Thu, 01 Feb 2024 15:10:35 +0000 it-IT hourly 1 La zecca, il parassita per eccellenza https://www.vitantica.net/2018/07/11/la-zecca/ https://www.vitantica.net/2018/07/11/la-zecca/#respond Wed, 11 Jul 2018 02:00:07 +0000 https://www.vitantica.net/?p=1889 Stare immersi nella natura comporta innegabili vantaggi per il corpo e per la mente: migliora l’umore, acuisce i sensi e dona un benessere psicofisico spesso sottovalutato dagli stili di vita moderni. Ma ogni ecosistema comporta rischi: piante velenose o irritanti, funghi letali e animali che possono mettere fine alle nostre sofferenze.

Gli animali più grandi, come tigri, lupi o orsi, costituiscono un pericolo concreto in determinate circostanze; spesso tuttavia sono gli animali più piccoli a comportare il rischio maggiore: ad esempio, le malattie trasmesse dalle zanzare uccidono ogni anno milioni di persone, una cifra ben superiore alla somma delle vittime causate da tutti i mammiferi, rettili e pesci conosciuti.

Ci sono poi animaletti e parassiti che nessuno di noi vuole conoscere per via dell’innata repulsione che suscitano a causa del loro aspetto o dei loro comportamenti istintivi.

Un parassita onnipresente

La zecca è uno degli animali che molti di noi preferirebbero non conoscere mai: ha un aspetto orribile, succhia sangue per sopravvivere e può trasmettere malattie potenzialmente fatali; ma se vogliamo accettare la natura nel suo insieme, dobbiamo anche accettare che la zecca sia parte di moltissimi ecosistemi e che, se visitiamo questi ecosistemi, prima o poi le zecche visiteranno noi.

La zecca è un aracnide parassita rimasto sostanzialmente invariato dal Cretaceo e diffuso su tutto il pianeta, specialmente in ambienti caldi e umidi. Esistono sostanzialmente due tipi di zecche: dure (famiglia Ixodidae, dal carapace resistente e dall’apparato boccale a rostro) o molli (famiglia Argasidae, prive di protezione dura per gli organi interni e con la bocca sul ventre).

Specie comuni di zecche Ixodidae
Tre delle specie comuni di zecche Ixodidae

Le zecche non fanno distinzione tra ospiti, siano essi mammiferi, uccelli, rettili o anfibi. Questo loro adattamento a quasi qualunque specie animale ha consentito alla zecca di popolare ogni fascia climatica, ad eccezione di quelle polari, seguendo gli spostamenti dei suoi ospiti.

Il ciclo vitale delle zecche

Per sostenere le zecche un ecosistema deve possedere due caratteristiche fondamentali: abbastanza popolazione animale da parassitare e umidità sufficiente da indurre la fase di metamorfosi verso la forma adulta e mantenere idratato il corpo di questi parassiti.

La zecca attraversa quattro stadi di crescita (uovo, larva, ninfa e adulto) e ogni passaggio di stadio richiede almeno un pasto a base di sangue. Le larve di zecca nascono con sei zampe, acquisendo un’altra coppia di arti dopo il primo pasto a base di sangue e passando alla fase di ninfa.

Ogni zampa è dotata di uncini e di un organo sensoriale unico, l’organo di Haller, capace di rilevare gli odori e i segnali chimici degli ospiti preferiti e avvertire cambiamenti di temperatura e correnti atmosferiche. Una ricerca condotta nel 2017 ha inoltre dimostrato che l’organo di Haller delle zecche consente alle zecche di percepire la luce infrarossa.

Con il passare delle settimane, il corpo di una zecca “dura” si indurisce nell’area dorsale mentre quello di una zecca “molle” tende a diventare più spesso, simile a cuoio sottile. A questo punto, la zecca adulta è pronta a fare quello per cui si è evoluta negli ultimi 120 milioni di anni: cibarsi di sangue senza sosta.

Come le zecche si attaccano agli ospiti

Le zecche non possono volare o saltare, ma hanno escogitato un sistema semplice ed efficiente per attaccarsi ai loro ospiti. Dopo aver rilevato la presenza di animali nelle vicinanze, si avvicinano il più possibile e attendono su foglie o erba aggrappandosi solo con le quattro zampe posteriori e protendendo in avanti quelle anteriori, nella speranza di poter rimanere impigliate nella peluria o di potersi attivamente aggrappare alla pelle dell’obiettivo.

Alcune zecche si attaccano rapidamente sulla pelle dell’animale-bersaglio mentre altre cercano zone di pelle più sottile: le operazioni di ricerca del punto più adatto al prelievo di sangue possono durare da 10 minuti a 2 ore.

Una volta localizzato il punto d’ingresso, la zecca inserisce il suo rostro e inizia a cibarsi, emettendo continuamente una sostanza anticoagulante per mantenere fluido il sangue.

Dimensioni di una zecca prima e dopo il pasto
Dimensioni di una zecca Ixodidae prima e dopo il pasto

Nelle Ixodidae (dure), il pasto dura fino a quando la zecca non è completamente piena: il suo peso può aumentare dalle 200 alle 600 volte rispetto a peso a “stomaco vuoto”. Per poter sopportare questa espansione smisurata del corpo, l’organismo della zecca cresce a livello cellulare durante un pasto, che può durare giorni o intere settimane. Nelle zecche molli (Argasidae) questo non si verifica e il loro peso aumenta da 5 a 10 volte.

Per raggiungere l’età adulta e la fase riproduttiva, una zecca Ixodidae ha bisogno di almeno tre ospiti e circa un anno di tempo. Dopo l’accoppiamento la femmina può deporre fino a 3.000 uova e non appena queste si schiudono le larve sono pronte a cibarsi di piccoli mammiferi o uccelli. Le Argasidae sono meno prolifiche (circa 300-1000 uova) ma si cibano più velocemente e più di frequente per superare le varie fasi dello sviluppo.

Malattie trasmesse dalle zecche

Il quadro dipinto fino ad ora è questo: in qualunque ambiente umido del pianeta si nasconde nell’erba e nel fogliame un piccolo aracnide affamato di sangue in attesa del passaggio di qualunque cosa respiri. E’ vero, la zecca si è evoluta per specializzarsi nel parassitismo e svolge il suo lavoro così bene che avere a che fare con animali selvatici (e spesso anche domestici) comporta sempre un faccia a faccia con almeno una zecca.

Ma il vero pericolo rappresentato dalle zecche è la trasmissione di malattie: la puntura di una zecca è sostanzialmente indolore e non pericolosa, ma questo parassita è il veicolo preferito di molte specie di batteri, virus e protozoi, alcuni innocui per l’essere umano mentre altri potenzialmente pericolosi.

Le specie di batteri del genere Rickettsia, ad esempio, sono responsabili del tifo da zecca, della febbre di Boutonneuse, della febbre africana da zecca, la febbre maculosa e la rickettsiosi, malattie solitamente trattate con antibiotici come le tetracicline. Un protozoo spesso presente nelle zecche può invece trasmettere la piroplasmosi, una malattia abbastanza rara nell’essere umano che causa ittero e febbre.

La malattia di Lyme è forse la più conosciuta tra le patologie trasmesse dalle zecche. La borreliosi (altro nome con cui è conosciuta la malattia di Lyme) è causata da batteri del genere Borrelia e inizia spesso con un eritema migrante in prossimità della puntura (50-75% dei casi).

Dopo qualche giorno si sviluppano i primi sintomi che includono mal di testa, febbre e stanchezza; se non trattati, i sintomi degenerano nell’arco di mesi in dolori articolari, paralisi facciale parziale o totale, fitte dolorose agli arti e problemi di memoria.

Per trasmettere il batterio che causa la malattia di Lyme la zecca deve rimanere attaccata all’ospite umano per almeno 18-24 ore, anche se in determinate circostanze la diffusione dei Borrelia può richiedere molto meno tempo.

Il periodo in cui si verificano la maggior parte dei contagi è quello compreso tra la primavera e la prima estate, il momento in cui le zecche trovano sufficiente umidità e calore per iniziare il loro ciclo vitale. Ogni anno, nei mesi più favorevoli, circa 65.000 persone vengono colpite dalla malattia di Lyme in Europa (circa 300.000 negli Stati Uniti), ma secondo le statistiche solo l’ 1% delle punture di zecca ottiene una diagnosi di questa malattia

Esiste infine una zecca nordamericana, la Amblyomma americanum (chiamata comunemente “zecca stella solitaria” o “zecca del tacchino”), che trasmette l’ “allergia alpha-gal”, una malattia che causa una violenta reazione allergica nei primati (uomo compreso) non appena inizia la digestione intestinale di carne bovina, suina o ovina. Il consumo di pollame o pesce invece non causa alcun problema, ma l’allergia ai quadrupedi commestibili può durare per oltre 20 anni e non esiste alcuna cura per questa condizione.

Prevenzione e rimozione di una zecca
Rimozione di una zecca: Centro Antinsetti - città Metropolitana di cagliari
Rimozione di una zecca: Centro Antinsetti – città Metropolitana di cagliari

I consigli più comuni per evitare di diventare il bersaglio preferito di ogni zecca in circolazione sono questi:

  • Indossare abiti chiari per facilitare la localizzazione di potenziali zecche, con pantaloni lunghi;
  • Evitare l’erba alta o l’erba lungo i margini dei sentieri;
  • Le zecche prediligono i percorsi battuti dai loro ospiti, evitare quindi di seguire lo stesso tragitto degli animali;
  • Verificare a intervalli regolari la presenza di zecche sul corpo, specialmente sulla testa, collo, gambe e fianchi;
  • Usare repellenti a base di dietiltoluamide e permetrina.

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La rimozione di una zecca, una volta individuato il punto d’attacco, deve essere immediata. La possibilità che il parassita trasmetta qualche malattia aumenta col passare del tempo: ogni qualche ora, la zecca rigurgita una porzione del suo pasto, iniettando nel flusso sanguigno i patogeni che ospita.

  • Non utilizzare mai alcol, acetone, trielina, ammoniaca, benzina, oggetti arroventati, fiammiferi o sigarette. Il dolore causato da bruciature chimiche o dalla fiamma potrebbe forzare il rigurgito del pasto e aumentare il rischio di inoculazione di patogeni;
  • Disinfettare prima e dopo l’estrazione e seguire una profilassi antitetanica;
  • La zecca deve essere afferrata con pinze sottili in prossimità della testa: l’obiettivo è quello di evitare che anche solo parte del rostro possa rimanere all’interno dell’incisione. Con un piccolo movimento rotatorio, tentare di estrarre la zecca avendo cura di non causare compressioni del corpo o causare troppo stress al parassita;
  • Se il rostro rimane nella cute, cosa abbastanza comune, deve essere estratto con pinzette o un ago sterile;
  • Evitare di toccare la zecca a mani nude e bruciarla dopo la rimozione.

Centro nazionale per la prevenzione delle malattie e la promozione della salute dell’Istituto superiore di sanità
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Larve e insetti commestibili https://www.vitantica.net/2017/12/01/larve-commestibili/ https://www.vitantica.net/2017/12/01/larve-commestibili/#respond Fri, 01 Dec 2017 02:00:18 +0000 https://www.vitantica.net/?p=998 Per quanto possa sembrare disgustoso ad un europeo o a un americano, gli insetti sono ancora oggi un’ importante fonte di proteine per milioni di persone, specialmente nel Sud-Est Asiatico, in Centro-Sud America e tra le popolazioni semi-primitive o non industrializzate.

Per millenni gli insetti, adulti o larve, hanno rappresentato una discreta porzione della dieta umana: sono relativamente semplici da raccogliere in gran numero e sono ricchi di nutrienti spesso difficili da ottenere con la caccia.

I nostri antenati preistorici erano ottimi opportunisti e di certo non si facevano sfuggire un facile pasto a base di insetti: i coproliti (feci fossili) trovate in molte località del mondo dimostrerebbero che la dieta del Paleolitico conteneva una buona percentuale di insetti come formiche, larve di coleotteri, pidocchi e termiti.

Le pitture rupestri di Altamira (30.000-9.000 a.C.), Spagna, testimoniano visivamente l’importanza della raccolta di insetti commestibili e di alveari selvatici tra le popolazioni primitive dell’epoca, e circa 5.000 anni fa era molto comune in Cina consumare bachi da seta e svariate specie di larve di coleotteri come principali fonti di proteine.

Una volta superato lo scoglio psicologico iniziale (più comune nei Paesi industrializzati occidentali che nel resto del mondo), chi approccia il mondo dell’ entomofagia si ritrova spesso sorpreso dai sapori e dalle consistenze degli insetti che assaggia.

Gli insetti commestibili

Attualmente tra gli insetti commestibili si contano (fonte: Wikipedia):

  • 235 specie e sottospecie di farfalle e falene (adulte o larve)
  • 344 coleotteri (adulti o larve)
  • 313 specie e sottospecie di formiche, api e vespe (adulte o larve)
  • 239 tra cavallette, grilli e scarafaggi (adulti o larve)
  • 39 specie di termiti
  • 20 specie e sottospecie di libellule (adulte o larve)

Tra le specie commestibili di insetti ci sono moltissime varietà di larve di coleotteri, farfalle, falene e altri insetti di svariate categorie tassonomiche che per millenni hanno rappresentato un’importante integrazione proteica nella dieta dei nostri antenati. Qui sotto riporto alcune delle larve commestibili più note o consumate nel mondo.

N.B. Alcuni insetti, sia morti che vivi, possono ospitare una vasta gamma di agenti patogeni, parassiti e pesticidi potenzialmente nocivi per l’organismo umano. Anche se alcuni insetti sono generalmente sicuri da mangiare anche crudi, è sempre preferibile cuocerli in qualunque modo disponibile, sia esso la bollitura, la tostatura o l’esposizione alla fiamma viva.

Verme mezcal

Larva spesso inserita nelle bottiglie di Mezcal. Si tratta in realtà di tre larve commestibili utilizzate per lo stesso scopo: la Comadia redtenbacheri, la larva di una falena messicana che infesta generalmente le foglie di agave, la Scyphophorus acupunctatus, un altro parassita dell’agave, e il bruco della farfalla Aegiale hesperiaris.

Larve di api

miele e api

Le larve delle api da miele europee (Apis mellifera) sono ottime fonti di proteine e carboidrati oltre a contenere fosforo, magnesio e potassio in quantità significative. In aggiunta, queste larve sono anche ricche di grassi e vitamine, sono facilmente ottenibili una volta localizzato un alveare e possono essere mangiate anche crude.

Generalmente, le larve di qualunque specie di ape sono commestibili, comprese quelle delle api carpentiere e dei calabroni, e chi le ha assaggiate descrive una consistenza interna gelatinosa e un gusto molto dolce simile al miele.

Scarabeo rinoceronte
Larva di scarabeo rinoceronte
Larva di scarabeo rinoceronte. Fonte: Biodiversity and Ecosystem Function in Tropical Agriculture

Gli scarabei rinoceronte sono una sottofamiglia degli scarabei che comprende oltre 300 specie conosciute, molte delle quali commestibili sia in fase adulta sia nello stadio larvale.

Sono spesso allevati in Asia come animali da compagnia e per il combattimento, ma sono noti da millenni per essere una ricca fonte di nutrienti: le larve sono composte per il 40% da proteine (contro il 20% della carne di pollo) e sono un’importante contributo calorico nella dieta di moltissimi Paesi del mondo ad esclusione di quelli industrializzati.

Le larve dello scarabeo rinoceronte europeo (Oryctes nasicornis) si nutrono di alberi morti e possono superare i 10 centimetri di lunghezza nell’arco di 2-4 anni di sviluppo.

Bruchi Psychidae

I bruchi appartenenti a questa famiglia di lepidotteri (farfalle e falene) sono talvolta commestibili, come il bruco chiamato “fangalabola” (Deborrea malgassa) originario del Madagascar. Le larve possono superare i 4 centimetri di lunghezza nelle specie tropicali e sono ricche di proteine e grassi.

Verme del bambù

Verme del bambù

Non si tratta tecnicamente di un verme ma della larva di una falena, la Omphisa fuscidentalis. Il verme del bambù cresce nelle foreste di bambù di Thailandia, Laos, Myanmar e Cina. Dopo l’accoppiamento, ogni falena depone dalle 80 alle 130 uova alla base di un germoglio di bambù; dalle uova usciranno larve entro 12 giorni e inizieranno a perforare un nodo del bambù creando un foro d’ingresso e uno d’uscita.

Entro tre giorni le larve diventano bianche e iniziano a risalire il bambù nutrendosi della polpa per circa 45-60 giorni, per poi tornare verso il foro d’uscita e iniziare un periodo di “letargo” della durata di 8 mesi.

Un verme del bambù può superare i 4 centimetri di lunghezza e il 26% del suo corpo è costituito da proteine (il 51% da grassi). In molti Paesi orientali è considerata una leccornia e possono essere mangiati fritti, cotti alla fiamma o crudi.

Punteruolo rosso della palma (Rhynchophorus ferrugineus)
Larve di punteruolo rosso
Larve di punteruolo rosso. Fonte: BugsFeed

Il temibile punteruolo rosso della palma, responsabile della morte di milioni di piante in tutto il mondo (Italia compresa), quando si trova allo stadio di larva è un insetto del tutto commestibile, considerato prelibato in Indonesia, Vietnam e Borneo. Nella dieta degli indigeni Iatmul della Papua Nuova Guinea, le larve di punteruolo coprono il 30% del fabbisogno proteico medio.

Il punteruolo depone le uova (da 50 a 500) all’interno delle palme utilizzando il rostro per asportare le fibre più tenere. Le larve sono estremamente voraci, raggiungono dimensioni ragguardevoli e possono scavare l’interno di una palma risalendo lungo tutta l’altezza dell’albero mentre ne divorano la polpa. Come i vermi del bambù, anche le larve di punteruolo della palma possono essere mangiate crude, tostate, cotte al vapore o fritte.

Tenebrione mugnaio (Tenebrio molitor)
Larva, pupa e tenebrione adulto
Larva, pupa e tenebrione adulto. Fonte: Il Naturalista

Il tenebrione mugnaio, o tarma della farina, è un insetto molto comune nelle abitazioni, in particolare nelle dispense dove può compromettere le scorte di cereali e derivati come pasta e pane defecandoci sopra. Le larve di tenebrione possono raggiungere i tre centimetri di lunghezza e sono considerate commestibili per molte specie (essere umano incluso).

Le larve di tenebrione sono spesso utilizzate come cibo per rettili, pesci e uccelli, sono un alimento ad alto contenuto di proteine (dal 14% al 25% ogni 100 grammi) e contengono potassio, sodio, rame, ferro e zinco in quantità simili a quelle della carne di manzo. Le larve di tenebrione sono considerate gateway bug, uno dei primi insetti che si assaggiano quando ci si avvicina all’ entomofagia.

Larva “witchetty”
larva Witchetty
Larva Witchetty. Fonte: Wikimedia commons

Larva della falena australiana Endoxyla leucomochla che si nutre degli arbusti di Acacia kempeana. Il realtà, il termine “witchetty” (che nella lingua aborigena Adnyamathanha significa “larva del bastone uncinato”) viene usato dagli Aborigeni per indicare qualunque larva commestibile.
Chi l’ha assaggiata ha definito il sapore come simile alle mandorle e quando viene cotta l’involucro esterno diventa croccante mentre l’interno rimane semi-liquido come un uovo fritto.

Zazamushi

Con il termine zazamushi si indica un complesso di larve appartenenti alle famiglie Trichoptera e Megaloptera. Le larve di queste specie, di circa 2 cm di lunghezza, vivono nascoste sotto le pietre fluviali. In Giappone esiste una tradizione di pesca agli zazamushi sul fiume Tenryugawa: le larve vengono generalmente consumate dopo essere state lavate e cotte in salsa di soia e zucchero.

Tarma della cera
Larve di tarme della cera
Larve di tarme della cera

Le tarme della cera appartengono a tre specie differenti: la tarma minore della cera (Achroia grisella), la tarma maggiore (Galleria mellonella) e la larva della falena Aphomia sociella. In natura queste larve sono parassiti degli alveari e si nutrono di bozzoli, polline, pelle di scarto delle api e soprattutto della cera: non attaccano direttamente le api, ma masticano la casa in cui vivono.

Nel regno animale, le tarme della cera rappresentano un’importante fonte di proteine e grassi per molti uccelli, rettili e piccoli mammiferi insettivori, e sono talvolta consumate dall’essere umano.

Larve di calabrone gigante asiatico
Larve di Vespa mandarinia
Larve di Vespa mandarinia

Il calabrone gigante asiatico (Vespa mandarinia) è il calabrone più grande al mondo: lungo fino a 50 millimetri, può provocare dolorose punture definire “come un chiodo rovente conficcato nella gamba”. Ogni anno causa dalle 20 alle 40 vittime solo in Giappone.
Le larve di calabrone asiatico, tuttavia, sono considerate una vera prelibatezza. Possono essere mangiate fritte o sotto forma di sashimi. Le larve di Vespa mandarinia secernono sostanze che oggi vengono replicate sinteticamente per la produzione di integratori alimentari in grado di migliorare la resistenza fisica.

TOP 50 EDIBLE INSECTS LIST

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Fu lo scoiattolo a causare la lebbra nel Medioevo inglese? https://www.vitantica.net/2017/10/26/scoiattolo-causa-lebbra-medioevo/ https://www.vitantica.net/2017/10/26/scoiattolo-causa-lebbra-medioevo/#respond Thu, 26 Oct 2017 02:00:38 +0000 https://www.vitantica.net/?p=773 L’analisi genetica di un teschio appartenente alla “Donna di Hoxne”, scoperto nella contea di Suffolk, sembrerebbe collegare gli episodi di lebbra dell’ Inghilterra pre-normanna al commercio di pelli di scoiattolo con la Scandinavia.

La ricerca, pubblicata su The Journal of Medical Microbiology, mette in stretta relazione l’elevata incidenza di lebbra nell’ Anglia orientale nel IX – X secolo con lo scoiattolo rosso, simpatico animaletto presente in tutta Europa ma anche portatore del Mycobacterium Leprae, il batterio della lebbra.

La Donna di Hoxne aveva la lebbra

La Donna di Hoxne sarebbe vissuta tra l’anno 885 e il 1015 d.C. e l’analisi genetica del suo cranio ha rivelato non solo la composizione della sua dieta (comporta principalmente da grano, orzo e qualche verdura) ma anche le tracce del Mycobacterium Leprae, uno dei due batteri che causano la lebbra.

La malattia deve probabilmente aver segnato profondamente la vita di questa donna: il cranio mostra ancora i segni che le sfiguravano il volto e soffrì probabilmente delle tipiche lesioni nervose dei malati di lebbra.

Cranio della Donna di Hoxne
Cranio della Donna di Hoxne

Il ceppo Mycobacterium Leprae è lo stesso rilevato nei resti di un uomo vissuto nella stessa regione (a Great Chesterfor) circa 5 secoli prima, suggerendo che la presenza della lebbra abbia rappresentato per secoli una costante nell’ Anglia orientale.

“E’ possibile che l’apparente convergenza di casi di lebbra nell’ Anglia orientale si possa attribuire al caso” spiega Sarah Inskip, a capo del gruppo di ricerca.

“Forse sono stati semplicemente scoperti più resti umani in questa regione, e le scoperte sono state effettuate in un tipo di terreno che conteneva elevate quantità di gesso in grado di preservare meglio le ossa. Tuttavia, troviamo le stesse condizioni in aree come Hampshire e Dorset [Sud-Ovest Inghilterra] , in cui sono stati scoperti e scavati molti cimiteri anglosassoni ma non sono stati riportati casi di lebbra”.

Ceppo di lebbra comune tra Inghilterra e Scandinavia

Questa lunga premessa era indispensabile per giungere al passo successivo: cosa c’entrano gli scoiattoli? Ora che sappiamo che nell’ Anglia orientale si è manifestato un alto numero di casi di lebbra tra il VI e il X secolo, occorre spostarsi in Danimarca e Svezia, dove alcuni resti umani risalenti allo stesso periodo mostrano tracce dello stesso ceppo batterico di Mycobacterium Leprae della Donna di Hoxne e dell’uomo di Great Chesterfor, vissuti dall’altra parte del Mare del Nord.

Secondo gli autori della ricerca, è possibile che il commercio marittimo con la Scandinavia abbia contribuito all’ arrivo della lebbra nell’ Anglia orientale. “E’ possibile che questo ceppo di lebbra abbia trovato terreno fertile nel Sud-Est dell’ Inghilterra a seguito del contatto con le pelli pregiate e la carne di scoiattolo trafficate dai Vichinghi nel periodo in cui questa donna era viva” spiega Inskip.

Scoiattoli e lebbra

L’analisi di alcuni recenti casi di lebbra negli scoiattoli rossi dell’ Isola di Brownsend ha inoltre mostrato che il ceppo che li affligge è strettamente imparentato con quello della Donna di Hoxne; si tratta dello stesso ceppo che in tempi moderni colpisce anche l’armadillo comune (Dasypus novemcinctus) della Florida.

“La ricerca ha già stabilito che la lebbra possa essere trasmessa da armadilli a esseri umani, per cui l’idea che possa essere trasmessa anche dagli scoiattoli è interessante. Si può discutere su quanto a lungo possa sopravvivere il batterio nelle pelli o nella carne, ma bisogna far notare che a volte gli scoiattoli erano tenuti come animali domestici” afferma Inskip.

Scoiattolo rosso e scoiattolo grigio nordamericano (Sciurus carolinensis)
Scoiattolo rosso e scoiattolo grigio nordamericano (Sciurus carolinensis)

Al tempo della Donna di Hoxne in Europa esisteva solo lo scoiattolo rosso (Sciurus vulgaris), oggi minacciato dalla presenza dello scoiattolo grigio nordamericano (Sciurus carolinensis), introdotto nel 1948 in Europa e portatore sano di una malattia causata da un parapoxvirus che negli scoiattoli rossi ha una mortalità prossima al 100%.

Come ogni animale che vive libero in natura, anche lo scoiattolo può ospitare parassiti o malattie trasmissibili all’essere umano, come la rabbia o la leptospirosi.

Could Squirrel trade have contributed to England’s medieval leprosy outbreak?

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Malattie comuni nell’antichità https://www.vitantica.net/2017/09/19/malattie-infettive-comuni-antichita/ https://www.vitantica.net/2017/09/19/malattie-infettive-comuni-antichita/#respond Tue, 19 Sep 2017 06:00:05 +0000 https://www.vitantica.net/?p=280 I cacciatori-raccoglitori antichi e moderni non sono noti per vivere in ambienti puliti e igienici. Ogni individuo è costantemente esposto a batteri, virus, funghi, protozoi e parassiti, la maggior parte innocui ma in qualche caso potenzialmente letali.

La nascita dei primi centri urbani rese la situazione igienica ancora più esplosiva: i grossi insediamenti costringevano grandi quantità di persone a vivere porta a porta, condividendo acqua, aria e cibo ed esponendosi ai liquami e ai rifiuti prodotti dall’intera comunità. Un ambiente ideale per la proliferazione e la diffusione di agenti patogeni.

Qui sotto un elenco di alcune malattie comuni nel mondo antico e talvolta ricorrenti anche in tempi moderni.

Vaiolo

Il vaiolo è una malattia altamente infettiva provocata da due varianti dello stesso virus, il Variola maior e la Variola minor, che si separarono dal ceppo originale tra i 1400 e i 6300 anni fa.

Il contagio si manifesta con eruzioni cutanee e pustole piene di liquido che lasciano cicatrici su 2/3 dei sopravvissuti. La mortalità è del 30-35% e nel 2-4% dei casi provoca anche cecità e deformità degli arti.

Il vaiolo sembra essere emerso nell’essere umano circa 12.000 anni fa evolvendosi probabilmente da un virus dei roditori. E’ diventata endemica in India circa 3000 anni fa, ma pare che al tempo in Egitto il vaiolo fosse già comune, tanto che il corpo del faraone Ramses V riporta le conseguenze tipiche della malattia.

Gli archivi storici asiatici descrivono una malattia sostanzialmente identica in India e in Cina oltre 2000 anni fa, ma per la prima data certa sull’introduzione in Cina occorre attendere il I secolo a.C.

Si stima che l’epidemia di vaiolo del 735-737 avvenuta in Giappone abbia ucciso circa un terzo della popolazione del tempo; il suo tasso di mortalità fece emergere almeno sette divinità asiatiche associate al vaiolo, come Sopona e Shitala Devi.

Tifo
Vittime dell'epidemia cocoliztli raffigurate nel Codice Fiorentino di fra' Bernardino de Sahagún
Vittime dell’epidemia cocoliztli (possibile febbre tifoide) raffigurate nel Codice Fiorentino di fra’ Bernardino de Sahagún

La febbre tifoide, o tifo, è una malattia infettiva che si trasmette per via orale e fecale tramite il batterio Salmonella enterica e provoca febbre, rash cutanei, fotofobia, delirio e coma. Fino all’introduzione degli antibiotici, il tifo aveva causava la morte del 10% dei pazienti contagiati.

Le prime tracce di infezione da tifo nella storia risalgono al XV secolo d.C., ma fu tra il XVII e il XIX secolo che la malattia colpì pesantemente l’Europa con una serie di epidemie, tra cui quella che in Germania causò la morte del 10% dell’intera popolazione nell’arco di 30 anni.

Influenza

L’influenza potrebbe suonare come una malattia nata in tempi recenti; in realtà, gira per il mondo da millenni, mutando in continuazione. La prima descrizione dei sintomi dell’influenza fu redatta da Ippocrate circa 2400 anni fa, ma è altamente probabile che fosse in circolazione da almeno qualche millennio prima.

Il virus giunse nelle Americhe attraverso la colonizzazione europea: un’ epidemia di una malattia dai sintomi identici a quelli dell’influenza si verificò nel 1493 nelle Antille e fu probabilmente l’arrivo di Colombo e dei suoi compagni a dare inizio al contagio nel Nuovo Mondo.

Il primo dato certo relativo ad una pandemia di influenza è relativo al contagio del 1580 avvenuto in Russia e diffusosi poi in Europa. Nella sola Roma morirono oltre 8.000 persone e molte città spagnole dell’epoca furono quasi completamente decimate.

Malaria

Zanzara e repellenti

La malaria è una delle malattie più antiche del pianeta ed è causata da un protozoo parassita che viaggia “a bordo” di alcune specie di zanzare, solitamente quelle del genere Anopheles.

Uno dei cinque tipi di parassiti che causano la malaria, il Plasmodium falciparum, sembra esistere da almeno 50-100.000 anni e si originò probabilmente dai gorilla, ma fu l’avvento dei primi insediamenti urbani a causare l’esplosione della malattia nella popolazione umana.

In epoca romana, la malaria era conosciuta come “febbre di Roma” per via della sua ampia diffusione nella penisola italiana, specialmente nelle aree paludose come l’Agro Pontino e le aree lungo il corso del Tevere.

Il termine “malaria” ha le sue radici nella teoria dei miasmi, che viene descritta da Leonardo Bruni nella sua Historiarum Florentini populi libri XII:

Avuto i Fiorentini questo fortissimo castello e fornitolo di buone guardie, consigliavano fra loro medesimi fosse da fare. Erano alcuni a’ quali pareva sommamente utile e necessario a ridurre lo esercito, e massimamente essendo affaticato per la infermità e per la mala ariae per lungo e difficile campeggiare nel tempo dell’autunno e in luoghi infermi, e vedendo ancora ch’egli era diminuito assai per la licenza conceduta a molti pel capitano di potersi partire: perocchè, nel tempo che eglino erano stati lungamente a quello assedio, molti, o per disagio del campo o per paura d’infermità, avevano domandato e ottenuto licenza da lui (Acciajuoli 1476).

La malaria era sostanzialmente sconosciuta ai popoli del Nuovo Mondo e furono gli Europei e gli Africani a portarla nelle Americhe intorno al XVI secolo. Il plasmodio trovò terreno fertile nelle paludi del South Carolina e della Virgina e si indediò stabilmente.

Morbillo

Il morbillo è una malattia estremamente contagiosa che si diffonde per via aerea e provoca, nella sua fase iniziale, febbre alta (spesso 40°C e oltre), tosse e infiammazioni oculari; nell’arco di due o tre giorni iniziano a manifestarsi macchie bianche all’interno della bocca e un’eruzione cutanea che gradualmente si diffonde dalla faccia al resto del corpo. Nel 30% dei casi si verificano complicanze come diarrea, cecità e polmonite.

La prima descrizione del morbillo e la sua distinzione dal vaiolo e dalla varicella risale al IX secolo d.C., ed è una malattia che può essere devastante in popolazioni che non sono mai state esposte al virus.

Nel 1529, un’epidemia di morbillo scoppiata a Cuba uccise due terzi degli abitanti nativi, già sopravvissuti ad un’epidemia di vaiolo; due anni dopo, in Honduras, metà della popolazione morì per via della malattia.

Tubercolosi

La tubercolosi è una malattia infettiva causata dal batterio Mycobacterium tuberculosis, chiamato anche Bacillo di Koch ed è stata considerata invalidante e grave fino agli anni ’50 del 1900.

La tubercolosi si trasmette per via aerea tramite le gocce di saliva e causa tosse cronica con espettorato di sangue, febbre e perdita di peso, risultando letale in oltre il 50% dei casi non trattati.

I resti del batterio Mycobacterium tuberculosis sono stati scoperti su una carcassa di bisonte risalente a circa 17.000 anni fa. Non è ancora possibile stimare la data del salto di specie, ma alcuni resti umani dei 9.000 a.C. riportano tracce di tubercolosi.

Alcune mummie egizie del 3000-2400 a.C. riportano i segni di infezione da tubercolosi, come la mummia del sacerdote Nesperehen. E’ possibile che Akhenaton e sua moglie Nefertiti siano morti per la tubercolosi e ci sono prove che centri per il ricovero degli affetti da questa malattia esistessero in Egitto fin dal 1500 a.C.

Il papiro di Ebers, uno dei più completi testi medici dell’antico Egitto, descrive una malattia polmonare molto simile alla tubercolosi. La malattia veniva trattata con una mistura di acacia, piselli, frutta, sangue di animali e insetti, sale e miele.

Peste bubbonica

malattie: peste bubbonica

La peste bubbonica è causata dal batterio Yersinia pestis e provoca febbre, mal di testa, vomito e rigonfiamenti dei linfonodi nell’area in cui il batterio ha penetrato la pelle.

La peste bubbonica usa come veicolo principale le pulci infette: passando da mammifero a mammifero, questi animaletti contribuiscono alla diffusione del batterio.

Il contagio può avvenire anche tramite contatto con i fluidi corporei di animali o esseri umani infetti. Senza trattamenti specializzati, la mortalità varia dal 30% al 90%.

La prima grande epidemia di peste bubbonica documentata, chiamata “La peste di Giustiniano”, risale al VI secolo e causò la morte di 25 milioni di abitanti dell’impero bizantino.

La seconda grande epidemia risale al Basso Medioevo e fu una delle epidemie più mortali della storia umana: la “Peste Nera” ebbe origine probabilmente nelle steppe mongole all’inizio del 1346 e nell’arco di un anno giunse in Europa, uccidendo circa un terzo della popolazione del continente.

Lebbra

La lebbra è un’infezione a lungo termine causata da due batteri, il Mycobacterium leprae o il Mycobacterium lepromatosis. I sintomi possono manifestarsi anche dopo 10 anni dal contagio e causa granulomi su nervi, tratto respiratorio, pelle e occhi; col tempo si perde la capacità di provare dolore e si manifestano deformità.

Le tracce più antiche della lebbra le troviamo in alcuni reperti scheletrici umani appartenenti alla civiltà della valle dell’Indo e risalenti a circa 5.000 anni fa.

La parola “lebbra” deriva dal greco lepra, traducibile come “malattia che provoca scaglie sulla pelle”. Secondo gli archeologi, Ippocrate descrisse la lebbra nel 460 a.C. e la malattia era ben conosciuta nell’antica Grecia, in Cina, in Egitto e in India. La malattia fu descritta anche da Aulus Cornelius Celsus e Plinio il Vecchio.

Il Feng zhen shi, un trattato scritto tra il 266 e il 246 a.C., è il primo testo cinese che cita la lebbra classificandola genericamente come “malattia della pelle”. Nel testo viene descritta la distruzione del setto nasale, caratteristica tipica dei malati di lebbra, un’osservazione che in Occidente fu messa per iscritto per la prima volta da Avicenna nell’ XI secolo.

Rabbia

Malattie: rabbia

La rabbia è una malattia virale che causa febbre, movimenti violenti, eccitazione incontrollabile, paura dell’acqua, irrigidimento di alcune parti del corpo, confusione e perdita di conoscenza. Il periodo di incubazione è varia da 1 settimana a 1 anno e una volta che compaiono i sintomi la morte è quasi certa.

La rabbia è nota fin dal 2000 a.C. e viene citata nel testo mesopotamico Codice di Eshnunna, da cui si deduce che i sintomi in animali e uomini fossero ben noti. Aristotele citò e descrisse la rabbia nel 300 a.C., spiegando anche le dinamiche del contagio.

Nel corso dei secoli sono stati fatti numerosissimi tentativi di cura per questa malattia. Scribonius Largus prescriveva una poltiglia di pelle di iena; Antaeus raccomandava un preparato ottenuto dal teschio di un impiccato.

Si arrivò addirittura a rimuovere il punto d’attacco della lingua (frenulo linguale) dai malati, ritenendo che fosse il punto d’origine della rabbia. Ovviamente, nessuno di questi trattamenti ebbe mai successo

Colera

Il colera è un’infezione intestinale causata da alcuni ceppi del batterio Vibrio cholerae che si diffondono principalmente attraverso cibo e acqua infetti da feci umane. La fase iniziale dell’infezione provoca diarrea per qualche giorno, con vomito e crampi muscolari; la diarrea può raggiungere una gravità tale da portare alla disidratazione nell’arco di poche ore.

Nel V a.C. Ippocrate utilizzò per primo il termine “colera”, anche se non si hanno prove certe che si riferisse a questa malattia. Per il primo rapporto medico relativo al contagio bisogna attendere il XVI secolo in India.

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Macuahuitl, la “spada” azteca https://www.vitantica.net/2017/09/05/macuahuitl-la-spada-azteca/ https://www.vitantica.net/2017/09/05/macuahuitl-la-spada-azteca/#respond Tue, 05 Sep 2017 11:42:06 +0000 https://www.vitantica.net/?p=78 Prima del rame, del bronzo, del ferro e dell’acciaio, cosa usavano i nostri antenati come arma di offesa? Principalmente legno e pietra. Ma la natura di questi due materiali (il primo relativamente debole rispetto ai metalli, il secondo più fragile) non deve trarre in inganno: pietra e legno, combinati sapientemente, hanno consentito di creare una delle armi bianche più devastanti della storia: il macuahuitl.

Armi sofisticate contro tecnologia primitiva

Quando gli Spagnoli giunsero in Messico, si trovarono di fronte i temibili guerrieri aztechi armati di strumenti che impallidivano in quanto a tecnologia e resistenza di fronte alle armi europee: archi relativamente primitivi contro corazze in grado di respingere colpi di balestra, nessuna protezione contro armi da fuoco che falciavano il nemico ancor prima che potesse avvicinarsi, e una strategia militare quasi inesistente contro una tecnicamente impeccabile supportata da secoli e secoli di guerre europee.

Ciò che gli Spagnoli non realizzarono immediatamente è che le corazze tecnologicamente avanzate, le armi da fuoco e la ultracentenaria esperienza bellica non erano elementi sufficienti a vincere facilmente una guerra come quella condotta contro gli Aztechi. I conquistadores rimasero particolarmente colpiti da un’arma, il macuahuitl, un bastone di legno rivestito sui bordi da schegge di ossidiana, apparentemente capace di decapitare un cavallo.

Gli Aztechi avevano sviluppato, nel corso della loro storia, una particolare abilità nella lavorazione del legno e della pietra lavica. Questa loro capacità consentì, tra le altre cose, la nascita dell’ atlatl, un’arma da getto realizzata anche in altre regioni del mondo, e una serie di lame in ossidiana incredibilmente decorate e taglienti.

Una clava di legno e ossidiana

La pietra lavica, tuttavia, non è il materiale più adatto alla creazione di lame lunghe più di 15-20 centimetri: superata una certa lunghezza il rischio di frattura è troppo elevato per poter considerare affidabile e durevole una lama di ossidiana.

Ma il combattimento corpo a corpo non è fatto soltanto di armi corte: più la nostra arma colpisce con potenza, più i danni causati saranno ingenti. Per aumentare la potenza inferta dal colpo di un’arma da taglio o contundente ci sono essenzialmente due metodi: aumentarne il peso o incrementare il suo raggio d’azione, in modo tale che la parte terminale dell’arma acquisisca maggiore velocità durante i tipici movimenti circolari di una spada, un’ ascia da battaglia o una mazza.

Macuahuitl pietra

Gli Aztechi ovviarono al problema della fragilità dell’ossidiana e della lunghezza delle loro armi da combattimento ravvicinato mescolando legno e pietra. Il macuahuitl era essenzialmente un bastone di legno di quercia lungo dai 50 ai 100 centimetri e dalla vaga forma a remo; sui bordi dell’estremità più larga dell’arma venivano innestate schegge di pietra taglienti come rasoi.

Ogni scheggia era larga da 2 a 5 centimetri e veniva incastrata nel corpo in legno dell’arma utilizzando anche una miscela adesiva probabilmente ricavata dalla resina di conifere o dal lattice di alcuni alberi (come quello dell’ albero della gomma). Una scheggia di ossidiana non è altro che materiale roccioso vetrificato, vero e proprio vetro naturale del tutto somigliante a quello prodotto artificialmente e capace di formare superfici affilatissime se lavorato con la tecnica più adatta.

Riproduzioni moderne del macuahuitl

Quanto era efficace il macuahuitl? Secondo Bernal Díaz del Castillo, al seguito di Hernán Cortés, quest’arma poteva facilmente decapitare un uomo, arrivando addirittura a tagliare la testa di un cavallo con un solo, potente colpo dall’alto.

Per la trasmissione Deadliest Warrior di SpikeTV, la produzione ha ricreato un macuahuitl per utilizzarlo contro la replica della testa di un cavallo dotata di scheletro e ricoperta da gel balistico. Éder Saúl López, che manovrava l’arma, è stato in grado di decapitare il bersaglio utilizzando tre colpi; non esattamente il singolo fendente dei resoconti spagnoli, ma un risultato ugualmente impressionante.

L’esperimento ha anche dimostrato che il macuahuitl aumenta la sua potenza se, dopo aver raggiunto il limite di penetrazione dell’arma, lo si recupera con violenza come se fosse una sega, lacerando qualunque tessuto incontrato dalle lame. Ma una società che apprezzava la schiavitù come quella azteca preferiva catturare vivo il nemico;  un movimento di questo tipo avrebbe causato danni così ingenti ad un potenziale schiavo da cancellare ogni speranza di sopravvivenza.

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Nonostante l’utilizzo di materiali primitivi, il macuahuitl era un’arma temibile in battaglia, ma fu anche una delle ragioni fondamentali delle ripetute sconfitte militari azteche. Un’arma del genere prevede movimenti ampi e circolari, quindi molto spazio tra un soldato e l’altro; i guerrieri aztechi avanzavano in modo disordinato menando fendenti verso qualunque cosa si muovesse, mentre i conquistadores, abituati alla disciplina e a mantenere fila serrate, combattevano compatti difendendo e attaccando come una singola unità.

Le lame di ossidiana, inoltre, tendevano a staccarsi dal corpo in legno per incastrarsi nei tessuti della vittima, o a frantumarsi quando incontravano materiale osseo o l’acciaio delle corazze. Il macuahuitl perdeva velocemente la sua efficacia come arma da taglio dopo una dozzina di fendenti, lasciando nelle mani del guerriero azteco soltanto una lunga e pesante mazza minimamente competitiva nei confronti della tecnologia bellica spagnola del tempo.

Infine, il macuahuitl fu ideato da una società profondamente schiavista che vedeva nei prigionieri non solo un bene di lusso ma una vera e propria offerta alle divinità. Tornare in città in compagnia di una folta schiera di prigionieri (prelevati da città o villaggi rivali) era considerato segno di distinzione per un guerrieri azteco; era importante quindi evitare di uccidere, se possibile, il maggior numero di potenziali schiavi per farsi un nome.

Il macuahuitl era perfetto per lo scopo: le corte lame di ossidiana infliggevano colpi debilitanti ma raramente fatali nel breve periodo (la casta guerriera veniva addestrata fin dalla giovane età a colpire per dislocare o ferire); il bastone a remo era un’arma contundente incredibilmente efficace per stordine un nemico privo di protezioni e militarmente inferiore, perfetta per un agguato di breve durata e tatticamente disorganizzato.

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Nonostante i suoi evidenti limiti, il macuahuitl è un’arma unica nel suo genere che ha consentito ai guerrieri aztechi di avere il predominio sul Messico per almeno un secolo. Era un’arma destinata a guerrieri dalla grande forza fisica e realizzata da artigiani che padroneggiavano le tecniche di lavorazione del legno e della pietra come pochi altri nel mondo.

Ad oggi non esiste alcun esemplare di macuahuitl risalente al periodo pre-conquista: l’ultimo macuahuitl sopravvissuto agli Spagnoli fu distrutto dall’incendio all’ Armeria Real di Madrid nel 1884.

Macuahuitl

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