funghi – VitAntica https://www.vitantica.net Vita antica, preindustriale e primitiva Thu, 01 Feb 2024 15:10:35 +0000 it-IT hourly 1 Funghi del mais e dieta dei nativi americani https://www.vitantica.net/2019/07/26/funghi-mais-dieta-nativi-americani/ https://www.vitantica.net/2019/07/26/funghi-mais-dieta-nativi-americani/#comments Fri, 26 Jul 2019 00:10:52 +0000 https://www.vitantica.net/?p=4443 I primi agricoltori del Nord America iniziarono a coltivare mais intorno al 400 a.C.; il granoturco diventò velocemente la base della loro dieta, una risorsa così vitale da costituire circa l’80% del loro introito calorico quotidiano.

La questione che solleva un’alimentazione basata per 4/5 sul mais riguarda gli effetti sul’organismo umano di una dieta così prepotentemente fondata sulle granaglie: come facevano i primi agricoltori nordamericani a integrare nel loro regime alimentare tutti i nutrienti necessari a mantenerli in salute?

Il problema di una dieta a base di mais

Secondo una ricerca pubblicata su ScienceDirect.com nel 2013, il mais costituì un alimento di primaria importanza per le culture dello Utah, e più in generale per i popoli Pueblo come Hopi, Zuni, Pima e Tano. La loro dieta veniva integrata in minima parte da piante selvatiche come la yucca, o da proteine animali ottenute da selvaggina come il coniglio selvatico.

I popoli Pueblo mantenevano quindi un regime alimentare povero di nutrienti fondamentali, una dieta che per molto tempo ha lasciato sconcertati gli antropologi: come facevano i nativi nordamericani ad evitare malattie come la pellagra, causata dalla carenza di vitamine del gruppo B tipicamente presenti nel latte e nelle verdure?

La pellagra è infatti una patologia molto frequente nelle popolazioni che fanno uso intensivo di sorgo o mais. Anche se questi cereali forniscono vitamine del gruppo B, le contengono in una forma che non può essere assorbita dall’intestino dei mammiferi non ruminanti.

Ad incuriosire ulteriormente gli antropologi ci sono le prove biologiche dell’assenza di pellagra tra i popoli Pueblo. I nativi, quindi, integravano in qualche modo le vitamine mancanti nella loro dieta ottenendo l’accesso a nutrienti non meglio identificati, o facendo bollire il mais all’interno di recipienti calcarei in modo tale da “sbloccare” alcuni amminoacidi altrimenti impossibili da assimilare per l’organismo umano.

L’antropologa Jenna Battillo della Southern Methodist University è convinta che la chiave per la salute dei popoli Pueblo fosse un fungo che cresce sulle piante di mais, l’ Ustilago maydis.

Il carbone del mais
Ciclo dell' Ustilago maydis. Insights from the genome of the biotrophic fungal plant pathogen Ustilago maydis
Ciclo dell’ Ustilago maydis

La malattia chiamata “carbone del mais” è causata dal fungo Ustilago maydis. I sintomi dell’attacco di questo fungo si manifestano sotto forma di masse tumorali biancastre che possono raggiungere i 15 centimetri di diametro e che aggrediscono molto facilmente le pannocchie.

In tempi moderni l’Ustilago maydis è considerato una piaga agricola in grado di causare notevoi danni alle coltivazioni di mais: ogni anno il 3-4% dei raccolti di mais statunitensi devono essere distrutti a causa della presenza del fungo (il 2% su scala globale), ma nel XIX secolo la percentuale poteva raggiungere l’80%.

Secoli fa, tuttavia, l’Ustilago maydis era considerato una preziosa risorsa alimentare e veniva consumato da Aztechi, Maya, Hopi e altre culture nord e centro americane. Ancora oggi in Messico (sotto il nome di huitlacoche, traducibile in “escrementi di corvo”) viene impiegato come ripieno per le quesadillas o come ingrediente per zuppe.

L’analisi delle feci degli antichi abitanti degli Utah, in particolare quelle rinvenute nei pressi del sito di Turkey Penn Ruin, hanno mostrato una forte presenza di spore di Ustilago maydis, suggerendo che il fungo venisse intenzionalmente incluso nella dieta dei popoli Pueblo.

Integratore alimentare naturale

L’Ustilago maydis è in grado di alterare il contenuto nutrizionale del mais aumentandone le proteine dal 3% al 19%. E’ anche capace di incrementare drasticamente i livelli di lisina e introduce nel mais altri 16 amminoacidi essenziali ad esclusione del triptofano.

Anche se questo fungo diminuisce notevolmente il raccolto di mais riducendo la dimensione delle pannocchie, rendendole meno appetibili e indebolendo la pianta, costituisce una vera e propria risorsa alimentare in grado di equilibrare una dieta sbilanciata basata quasi interamente sulle granaglie.

Il consumo di Ustilago maydis sembra aver avuto origine nella cultura azteca. Veniva raccolto ancora immaturo, dato che una volta raggiunta la maturità risulta troppo secco e ricco di spore; il suo sapore è stato descritto come molto simile a quello dei funghi più tradizionali, con un odore più pungente.

Quesadila a base di huitlacoche
Quesadila a base di huitlacoche. Honeywhatscooking.com

In Messico, la tradizione sostiene che l’ huitlacoche sia un dono della stagione umida e viene consumato da almeno 6 secoli. “Quando gli Europei incontrarono per la prima volta l’huitlacoche” afferma Lydia Zepeda, professoressa del Gaylord Nelson Institute for Environmental Studies, “videro soltanto una malattia e spesero i successivi 500 anni nel tentativo di dimostrare che fosse dannoso e cercando un modo di eradicarlo”.

“Non riuscirono a fare nessuna delle due cose” continua Zepeda. “In realtà, è meno tossico del frumento, i fungicidi sviluppati per ucciderlo non funzionano e sono molto dannosi per l’essere umano”.

Il consumo di Ustilago maydis può avere effetti collaterali. Contenendo ustilagina, un principio attivo dagli effetti simili all’ergotamina prodotta dalla segale cornuta (Claviceps purpurea), può causare in alcuni casi vomito, dolori addominali, vertigini, nausea, crampi e diarrea; ma il dosaggio di ustilagina causato dall’assunzione di huitlacoche è generalmente troppo basso da provocare effetti indesiderati.

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The role of corn fungus in Basketmaker II diet: A paleonutrition perspective on early corn farming adaptations
Professor introduces unusual edible fungus to Madison
Carbone del mais: malattia distruttiva o prelibatezza messicana?

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Ticino: raccolta fotografica di animali, piante e funghi (parte 2) https://www.vitantica.net/2018/12/31/ticino-raccolta-fotografica-animali-piante-funghi-parte-2/ https://www.vitantica.net/2018/12/31/ticino-raccolta-fotografica-animali-piante-funghi-parte-2/#respond Mon, 31 Dec 2018 09:00:40 +0000 https://www.vitantica.net/?p=3188 Ho impiegato un po’ di tempo per recuperare altre foto sull’ecosistema Ticino, il Fiume Azzurro che, coi suoi angoli nascosti e le sue sorprese inaspettate, non manca mai di stupire anche il frequentatore più assiduo e navigato.

Come già fatto in passato, chiedo il vostro aiuto per riconoscere le specie più criptiche e il vostro contributo per eventuali correzioni o aggiunte alle didascalie. Spero che la raccolta sia di vostro gradimento!

Tignosa di primavera (Amanita verna), fungo mortale primaverile che viene spesso confuso con il prataiolo
Tignosa di primavera (Amanita verna), fungo mortale primaverile che viene spesso confuso con il prataiolo
Arion rufus. Normalmente, gli adulti di questa specie sono lunghi dagli 8 ai 12 cm, e pesano dai 5 ai 15 grammi. Le uova sono bianche e leggermente trasparenti, a guscio morbido, di circa 2 mm di diametro; alla schiusa, gli esemplari sono lunghi circa 5 mm.
Arion rufus. Normalmente, gli adulti di questa specie sono lunghi dagli 8 ai 12 cm, e pesano dai 5 ai 15 grammi. Le uova sono bianche e leggermente trasparenti, a guscio morbido, di circa 2 mm di diametro; alla schiusa, gli esemplari sono lunghi circa 5 mm.
Una mazza di tamburo (Macrolepiota procera), fungo dal cappello commestibile ma lievemente tossico se mangiato crudo.
Una mazza di tamburo (Macrolepiota procera), fungo dal cappello commestibile ma lievemente tossico se mangiato crudo.
Una piccola cavalletta
Una piccola cavalletta. Sapreste identificare la specie?
A che specie appartiene questo fungo?
A che specie appartiene questo fungo?
Piccolo millepiedi striato (Ommatoiulus sabulosus) avvolto su se stesso. Sapreste indicarmi a quale specie appartiene il fungo di fianco a lui?
Piccolo millepiedi striato (Ommatoiulus sabulosus) avvolto su se stesso. Sapreste indicarmi a quale specie appartiene il fungo di fianco a lui?
Cappello di cera (Hygrocybe conica) o Cappello della strega, fungo velenoso
Cappello di cera (Hygrocybe conica) o Cappello della strega, fungo velenoso
La rana ibrida dei fossi, conosciuta anche come rana comune o rana verde (Pelophylax esculentus)
La rana ibrida dei fossi, conosciuta anche come rana comune o rana verde (Pelophylax esculentus)
La vanessa io o occhio di pavone (Aglais io) è una ben nota e colorata farfalla della famiglia Nymphalidae. Il suo epiteto specifico fa riferimento a Io, sacerdotessa di Giunone dalla leggendaria bellezza.
La vanessa io o occhio di pavone (Aglais io) è una ben nota e colorata farfalla della famiglia Nymphalidae. Il suo epiteto specifico fa riferimento a Io, sacerdotessa di Giunone dalla leggendaria bellezza.
La vespa comune (Vespula vulgaris) è una specie di vespa tipica dell'Emisfero boreale. Caccia altri insetti che porta al proprio nido, si nutre di frutta e rifiuti. Fa razzie nei nidi delle api.
La vespa comune (Vespula vulgaris) è una specie di vespa tipica dell’Emisfero boreale. Caccia altri insetti che porta al proprio nido, si nutre di frutta e rifiuti. Fa razzie nei nidi delle api.
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Ticino: raccolta fotografica di animali, piante e funghi (parte 1) https://www.vitantica.net/2018/07/21/ticino-raccolta-fotografica-animali-piante-funghi-parte-1/ https://www.vitantica.net/2018/07/21/ticino-raccolta-fotografica-animali-piante-funghi-parte-1/#respond Sat, 21 Jul 2018 02:00:59 +0000 https://www.vitantica.net/?p=1989 Molti di noi sottovalutano il Ticino. Nel corso dei secoli è stato maltrattato, usato come discarica, domato con la forza, ma continua a sopravvivere e a nascondere meraviglie che spesso cerchiamo altrove, lontano da posti così vicini a casa.

Nel corso degli ultimi anni ho avuto modo di rivedere completamente la mia opinione sul Fiume Azzurro. Il Ticino è molto più che grigliate e abbronzatura in attesa del mare: per carpire il vero spirito di un fiume millenario bisogna esplorare gli angoli remoti, spingersi oltre qualche piccolo limite personale e avere pazienza, molta pazienza.

Ho avuto il privilegio di immortalare qualche piccolo dettaglio della natura del Ticino e dei territori limitrofi. Dettagli forse insignificanti, ma che rappresentano l’essenza del microcosmo del sottobosco o degli strati più alti degli ecosistemi ticinesi: nella maggior parte dei casi si tratta di esseri viventi che dimorano nei pressi del letto del Ticino da secoli o millenni.

In questa serie di post pubblicherò qualche fotografia o video immortalati nell’arco degli ultimi anni con la mia misera e preistorica fotocamera. Foto e filmati di animali, piante, funghi e qualunque evento coinvolga la natura abbia avuto la fortuna di registrare.

Chiedo il vostro aiuto per riconoscere le specie più criptiche e il vostro contributo per eventuali correzioni o aggiunte alle didascalie. Spero che la raccolta sia di vostro gradimento!

Tipica ape europea (Apis mellifera) durante il suo giro di ricognizione e raccolta del nettare dei fiori ticinesi.
Tipica ape europea (Apis mellifera) durante il suo giro di ricognizione e raccolta del nettare dei fiori ticinesi.

Tipica ape europea (Apis mellifera) durante il suo giro di ricognizione e raccolta del nettare dei fiori ticinesi.

Questa lavoratrice infaticabile sta invece visitando un tarassaco
Questa lavoratrice infaticabile sta invece visitando un tarassaco

Questa lavoratrice infaticabile sta invece visitando un tarassaco

Qualcuno è in grado di identificare questo piccolo bruco?
La cavalletta Odontopodisma decipiens ha una livrea verde chiaro "metallizzata" e vive generalmente in zone dalla flora rigogliosa. Questo sembra essere un esemplare giovanile, ma generalmente raggiungono la fase adulta tra giugno e ottobre. Si appoggiano sulla superficie delle foglie per accumulare calore sotto il sole primaverile ed estivo.
La cavalletta Odontopodisma decipiens ha una livrea verde chiaro “metallizzata” e vive generalmente in zone dalla flora rigogliosa. Questo sembra essere un esemplare giovanile, ma generalmente raggiungono la fase adulta tra giugno e ottobre. Si appoggiano sulla superficie delle foglie per accumulare calore sotto il sole primaverile ed estivo.
Piccola cimice verde fotografata a Tornavento (VA)
Piccola cimice verde fotografata a Tornavento (VA)
Il gonfo forcipato (Onychogomphus forcipatus) è una libellula gialla e nera lunga circa 5 centimetri e con cerci a tenaglia.
Il gonfo forcipato (Onychogomphus forcipatus) è una libellula gialla e nera lunga circa 5 centimetri e con cerci a tenaglia.
Mantide religiosa fotografata nei boschi tra Tornavento e Lonate Pozzolo
Mantide religiosa fotografata nei boschi tra Tornavento e Lonate Pozzolo

Mantide religiosa fotografata nei boschi tra Tornavento e Lonate Pozzolo

Chi mi aiuta ad identificare questo ragno?
Chi mi aiuta ad identificare questo ragno?

 

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Amanita muscaria, l’allucinogeno degli sciamani siberiani https://www.vitantica.net/2017/12/02/amanita-muscaria-allucinogeno-sciamani-siberiani/ https://www.vitantica.net/2017/12/02/amanita-muscaria-allucinogeno-sciamani-siberiani/#comments Sat, 02 Dec 2017 02:00:40 +0000 https://www.vitantica.net/?p=921 L’ ovolo malefico (Amanita muscaria) non è soltanto uno dei funghi velenosi più riconoscibili nelle foreste temperate dell’ emisfero settentrionale, è l’incarnazione stessa dell’idea del fungo velenoso. Questo fungo cosmopolita è noto da millenni per le sue proprietà psicoattive ed è entrato a far parte della cultura popolare di molte regioni del mondo.

La prima traccia letteraria dell’ Amanita muscaria risale al De vegetabilibus di Alberto Magno, testo in cui l’ ovolo malefico viene descritto come un efficace insetticida se polverizzato e mescolato con il latte: un componente del fungo sembra infatti attrarre gli insetti, specialmente le mosche.

Sciamana siberiana durante un rituale legato all' Amanita muscaria
Sciamana siberiana durante un rituale legato all’ Amanita muscaria. Il vestito cerimoniale imita la tipica colorazione del cappello del fungo.
Amanita muscaria e sciamanesimo

Per via dei suoi composti allucinogeni l’ Amanita muscaria ha avuto in passato un vasto impiego cerimoniale e religioso. Nelle regioni occidentali della Siberia, questo fungo era impiegato esclusivamente dagli sciamani per raggiungere lo stato di trance in combinazione con danze e musiche ritmiche.

Nelle zone orientali, invece, l’ Amanita muscaria era assunta anche dalla gente comune e per scopi ricreativi, di solito bevendo l’ urina espulsa da uno sciamano sotto l’effetto del fungo: dopo circa 1 ora dall’ingestione, l’espulsione di urina contribuisce ad eliminare buona parte dei composti tossici non metabolizzati e a mitigare gli effetti collaterali, come la forte sudorazione e le convulsioni.

Sembra che l’ovolo malefico sia stato utilizzato con scopi rituali e ricreativi anche tra i Sami (Finlandia), i Parachi (Afghanistan) e in diverse tribù native americane come gli Ojibwa. E’ inoltre possibile che la bevanda rituale indiana chiamata Soma o Haoma, citata nel Rigveda qualche millennio fa, fosse realizzata impiegando l’ Amanita muscaria come ingrediente principale.

Per un elenco delle occorrenze di questo fungo in artefatti del passato, consiglio di leggere questo lungo articolo in inglese sulla storia dell’ ovo malefico e della Soma.

Amanita muscaria var. guessowii
Amanita muscaria var. guessowii
Il ciclo vitale dell’ Amanita muscaria

L’ovolo malefico è un fungo di grandi dimensioni che emerge inizialmente dal terreno sotto forma di ovulo biancastro; man mano che si sviluppa, il cappello assume una colorazione intensa e viene gradualmente ricoperto da verruche bianche o giallastre di forma piramidale, espandendosi verso l’esterno fino a raggiungere una forma di disco quasi piatto negli esemplari più maturi.

Il cappello di un ovolo malefico adulto varia da 8 a 20 centimetri di diametro, anche se non sono rari esemplari più grandi.

Per quanto l’ Amanita muscaria sia facilmente riconoscibile grazie al suo caratteristico cappello rosso, esistono in realtà almeno tre sottospecie che mostrano un piccolo grado di variabilità nella colorazione: le sottospecie americane, per quanto identiche nell’aspetto a quelle eurasiatiche, possono assumere colori che vanno dal rossastro al giallo chiaro o arancio.

L’ Amanita muscaria ha un rapporto simbiotico con il pino, l’abete, il cedro e la betulla e sfrutta spesso i semi di questi alberi per diffondere le proprie spore. Questo metodo di diffusione ha contribuito in tempi recenti alla colonizzazione dell’emisfero meridionale del pianeta dopo l’introduzione di alberi non nativi; in Nuova Zelanda, Australia e Tasmania il fungo si è adattato così bene da formare una nuova simbiosi, mai vista in passato, con i faggi del genere Nothofagus.

Amanita muscaria

Sostanze tossiche dell’ Amanita muscaria

L’ Amanita muscaria contiene una discreta gamma di sostanze neuroattive come acido ibotenico, muscimolo e muscazone, composti che possono provocare l’insorgenza di quella che viene definita sindrome panterinica: disturbi gastrointestinali, formicolii diffusi, convulsioni, delirio, allucinazioni visive e olfattive, difficoltà a distinguere realtà da fantasia.

Queste sostanze non sono distribuite uniformemente nel corpo del fungo, ma tendono a concentrarsi “a macchie” all’interno del cappello: assumere un frammento di Amanita potrebbe far ingerire un mix concentrato di tossine o una dose diluita di sostanze psicoattive.

Una dose di 6 grammi di muscimolo o di 30-60 grammi di acido ibotenico è sufficiente a causare effetti psicoattivi in un adulto. Ogni singolo esemplare di Amanita muscaria contiene sia la dose attiva di muscimolo sia quella di acido ibotenico e la concentrazione di queste sostanze può aumentare anche di 10 volte durante la primavera o l’estate.

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Dose letale difficile da determinare

La dose letale di Amanita muscaria corrisponde a circa 15 funghi adulti. La bollitura in acqua può contribuire a rimuovere parte delle tossine idrosolubili (senza tuttavia eliminarle completamente), mentre l’ essiccazione sembra aumentare la potenza dato che tende a facilitare la trasformazione dell’acibo ibotenico nel più potente muscimolo.

Definire con esattezza una dose letale o psicoattiva non è però semplice: l’ Amanita muscaria è nota per la sua imprevedibilità e gli effetti collaterali possono variare enormemente in base all’individuo che l’assume.

I sintomi da avvelenamento appaiono generalmente dopo 30-90 minuti e raggiungono il picco dopo circa tre ore, ma alcuni degli effetti possono durare anche diversi giorni dipendentemente dalla dose ingerita.

L’avvelenamento da Amanita muscaria veniva trattato nell’antichità con l’utilizzo di carbone o carboni attivi entro le 4 ore dall’ingestione, oppure inducendo il vomito a breve distanza dall’assunzione del fungo.

Purtroppo non esiste alcun antidoto per le tossine dell’ovolo malefico, ma in tempi moderni è possibile trattare con successo un paziente intossicato; pare inoltre che non esista alcuna documentazione medica negli ultimi 100 anni che possa testimoniare con certezza la morte di un essere umano a seguito dell’ingestione di grandi quantità di questo fungo.

Amanita muscaria

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Il fungo dell’esca Fomes fomentarius https://www.vitantica.net/2017/11/20/il-fungo-dellesca-fomes-fomentarius/ https://www.vitantica.net/2017/11/20/il-fungo-dellesca-fomes-fomentarius/#respond Mon, 20 Nov 2017 02:00:38 +0000 https://www.vitantica.net/?p=903 Creare il fuoco dal nulla può essere difficile, ma i nostri antenati erano circondati da una vasta gamma di materiali naturali che potevano essere impiegati per generare una fiamma.

Uno dei materiali più apprezzati era il fungo dell’esca (Fomes fomentarius), un parassita non commestibile di molti alberi europei, asiatici, africani e nordamericani che forma escrescenze dure con colori che variano dal marrone scuro al grigio chiaro. Nell’arco della storia si è rivelato un fungo dai molteplici utilizzi, primo tra tutti quello di esca per il fuoco.

I funghi dell’ esca

Il termine “fungo dell’esca” racchiude in realtà almeno due specie di funghi che, una volta preparati a dovere, sono in grado di alimentare molto facilmente una scintilla o una brace.

La prima specie, chiamata Inonotus obliquus, cresce generalmente sulle betulle e forma escrescenze nere il cui contenuto fibroso può essere sminuzzato per creare un’esca perfetta o una bevanda medicinale chiamata chaga.

La seconda specie di fungo, il Fomes fomentarius, si nutre delle fibre legnose di alberi come pioppi, querce, betulle e faggi, non disdegnando affatto altre varietà di piante.

Non appena trova una cicatrice nella corteccia, propaga il proprio micelio all’interno del legno e inizia a formare un corpo fruttifero “a mensola” (sporoforo a mensola) spesso a forma di zoccolo di cavallo, con linee concentriche che indicano la crescita annuale del fungo.

Funghi esca che crescono sul tronco di un albero morto
Funghi esca che crescono sul tronco di un albero morto. Wikimedia Commons
Fomes fomentarius

Lo sporoforo del Fomes fomentarius, composto da materia vegetale “digerita” dal fungo, può raggiungere dimensioni notevoli, fino a quasi mezzo metro di lunghezza per uno spessore di oltre 25 centimetri.

La scorza esterna è dura e legnosa e assume una colorazione diversa dipendentemente dal tipo di albero che il fungo sta parassitando. La temperatura ottimale per la crescita di questo fungo è di 27-30°C ma sopporta molto facilmente i 37-38°C senza mostrare alcun problema nella crescita.

Man mano che si nutre, questo fungo dell’esca induce la putrefazione dell’albero ospite fino a causarne eventualmente la morte. Quando l’albero cade a terra, il fungo trasforma le sue abitudini alimentari: dalla condizione di parassita passa a quella di saprofita iniziando a nutrirsi di materia vegetale morta.

Fomes fomentarius può sopravvivere per anni (anche 20 o più) alimentandosi soltanto di fibre in decadimento fino alla completa distruzione del tronco d’albero che li ospita.

Fungo esca tagliato per esporre la carne
Fungo esca tagliato per esporre la carne. Fonte: Paul Kirtley
Amadou: il materiale perfetto per un’esca

L’utilizzo di questo fungo come esca risale a tempi antichissimi: circa 5.000 anni fa, Ötzi trasportava quattro frammenti di Fomes fomentarius con il preciso scopo di creare un’ esca per il fuoco.

Il metodo di preparazione prevede il taglio del fungo per esporre la carne interna (nella foto sopra, la parte giallastra priva di tubuli), inizialmente compatta ma facile da sfibrare con un coltello o una pietra affilata.

Dopo essere state raschiate con delicatezza, le fibre formeranno un piccolo ammasso di batuffoli spugnosi chiamato amadou, perfetto per accogliere una scintilla o la brace creata tramite i tradizionali metodi a frizione.

Pezzo di fungo esca sfibrato (amadou) e pronto per accogliere una scintilla o una brace
Pezzo di fungo esca sfibrato (amadou) e pronto per accogliere una scintilla o una brace. Fonte: Paul Kirtley

L’ amadou, se preparato con largo anticipo rispetto all’accensione del fuoco, doveva essere conservato con cura: è un materiale con un alto potere d’assorbimento dell’acqua e la sua efficacia può essere compromessa anche dall’ eccessiva umidità atmosferica.

La soluzione più comoda ed efficace per proteggerlo dall’acqua era quella di trasportare interi pezzi di fungo per prepararli soltanto nel momento del bisogno. In questo modo, la dura scorza esterna protegge le fibre interne dall’attacco dell’umidità.

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Una volta acceso, il fungo dell’esca e l’amadou iniziano a bruciare lentamente ma in modo costante senza mai generare una fiamma. La combustione raggiunge temperature elevate e può durare per diverso tempo in base alle dimensioni del frammento di fungo.

Queste sue caratteristiche lo rendevano un materiale ideale per trasportare una brace su lunghe distanza: collocando un tizzone in un’apposita nicchia ricavata nella carne del fungo lo si poteva trasportare per ore senza correre il rischio di indebolirlo o spegnerlo.

 

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