combattimento – VitAntica https://www.vitantica.net Vita antica, preindustriale e primitiva Thu, 01 Feb 2024 15:10:35 +0000 it-IT hourly 1 Video: Combattimento dei Trenta https://www.vitantica.net/2020/03/11/video-combattimento-dei-trenta/ https://www.vitantica.net/2020/03/11/video-combattimento-dei-trenta/#respond Wed, 11 Mar 2020 00:05:08 +0000 https://www.vitantica.net/?p=4820 Il Combattimento dei Trenta fu una battaglia-torneo organizzata dalle due grandi potenze europee coinvolte nella guerra di successione bretone, Francia e Inghilterra, svoltasi il 26 marzo 1351.

Lo scontro concordato fu organizzato sotto forma di grande torneo nei pressi di una grande quercia, a metà strada tra Ploërmel e Josselin, con tanto di spettatori e nobiltà locale chiamati ad assistere allo scontro e a godere del grande rinfresco preparato per l’occasione.

Lo schieramento dei Blois, che contava 31 uomini, era capeggiato da Beaumanoir; quello dei Montfort, composto dallo stesso numero di combattenti, aveva come capitano Bemborough. Beaumanoir aveva a disposizione trenta guerrieri bretoni, mentre il suo rivale poteva contare su 20 inglesi, sei mercenari tedeschi e quattro bretoni.

Please accept YouTube cookies to play this video. By accepting you will be accessing content from YouTube, a service provided by an external third party.

YouTube privacy policy

If you accept this notice, your choice will be saved and the page will refresh.

Il filmato qui sotto mostra una messa in scena del Combattimento dei Trenta.

Please accept YouTube cookies to play this video. By accepting you will be accessing content from YouTube, a service provided by an external third party.

YouTube privacy policy

If you accept this notice, your choice will be saved and the page will refresh.

]]>
https://www.vitantica.net/2020/03/11/video-combattimento-dei-trenta/feed/ 0
Il Combattimento dei Trenta https://www.vitantica.net/2020/03/09/combattimento-dei-trenta/ https://www.vitantica.net/2020/03/09/combattimento-dei-trenta/#respond Mon, 09 Mar 2020 00:30:37 +0000 https://www.vitantica.net/?p=4806 La concezione romantica dei cavalieri medievali europei sta ormai decadendo sotto i colpi della realtà storica. Ben lontani dall’essere tutti ligi ai codici d’onore e rispettosi del proprio avversario, le circostanze spesso violente e spietate del Medioevo richiedevano di fare il necessario per sopravvivere: tradimenti, omicidi e massacri di innocenti costituivano una buona parte delle gesta del tipico cavaliere medievale.

Ci sono episodi, tuttavia, che hanno contribuito a diffondere e gonfiare il romanticismo del cavalierato: uno di questi è ciò che viene chiamato Combattimento dei Trenta, una battaglia organizzata dalle due grandi potenze europee coinvolte nella guerra di successione bretone, Francia e Inghilterra, svoltasi il 26 marzo 1351.

La guerra per la successione bretone

Francia e Inghilterra non sono mai state molto amichevoli l’una con l’altra. Durante ciò che viene comunemente definita “Guerra dei cent’anni” le battaglie furono molte, e le casate di Montfort e di Blois furono tra le grandi protagoniste degli scontri.

I Montfort, sostenuti dagli Inglesi, non perdevano occasione per decimare i Blois, spalleggiati dalla Francia, e i loro avversari facevano lo stesso alla prima circostanza utile. Ma durante la conquista del Ducato di Bretagna si raggiunse una posizione di stallo tra le due fazioni: nessuna delle parti coinvolte riusciva ad avere la meglio, motivo per cui fu deciso di comune accordo di organizzare una sorta di torneo, una vera e propria battaglia tra pochi combattenti selezionati che avrebbero lottato per la supremazia del territorio conteso.

Sembra che l’iniziativa del torneo fu presa a seguito di una sfida personale tra due cavalieri: Robert Bemborough, soldato dei Montfort e dislocato a Ploërmel, fu ufficialmente sfidato a duello da Jean de Beaumanoir, che occupava il villaggio di Josselin per conto dei Blois.

Pare che fu lo sfidato, Bemborough, a proporre di allargare la sfida a qualche decina di cavalieri per ciascuna fazione, trasformandola in una sorta di mini-battaglia; la proposta fu accettata con entusiasmo dai Blois.

L’estensione del duello ad altri combattenti, secondo alcuni cronisti dell’epoca, non era motivata dalla convinzione che uno scontro circoscritto avrebbe potuto mettere fine al conflitto. La risposta di Bemborough alla sfida rivoltagli da Jean de Beaumanoir fu che un semplice duello non avrebbe intrattenuto le dame inglesi e francesi quanto una vera battaglia tra 20-30 uomini scelti.

Le Combat des Trente (entre Ploërmel et Josselin), Pierre Le Baud (1480)
Le Combat des Trente (entre Ploërmel et Josselin), Pierre Le Baud (1480)

Secondo i due cronisti Jean Le Bel e Jean Froissart, il torneo era animato da ragioni d’onore, escludendo ogni sorta di conflitto personale tra i combattenti coinvolti. Il problema della proprietà del Ducato di Bretagna viene esposto come una semplice questione di principio, più che un tassello strategico per la supremazia di Francia o Inghilterra.

Non mancano tuttavia storie popolari e documenti che raccontano versioni differenti: quelli francesi sostengono che Bemborough facesse scorrerie tra la popolazione locale uccidendo chiunque senza ragione; in questo caso, Jean de Beaumanoir viene presentato come il liberatore del popolo dalla tirannia inglese.

La battaglia

Lo scontro concordato fu organizzato sotto forma di grande torneo nei pressi di una grande quercia, a metà strada tra Ploërmel e Josselin, con tanto di spettatori e nobiltà locale chiamati ad assistere allo scontro e a godere del grande rinfresco preparato per l’occasione.

Lo schieramento dei Blois, che contava 31 uomini, era capeggiato da Beaumanoir; quello dei Montfort, composto dallo stesso numero di combattenti, aveva come capitano Bemborough. Beaumanoir aveva a disposizione trenta guerrieri bretoni, mentre il suo rivale poteva contare su 20 inglesi, sei mercenari tedeschi e quattro bretoni.

La documentazione storica ci consente di sapere anche i nomi dei guerrieri coinvolti nel torneo, un elenco consultabile a questo link: Combat of the 30: Jean de Beaumanoir v. Robert Bramborough.

La battaglia fu combattuta da cavalieri e fanti armati di spade, daghe, lance e asce. Secondo Froissart, il torneo fu impregnato di gesti di galanteria e azioni eroiche, ma non mancarono i morti e i feriti: dopo diverse ore di combattimento, un totale di sei corpi giacevano senza vita sul campo di battaglia, 4 dello schieramento francese e due appartenenti alle fila inglesi.

Le Combat des Trente (1857)
Le Combat des Trente (1857)

La fatica e i caduti portarono di comune accordo ad un’interruzione, per consentire ai guerrieri di mangiare, abbeverarsi ed essere curati dalle ferite subite. Alla ripresa delle ostilità, il leader inglese Bemborough fu ferito mortalmente da un soldato francese, costringendo i suoi uomini a formare un solido schieramento difensivo attorno al corpo del capitano.

Dopo diversi tentativi, i Francesi riuscirono a sfondare le difese inglesi grazie allo scudiero Guillaume de Montauban, che ruppe le linee difensive effettuando una carica in sella al suo cavallo e mettendo fuori gioco sette cavalieri inglesi, costringendo i rimanenti alla resa.

Il risultato della battaglia fu la vittoria dello schieramento francese. Gli Inglesi contarono nove morti e oltre venti feriti; alcuni di loro furono presi come ostaggi e rilasciati dopo il pagamento di un piccolo riscatto.

Le conseguenze dello scontro

Anche se il torneo non ebbe alcun effetto sul risultato della guerra bretone di successione, fu cantato per molto tempo dai trovieri e preso ad esempio come ideale di scontro cavalleresco. Una pietra commemorativa fu collocata sul luogo dello scontro, a metà strada tra Josselin e Ploermel.

Anche in questo caso non mancarono versioni della vicenda diametralmente opposte: nella versione francese, i Montfort erano i “cattivi”, dipinti come una masnada di mercenari e briganti che tormentavano la povera gente francese.

L’obelisco commemorativo voluto da Napoleone nel 1811 e posizionato sul sito dello scontro afferma che “trenta bretoni i cui nomi sono riportati qui sotto, lottarono per difendere i poveri, i braccianti e gli artigiani e scacciare gli stranieri attratti dal suolo della Contea. Posteri dei Bretoni, imitate i vostri antenati!“.

Gli Inglesi, invece, non esaltarono particolarmente la vicenda, forse per nascondere la sconfitta. La versione inglese sostiene che i Francesi avessero in qualche modo imbrogliato. Edward Smedley (1788–1836), nella sua “Storia di Francia“, afferma che la manovra dello scudiero che sfondò lo schieramento difensivo inglese aveva “le sembianze di un tradimento”.

La battaglia ebbe eco anche nelle decadi successive, con conseguenze durature sullo status della nobiltà inglese e francese: a distanza di vent’anni, Jean Froissar si accorse della presenza di un reduce dello scontro, Yves Charruel, seduto al tavolo di Carlo V grazie alla posizione sociale ottenuta dalla partecipazione al Combattimento dei Trenta.

Combat of the Thirty
A Verse Account of the Combat of the Thirty
Combat of the 30 – 26 March 1351
The Combat of the Thirty: Knightly deeds in a dirty little war

]]>
https://www.vitantica.net/2020/03/09/combattimento-dei-trenta/feed/ 0
Equipaggiamento da guerriero scoperto sul sito della battaglia di Tollense https://www.vitantica.net/2019/10/18/equipaggiamento-guerriero-battaglia-tollense/ https://www.vitantica.net/2019/10/18/equipaggiamento-guerriero-battaglia-tollense/#comments Fri, 18 Oct 2019 00:14:42 +0000 https://www.vitantica.net/?p=4608 Nel 1996 fa un team di archeologi ha scoperto la località di un antico campo di battaglia dell’Età del Bronzo all’interno della Valle di Tollense, nella regione nord-orientale della Germania.

Il sito, risalente al II millennio a.C., ospitava i resti di oltre 140 individui e un’incredibile quantità di oggetti d’uso quotidiano; un gruppo di questi artefatti, in totale 31 oggetti, potrebbe costituire l’equipaggiamento personale di un guerriero.

La battaglia di Tollense

La battaglia della Valle di Tollense rappresenta il teatro del più antico conflitto violento dell’Età del Bronzo avvenuto nelle regioni settentrionali d’Europa. Dal sito chiamato Weltzin 20 sono state recuperate punte di freccia di selce e di bronzo, oltre a numerosissimi frammenti di oggetti di legno e di ossa umane.

La maggior parte delle ossa appartengono a maschi adulti in buone condizioni fisiche. Considerate le tracce di traumi ossei guariti da tempo e quelli “freschi”, gli archeologi ritengono che si tratti di guerrieri coinvolti in uno scontro violento combattuto con l’uso di armi da mischia e da lancio; la battaglia potrebbe aver visto la partecipazione di oltre 2.000 – 4.000 guerrieri.

Resti umani scoperti in uno dei siti della Valle di Tollense
Resti umani scoperti in uno dei siti della Valle di Tollense

Nei sedimenti fluviali del sito Weltzin 20 sono stati rinvenuti 31 oggetti che, in origine, erano probabilmente avvolti in un contenitore di materiale organico, contenitore ormai dissolto a causa dei naturali processi di decomposizione.

Le ricerche condotte alla Aarhus University hanno mostrato come le due fazioni appartenessero probabilmente a due distinti gruppi etnici: uno schieramento proveniva da una regione distante e aveva una dieta a base di miglio, una pianta poco conosciuta a Tollense. E’ possibile che lo scontro sia avvenuto lungo una delle “strade dello stagno”, una delle rotte commerciali su lunghe distanze utilizzate per scambiare questo metallo, indispensabile per produrre bronzo di buona qualità.

Il kit del guerriero

In cima al cumulo di oggetti è stato trovato un punteruolo di bronzo dal manico di betulla e un coltello. Sotto questi due utensili c’erano uno scalpello, frammenti di bronzo, tre oggetti cilindrici, tre frammenti di lingotti e una gamma di piccoli scarti di bronzo, probabilmente il risultato della lavorazione di questa lega.

In aggiunta, sono stati rinvenuti un contenitore da cintura, tre spilloni, una spirale di bronzo, un cranio umano e una costola. A distanza di 3-4 metri sono stati scoperti una punta di freccia di bronzo, un coltello di bronzo dal manico in osso, una spilla con testa a spirale e una seconda punta di freccia di bronzo con una parte dell’asta di legno ancora attaccata.

Inventario del gruppo di oggetti scoperti nel sito Weltzin 20
Inventario del gruppo di oggetti scoperti nel sito Weltzin 20

I 31 oggetti pesano in totale 250 grammi. “Si tratta della prima volta in cui si scopre una dotazione personale sul campo di battaglia, e fornisce indizi sull’equipaggiamento di un guerriero” spiega Thomas Terberger del Dipartimento di Preistoria dell’Università di Göttingen.

La datazione degli artefatti ha dimostrato che gli oggetti appartengono all’epoca in cui si svolse la battaglia. “Il bronzo sotto forma di frammenti” continua Terberger, “era probabilmente utilizzato come forma di moneta. La scoperta di un set di artefatti ci fornisce inoltre indizi sull’origine degli uomini che parteciparono a questa battaglia, e ci sono sempre più prove che alcuni di questi guerrieri fossero originari delle regioni meridionali dell’Europa Centrale.”

Un’enorme battaglia

Considerando che la densità della popolazione della regione si attestava a circa 5 individui per chilometro quadrato, i reperti rinvenuti nei siti della battaglia della valle di Tollense suggerirebbero che si sia trattato di uno scontro di proporzioni enormi per l’Età del Bronzo.

Si stima che nello scontro siano morti tra i 750 e i 1.000 guerrieri, con una mortalità pari al 20-25%. In una sola zona di 12 metri quadrati sono state trovate quasi 1.500 ossa, suggerendo che quella particolare zona lungo il fiume possa essere stata occupata da una pila di cadaveri, o che abbia rappresentato l’ultima postazione difensiva degli sconfitti.

Please accept YouTube cookies to play this video. By accepting you will be accessing content from YouTube, a service provided by an external third party.

YouTube privacy policy

If you accept this notice, your choice will be saved and the page will refresh.

Nella battaglia furono impiegate lance, mazze, coltelli, archi e spade. Anche se non ci sono resti di spade all’interno del sito, alcune ferite sono coerenti con i danni causati da queste armi. Alcuni combattenti scesero in campo a cavallo, come testimoniano le ossa di almeno cinque cavalli: la posizione di una testa di freccia su un omero indicherebbe che un cavaliere sia stato colpito da un arciere a piedi.

Il fatto che non siano stato trovati altri oggetti tra le ossa, ad eccezione di punte di freccia, lascia supporre che i corpi siano stati depredati dopo la battaglia. I resti non presentano connessioni anatomiche, suggerendo che le vittime siano state gettate nel fiume per liberare il campo.

Fonti per “Kit del guerriero scoperto sul sito della battaglia di Tollense”

Tollense valley battlefield
Lost in combat?
Lost in combat? A scrap metal find from the Bronze Age battlefield site at Tollense

]]>
https://www.vitantica.net/2019/10/18/equipaggiamento-guerriero-battaglia-tollense/feed/ 2
“Le 12 Regole della Spada”: la scuola di scherma Ittō-ryū https://www.vitantica.net/2019/07/17/12-regole-della-spada-la-scuola-di-scherma-itto-ryu/ https://www.vitantica.net/2019/07/17/12-regole-della-spada-la-scuola-di-scherma-itto-ryu/#respond Wed, 17 Jul 2019 14:10:29 +0000 https://www.vitantica.net/?p=4367 Tradotto recentemente da Eric Shahan, autore specializzato nella traduzione di testi marziali giapponesi, “12 Regole della Spada” (che potete acquistare su Amazon seguendo il link alla fine del post) è un testo che racchiude gli insegnamenti di Itō Ittōsai, uno dei più celebri samurai della storia giapponese.

Chi è Itō Ittōsai Kagehisa

Musashi Miyamoto è certamente un nome noto anche ai meno appassionati di arti marziali giapponesi. Itō Ittōsai, pur non evocando nulla nella memoria della maggior parte di noi, è in realtà considerato uno dei più grandi spadaccini di tutti i tempi.

Nato intorno al 1560 e morto dopo la metà del 1600, Ito Yagoro (il suo vero nome; Itō Ittōsai Kagehisa è un bugo, un “nome marziale”) approdò sulla spiaggia del piccolo villaggio costiero di Izu all’età di 14 anni aggrappato ad un pezzo di legno. Nessuno del villaggio sapeva chi fosse, ma ben presto il ragazzino si guadagnò la fiducia degli abitanti mettendo in fuga un gruppo di banditi.

Gli abitandi di Izu si affezionarono a lui, assecondando il suo desiderio di diventare un grande spadaccino e pagandogli un viaggio in cerca di un maestro. Una volta raggiunto il santuario di Tsurugaoka Hachimangu e aver reso omaggio agli dei, Yagoro iniziò a fare pratica con la spada sotto la guida di Kanemaki Jisai (scuola Chujo-ryu) e a porre le basi della sua futura tecnica di scherma.

Per ottenere la fama che desiderava, Yagoro intraprese il “viaggio del guerriero” (musha shugyo) e partecipò a 33 duelli senza uscirne mai sconfitto. Armato della sua katana prodotta dalla celebre scuola Ichimonji, si fece spazio tra i più grandi combattenti della storia giapponese fino a fondare la sua scuola, la Ittō-ryū.

La scuola Ittō-ryū
Tavoletta di legno del periodo Meiji che mostra due combattenti della scuola Hokushin Ittō-ryū che si affrontano al Chiba-Dōjō
Tavoletta di legno del periodo Meiji che mostra due combattenti della scuola Hokushin Ittō-ryū che si affrontano al Chiba-Dōjō

Secondo diverse leggende sulla vita di Itō Ittōsai, il primo pilastro della sua scuola di scherma fu posto mentre si trovava al santuario di Tsurugaoka Hachimangu: subendo un attacco improvviso da parte di un aggressore che voleva sconfiggerlo, Ittosai estrasse istintivamente la sua spada e colpì l’avversario senza pensare, uccidendolo con un solo colpo.

Non riuscendo a decifrare il suo gesto, Ittosai lo descrisse come Musoken, una tecnica non difensiva o offensiva, ma un gesto spontaneo azionato dall’istinto e che non prevede pensieri, una tecnica così efficace da anticipare il movimento del suo avversario.

Dopo aver acquisito esperienza sul campo, Itō Ittōsai unì ciò che aveva appreso della scuola Chujo-ryu con le tecniche elaborate durante i suoi duelli per creare il suo personale sistema di kenjutsu, Ittō-ryū (“Style a Una Spada”), con il motto itto sunawachi banto (“Una spada genera 10.000 spade”).

La scuola Ittō-ryū si è ramificata numerose volte durante il passare dei secoli, ma sia l’originale (Ono-ha Ittō-ryū) che le scuole da essa derivate continuano a sopravvivere ancora oggi. La Ono-ha Ittō-ryū, fondata dal successore diretto (Ono Jiroemon Tadaaki) di Itō Ittōsai, conta oltre 150 tecniche di spada lunga o corta e fu codificata e riassunta nell’opera “12 Regole della Spada”.

“Le 12 Regole della Spada”

Il testo non è puro manuale di scherma, ma contiene anche qualche elemento magico-superstizioso che, secondi gli autori, avrebbe aiutato uno spadaccino ad ottenere la vittoria in un duello.

In particolare sono presenti due preghiere magiche, una delle quali prevede di disegnare caratteri in sanscrito sui palmi delle mani (incluso un carattere che rappresenta un oni, un tipo di demone shintoista), unire le mani, recitare la preghiera e, al termine, ruotare le mani emettendo il suono “Un!”.

Queste preghiere sono una sorta di autoipnosi, un rituale di meditazione che consente di focalizzare i sensi prima di una battaglia per poter reagire istintivamente e fulmineamente ad ogni stimolo.

Kiriotoshi

Il kiriotoshi è un concetto fondamentale per la scuola Ono-ha Ittō-ryū e prevede che sia l’avversario a fare la prima mossa. Il praticante di Ittō-ryū attende che il nemico sviluppi il suo attacco, per poi contrattaccare lungo la linea mediana prima che l’avversario possa completare il suo attacco.

Molte delle tecniche kiriotoshi contemplano un attacco al polso o all’avambraccio per annullare l’abilità avversaria nel maneggiare la spada. Altre invece anticipano il movimento avversario senza attendere lo sviluppo di un attacco, ma al momento stesso in cui l’opponente inizia il suo movimento.

Please accept YouTube cookies to play this video. By accepting you will be accessing content from YouTube, a service provided by an external third party.

YouTube privacy policy

If you accept this notice, your choice will be saved and the page will refresh.

Gli occhi del cuore

Una delle 12 regole menzionate nel testo viene definita “gli occhi del cuore”. Secondo la traduzione di Eric Shahan, la regola sostiene che “non si dovrebbe guardare l’avversario con gli occhi, ma con lo spirito…se si osserva con gli occhi si può essere distratti, ma se si guarda con la mente si rimane concentrati”.

I samurai che padroneggiano la regola degli “occhi del cuore” potevano ottenere abilità che, nel XVII secolo, venivano considerate ai limiti del soprannaturale. “In quei tempi, poteva sembrare che chiunque padroneggiasse questa tecnica avesse poteri soprannaturali” sostiene Shahan.

Ovviamente non c’è nulla di estraneo alla sfera naturale: si tratta solo di tempi di reazione fulminei frutto di un duro e meticoloso addestramento. “La spiegazione” continua Shahan, “è che si reagisce più velocemente a movimenti nel campo visivo periferico rispetto a quelli di fronte a noi. Osservando direttamente la spada di un avversario e registrando coscientemente un movimento per tentare di rispondere non fa ottenere buoni risultati in un duello”.

“Al contrario, consentire all’avversario di essere nel proprio campo visivo senza focalizzarsi su qualcosa di specifico permette alla visione periferica di reagire ad ogni movimento o attacco, più velocemente rispetto all’osservazione diretta del nemico”.

Il cuore della volpe

Questa regola avverte il samurai che la cautela eccessiva è spesso controproducente. Le volpi, come osserva l’autore, “invece di fuggire in una direzione, si fermano ogni tanto per controllare se qualcuno è dietro di loro. Durante una di queste pause, il cacciatore le circonda e le uccide. La lezione è che un eccesso di cautela porta alla fine della volpe”.

Se un samurai pensa troppo ai suoi gesti durante un combattimento, avrà incertezze ed esitazioni che potrebbero costargli la vita. “L’avversario sceglierà quel momento per attaccare” spiega Shahan. “E’ essenziale che si rimuova ogni dubbio dalla propria tecnica. Occorre addestrarsi vigorosamente per creare il vuoto dentro se stessi”.

Il pino nel vento

Secondo Itō Ittōsai, la “distanza è l’elemento più importante in un combattimento. Quando la nostra mente è focalizzata sulla distanza, non possiamo rispondere con completa libertà. Quando siamo distaccati dal concetto di distanza, la distanza è perfetta”.

“12 Regole della Spada” non descrive una procedura di addestramento per adattarsi alla distanza e al ritmo di un avversario, ma solo lo stato mentale ideale per mantenere una distanza corretta dal nemico e non essere coinvolto nel suo ritmo.

Nella regola del “pino nel vento”, l’autore ricorda al lettore che occorre non essere travolti dal ritmo avversario, ma nemmeno imporre il proprio: bisogna essere senza ritmo per poter reagire con prontezza fulminea ad ogni circostanza.

The Twelve Rules of the Sword
Samurai Text Tells Secrets of Sword-Fighters’ ‘Supernatural Powers’
Ono-ha Itto-ryu’s “kiriotoshi”: An “invincible” technique, born in the battlefield

]]>
https://www.vitantica.net/2019/07/17/12-regole-della-spada-la-scuola-di-scherma-itto-ryu/feed/ 0
Ninja: gli shinobi tra verità storica e mito https://www.vitantica.net/2019/03/18/ninja-shinobi-verita-storica-e-mito/ https://www.vitantica.net/2019/03/18/ninja-shinobi-verita-storica-e-mito/#respond Mon, 18 Mar 2019 00:10:01 +0000 https://www.vitantica.net/?p=3778 La popolarizzazione dei combattenti antichi avvenuta durante il XX secolo grazie al cinema e alla letteratura ha contribuito a creare figure leggendarie, spesso circondate da misteri mai esistiti, dotate di abilità mai possedute o relegate a ruoli mai assunti.

Una di queste figure è quella dello shinobi, conosciuto più comunemente come ninja. I ninja si prestano particolarmente alla spettacolarizzazione cinematografica: spie combattenti dotate di poteri soprannaturali ed equipaggiate con armi non tradizionali. Li abbiamo visti in tutte le salse, in una quantità incalcolabile di film d’azione e in panni per nulla attribuibili a spie giapponesi d’epoca medievale. Cosa c’è di vero, quindi, sui ninja?

Ninja: un termine poco utilizzato

Il termine “ninja” è stato storicamente poco utilizzato. Il ben più diffuso “shinobi”, una forma contratta di “shinobi-no-mono“, si trova nella letteratura giapponese fin dall’ VIII secolo (ad esempio, nell’opera poetica Man’yoshu) e significa “sottrarre; nascondersi”.

Shinobi è un termine generalmente destinato ad un utilizzo al maschile; per le spie di sesso femminile si utilizzava più comunemente la parola kunoichi. Questa distinzione tuttavia non fu utilizzata all’inizio della storia delle spie giapponesi: fino al XV secolo gli shinobi non erano formalmente raggruppati in clan, e qualunque spia poteva essere considerata shinobi.

Altri termini sono stati impiegati per identificare chi praticava attività di spionaggio: monomi (“colui che vede”), nokizaru (“macaco sul tetto”), rappa (“bandito”) e Iga-mono (“uomo di Iga”, una regione storicamente legata agli shinobi).

Esiste anche un’intero ventaglio di nomi regionali impiegati per definire uno shinobi: a Kyoto si usavano le parole “suppa, “ukami” o “dakkou“, mebntre nella prefettura di Miyagi la parola “kurohabaki“; a Niigata erano comuni invece “nokizaru“, “kanshi” e “kikimonoyaku“.

Shinobi e fonti storiche

Per quanto siano nate innumerevoli leggende sulle origini degli shinobi giapponesi, le fonti storiche degne di tale nome e in grado di descriverne l’origine e le attività in cui erano coinvolti sono scarse.

Le ragioni dell’assenza di fonti storiche sembrano essere legate sia alla segretezza delle loro vite, sia allo scarso interesse che suscitavano nelle corti del tempo, più interessate alle nobili gesta dei samurai che ai sotterfugi e alle meschinità delle spie.

La ripugnanza che suscitavano le attività si spionaggio ha origini antiche: l’episodio di Koharumaru, incaricato nel X secolo di spiare Taira no Masakado camuffato da trasportatore di carbone, è indicativo del disprezzo provato nei confronti le spie da parte della società nipponica del tempo.

Allo stesso tempo, tuttavia, le attività degli shinobi erano ritenute indispensabili per raccogliere informazioni o effettuare sabotaggi: nella cronaca Taiheiki (XIV secolo) si riporta l’episodio di uno shinobi particolarmente abile che riuscì a dare alle fiamme un intero castello.

Nei casi sopra citati gli shinobi non erano altro che soldati e samurai a cui venivano affidate missioni di spionaggio. Le prime, vere tracce storiche di individui esclusivamente dediti allo spionaggio risalgono al XV secolo: in questo periodo la parola shinobi identifica con chiarezza gruppi di agenti segreti volti a sabotare e infiltrarsi oltre le linee nemiche.

A partire dal XV secolo i ninja furono reclutati in svariate occasioni come spie, briganti, sabotatori, agitatori e terroristi; potevano compiere atti totalmente indecorosi per un samurai (anche se i samurai, di fatto, non perdevano occasione per compiere atti indegni e poco nobili) in un periodo, l’epoca Sengoku, in cui molti potentati locali erano impegnati in faide con i feudi confinanti.

Bansenshukai
Bansenshukai

Tutto ciò che sappiamo sulle abilità e sull’addestramento dei ninja proviene principalmente da manuali e rotoli realizzati meno di 4 secoli fa. A partire dal XVII secolo furono redatti diversi manuali di ninjutsu dai discendenti di Hattori Hanzo e del clan Fujibayashi, legato al clan Hattori: tra questi si contano il Ninpiden (1655), il Bansenshukai (1675) e lo Shoninki (1681).

Le scuole moderne di ninjutsu sono emerse tutte a partire dagli anni ’70 del 1900: benché basate sulle tecniche di alcuni manuali storici, l’autenticità delle scuole moderne è materia controversa per via dell’assenza di informazioni precise sulla discendenza dei maestri di ninjutsu.

Iga e Koga

Gli shinobi iniziarono ad organizzarsi in gilde composte da diverse famiglie di shinobi e a sviluppare un sistema di gradi: i jonin erano i ninja di rango più elevato, seguiti dai chunin e dai genin. Per quanto di basso rango, i genin svolgevano attività fondamentali come la raccolta di informazioni sensibili, il sabotaggio e l’infiltrazione.

E’ in questo periodo che le province di Iga e Koga iniziano a delinearsi come produttrici di shinobi di professione. I villaggi Iga e Koga addestravano uomini specificamente per le attività di spionaggio, nascosti tra montagne remote e inaccessibili in grado di custodire i segreti più preziosi dei ninja.

Tra il 1485 e il 1581 gli shinobi Iga e Koga furono utilizzati più volte dai daimyo giapponesi per raccogliere informazioni e sabotare il nemico, fino a quando Oda Nobunaga decise di radere al suolo i villaggi della provincia di Iga, costringendo i sopravvissuti a trovare rifugio tra le montagni di Kii o ad affidarsi a Tokugawa Ieyasu (come fece Hattori Hanzo, che divenne una delle guardie dello shogun).

Dopo l’insediamento dei Tokugawa, gli Iga assunsero il ruolo di guardie dello shogun a Edo, mentre i Koga quello di forza di polizia. Gli shinobi continuarono comunque a partecipare ad attività di spionaggio e infiltrazione: nel 1614, Miura Yoemon reclutò 10 shinobi per infiltrarli nel castello di Osaka e fomentare l’antagonismo nei nemici dei Tokugawa.

Con la caduta dei clan Iga e Koga, i daimyo iniziarono ad addestrare i loro shinobi: una legge del 1649 stabilì che solo i daimyo che guadagnavano più di 10.000 koku potevano possedere e addestrare ninja.

Please accept YouTube cookies to play this video. By accepting you will be accessing content from YouTube, a service provided by an external third party.

YouTube privacy policy

If you accept this notice, your choice will be saved and the page will refresh.

Il ruoli dei ninja

Per quanto tendessero a svolgere ruoli contrari all’etichetta dei samurai, come spionaggio, sabotaggio e assassinio, molti shinobi erano loro stessi samurai o membri dell’esercito (come gli ashigaru). Non si trattava di truppe “anti-samurai” come spesso vengono dipinti: erano soldati specializzati in missioni segrete e spionaggio.

Samurai e Bushido

Spesso svolsero ruoli di fondamentale importanza in battaglie campali e furono impiegati dagli organi di governo dello shogunato per eseguire operazioni estremamente pericolose. Escludendo i villaggi delle regioni di Iga e Koga, gli shinobi erano spesso soldati scelti particolarmente versati nello spionaggio che partecipavano tuttavia anche ad assedi e scontri armati.

Il compito principale degli shinobi era quello di raccogliere informazioni sfruttando ogni mezzo possibile. Il sabotaggio (spesso portato a termine appiccando il fuoco a risorse strategicamente importanti del nemico) era un ruolo secondario ma altrettanto importante.

Il diario dell’abate Eishun, vissuto nel XVI secolo, descrive un attacco incendiario condotto da shinobi Iga:

Questa mattina, il sesto giorno dell’undicesimo mese del decimo anno di Tenbun, gli Iga sono entrati nel castello di Kasagi in segreto e hanno dato alle fiamme alcuni dei quartieri dei sacerdoti. Hanno incendiato anche i fabbricati all’interno del San-no-maru. Hanno catturato l’ Ichi-no-maru e il Ni-no-Maru.

Attribuire agli shinobi, in modo storicamente accurato, l’assassinio di personalità celebri è difficile: operazioni di questo tipo lasciano raramente tracce evidenti. Alcuni omicidi sono stati attribuiti ai ninja posteriormente al fatto, senza alcuna prova sostanziale di un loro coinvolgimento nel delitto.

Sappiamo tuttavia che Oda Nobunaga subì diversi tentativi d’omicidio da parte di alcuni shinobi, come un tiratore scelto Koga nel 1571 (Sugitani Zenjubo) e nel 1573 (Manabe Rokuro). Lo shinobi Hachisuka Tenzo fu invece inviato da Nobunaga per assassinare il daimyo Takeda Shingen.

Ninjutsu, le arti dello spionaggio

Con il termine ninjutsu si identifica in tempi moderni l’ampio bagaglio di abilità che uno shinobi doveva possedere per far fronte ad ogni circostanza avversa.

Il primo addestramento allo spionaggio specializzato sembra essere emerso verso la metà del XV secolo: gli shinobi iniziavano l’addestramento da giovanissimi e imparavano tecniche di sopravvivenza e di sorveglianza, l’uso di veleni ed esplosivi e abilità fisiche come l’arrampicata, la corsa su lunghe distanze e il nuoto.

Sappiamo inoltre che alcuni ninja, come lo shinobi Iga riportato in un resoconto storico relativo a Ii Naomasa, disponevano di conoscenze mediche utili in battaglia; per ridurre al minimo il loro odore corporeo, tendevano ad avere una dieta vegetariana in preparazione di una missione.

Monaco komuso
Monaco komuso

Gli shinobi dovevano necessariamente possedere anche la conoscenza di svariati mestieri per poter infiltrarsi tra il nemico sotto mentite spoglie. Si travestivano spesso da sacerdoti, monaci, mendicanti, mercanti, ronin e intrattenitori: travestirsi da sarugaku (menestrello) consentiva di infiltrarsi all’ìinterno degli edifici nemici, mentre l’abito dei monaci komuso permetteva di mascherare completamente il volto tramite il tipico cappello a canestro.

Le tecniche di spionaggio, d’infiltrazione e “stealth” venivano vagamente raggruppate in quattro gruppi: tecniche di fuoco (katon-no-jutsu), d’acqua (suiton-no-jutsu), di legno (mokuton-no-jutsu) e di terra (doton-no-jutsu).

Grazie ad alcuni manuali e rotoli custoditi per generazioni dai clan di shinobi, siamo in grado ci conoscere alcune delle strategie utilizzate per lo spionaggio:

  • Hitsuke: distrarre le guardie appiccando fuochi lontano dal punto d’ingresso dello shinobi;
  • Tanuki-gakure: arrampicata sugli alberi e camuffamento tra il fogliame. Rientra tra le “tecniche di legno”;
  • Ukigusa-gakure: uso delle piante acquatiche per nascondere i movimenti subacquei;
  • Uzura-gakure: rannicchiarsi come una palla e rimanere immobili per apparire come una roccia.
Miti e leggende metropolitane sui ninja
Abiti neri

Indossare un distintivo abito nero per raccogliere informazioni non è molto pratico: è estremamente riconoscibile tra una folla vestita in abiti tradizionali o contadini. Come accennato in precedenza, gli shinobi preferivano di gran lunga mimetizzarsi nel tessuto sociale indossando gli abiti di figure comuni di “basso profilo”.

Abiti blu

Circola una sorta di “correzione” del mito legato alle uniformi nere dei ninja: erano blu, il miglior colore per nascondersi durante la notte. L’uso del colore blu appare in uno dei manuali scritti durante il XVII secolo, ma viene semplicemente consigliato perché era un pigmento comune nella moda del tempo e utile a non distinguersi.

Spade dritte

In molte film il ninja impugna spade dal filo dritto. Non esiste alcuna prova che gli shinobi utilizzassero questo tipo di spade, che richiedevano una lavorazione differente dalle lame da combattimento normalmente prodotte dai fabbri giapponesi.

La prima apparizione di queste spade dritte (ninjato) è del 1956 nel libro “Ninjutsu” di Heishichiro Okuse; la forma delle “spade ninja” fu poi popolarizzata dal Ninja Museum di Igaryu nel 1964.

Ninjutsu e combattimento

Nessuno dei tre manuali storici del ninjutsu (Ninpiden, Bansenshukai e Shoninki) riporta tecniche di combattimento. Il Bansenshukai dice soltanto che uno shinobi dovrebbe allenarsi nel combattimento con la spada, ma non fornisce alcuna istruzione sul combattimento.

Questo non significa che i ninja non fossero combattenti, ma che molto probabilmente provenivano da classi guerriere. Si dava per scontato che conoscessero i fondamentali del combattimento: il ninjutsu non era un’arte marziale, ma una collezione di tecniche di sopravvivenza, spionaggio e sabotaggio.

NINJAS IN JAPAN AND THEIR HISTORY
25 Fascinating Facts About The Real Ninja Of History
THE SHOCKING TRUTH ABOUT NINJA MARTIAL ARTS (FROM HISTORICAL DOCUMENTS)

]]>
https://www.vitantica.net/2019/03/18/ninja-shinobi-verita-storica-e-mito/feed/ 0
Glima, l’arte marziale dei vichinghi https://www.vitantica.net/2019/01/25/glima-arte-marziale-vichinghi/ https://www.vitantica.net/2019/01/25/glima-arte-marziale-vichinghi/#comments Fri, 25 Jan 2019 00:10:09 +0000 https://www.vitantica.net/?p=3537 I Vichinghi sono divenuti celebri per le loro asce da battaglia, i loro scramasax e la ferocia nel combattimento. Meno rinomata è invece la loro arte del combattimento a mani nude, chiamata Glima.

Quando i primi coloni scandinavi, specialmente norvegesi, si insediarono in Islanda, non portarono con loro soltanto cavalli e tecniche di lavorazione del ferro, ma anche un’ antica arte marziale nordeuropea utilizzata comunemente tra i popoli norreni per il combattimento in battaglia o per risolvere dispute in modo più amichevole del duello giudiziario.

L’arte marziale di divinità e guerrieri vichinghi

La Glima è un metodo di combattimento simile al wrestling che ha radici molto antiche: la prima citazione ufficiale islandese di questa arte marziale risale al 1325 e si trova nel Jónsbók, il libro delle leggi redatto dal parlamento dell’isola a partire dall’anno 930 e che subì diverse modifiche nell’arco dei secoli successivi.

Nel libro della legge islandese la Glima viene definito “Leikfang“, una denominazione più antica di “Glima” che viene utilizzata anche in alcune saghe per descrivere un sistema di combattimento simile al wrestling che prevedeva prese, sgambetti e proiezioni.

Lars Magnar Enoksen, maestro di Glima, illustra una tecnica della variante Hryggspenna

La saga Snorra Edda (“Edda in prosa”), scritta dal celebre poeta Snorri Sturluson nel XIII secolo e sopravvissuta grazie a sette copie redatte tra il XIV e il XVII secolo, cita la Glima in un episodio che vede coinvolti nientemeno che Thor e Utgarda-Loki, un gigante (jötnar).

Una volta giunto al castello di Utgard, Thor e i suoi compagni furono sfidati dai giganti al servizio di Loki in diverse competizioni atletiche e non, come la corsa e la lotta libera. Thor fallisce in una gara di bevute e in una di forza, ma soltanto per un trucco escogitato da Loki: la bevanda del dio del tuono era il mare intero e il gatto che doveva sollevare era in realtà Jormungand, l’enorme serpente di Midgard.

Infuriato, Thor sfidò tutti i giganti presenti nella sala ad una competizione di glima, ma Loki lo fece combattere con Elli, la sua nutrice, esperta nell’arte del wrestling; Thor viene sconfitto, nonostante tutti i suoi sforzi e la sua immensa forza, grazie alla tecnica perfetta di Elli e al fatto che questo personaggio era la personificazione della vecchiaia, che sconfigge ogni guerriero.

Stile di lotta della Glima

La Glima viene tradizionalmente praticata all’esterno; in Islanda non era affatto raro combattere in qualche incontro amichevole con il solo scopo di scaldarsi durante una notte fredda trascorsa all’aperto.

Lo scopo della Glima è quello di atterrare l’avversario in modo che ginocchia, gomiti o schiena tocchino il terreno. Nella versione sportiva, la vittoria di 2 incontri su 3 determina il vincitore dello scontro; se entrambi i combattenti cadono a terra, nessuno dei due viene considerato il vincitore del round, si rialzano e riprendono a lottare.

Rispetto ad altri stili di wrestling, ci sono regole che differenziano la Glima sportiva dalle altre forme di wrestling:

  • I due combattenti devono stare in piedi ad ogni costo (regola Upprétt staða);
  • I combattenti eseguono un movimento in senso orario, simile ad un “walzer”, creando opportunità di difesa e attacco ad ogni passo (regola Stígandinn);
  • Non è consentito cadere sull’avversario o spingerlo verso il terreno con forza, atteggiamento considerato antisportivo (regola Níð). Il combattente di Glima deve vincere sull’avversario usando prese e proiezioni in modo sufficientemente tecnico da causare un “bylta“, una caduta dell’avversario senza troppe forzature.

Please accept YouTube cookies to play this video. By accepting you will be accessing content from YouTube, a service provided by an external third party.

YouTube privacy policy

If you accept this notice, your choice will be saved and the page will refresh.

Tipologie di Glima

Sotto la denominazione Glima rientrano diversi stili di combattimento, alcuni più diffusi di altri.

Brokartök Glima

La versione Brokartök è la più diffusa in Islanda e in Svezia ed è uno degli sport nazionali islandesi. Predilige la tecnica sulla forza e prevede che entrambi i combattenti indossino speciali cinture di cuoio attorno alla vita e alle cosce, cinture che consentono all’avversario di avere una presa salda sull’opponente.

Il Brokartök si basa su otto tecniche principali, chiamate brögð o bragd, che formano la base per gli oltre 50 modi di atterrare l’avversario. Il Brokartök si basa su un codice d’onore chiamato drengskapur, codice che richiede sportività, rispetto per l’avversario e attenzione a non causare lesioni.

Hryggspenna Glima

Più simile ad altre forme di wrestling etnico non scandinave, il Hryggspenna è considerato più una prova di forza che di tecnica. Lo scopo è quello di afferrare la parte superiore del corpo e far cadere l’avversario usando le braccia e le gambe: se qualunque parte del corpo, ad eccezione dei piedi, tocca il terreno, l’avversario perde il round.

Lausatök
Lars Magnar Enoksen, maestro di Glima e presidente della Viking Glima Federation, illustra una tecnica di Lausatök
Lars Magnar Enoksen, maestro di Glima e presidente della Viking Glima Federation, illustra una tecnica di Lausatök

Il Lausatök è la forma più libera di wrestling norreno ed è stato proibito in Islanda per almeno un secolo a causa del suo stile aggressivo e la sua potenziale pericolosità.

Il Lausatök ha due forme principali: una è stata ideata per la difesa personale, l’altra per la competizione. I combattenti possono utilizzare qualunque tecnica conosciuta e la vittoria va al wrestler che rimane in piedi: nel caso i due contendenti cadessero insieme a terra, il combattimento può proseguire per impedire all’avversario di rialzarsi.

Il Lausatök per autodifesa, la forma di Glima più popolare in Norvegia, prevede almeno 27 tecniche proibite nel Glima islandese; le tecniche più pericolose vengono praticate cercando di limitare i danni al proprio partner d’allenamento.

The Gripping History of Glima
What does a mythological text in Snorra Edda tell us about the ritual ceremonies that surrounded glíma fights in ancient times?

]]>
https://www.vitantica.net/2019/01/25/glima-arte-marziale-vichinghi/feed/ 2
Fiore dei Liberi e il Flos duellatorum https://www.vitantica.net/2019/01/18/fiore-dei-liberi-flos-duellatorum/ https://www.vitantica.net/2019/01/18/fiore-dei-liberi-flos-duellatorum/#respond Fri, 18 Jan 2019 00:10:37 +0000 https://www.vitantica.net/?p=3417 Fiore dei Liberi, conosciuto anche come Fiore de’ Liberi da Premariacco, fu un maestro di schema italiano vissuto tra il XIV e l’inizio del XV secolo divenuto celebre per aver scritto il più antico manuale di scherma europeo sopravvissuto fino ad oggi, il Flos duellatorum.

Per chi non conosce la storia della scherma medievale, Fiore dei Liberi è probabilmente un nome che non suggerisce alcuna informazione degna di nota; per chi invece coltiva la passione delle arti marziali europee del Medioevo, Fiore dei Liberi è un nome leggendario, come altrettanto leggendario è il suo manuale di scherma “Fiori della Battaglia”.

Chi fu Fiore dei Liberi

Fiore dei Liberi nacque a Premariacco, vicino a Cividale del Friuli. Diversi storici hanno suggerito che lui e suo padre Benedetto fossero discendenti di Cristallo dei Liberi, a cui fu garantita l’ “immediatezza imperiale” nell’anno 1110 dall’imperatore Enrico IV, un privilegio consentito ai “nobili liberi” (edelfrei) che li liberava dal vincolo di servigio esercitato dalle autorità locali.

Fiore scrive di aver avuto fin da fanciullo una spiccata predisposizione verso le arti marziali. Il suo addestramento, stando alle sue parole, sembra essere iniziato in tenera età: la zona di Cividale ospitava celebri Magistri d’Arme registrati, come Magister Bitinellus scarmitor de Civitate, Magistro Domenico e Franceschino del fu Geto di Rodolfo da Lucca. Fiore cita fra i suoi maestri Giovanni detto Suveno, un allievo di Nicolò da Metz.

Fiore dei Liberi da Premariacco e il Flos duellatorum.

Dopo aver terminato il suo addestramento sotto “innumerevoli” maestri d’armi, sembra che Fiore si dedicò a combattere numerosissimi falsi esperti di scherma, da lui giudicati non degni del titolo di maestri e dalle abilità inferiori a quelle possedute da un qualunque dei suoi studenti.

Fiore racconta che in ben cinque occasioni fu costretto a combattere in duelli per difendere il proprio onore contro maestri a cui aveva rifiutato di impartire lezioni di scherma. I duelli furono combattuti con spade lunghe, senza armatura ad eccezione di giubbe imbottite e protezioni in pelle per le mani; dalle parole di Fiore, vinse tutti i duelli senza riportare neanche un graffio.

Fiore dei Liberi fornì una lista dei famosi condottieri che addestrò: Piero Paolo del Verde (Peter von Grünen), Niccolo Unricilino (Nikolo von Urslingen), Galeazzo Cattaneo dei Grumelli (Galeazzo Gonzaga da Mantova), Lancillotto Beccaria di Pavia, Giovannino da Baggio di Milano, e Azzone di Castelbarco.

Fiore dei Liberi sembra essere stato incaricato nel 1383-1384 della manutenzione dei pezzi d’artiglieria che difendevano la città di Udine, incluse balestre e catapulte. Lavorò anche come magistrato, come ufficiale di pace e come agente del gran consiglio, ma le tracce storiche relative a questi suoi ruoli sono scarse e sappiamo tutto questo principalmente dalle sue parole.

Addestratore di duellanti
Una delle pagine del Flos duellatorum
Una delle pagine del Flos duellatorum
Il duello tra Galeazzo e Boucicaut

Nel 1395 Fiore dei Liberi si trovava probabilmente a Padova, città in cui addestrava uomini in preparazione di duelli. A Padova addestrò Galeazzo Gonzaga per un duello contro il francese Jean II Le Maingre (detto Boucicaut): la sfida era partita da Galeazzo dopo che il francese mise in discussione, alla corte di Francia, il coraggio degli Italiani; il combattimento si svolse in città il 15 agosto dello stesso anno.

Il duello sarebbe dovuto iniziare con uno scontro di lancia a cavallo, ma Boucicaut smontò dalla sua cavalcatura prima ancora del duello, attaccando il suo avversario prima che potesse salire in sella. I signori chiamati come testimoni (Francesco Novello da Carrara e Francesco I Gonzaga) fermarono il francese mettendo fine al duello.

Il duello tra Giovannino da Baggio e Sirano

Nel 1399 Fiore si trovava a Pavia per completare l’addestramento di Giovannino da Baggio, in attesa di partecipare ad un duello con uno scudiero tedesco di nome Sirano.

Il duello prevedeva tre scontri a cavallo con la lancia seguiti da nove round a terra con ascia d’arme, stocco e pugnale; i passaggi a cavallo furono cinque, e durante l’ultimo passaggio Giovannino impalò il cavallo del suo avversario, perdendo la lancia. Una volta smontati, i contendenti si scontrarono per nove volte come previsto ma nessuno dei due uscì vincitore o sconfitto.

Flos Duellatorum in armis, sine armis, equester et pedester
Una delle pagine del Flos duellatorum
Una delle pagine del Flos duellatorum

Se vuoi, amico, la pratica delle armi
Conoscere, porta con te tutto ciò che il libro insegna.
Sii audace nell’ assalto e l’animo non si mostri vecchio:
Nessun timore vi sia nella mente; sta’ in guardia, puoi farcela.
D’esempio di ciò sia la donna; pavida
E presa dal panico, mai fronteggerebbe il nudo ferro.
Così l’uomo pauroso vale meno di una femmina;
Se mancasse l’audacia d’animo, mancherebbe tutto;
L’Audacia, tale virtù, in particolare, trova luogo nell’ arte.

Le versioni del Fior di Battaglia

Nei primi anni del XV secolo Fiore iniziò a comporre il trattato di scherma “Fior di Battaglia” (Flos duellatorum). La versione più breve del testo è datata al 1409 e suggerirebbe un lavoro di stesura durato almeno sei mesi, come indicherebbero altre due versioni più lunghe composte qualche tempo prima.

Attualmente esistono tre copie manoscritte dell’opera, ma si è persa traccia di almeno altre due copie. Due manoscritti, riproduzioni dei due manoscritti in possesso della famiglia Estense andati perduti nel XVI secolo, sono dedicati a Niccolò III d’Este e sono state redatti in base a sue indicazioni.

In realtà, il Flos duellatorum sebra non essere un unico manuale e si presente sotto due forme molto diverse, anche se i contenuti sono fondamentalmente gli stessi: la prima è una redazione in prosa, che appare nei manoscritti custoditi nei musei Getty e Morgan; la seconda è in forma poetica e l’unica copia in nostro possesso si trova nella collezione Pisani-Dossi.

La stesura poetica sembra essere stata destinata alla libreria di Niccolò III, mentre quella in prosa, meno stilisticamente curata e molto più tecnica, sembra più appropriata all’insegnamento nelle scuole di scherma. Quest’ultima versione potrebbe essere stata realizzata da un allievo di Fiore sulla base dei manoscritti del maestro.

Una delle pagine del Flos duellatorum
Una delle pagine del Flos duellatorum
Il contenuto del Flos duellatorum

L’opera è divisa in sezioni che vanno dalla lotta a mani nude fino all’uso della lancia. Nel suo manuale, Fiore fornisce istruzioni sul “wrestling” (abraçare), sull’uso di daga, spada a una mano e spada a due mani, consigli sul combattimento con la spada indossando un’armatura, istruzioni sulle asce d’armi, sulla lancia (a piedi o a cavallo), sul bastoncello (un piccolo bastone simile ad un randello) e nozioni sul combattimento tra due duellanti che impugnano armi differenti.

Ogni sezione inizia con un gruppo di Maestri che dimostrano un tipo di guardia per l’arma che impugnano. Le istruzione sono quindi seguite da un maestro chiamato “Remedio“, che illustra come difendersi da alcuni attacchi di base, e da Scholari (studenti) che dimostrano variazioni delle tecniche difensive.

A seguire appare un maestro chiamato “Contrario“, che dimostra come controbattere alle mosse del maestro Rimedio o degli Scholari. In alcuni casi appare anche un quarto tipo di maestro, il Contra-Contrario, che dimostra come difendersi da Contrario.

Le doti di uno schermidore

Nel Flos duellatorum, Fiore dei Liberi espone infine le virtù uno schermidore perfetto dovrebbe possedere facendo analogie con gli animali, in modo non molto differente da quanto avvenne nelle arti marziali orientali:

Lince (Prudenza)
Meio de mi’louo ceruino non uede creatura
E aquello meto sempre a sesto e mesura.

L’immagine della lince che tiene tra la zampa un compasso rappresenta l’abilità di valutare di continuo l’azione del combattimento e fare aggiustamenti per contrastare l’azione dell’avversario, duellando con prudenza e leggendo il movimento dell’avversario per applicare la più corretta strategia difensiva o offensiva.

Tigre (Velocità)
Yo tigro tanto son presto a corer e uoltare
Che la sagita del cello non me po auancare.

La tigre regge una freccia nella zampa e rappresenta la velocità accoppiata alla forza. Fiore ritiene fondamentale possedere forza accoppiata a grande rapidità, e descrive due tipi di velocità: una fisica, per eseguire fulmineamente una tecnica di combattimento, e una mentale, per interpretare in tempo zero il proprio avversario.

Leone (Audacia)
Piu de mi lione non porta cor ardito
Pero de bataia faço a zaschaduno inuito

Il leone rappresenta l’audacia ed è in costante lotta con la lince: coraggio e misura devono andare di pari passo in un combattente esperto ed equilibrato. Il leone tiene nella zampa un cuore, che simboleggia l’intensità che il combattente deve dimostrare per risultare vincente.

Elefante (La Forza)
Ellefant son e uno castello ho per cargho
E non me inçenochio ni perdo uargho.

L’elefante è rappresentato con una torre sul dorso e rappresenta la forza, un’abilità primaria su cui fondare destrezza e tecnica. La forza è anche uno dei sette requisiti primari elencati nella sezione “Abrazare” del Flos duellatorum, dedicata al combattimento a mani nude.

Fiore dei Liberi
Flos Duellatorum in armis, sine armis, equester et pedester: Riproduzione anastatica e trascrizione del Codice Pisani-Dossi

]]>
https://www.vitantica.net/2019/01/18/fiore-dei-liberi-flos-duellatorum/feed/ 0
La Guerra dei Fiori degli Aztechi https://www.vitantica.net/2018/11/09/guerra-dei-fiori-aztechi/ https://www.vitantica.net/2018/11/09/guerra-dei-fiori-aztechi/#respond Fri, 09 Nov 2018 00:10:57 +0000 https://www.vitantica.net/?p=2568

Alcuni popoli antichi intraprendevano guerre cerimoniali, scontri ritualizzati che avevano da una parte l’obiettivo di evitare eccessivi spargimenti di sangue, dall’altra di soddisfare il fabbisogno di sacrifici umani dettati dalle loro credenze religiose.

La Guerra dei Fiori (in linguaggio Nahuatl xochiyaoyotl) rientra in questa categoria di scontri cerimoniali nati da necessità religiose: si trattava di una guerra rituale combattuta tra la Triplice Alleanza Azteca e i loro rivali locali a partire dalla metà del XV secolo fino all’arrivo degli Spagnoli nel 1519.

L’origine delle Guerre dei Fiori

Tra il 1450 e il 1454 l’impero azteco fu colpito da numerosissime carestie dovute alla siccità. Fame, inedia e morte si diffusero tra gli abitanti della Triplice Alleanza, decimando la popolazione che dopo breve tempo iniziò a chiedere ai suoi governanti risposte concrete alla situazione di crisi.

La risposta giunse dai sacerdoti di Tenochtitlan: le divinità sono furiose con l’impero azteco e per placarle è necessario sacrificare molti uomini e in modo regolare. Ma come compiere sacrifici umani quando la città-stato locali non dispongono di sufficienti prigionieri di guerra da mandare nell’aldilà?

Fu così che nacque la Guerra dei Fiori: Tenochtitlan e le sue città alleate Texcoco e Tlacopan stabilirono con le città di Tlaxcala, Choula e Huejotzingo di creare un evento sanguinario in grado di procurare vittime sacrificali senza tuttavia spargere troppo sangue e rischiare il collasso di intere città-stato.

All’ arrivo di Cortes, Cholula era una città seconda solo a Tenochtitlan in quanto a dimensioni e popolazione: era abitata da circa 100.000 persone, ospitava oltre 300 templi ed era sede di una classe sacerdotale molto influente nella regione, tanto che i principi aztechi furono incoronato da sacerdoti Cholula fino alla caduta della Triplice Alleanza.

Cholula rimaneva tuttavia una città rivale di Tenochtitlan, come lo erano Tlaxcala e Huejotzingo; queste ultime finirono per cadere sotto l’influenza azteca durante il XV secolo e i loro rapporti con la Triplice Alleanza non furono mai idilliaci: all’arrivo di Cortes, Tlaxcala e Huejotzingo ruppero i loro legami con Tenochtitlan per allearsi con gli Spagnoli.

Le caratteristiche di una Guerra dei Fiori

Guerra dei Fiori azteca

La Guerra dei Fiori aveva diversi punti di distinzione con una guerra tradizionale. In primo luogo, le armate erano composte da un numero fisso di guerrieri che stabilivano di comune accordo il luogo dello scontro, luoghi che col tempo assunsero un’aura di sacralità sotto il nome di cuauhtlalli o yaotlalli.

L’inizio dello scontro era determinato dall’accensione di una grossa pira di carta e incenso posta in mezzo agli schieramenti. Contrariamente alle guerre tradizionali, le Guerre dei Fiori venivano combattute utilizzando principalmente armi bianche non da lancio: atlatl, fionde e pietre erano escluse dallo scontro, mentre dominavano il campo armi in grado di mettere in mostra l’abilità guerriera dei contendenti, come macuahuitl (leggi questo post per la descrizione del macuahuitl), clave e lance.

Le Guerre dei Fiori iniziarono come tradizione in cui i decessi avvenivano in numero limitato, ma col tempo aumentarono di numero fino a raggiungere tassi di mortalità simili ad una vera battaglia.
La guerra rituale combattuta tra Aztechi e Chalcas, ad esempio, registrò al suo inizio poche vittime, principalmente guerrieri di basso rango catturati e sacrificati come offerte alle divinità.
Col passare degli anni, le schiere di prigionieri si popolarono sempre più di membri della nobiltà e le morti illustri si fecero sempre più numerose.

Per la cultura azteca era obbligatorio partecipare ad una battaglia per essere definiti veri guerrieri. Gli Aztechi apprezzavano enormemente l’ abilità marziale dei loro soldati e le Guerre dei Fiori erano il luogo ideale per dimostrare la superiorità dei combattenti aztechi sui loro rivali Chalcas o provenienti da altre città-stato.

Gli Aztechi tenevano in grande considerazione la morte durante le Guerre dei Fiori. Morire durante un evento simile era considerato più nobile e glorioso rispetto al decesso in battaglia: era credenza diffusa che perdere la vita durante una Guerra dei Fiori aprisse le porte d’accesso alla casa di Huitzilopochtli, dio del sole, del fuoco e della guerra.

Controllo e propaganda

Guerra dei Fiori azteca

L’origine della Guerra dei Fiori non è esclusivamente religiosa, ma ha ragioni politiche e sociali. Anche se è vero che il sacrificio umano era parte integrante della ritualità degli Aztechi, è altrettanto vero che le vittime sacrificali non si trovavano dietro ogni angolo del Messico.

Una guerra rituale era un metodo, concordato tra le parti, per limitare le perdite di guerrieri e ottenere allo stesso tempo prigionieri di guerra da sacrificare sugli altari divini. In questo modo, inoltre, gli Aztechi potevano dedicare buona parte delle loro risorse militari alla difesa dei confini da eventuali minacce impreviste, mentre i loro nemici ne uscivano debilitati e sottomessi alla potenza militare della Triplice Alleanza.

Se solo Tenochtitlan si fosse dedicata interamente a sconfiggere i Chalcas, avrebbe potuto ottenere una vittoria adecisiva in breve tempo, essendo militarmente e numericamente superiore ai rivali. Anche se non sappiamo la ragione esatta per cui non schiacciarono mai il loro avversario storico, è ragionevole supporre che la Guerra dei Fiori fosse un modo meno cruento e più pratico di mantenere il proprio nemico in inferiorità decimando i suoi guerrieri migliori in uno scontro in campo aperto, in un luogo prefissato e senza dover affrontare tattiche di guerriglia difficilmente gestibili da un esercito vasto e organizzato come quello azteco.

La Guerra dei Fiori era sostanzialmente un metodo efficace per continuare un conflitto troppo costoso e complesso da potersi concludere in breve tempo. Disponendo di un numero fisso di guerrieri per ogni schieramento, gli Aztechi davano l’impressione di voler giocare ad armi pari col nemico; poco dopo l’inizio dello scontro, la superiorità marziale azteca emergeva in tutta la sua ferocia, falciando i soldati nemici e debilitando indirettamente le forze militari dei popoli rivali.

La vittoria nelle Guerre dei Fiori otteneva quindi due risultati: manteneva deboli le forze d’attacco di potenziali avversari militari e propagandava l’idea che i guerrieri aztechi fossero superiori agli altri, mettendo in guardia le altre città-stato sulle conseguenze di un conflitto con la Triplice Alleanza.

Please accept YouTube cookies to play this video. By accepting you will be accessing content from YouTube, a service provided by an external third party.

YouTube privacy policy

If you accept this notice, your choice will be saved and the page will refresh.

Flower war

]]>
https://www.vitantica.net/2018/11/09/guerra-dei-fiori-aztechi/feed/ 0
Crypteia: le squadre della morte di Sparta https://www.vitantica.net/2018/11/05/crypteia-sparta-squadre-della-morte/ https://www.vitantica.net/2018/11/05/crypteia-sparta-squadre-della-morte/#comments Mon, 05 Nov 2018 00:10:41 +0000 https://www.vitantica.net/?p=2561 La agoghé (il sistema di educazione dei giovani spartani) prevedeva una pratica che ha generato numerosi dibattiti tra gli storici moderni, discussioni che gravitano attorno alla sua vera natura: la Crypteia (o Krypteia), un’istituzione composta principalmente da giovani spartani, era al limite tra una polizia segreta, un corso speciale d’addestramento particolarmente violento e un rito di passaggio all’età adulta.

Gli spartani “purosangue” costituivano la minoranza a Sparta. La maggior parte della popolazione era composta da Iloti, prigionieri di guerra della Laconia e della Messenia che avevano subito una sorte differente dal tradizionale trattamento che gli Spartiati (di discendenza dorica) riservavano agli sconfitti in battaglia: sterminio della popolazione maschile e schiavitù per le donne.

La minaccia costante degli Iloti

Gli Iloti erano sostanzialmente servi con un certo grado di libertà personale: non avevano diritto di voto, ma non erano schiavi veri e propri; potevano sposarsi, ma la metà dei frutti del loro lavoro doveva essere versato come tributo a Sparta; avevano il diritto di mantenere i propri riti religiosi e possedere piccole proprietà personali; alcuni, dopo anni di sacrifici o dopo aver militato nell’esercito spartano come fanti leggeri, riuscivano addirittura a riscattare la propria libertà.

Il rapporto numerico tra Iloti e Spartiati non è noto con certezza, ma sappiamo da Erodoto che intorno al V secolo a.C., più precisamente nella battaglia di Platea (479 a.C.), ogni oplita Spartiate aveva assegnati sette combattenti Iloti; nei territori sotto il dominio di Sparta, è quasi certo che le proporzioni tra cittadini e servi fosse maggiore.

La relazione tra Iloti e Sparta non fu sempre felice: la rivolta del 464-463 a.C., avvenuta poco dopo un terremoto, fece realizzare agli Spartiati di dover tenere costantemente sotto controllo i loro servi per evitare che si potessero verificare ribellioni potenzialmente disastrose per lo status quo.

La Crypteia, il culmine dell’educazione spartana

Crypteia educazione spartana

Iniziò così una tradizione annuale che prevedeva che gli efori (magistrati supremi di Sparta), una volta insediati in autunno, dichiarassero una guerra rituale contro gli Iloti, concedendo il diritto ad ogni spartano di ucciderli senza subire alcuna conseguenza. In questa circostanza entrava in gioco la Crypteia, l’ultimo passo dell’ agoghé spartana e un rito di passaggio necessario per accedere alle più alte cariche politiche.

La agoghé era un regime obbligatorio d’istruzione e di addestramento che iniziava a 7 anni per ogni cittadino maschio spartano: il bambino veniva separato dalla famiglia, gli veniva insegnato ad essere leale nei confronti dei suoi compagni ma, allo stesso tempo, a rubare o mentire a chiunque non fosse Spartiate in caso di necessità o in situazioni di sopravvivenza.

I ragazzi potevano lavarsi solo poche volte l’anno, avevano a disposizione solo un mantello per coprirsi dai capricci del clima, camminavano a piedi nudi e si nutrivano come e quando potevano. Era loro consentito rubare cibo, ma se fossero stati colti nell’atto di rubare avrebbero ricevuto una punizione severa, non tanto per il furto ma per aver dimostrato di non essere stati sufficientemente scaltri da farla franca.

Al raggiungimento dei 18 anni, i giovani Spartiati che avevano terminato il loro addestramento e che si erano dimostrati particolarmente brillanti nel combattimento o intelligenti nel comando dei loro compagni venivano arruolati nella Crypteia.

La Crypteia e la caccia agli Iloti

Quando gli efori dichiaravano ufficialmente guerra agli Iloti, i kryptes (membri della Crypteia) venivano inviati nelle campagne sotto il dominio di Sparta, armati di coltello e dotati di qualche razione di cibo, con il preciso scopo di uccidere ogni Ilota che incontravano e rubare ogni briciola di cibo necessario alla loro sopravvivenza.

L’ordine impartito ai kryptes era chiaro: uccidere ogni Ilota, specialmente i più forti, i più problematici o quelli coinvolti nell’organizzazione di dissenso o rivolte. Chiunque fosse stato colto nell’atto di uccidere, tuttavia, sarebbe stato punito con la fustigazione, proprio come accadeva quando si veniva sorpresi a rubare nelle fasi precedenti dell’ agoghé.

Era quindi necessario che gli omicidi fossero condotti in segreto, possibilmente dopo aver studiato il bersaglio e averlo seguito per comprendere la sua routine quotidiana. I kryptes uscivano generalmente di notte, dedicando le ore diurne al riposo e allo studio dei loro bersagli.

Polizia segreta, rito di passaggio o parte dell’addestramento?

Crypteia rito di passaggio

La Crypteia è molto distante dal combattimento di opliti: si prediligeva l’operatività in piccoli gruppi rispetto ad uno schieramento compatto e massiccio; si combatteva e si uccideva ad ogni ora del giorno e non solo dall’alba al tramonto; l’armamentario a disposizione era minimo, contrariamente alla dotazione pesante dell’ oplita.

E’ possibile che attraverso la Crypteia i giovani spartani ottenessero competenze nel combattimento che non avrebbero potuto apprendere combattendo in una falange: eseguire ricognizioni rimanendo invisibili, uccidere senza lasciare traccia o condurre operazioni di intelligence raccogliendo informazioni dettagliate sul nemico.

Secondo alcuni storici, invece, la Crypteia non era altro che un rito di passaggio con lo scopo secondario di cementare la posizione di supremazia degli Spartiati: sfruttando la gioventù spartana per compiere omicidi dai risvolti politico-sociali, si mantenevano gli Iloti al loro posto e si evitava quanto possibile il nascere di ribellioni.

Altri storici, infine, sostengono che la Crypteia fosse una vera e propria polizia segreta, un corpo speciale creata e mantenuta per il preciso scopo di tenere in riga gli Iloti creando un clima di terrore e annientando ogni possibilità di organizzazione dei servi contro l’elite degli Spartiati.

Non esistono molte fonti storiche in grado di determinare con certezza la vera natura della Crypteia. Sappiamo per certo che l’organizzazione era reale grazie a Platone e a Plutarco, ma non abbiamo molti dettagli sull’obiettivo di questa istituzione.

Secondo gli storici Robert J. Bonner e Gertrude Smith, la Crypteia era sotto il controllo diretto degli efori, che tra i loro poteri avevano la gestione delle forze di polizia. Attraverso la dichiarazione di guerra nei confronti degli Iloti, la Crypteia poteva operare come un’unità di polizia militare senza incorrere nel rischio che uno dei suoi membri fosse considerato un semplice assassino.

Krypteia: A Form of Ancient Guerrilla Warfare

]]>
https://www.vitantica.net/2018/11/05/crypteia-sparta-squadre-della-morte/feed/ 1
La dieta dei gladiatori: grasso è meglio https://www.vitantica.net/2018/06/26/dieta-gladiatori-grasso-carboidrati/ https://www.vitantica.net/2018/06/26/dieta-gladiatori-grasso-carboidrati/#respond Tue, 26 Jun 2018 02:00:06 +0000 https://www.vitantica.net/?p=1829 Il cimitero gladiatorio di Efeso, Turchia, scoperto nel 1993 e risalente al II-III secolo d.C. si è rivelato una vera miniera d’ informazioni per gli archeologi intenti a ricostruire la vita quotidiana dei gladiatori. Tra i dati raccolti finora, la dieta dei combattenti nelle arene ha rappresentato una vera sorpresa: l’analisi di 22 corpi effettuata nel 2014 da un team della Medical University di Vienna suggerirebbe che la maggior parte dei gladiatori non avesse il fisico scultoreo popolarizzato dalle pellicole hollywoodiane a causa di un’ alimentazione ricca di carboidrati e povera di proteine animali.

I ricercatori sono stati in grado di determinare la prevalenza di certi alimenti nella dieta dei gladiatori quantificando la presenza di particolari isotopi di carbonio, calcio, stronzio e zinco presenti nei resti ossei dei combattenti e paragonando i risultati con quelli ottenuti dall’analisi di altri resti umani (appartenuti a persone mai coinvolte nei giochi gladiatori) scoperti all’interno del cimitero di Efeso.

Basandosi sui risultati delle analisi i ricercatori hanno concluso che la dieta dei gladiatori, chiamata gladiatoriam saginam, fosse principalmente basata sui carboidrati forniti da cereali e legumi, con uno scarso apporto di proteine animali ma un’abbondante dose di calcio. A supporto di questa analisi ci sono anche alcuni documenti storici risalenti al II-III secolo che descrivono la vita nelle scuole gladiatorie: Plinio, ad esempio, nella sua Naturalis historia chiama i gladiatori “mangiatori d’orzo” (hordearii) proprio per l’alimento che costituiva la base della loro dieta.

Come la maggior parte degli atleti moderni, anche i gladiatori assumevano dosi massicce di calcio: i ricercatori, dopo il confronto tra il calcio osseo dei gladiatori e quello dei non combattenti, hanno definito “esorbitante” l’apporto quotidiano di calcio nelle ossa dei lottatori. L’integrazione di calcio avveniva probabilmente tramite supplementi a base di cenere d’ossa o materia vegetale incenerita.

dieta dei gladiatori

Il problema principale di questa dieta, un problema ben noto ai nutrizionisti moderni, è costituito dall’ eccessiva assunzione di carboidrati: buona parte dei carboidrati tende a trasformarsi in zuccheri che, se non utilizzati entro breve termine, si accumuleranno nell’organismo sotto forma di riserve adipose.

Secondo i ricercatori, il preciso scopo di un’alimentazione prevalentemente basata sui carboidrati era quello di far ingrassare i gladiatori per sviluppare uno strato protettivo di grasso attorno alle regioni vitali: il grasso avrebbe potuto limitare la profondità di una ferita, proteggere le terminazioni nervose più esposte e fornire massa aggiuntiva a qualunque colpo inferto all’avversario.
Senza contare il contributo del grasso alla spettacolarità dell’evento: la protezione fornita dallo strato adiposo consentiva di far durare i combattimenti più a lungo continuando a perdere sangue da ferite superficiali, una dimostrazione di tenacia e violenza che mandava in delirio i fan dei giochi gladiatori.

A questo punto è lecito porsi una domanda: perché l’estetica dei gladiatori arrivata fino a noi è quella di un combattente dal corpo asciutto e muscoloso? Secondo gli archeologi, anche i Romani idealizzavano il corpo umano nella loro arte: in assenza di corpi perfetti da ritrarre, gli artisti antichi tendevano a idealizzare il fisico dei personaggi che raffiguravano. Nell’ antica Grecia ad esempio ben poche persone potevano aspirare ad un fisico da atleta olimpico (gli stessi atleti olimpici, in base alla disciplina preferita, non erano sempre i “campioni di fitness” raffigurati nelle statue) e gli artisti tendevano a idealizzare il corpo umano per qualunque soggetto, dalle divinità tradizionali ai filosofi (noti per non possedere fisici atletici).

Nonostante l’accumulo di grasso in eccesso, sembra che i gladiatori godessero di buona salute e possedessero una muscolatura atletica e potente. Ogni gladiatore era un investimento oneroso per la scuola a cui apparteneva e i giochi gladiatori diventarono velocemente un business che faceva circolare ogni settimana una quantità incalcolabile di denaro; perdere un gladiatore per salute cagionevole si sarebbe rivelato un pessimo investimento per il suo proprietario.

Per mantenere intatto l’investimento i gladiatori ricevevano un trattamento medico-sanitario superiore rispetto a quello che riceveva la maggior parte della popolazione: pavimenti riscaldati per l’allenamento invernale, bagni, infermerie e medici di tutto rispetto, alcuni anche particolarmente celebri come Galeno di Pergamo, un medico greco che influenzò la medicina occidentale per almeno un migliaio d’anni.
La dieta a base di carboidrati seguita dai gladiatori non era quindi una conseguenza del loro status sociale o delle loro scarse finanze, ma una scelta attuata con il preciso scopo di mettere all’ingrasso i corpi dei combattenti.

Stable Isotope and Trace Element Studies on Gladiators and Contemporary Romans from Ephesus (Turkey, 2nd and 3rd Ct. AD) – Implications for Differences in Diet

]]>
https://www.vitantica.net/2018/06/26/dieta-gladiatori-grasso-carboidrati/feed/ 0