samurai – VitAntica https://www.vitantica.net Vita antica, preindustriale e primitiva Thu, 01 Feb 2024 15:10:35 +0000 it-IT hourly 1 William Adams, il primo samurai europeo https://www.vitantica.net/2019/03/22/william-adams-primo-samurai-europeo/ https://www.vitantica.net/2019/03/22/william-adams-primo-samurai-europeo/#respond Fri, 22 Mar 2019 00:10:50 +0000 https://www.vitantica.net/?p=3819 Molti di voi avranno visto il film “L’ultimo samurai”, che dipinge le gesta di un americano dall’indomito spirito guerriero divenuto samurai dopo essere caduto preda del fascino dei famigerati guerrieri giapponesi.

Se istintivamente avete scartato l’ipotesi che uno straniero potesse diventare samurai in un Giappone conservatore e legato indissolubilmente alle antiche tradizioni, la realtà è che nel corso dei secoli passati i samurai di origine non nipponica furono diversi, primo tra tutti William Adams.

Adams non fu il primo samurai straniero della storia del Giappone: fu probabilmente preceduto da un africano, Yasuke, che servì sotto Oda Nobunaga 20 anni prima dell’arrivo dell’inglese. E’ anche accertato che alcuni coreani e cinesi ottennero il titolo di samurai durante il periodo Sengoku, ma Adams fu certamente il primo samurai europeo della storia.

Una vita da marinaio

William Adams era originario di Gillingham, Inghilterra. Nato nel settembre del 1564, rimase orfano di padre all’età di 12 anni e venne preso come apprendista dal costruttore di navi Nicholas Diggins. Adams trascorse i successivi 12 anni imparando il mestiere del marinaio, e molte altre nozioni utili alla vita sul mare come l’astronomia, la navigazione e le tecniche costruttive dei vascelli inglesi.

Dopo essersi arruolato, Adams servì la Marina Reale sotto nientemeno che Sir Francis Drake, il famoso corsaro e navigatore inglese. Partecipò anche alle manovre di contrasto dell’ Invincibile Armata spagnola nel 1588 a bordo del vascello di supporto Richarde Dyffylde.

Terminata la guerra, Adams fu assunto come navigatore della Barbary Company, una compagnia commerciale creata dalla regina Elisabetta I nel 1585 che per circa 12 anni potè godere di un trattato commerciale esclusivo con il Marocco.

Secondo le fonti gesuite, Adams partecipò anche ad una spedizione diretta verso Oriente durata circa due anni, alla ricerca del Passaggio a nord-est lungo la costa della Siberia; in una sua lettera autobiografica, tuttavia, Adams non cita mai la sua partecipazione all’impresa.

La flotta su cui era imbarcato Adams: la "Blijde Bootschap", la "Trouwe", la "T Gelooue", la "Liefde" e la "Hoope"
La flotta su cui era imbarcato Adams: la “Blijde Bootschap”, la “Trouwe”, la “T Gelooue”, la “Liefde” e la “Hoope”

All’età di 34 anni, Adams prese parte nel ruolo di pilota ad una spedizione mercantile olandese verso il Sud America, nella speranza di vendere il carico della flotta in cambio di argento.

La piccola flotta di cinque navi salpò da Rotterdam nel 1598; come piano di riserva in caso di fallimento della spedizione era previsto di far rotta verso il Giappone per ottenere argento da utilizzare per acquistare spezie nelle Molucche prima di tornare in Europa.

La spedizione fu un fallimento: in corrispondenza del’isola di Annobòn la flotta fu attaccata e costretta a dirigersi verso lo Stretto di Magellano; flagellata dal tempo e dai capricci dell’Atlantico, solo tre navi riuscirono a superare lo stretto.

Ben presto la flotta si ridusse ad una sola nave dopo che l’equipaggio della Hoope fu sterminato da un tifone in prossimità delle Hawaii nel febbraio del 1600 e la Trouw fu attaccata in Indonesia da navi portoghesi nel 1601.

L’arrivo in Giappone

Quasi due anni dopo aver girovagato per il Pacifico, Adams, a bordo dell’ultima nave della spedizione, la Liefde, si ritrovarò a sbarcare sull’isola di Kyushu in Giappone in compagnia di un equipaggio di soli 20 uomini malati e stanchi.

Il carico della nave consisteva in tessuti, perle di vetro, specchi, utensili di metallo, chiodi, 19 cannoni di bronzo, 5.000 palle di cannone, 500 moschetti e tre bauli pieni di cotte di maglia.

William Adams incontra Tokugawa Ieyasu
William Adams incontra Tokugawa Ieyasu in una mappa del Giappone del 1707 di Pieter van der Aa

Dopo essersi ripreso dal viaggio, l’equipaggio della Liefde si spostò a Bungo (nell’attuale prefettura di Oita). Qualche giorno dopo lo sbarco, Adams e l’equipaggio furono imprigionati nel castello di Osaka per ordine diretto di Tokugawa Ieyasu: alcuni gesuiti portoghesi suggerirono che i nuovi arrivati fossero pirati e consigliarono al daimyo di Edo di giustiziare l’intero equipaggio.

Ma fu proprio l’incontro con Ieyasu che cambiò in meglio la sorte di Adams: considerata la vasta esperienza dell’inglese nella costruzione di navi e nella navigazione, il futuro shogun decise di liberare l’equipaggio dopo aver attentamente valutato le conversazioni avute con il marinaio inglese durante i tre interrogatori che precedettero la sua liberazione.

Il rapporto tra Adams e Ieyasu

Nel 1604, Tokugawa chiese ad Adams di costruire una nave in stile occidentale per Mukai Shogen, comandante in capo della flotta di Uraga. I lavori, condotti nel porto di Ito, portarono alla costruzione di un vascello di otto tonnellate, al quale fece seguito una nave di 120 tonnellate, simile alla Liefde, rinominata successivamente “San Buena ventura“.

La costruzione di queste due navi fece entrare Adams nelle grazie di Tokugawa. Ma mentre la maggior parte dell’equipaggio ottenne il permesso di lasciare il Giappone nel 1605, ad Adams non fu concesso di lasciare il Paese fino al 1613, anche se l’inglese decise di non fare più ritorno in Europa per il resto della sua vita.

Ritratto di Adams dal "Black Ship Scroll"
Ritratto di Adams dal “Black Ship Scroll”

Durante la sua permanenza alla corte di Tokugawa, Adams assunse presto il ruolo di diplomatico, diventando consigliere personale dello shogun per le questioni commerciali e ogni attività connessa ai contatti con il mondo occidentale. Dopo pochi anni Adams sostituì il gesuita João Rodrigues nel ruolo di interprete ufficiale dello shogun.

Adams ottenne infine il titolo di samurai. Lo shogun decretò che il pilota William Adams era defunto e che era nato un nuovo samurai: Miura Anjin.

La carica rendeva di fatto Adams un servitore ufficiale dello shogunato e annullava ogni legame con la sua patria d’origine: Adams inviò regolarmente somme di denaro alla moglie e ai figli rimasti in Inghilterra sfruttando i contatti commerciali con le compagnie olandesi e inglesi, ma non riuscì mai più a ricongiungersi con la sua famiglia.

Adams ricevette anche la carica di “hatamoto“, un titolo estremamente prestigioso che consentiva al vassallo di conferire direttamente con lo shogun.

Una nuova vita in Giappone

Ad Adams fu assegnato un feudo a Hemi (in corrispondenza dell’odierna città di Yokosuka), con un seguito di schiavi e servitori composto da 80-90 persone. Le sue proprietà furono valutate a circa 250 koku: un koku corrispondeva alla quantità di riso necessaria a sfamare una persona per un anno.

Estratto di una lettera di William Adams scritta a Hirado per la Compagnia delle Indie Orientali nel 1613
Estratto di una lettera di William Adams scritta a Hirado per la Compagnia delle Indie Orientali nel 1613

Dato che il suo nuovo rango recideva ogni legame con la sua vita in Inghilterra, Adams sposò Oyuki, la nipote adottiva dell’ufficiale governativo Magome Kageyu, avendo da lei Joseph e Susanna.

Considerata la presenza di cattolici nel Giappone del XVII secolo e il fatto che Adams fosse protestante, l’inglese fu bersaglio di numerose campagne di discredito ordite dai gesuiti: inizialmente si tentò di convertirlo, in seguito gli si offrì segretamente un modo per fuggire dal Giappone a bordo di una nave portoghese, offerta che Adams non accettò mai anche dopo la caduta del divieto di lasciare il Sol Levante imposto per anni da Ieyasu.

La vita di Adams divenne quella di un vero e proprio giapponese: ottenne il rispetto dell’intero Giappone e imparò ad apprezzare un popolo così differente dai costumi occidentali. Parlava correntemente giapponese e vestiva secondo la moda giapponese, tanto da essere stato definito da commercianti inglesi come “un giapponese naturalizzato”.

Nel corso della sua vita partecipò a diverse spedizioni in Asia nel ruolo di ambasciatore, specialmente in Siam e Vietnam, e creò un punto di scambio commerciale in Giappone per conto della Compagnia delle Indie orientali britannica.

Lapide di Miura Anjin a Hirado, nella prefettura di Nagasaki
Lapide di Miura Anjin a Hirado, nella prefettura di Nagasaki

Adams morì nel 1620 a Hirado, a nord di Nagasaki, all’età di 55 anni. La sua tomba è visibile ancora oggi, al fianco della tomba di Francis Xavier, missionario cattolico spagnolo. Nel suo testamento lasciò scritto di distribuire i suoi possedimenti e il suo patrimonio tra la famiglia lasciata in Inghilterra e la famiglia che aveva costruito in Giappone.

Ogni anno, il 15 giugno, viene celebrata la sua figura storica ad Anjin-cho, oggi chiamata Nihonbashi. Nella città di Ito, invece, ogni anno viene celebrato il Miura Anjin Festival il 10 agosto; in quello che fu un tempo il suo feudo, un villaggio e una stazione ferroviaria portano un nome che evoca il passaggio di Adams: Anjinzuka.

William Adams (sailor, born 1564)
Will Adams, The First Englishman in Japan
William Adams, the First Englishman in Japan

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Ninja: gli shinobi tra verità storica e mito https://www.vitantica.net/2019/03/18/ninja-shinobi-verita-storica-e-mito/ https://www.vitantica.net/2019/03/18/ninja-shinobi-verita-storica-e-mito/#respond Mon, 18 Mar 2019 00:10:01 +0000 https://www.vitantica.net/?p=3778 La popolarizzazione dei combattenti antichi avvenuta durante il XX secolo grazie al cinema e alla letteratura ha contribuito a creare figure leggendarie, spesso circondate da misteri mai esistiti, dotate di abilità mai possedute o relegate a ruoli mai assunti.

Una di queste figure è quella dello shinobi, conosciuto più comunemente come ninja. I ninja si prestano particolarmente alla spettacolarizzazione cinematografica: spie combattenti dotate di poteri soprannaturali ed equipaggiate con armi non tradizionali. Li abbiamo visti in tutte le salse, in una quantità incalcolabile di film d’azione e in panni per nulla attribuibili a spie giapponesi d’epoca medievale. Cosa c’è di vero, quindi, sui ninja?

Ninja: un termine poco utilizzato

Il termine “ninja” è stato storicamente poco utilizzato. Il ben più diffuso “shinobi”, una forma contratta di “shinobi-no-mono“, si trova nella letteratura giapponese fin dall’ VIII secolo (ad esempio, nell’opera poetica Man’yoshu) e significa “sottrarre; nascondersi”.

Shinobi è un termine generalmente destinato ad un utilizzo al maschile; per le spie di sesso femminile si utilizzava più comunemente la parola kunoichi. Questa distinzione tuttavia non fu utilizzata all’inizio della storia delle spie giapponesi: fino al XV secolo gli shinobi non erano formalmente raggruppati in clan, e qualunque spia poteva essere considerata shinobi.

Altri termini sono stati impiegati per identificare chi praticava attività di spionaggio: monomi (“colui che vede”), nokizaru (“macaco sul tetto”), rappa (“bandito”) e Iga-mono (“uomo di Iga”, una regione storicamente legata agli shinobi).

Esiste anche un’intero ventaglio di nomi regionali impiegati per definire uno shinobi: a Kyoto si usavano le parole “suppa, “ukami” o “dakkou“, mebntre nella prefettura di Miyagi la parola “kurohabaki“; a Niigata erano comuni invece “nokizaru“, “kanshi” e “kikimonoyaku“.

Shinobi e fonti storiche

Per quanto siano nate innumerevoli leggende sulle origini degli shinobi giapponesi, le fonti storiche degne di tale nome e in grado di descriverne l’origine e le attività in cui erano coinvolti sono scarse.

Le ragioni dell’assenza di fonti storiche sembrano essere legate sia alla segretezza delle loro vite, sia allo scarso interesse che suscitavano nelle corti del tempo, più interessate alle nobili gesta dei samurai che ai sotterfugi e alle meschinità delle spie.

La ripugnanza che suscitavano le attività si spionaggio ha origini antiche: l’episodio di Koharumaru, incaricato nel X secolo di spiare Taira no Masakado camuffato da trasportatore di carbone, è indicativo del disprezzo provato nei confronti le spie da parte della società nipponica del tempo.

Allo stesso tempo, tuttavia, le attività degli shinobi erano ritenute indispensabili per raccogliere informazioni o effettuare sabotaggi: nella cronaca Taiheiki (XIV secolo) si riporta l’episodio di uno shinobi particolarmente abile che riuscì a dare alle fiamme un intero castello.

Nei casi sopra citati gli shinobi non erano altro che soldati e samurai a cui venivano affidate missioni di spionaggio. Le prime, vere tracce storiche di individui esclusivamente dediti allo spionaggio risalgono al XV secolo: in questo periodo la parola shinobi identifica con chiarezza gruppi di agenti segreti volti a sabotare e infiltrarsi oltre le linee nemiche.

A partire dal XV secolo i ninja furono reclutati in svariate occasioni come spie, briganti, sabotatori, agitatori e terroristi; potevano compiere atti totalmente indecorosi per un samurai (anche se i samurai, di fatto, non perdevano occasione per compiere atti indegni e poco nobili) in un periodo, l’epoca Sengoku, in cui molti potentati locali erano impegnati in faide con i feudi confinanti.

Bansenshukai
Bansenshukai

Tutto ciò che sappiamo sulle abilità e sull’addestramento dei ninja proviene principalmente da manuali e rotoli realizzati meno di 4 secoli fa. A partire dal XVII secolo furono redatti diversi manuali di ninjutsu dai discendenti di Hattori Hanzo e del clan Fujibayashi, legato al clan Hattori: tra questi si contano il Ninpiden (1655), il Bansenshukai (1675) e lo Shoninki (1681).

Le scuole moderne di ninjutsu sono emerse tutte a partire dagli anni ’70 del 1900: benché basate sulle tecniche di alcuni manuali storici, l’autenticità delle scuole moderne è materia controversa per via dell’assenza di informazioni precise sulla discendenza dei maestri di ninjutsu.

Iga e Koga

Gli shinobi iniziarono ad organizzarsi in gilde composte da diverse famiglie di shinobi e a sviluppare un sistema di gradi: i jonin erano i ninja di rango più elevato, seguiti dai chunin e dai genin. Per quanto di basso rango, i genin svolgevano attività fondamentali come la raccolta di informazioni sensibili, il sabotaggio e l’infiltrazione.

E’ in questo periodo che le province di Iga e Koga iniziano a delinearsi come produttrici di shinobi di professione. I villaggi Iga e Koga addestravano uomini specificamente per le attività di spionaggio, nascosti tra montagne remote e inaccessibili in grado di custodire i segreti più preziosi dei ninja.

Tra il 1485 e il 1581 gli shinobi Iga e Koga furono utilizzati più volte dai daimyo giapponesi per raccogliere informazioni e sabotare il nemico, fino a quando Oda Nobunaga decise di radere al suolo i villaggi della provincia di Iga, costringendo i sopravvissuti a trovare rifugio tra le montagni di Kii o ad affidarsi a Tokugawa Ieyasu (come fece Hattori Hanzo, che divenne una delle guardie dello shogun).

Dopo l’insediamento dei Tokugawa, gli Iga assunsero il ruolo di guardie dello shogun a Edo, mentre i Koga quello di forza di polizia. Gli shinobi continuarono comunque a partecipare ad attività di spionaggio e infiltrazione: nel 1614, Miura Yoemon reclutò 10 shinobi per infiltrarli nel castello di Osaka e fomentare l’antagonismo nei nemici dei Tokugawa.

Con la caduta dei clan Iga e Koga, i daimyo iniziarono ad addestrare i loro shinobi: una legge del 1649 stabilì che solo i daimyo che guadagnavano più di 10.000 koku potevano possedere e addestrare ninja.

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Il ruoli dei ninja

Per quanto tendessero a svolgere ruoli contrari all’etichetta dei samurai, come spionaggio, sabotaggio e assassinio, molti shinobi erano loro stessi samurai o membri dell’esercito (come gli ashigaru). Non si trattava di truppe “anti-samurai” come spesso vengono dipinti: erano soldati specializzati in missioni segrete e spionaggio.

Samurai e Bushido

Spesso svolsero ruoli di fondamentale importanza in battaglie campali e furono impiegati dagli organi di governo dello shogunato per eseguire operazioni estremamente pericolose. Escludendo i villaggi delle regioni di Iga e Koga, gli shinobi erano spesso soldati scelti particolarmente versati nello spionaggio che partecipavano tuttavia anche ad assedi e scontri armati.

Il compito principale degli shinobi era quello di raccogliere informazioni sfruttando ogni mezzo possibile. Il sabotaggio (spesso portato a termine appiccando il fuoco a risorse strategicamente importanti del nemico) era un ruolo secondario ma altrettanto importante.

Il diario dell’abate Eishun, vissuto nel XVI secolo, descrive un attacco incendiario condotto da shinobi Iga:

Questa mattina, il sesto giorno dell’undicesimo mese del decimo anno di Tenbun, gli Iga sono entrati nel castello di Kasagi in segreto e hanno dato alle fiamme alcuni dei quartieri dei sacerdoti. Hanno incendiato anche i fabbricati all’interno del San-no-maru. Hanno catturato l’ Ichi-no-maru e il Ni-no-Maru.

Attribuire agli shinobi, in modo storicamente accurato, l’assassinio di personalità celebri è difficile: operazioni di questo tipo lasciano raramente tracce evidenti. Alcuni omicidi sono stati attribuiti ai ninja posteriormente al fatto, senza alcuna prova sostanziale di un loro coinvolgimento nel delitto.

Sappiamo tuttavia che Oda Nobunaga subì diversi tentativi d’omicidio da parte di alcuni shinobi, come un tiratore scelto Koga nel 1571 (Sugitani Zenjubo) e nel 1573 (Manabe Rokuro). Lo shinobi Hachisuka Tenzo fu invece inviato da Nobunaga per assassinare il daimyo Takeda Shingen.

Ninjutsu, le arti dello spionaggio

Con il termine ninjutsu si identifica in tempi moderni l’ampio bagaglio di abilità che uno shinobi doveva possedere per far fronte ad ogni circostanza avversa.

Il primo addestramento allo spionaggio specializzato sembra essere emerso verso la metà del XV secolo: gli shinobi iniziavano l’addestramento da giovanissimi e imparavano tecniche di sopravvivenza e di sorveglianza, l’uso di veleni ed esplosivi e abilità fisiche come l’arrampicata, la corsa su lunghe distanze e il nuoto.

Sappiamo inoltre che alcuni ninja, come lo shinobi Iga riportato in un resoconto storico relativo a Ii Naomasa, disponevano di conoscenze mediche utili in battaglia; per ridurre al minimo il loro odore corporeo, tendevano ad avere una dieta vegetariana in preparazione di una missione.

Monaco komuso
Monaco komuso

Gli shinobi dovevano necessariamente possedere anche la conoscenza di svariati mestieri per poter infiltrarsi tra il nemico sotto mentite spoglie. Si travestivano spesso da sacerdoti, monaci, mendicanti, mercanti, ronin e intrattenitori: travestirsi da sarugaku (menestrello) consentiva di infiltrarsi all’ìinterno degli edifici nemici, mentre l’abito dei monaci komuso permetteva di mascherare completamente il volto tramite il tipico cappello a canestro.

Le tecniche di spionaggio, d’infiltrazione e “stealth” venivano vagamente raggruppate in quattro gruppi: tecniche di fuoco (katon-no-jutsu), d’acqua (suiton-no-jutsu), di legno (mokuton-no-jutsu) e di terra (doton-no-jutsu).

Grazie ad alcuni manuali e rotoli custoditi per generazioni dai clan di shinobi, siamo in grado ci conoscere alcune delle strategie utilizzate per lo spionaggio:

  • Hitsuke: distrarre le guardie appiccando fuochi lontano dal punto d’ingresso dello shinobi;
  • Tanuki-gakure: arrampicata sugli alberi e camuffamento tra il fogliame. Rientra tra le “tecniche di legno”;
  • Ukigusa-gakure: uso delle piante acquatiche per nascondere i movimenti subacquei;
  • Uzura-gakure: rannicchiarsi come una palla e rimanere immobili per apparire come una roccia.
Miti e leggende metropolitane sui ninja
Abiti neri

Indossare un distintivo abito nero per raccogliere informazioni non è molto pratico: è estremamente riconoscibile tra una folla vestita in abiti tradizionali o contadini. Come accennato in precedenza, gli shinobi preferivano di gran lunga mimetizzarsi nel tessuto sociale indossando gli abiti di figure comuni di “basso profilo”.

Abiti blu

Circola una sorta di “correzione” del mito legato alle uniformi nere dei ninja: erano blu, il miglior colore per nascondersi durante la notte. L’uso del colore blu appare in uno dei manuali scritti durante il XVII secolo, ma viene semplicemente consigliato perché era un pigmento comune nella moda del tempo e utile a non distinguersi.

Spade dritte

In molte film il ninja impugna spade dal filo dritto. Non esiste alcuna prova che gli shinobi utilizzassero questo tipo di spade, che richiedevano una lavorazione differente dalle lame da combattimento normalmente prodotte dai fabbri giapponesi.

La prima apparizione di queste spade dritte (ninjato) è del 1956 nel libro “Ninjutsu” di Heishichiro Okuse; la forma delle “spade ninja” fu poi popolarizzata dal Ninja Museum di Igaryu nel 1964.

Ninjutsu e combattimento

Nessuno dei tre manuali storici del ninjutsu (Ninpiden, Bansenshukai e Shoninki) riporta tecniche di combattimento. Il Bansenshukai dice soltanto che uno shinobi dovrebbe allenarsi nel combattimento con la spada, ma non fornisce alcuna istruzione sul combattimento.

Questo non significa che i ninja non fossero combattenti, ma che molto probabilmente provenivano da classi guerriere. Si dava per scontato che conoscessero i fondamentali del combattimento: il ninjutsu non era un’arte marziale, ma una collezione di tecniche di sopravvivenza, spionaggio e sabotaggio.

NINJAS IN JAPAN AND THEIR HISTORY
25 Fascinating Facts About The Real Ninja Of History
THE SHOCKING TRUTH ABOUT NINJA MARTIAL ARTS (FROM HISTORICAL DOCUMENTS)

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Documentario: i segreti della spada giapponese https://www.vitantica.net/2018/10/06/documentario-segreti-spada-giapponese/ https://www.vitantica.net/2018/10/06/documentario-segreti-spada-giapponese/#respond Sat, 06 Oct 2018 02:00:18 +0000 https://www.vitantica.net/?p=2224 La spada giapponese viene spesso considerata l’anima stessa del samurai. La creazione di questi strumenti, che racchiudono bellezza, forza e tradizione, è rimasta avvolta nel mistero per oltre mille anni.

Yoshindo Yoshihara è un moderno costruttore di spade giapponesi e forse il fabbro più conosciuto oltre i confini nazionali. I suoi capolavori sono stati acquistati per esibizioni al Metropolitan Museum di New York, per il Museum of Fine Arts di Boston o donati ad autorità internazionali come re Gustav di Svezia.

Questo video segue la realizzazione di una katana secondo le tecniche e i segreti di Yoshindo Yoshihara, a partire dalla selezione del metallo adatto all’arma per terminare con il delicato e lungo lavoro di affilatura.

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Bushido e samurai, mito e realtà https://www.vitantica.net/2017/12/06/bushido-samurai-mito-realta/ https://www.vitantica.net/2017/12/06/bushido-samurai-mito-realta/#comments Wed, 06 Dec 2017 12:00:35 +0000 https://www.vitantica.net/?p=973 Onestà e giustizia, coraggio, compassione, gentile cortesia, completa sincerità, onore, dovere e lealtà. Sette precetti fondamentali del Bushido (“la via del guerriero”) giapponese codificati in forma scritta circa 3 secoli fa e che sono stati raramente rispettati o messi in pratica nella quotidianità dei samurai, contrariamente a quanto la letteratura di genere presente e passata voglia farci credere.

La prima cosa da sottolineare è che il Bushido “etico” che conosciamo oggi è un concetto coniato in epoca relativamente recente e in un contesto del tutto estraneo alla guerra. La parola “bushido” è stata utilizzata per la prima volta nel XVII secolo ed divenne di uso comune solo nel 1899 grazie allo scrittore Nitobe Inazo, uno dei principali responsabili dell’immagine poetica e romanzata dei samurai che abbiamo oggi.

Lo shogunato Tokugawa, che contribuì ad una pace interna durata secoli (1603-1868), favorì la nascita di un codice etico di comportamento basato sulle antiche rappresentazioni degli ideali samurai per tenere a bada una schiera infinita di soldati rimasti senza una guerra da combattere (tra il 7% e il 10% della popolazione giapponese dell’epoca).

Anche se esistono alcuni esempi di condotta-modello per un samurai fin da prima del periodo Sengoku (XV secolo), si trattava principalmente di principi legati al rispetto e all’obbedienza assoluti verso i propri superiori; fu solo sotto i Tokugawa che si diffuse su larga scala l’idea di “guerriero gentile”, colto e rispettoso delle tradizioni marziali del passato.

Le prime versioni di un codice di condotta samurai sono frutto di storie basate su avvenimenti reali ma raccontate dagli occhi dei vincitori, come lo Heike Monogatari (1180 circa) che descrive l’epico scontro tra due clan rivali, i Minamoto e i Taira. I guerrieri di queste “cronache” furono altamente idealizzati e descritti come persone non solo militarmente potenti ma anche colte e dedite alle arti, personaggi-modello riutilizzati qualche secolo dopo per la codifica del Bushido nella sua versione moderna.

Paravento che raffigura una scena dell' Heike Monogatari
Paravento che raffigura una scena dell’ Heike Monogatari

La realtà quotidiana del samurai di basso rango era però ben diversa dalla linea di condotta di un guerriero colto e onorevole. In un periodo di pace prolungata e senza la possibilità di partecipare a scontri armati, i samurai senza padrone, senza un titolo nobiliare o senza discreti possedimenti di terra vagavano per il Giappone alla ricerca di un ingaggio come guardie del corpo o assassini, si organizzavano in bande di malviventi o semplicemente trascorrevano le loro giornate ad ingozzarsi di alcolici coi pochi soldi rimasti.

Di seguito riporto qualche aspetti e comportamenti meno noti dei samurai, alcuni in netto contrasto con il Bushido di epoca Tokugawa; altri invece sottolineano quanto la quotidianità di questi guerrieri fosse molto meno poetica e filosofica di quanto la letteratura e il cinema ci abbiano descritto finora.

I samurai erano essenzialmente pedofili

Nell’immaginario collettivo occidentale riteniamo che, nel momento del “riposo del guerriero”, un samurai si dedicasse ad ammirare la cerimonia del tè o a meditare nella sua stanza affilando la lama della spada e pensando a quanto fosse onorevole morire in battaglia. In realtà, la maggior parte dei samurai ammazzava il tempo in compagnia di ragazzini dodicenni.

Questo tipo di relazione era noto come shudo (“la via del giovane”) e fu in uso per molto tempo, fino al XIX secolo. Lo shudo deriva da una pratica del tutto identica in voga fin dal IX secolo tra monaci e accoliti, chiamata chigo.

Lo shudo e il chigo erano visti come una forma di apprendistato per i giovani, ufficialmente riconosciuto e socialmente accettato, oltre che incoraggiato, tant’è che prima di una battaglia era considerato preferibile fare sesso con un ragazzino o un compagno d’armi che con una donna.

Samurai e apprendista in un dipinto di Miyagawa Issho
Samurai e apprendista, Miyagawa Issho

I ragazzini in età wakashu (tra i 5-10 anni e i 18-20 anni) in pieno addestramento militare venivano affiancati da adulti esperti che potevano prendere come amante il loro protetto (con il consenso del ragazzo) fino al raggiungimento dell’età adulta.

Questo genere di rapporto veniva formalizzato come “contratto di fratellanza” ed era una relazione di tipo esclusivo in cui i due partecipanti erano tenuti al rispetto e alla fedeltà assoluta. Sia il samurai esperto che il giovane apprendista traevano onore dalla relazione e si veniva a creare un profondo legame che spesso proseguiva, dopo la fine del periodo wakashu, sotto forma di rapporto d’amicizia fraterna.

 

La fedeltà dei samurai è stata sopravvalutata

Il samurai è sempre stato visto come un guerriero dotato di fedeltà e lealtà incrollabili. Davanti al rischio di essere catturato, il Bushido ordinava di essere uccisi dal nemico o togliersi la vita piuttosto che coprire di vergogna il proprio nome e quello del proprio signore feudale.

Nella vita reale, la maggior parte dei samurai cambiava semplicemente fronte dello scontro nel caso si fosse dovuto arrendere al nemico, come è successo spesso e volentieri sui campi di battaglia di tutto il mondo nel corso della storia antica e moderna.

Durante il periodo Sengoku, uno dei più turbolenti dell’intera storia del Giappone, i potentati locali si scontravano tra loro di continuo ed era molto frequente che un samurai sconfitto cambiasse schieramento per allearsi con il vincente di turno.

I tradimenti erano all’ordine del giorno, gli intrighi fuori e dentro le corti erano costanti e spesso impossibili da portare a termine se non con l’aiuto della casta samurai, senza contare le innumerevoli battaglie vinte o perdute per colpa di samurai doppiogiochisti.

Incidente di Honno-ji, il celebre tradimento di Akechi Mitsuhide che costrinse Oda Nobunaga a suicidarsi
Incidente di Honno-ji, il celebre tradimento di Akechi Mitsuhide che costrinse Oda Nobunaga a suicidarsi

Il complesso sistema di doveri e obblighi nei confronti dei superiori, inoltre, non era privo di scappatoie e contraddizioni. La letteratura antica giapponese è piena di dilemmi come “Dovrei essere fedele al mio daimyo, che mi ha addestrato e cresciuto, o allo shogun, suo superiore e quindi meritevole di maggiore fedeltà?”.

I samurai vissuti prima dell’epoca Tokugawa non trascorrevano il loro tempo a discutere di Bushido etico o a valutare la cosa più giusta o saggia da fare. Le azioni disonorevoli, come sterminare un’intera famiglia, uccidere donne e bambini o riscuotere tasse ingiuste con la forza non solo erano richieste frequenti da parte dei loro superiori, ma venivano spesso ricompensate in riso o con un avanzamento di carriera.

 

I samurai hanno smesso di esistere perchè inutili

L’introduzione delle tecnologie belliche occidentali in Giappone cambiò radicalmente lo stile di combattimento tradizionale basato su scontri di arcieri e spadaccini; i samurai tuttavia non svanirono solo per l’arrivo in Giappone della tecnologia delle armi da fuoco, ma per i sempre più prolungati periodi di pace e di unità interna degli ultimi secoli di storia.

Cosa fa un guerriero di professione se non c’è una guerra da combattere? Se è costretto a portare a casa la pagnotta, torna a fare il contadino, si improvvisa brigante o si dedica al commercio.

Il periodo della Rinnovamento Meiji (tra il 1866 e il 1869) rappresentò una catastrofe per la casta dei samurai, considerata una vera e propria reliquia di un passato ormai diventato fonte di vergogna per un Giappone che aveva appena compreso la superiorità tecnologica dell’Occidente industrializzato e si stava aprendo commercialmente al mondo.

Ai samurai furono rimossi i privilegi goduti in precedenza e il Giappone iniziò un’opera di modernizzazione del Paese, a partire dall’abolizione di molte antiche tradizioni. Messi di fronte alla superiorità militare del resto del mondo, i samurai non avrebbero potuto difendere l’Imperatore da un ipotetico attacco straniero e finirono per assistere allo smembramento totale della loro casta da parte dei governanti che avevano protetto fino al giorno prima.

La battaglia di Ueno fu combattura a Tokyo nel 1868. La sconfitta dei samurai dello shogun segnò l'inizio del Rinnovamento Meiji.
La battaglia di Ueno fu combattura a Tokyo nel 1868. La sconfitta dei samurai dello shogun segnò l’inizio del Rinnovamento Meiji.

I figli dei samurai di alto rango, inoltre, erano il bersaglio perfetto per i missionari cristiani: appartenevano alle classi più influenti della società, dotate di maggior tempo libero per poter ascoltare la parola di Dio. La conversione al cristianesimo dei figli dei samurai fu un vero colpo per la casta: la filosofia cristiana è in netto contrasto con il codice del Bushido antico e moderno e inconciliabile con la vita del samurai.

I samurai adulti furono costretti ad adattarsi: alcuni diventarono guardie del corpo, altri affittarono per denaro la propria capacità di usare la spada o si affiliarono alla Yakuza; altri ancora decisero di vendere la propria “anima”, la spada, per avere qualche soldo utile a reinventarsi come mercanti o contadini.

 

I samurai non erano tutti ricchi

I samurai furono di certo un gruppo decisamente potente nella piramide sociale del Giappone feudale precedente alla Restorazione Meiji, ma si trattava di un insieme di persone molto eterogeneo: c’era chi veniva da una famiglia nobile vicina alle corti imperiali e chi invece possedeva un piccolo fazzoletto di terra all’angolo opposto della capitale. E tra questi c’era anche chi possedeva soltanto una capanna in cui riposava in attesa di essere convocato in battaglia.

Il primo censimento di samurai tenuto in Giappone alla fine del XIX secolo mise in evidenza che la casta dei samurai occupava una fetta pari al 10% della popolazione del tempo, che contava circa 25 milioni di anime.

1,2 milioni di questi guerrieri erano samurai di rango medio-alto, ai quali era consentito possedere una cavalcatura (e potevano permettersela economicamente); i rimanenti erano samurai di basso rango che spesso nemmeno potevano permettersi l’affitto di un cavallo da soma.

 

Samurai stranieri
William Adams
William Adams

Nell’arco della storia giapponese furono diversi gli stranieri che si meritarono il titolo di samurai. Yasuke, di origine africane, giunse in Giappone nel 1579 al servizio di un italiano, Alessandro Valignano; Oda Nobunaga, riconoscendone l’intelligenza e la forza fisica, lo ingaggiò donandogli una katana, una delle sue residenze e garantendogli un salario a vita.

Due anni dopo, Nobunaga e Yasuke trovarono la morte nell’ Incidente di Honno-ji, uno dei casi più celebri di tradimento da parte di un samurai.

La casta samurai ha concesso il titolo a un africano, un inglese (William Adams), un olandese (Jan Joosten van Lodensteijn) e centinaia di coreani prigionieri o collaborazionisti durante l’ Invasione della Corea del 1592–98.

 

Onore e compassione…?

La guerra è guerra, anche per i samurai. L’onore e la compassione hanno di solito ben poco spazio sul campo di battaglia, specialmente se il nemico ha ucciso i membri del tuo clan o è stato dipinto come l’incarnazione del male assoluto.

In alcuni casi tuttavia la crudeltà in guerra raggiunse livelli estremi o ingiustificabili, ma giustificabili in qualche modo dalle mentalità giapponese del tempo, come testimonia la storia di Date Masamune.

Masamune (5 settembre 1567 – 27 giugno 1636) era il primogenito del clan Date e il diretto successore al ruolo di capo-clan, ma dopo aver contratto il vaiolo e aver perso l’occhio destro fu giudicato dalla madre indegno di prendere il posto del padre. Dopo aver acquisito esperienza sui campi di battaglia (e aver accumulato qualche sconfitta), iniziò una campagna di conquista dei territori vicini a quelli del suo clan.

I feudi confinanti decisero quindi di rapire Terumune, padre di Masamune, senza tuttavia valutare con attenzione l’entità della vendetta che avrebbero scatenato. Terumune ordinò al figlio di sterminare tutti i clan rivali, anche se questo gli fosse costata la vita; il figlio eseguì alla lettera l’ordine, uccidendo ogni singolo rapitore per poi procedere a torturare sistematicamente ogni membro delle famiglie dei clan nemici, donne e bambini inclusi.

Samurai teste

Si tratta di un caso isolato di crudeltà? Non esattamente. Quando uno schieramento si aggiudicava la vittoria, gli antichi samurai erano soliti recidere le teste per ottenere ricompense, specialmente se le teste appartenevano a membri nemici di alto rango. Il problema del “conto delle teste” diventò in alcuni casi così grave che alcuni signori feudali vietarono ai propri eserciti di collezionare teste durante la battaglia.

Per non parlare del kiri-sute gomen, letteralmente “autorizzazione a tagliare e abbandonare il corpo della vittima“. In epoca feudale, ogni samurai aveva il diritto di uccidere sul posto chiunque avesse osato infangare il suo onore, a patto che la vittima appartenesse ad una classe sociale inferiore e che l’omicidio fosse commesso subito dopo l’offesa. Per equilibrare lo scontro, chi aveva lanciato l’offesa poteva difendersi usando soltanto la spada corta (wakizashi).

 

I samurai non erano così determinanti in battaglia

Ashigaru

Mai sentito parlare degli ashigaru (“piedi leggeri”)? Erano fanti inizialmente reclutati tra la popolazione civile che componevano le schiere di qualunque esercito giapponese. Il Giappone feudale aveva principalmente tre tipi di guerrieri: samurai, ji-samurai (samurai part-time) e ashigaru: i samurai di basso rango si univano generalmente agli ashigaru non perché fosse poco onorevole, ma perché la superiorità numerica, l’addestramento e il controllo delle schiere di fanti erano i veri elementi determinanti sul campo di battaglia.

Gli ashigaru erano armati di naginata, yumi e spade e talvolta potevano permettersi armature pesanti con innesti di ferro ed elmi kabuto. Gli ashigaru furono i primi soldati giapponesi ad utilizzare i Tanegashima, archibugi di origine portoghese introdotti in Giappone nel 1543 che rivoluzionarono completamente le battaglie campali tradizionali, ma che in seguito vennero relegati al ruolo di semplici armi da caccia dei samurai a causa la scarsità di fabbri in grado di manutenerli.

 

Il suicidio rituale era poco pratico o proibito

seppuku e junshi

Intorno alla metà del XVII° secolo iniziò a dilagare tra i samurai una pratica definita junshi: per dimostrare l’estrema lealtà al proprio signore feudale appena defunto, i samurai al suo servizio commettevano seppuku (suicidio rituale) in massa per seguire il daimyo nell’oltretomba.

Quando nel 1651 morì lo shogun Tokugawa Iemitsu, ad esempio, ben 13 dei suoi consiglieri più vicini si tolsero la vita cambiando totalmente l’equilibrio del potere nel Consiglio di corte. Lo stesso capitò alla morte di Date Masamune nel 1636: ben 15 samurai, tra i quali sei vassalli locali, decisero di commettere suicidio. Il risultato di questi e molti altri episodi di junshi costrinsero molti daimyo a rendere illegale la pratica per evitare che i feudi si indebolissero alla morte del signore feudale o che finissero nelle mani sbagliate.

Occorre considerare anche la praticità del suicidio rituale nella realtà di un Paese in piena guerra civile: se tutti i samurai sconfitti durante l’epoca Sengoku fossero stati costretti a suicidarsi, nessun clan o feudo avrebbe potuto sopportare anche soltanto una piccola rivolta contadina. Era molto più pratico e comodo ingaggiare i soldati nemici offrendo loro una paga migliore o semplicemente la loro vita in cambio dell’arruolamento.

 

10 Ways Samurai Were Nothing Like You Thought

BUSHIDO: WAY OF TOTAL BULLSHIT

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