materiali – VitAntica https://www.vitantica.net Vita antica, preindustriale e primitiva Thu, 01 Feb 2024 15:10:35 +0000 it-IT hourly 1 Le origini dell’ ambra secondo gli antichi https://www.vitantica.net/2018/06/04/origini-ambra-antichi/ https://www.vitantica.net/2018/06/04/origini-ambra-antichi/#respond Mon, 04 Jun 2018 02:00:10 +0000 https://www.vitantica.net/?p=1732 Conosciuta e apprezzata fin dal Neolitico per la sua bellezza e le sue particolari proprietà, l’ ambra è sostanzialmente resina vegetale fossile che nell’arco di millenni ha subito un processo di polimerizzazione resistendo al decadimento naturale che subiscono tutte le sostanze di origine organica.

Come si forma l’ambra secondo Plinio

Oggi conosciamo con un certo livello di dettaglio i processi che portano alla formazione dell’ ambra: nel volgere di qualche millennio, un deposito di resina protetto da sole, pioggia, microorganismi e sottoposto a forti pressioni si trasforma lentamente in un ammasso di molecole polimerizzate, diventando una delle pietre semi-preziose più apprezzate nella storia.

In passato tuttavia si è speculato molto sulla possibile origine dell’ ambra. La maggior parte dell’ambra dell’antichità veniva recuperata in prossimità del mare, facendo nascere l’errata concezione che gli oceani fossero coinvolti nella sua formazione.

Uno dei primi a discutere sulle origini dell’ ambra fu Teofrasto nel IV secolo a.C., ma la prima documentazione scritta sulle possibili origini di questo materiale risale a Plinio il Vecchio e alla sua opera Naturalis historia:

“Pitea dice che i Gutones [i Goti], una popolazione della Germania, abitano le rive di un estuario dell’ Oceano chiamato Mentonomone e il loro territorio si estende per una distanza di seimila stadi; a circa un giorno di navigazione si trova l’Isola di Abalus sulle cui spiagge l’ambra viene trasportata dalle onde primaverili, essendo una secrezione del mare in forma solida; gli abitanti [della regione] usano l’ambra anche come combustibile e la rivendono ai loro vicini, i Teutoni”

Prima e dopo Plinio il Vecchio altri pensatori del mondo antico si erano dedicati alla scoperta delle origini dell’ ambra. Nicia per esempio (470–413 a.C.), come cita lo stesso Plinio, sosteneva che:

“L’ ambra è un liquido prodotto dai raggi del sole; questi raggi, nel momento in cui il sole tramonta, colpiscono con forza inaudita la superficie della terra, lasciando un umore untuoso che viene trascinato via dalle maree dell’ Oceano e depositato sulle spiagge della Germania”.

Per quanto le ipotesi che l’ambra potesse essere una “secrezione del mare” o “raggi di sole solidificati e spiaggiati” possano sembrare assurde ai giorni nostri, Plinio basava il suo aneddoto sul fatto ormai noto che questo materiale fu storicamente estratto da località vicine al mare, come la Baia di Gdansk in Polonia e le regioni che si affacciano sul Mar Baltico.

Al tempo di Plinio esistevano da secoli rotte commerciali ben consolidate (la Via dell’ Ambra) che distribuivano l’ambra estratta dal Baltico per tutta Europa, dall’Ungheria al Sud Italia, ma la reale natura di questa resina fossile era ancora oggetto di mistero.

Amuleto d'ambra a forma di elmo di gladiatore scoperto in Inghilterra in un antico edificio romano.
Amuleto d’ambra a forma di elmo di gladiatore scoperto in Inghilterra in un antico edificio romano.
Le origini dell’ambra secondo Sofocle

Oltre ad essere diversa da tutte le altre pietre semi-preziose conosciute, l’ ambra si presenta sotto innumerevoli forme e colori, caratteristiche che contribuirono alla nascita di miti e leggende sulla sua nascita.

Secondo Sofocle, l’origine dell’ambra è legata al mito di Meleagro: colpevole di aver ucciso i propri zii, Meleagro viene a sua volta ucciso dalla madre Altea tramite una maledizione; le sorelle dell’eroe, sopraffatte dal dolore, piansero così a lungo da causare l’intervento degli dei, che le trasformarono in galline faraone (meleagridi).

Le lacrime delle meleagridi, che per un giorno all’anno tornavano sotto forma umana, si trasformavano in ambra non appena entravano in contatto con il terreno.

L’ambra e il mito di Fetonte

Per Diodoro Siculo, invece, l’ambra era connessa al mito di Fetonte, figlio di Helios, il dio del Sole che ogni giorno trasportava l’astro da Est a Ovest con un carro magico trainato da quattro cavalli che emettevano fuoco dalle narici.

Dopo aver convinto il padre di essere in grado di poter condurre il Carro del Sole, Fetonte perse velocemente il controllo dell’astro disseminando frammenti di stella infuocati su tutta la Terra e costringendo Zeus ad intervenire con una saetta per raddrizzare il carro.

Il fulmine del padre degli dei fece però cadere Fetonte nel fiume Eridanio, causandone la morte; le sorelle, distrutte dal dolore, si trasformarono in pioppi e ogni anno, nella stessa stagione, piangono lacrime dal tronco che si induriscono al contatto con la luce solare, diventando ambra.

Ambra e succinum

Anche se i nostri antenati non disponevano dei nostri moderni metodi d’indagine scientifica, non erano affatto stupidi o creduloni come si è spesso portati a credere.

E’ noto fin dall’antichità che l’ambra produce un odore pungente di resina di pino quando viene bruciata e già al tempo di Diodoro Siculo e Sofocle molti nutrivano il fondato sospetto che potesse trattarsi di una qualche forma di resina vegetale.

Plinio cita aneddoti antichi e contemporanei che sostenevano che l’ambra non fosse altro che resina di pino, chiamata con il nome latino succinum:

L’ambra deriva dal midollo che defluisce da particolari specie di pino alla stregua della gomma che deriva dai ciliegi o come la resina che trabocca dai pini a causa della copiosità della linfa. Essa si condensa per il freddo, per effetto di certe condizioni climatiche o per via del mare, quando l’impetuoso riflusso delle onde la trasporta lontano dalle isole, la deposita certamente lungo le spiagge in modo così rapido che essa pare rimanere sospesa piuttosto che andare a fondo.
Anche i nostri avi ritennero che fosse il succo di un albero e la chiamarono quindi “succino”. Il fatto che si tratti di una variante di pino, poi, lo prova l’odore che essa sprigiona in caso di strofinamento, ma anche che, se viene accesa, arde in modo analogo a un albero resinoso, emanando anche le stesse esalazioni.

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Tacitoe la raccolta dell’ambra

Due secoli dopo Plinio, l’ambra continuava a suscitare l’interesse dei curiosi di tutta Europa. Tacito fornisce questa descrizione della raccolta dell’ambra effettuata dai popoli germanici:

“Esplorano anche il mare e sono gli unici a raccogliere, nelle secche e sul litorale, l’ambra, che chiamano gleso. Barbari come sono, non si son posti il problema e non hanno accertato né la natura di questa sostanza né quale causa la produca; anzi è rimasta a lungo confusa tra gli altri rifiuti del mare, finché la nostra mania di lusso non le ha dato un nome. Essi non sanno che farsene: la raccolgono grezza, ce la danno così com’è, e ne ricevono, stupiti, il compenso. Tuttavia si può capire che sia una secrezione di alberi, perché spesso si scorgono in trasparenza animaletti terrestri e anche volatili che, invischiati in quel liquido, vi restano racchiusi al solidificarsi della sostanza. Come nelle remote regioni d’Oriente vi sono foreste e boschi ricchi di alberi che trasudano incensi e balsami, così sono portato a credere che nelle isole e nelle terre d’Occidente si trovino sostanze, le quali, secrete e liquefatte dalla forza del sole vicino, scivolano nel mare lì accanto, per essere rigettate dalla violenza delle tempeste sulle rive opposte. Se, per saggiare la composizione dell’ambra, la avvicini al fuoco, s’accende come una torcia e alimenta una fiamma grassa e odorosa; poi diventa vischiosa come la pece o la resina.”

Il successo dell’ambra

A cosa si deve il successo dell’ambra nell’antichità, oltre alle sue origini misteriose? L’ ambra è un materiale morbido, facile da lavorare e ideale per la creazione di perline o gioielli. Può essere tagliata con una sega di qualunque materiale osseo o litico, raschiata con una lima o perforata con un perforatore manuale primitivo.

Statuetta con Amore e una cagna gravida, simbolo di fedeltà coniugale e augurio di fecondità alla sposa, in ambra, di epoca romana. Foto di Giovanni Dall'Orto, 29 maggio 2015.
Statuetta con Amore e una cagna gravida, simbolo di fedeltà coniugale e augurio di fecondità alla sposa, in ambra, di epoca romana. Foto di Giovanni Dall’Orto, 29 maggio 2015.

Le culture dell’ Età del Bronzo si sono dimostrate abili nel lavorare materiali ben più duri, per cui l’ ambra non rappresentò una sfida ma un materiale comodo da manipolare e sufficientemente raro da poter essere impiegato per la realizzazione di oggetti preziosi o rituali. I gioielli d’ambra più antichi in nostro possesso risalgono a circa 13.000 anni fa, alla fine del Pleistocene.

In Egitto e in Grecia, l’ambra acquisì lo status di materiale magico e le sue apparenti proprietà curative e mistiche furono i motori che alimentarono per millenni le carovane che percorrevano la Via dell’Ambra.

L’ ambra era un materiale di prima scelta per la realizzazione di amuleti, statuette di divinità, incensi e profumi da impiegare per celebrazioni religiose, e utilizzata sotto forma di polvere per creare misture medicinali per la cura di malattie del cavo orale e infezioni di occhi e orecchie.

Anche le proprietà elettrostatiche dell’ambra erano note in antichità: nel mondo persiano era definita con la parola kahraba, che successivamente sarebbe diventato il termine per definire l’elettricità, e in Grecia questo materiale veniva chiamato elektron per la stessa ragione (il termine moderno “ambra” deriva dalla parola araba anbar con cui veniva definita l’ ambra grigia, di origine animale e dalle proprietà differenti).

L’ambra può infatti acquisire una carica elettrostatica quando sottoposta a frizione con materiali come legno o stoffa: le proprietà elettrostatiche dell’ambra furono documentate da Talete di Mileto e Teofrasto, i quali osservarono che era in grado di attrarre pagliuzze, piume e fili di tessuto dopo essere stata strofinata.

Legends and myths of amber
Amber in Antiquity
L’ambra nell’opera di Plinio il Vecchio

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Il vetro nell’ Antico Egitto https://www.vitantica.net/2018/05/29/vetro-antico-egitto/ https://www.vitantica.net/2018/05/29/vetro-antico-egitto/#respond Tue, 29 May 2018 02:00:05 +0000 https://www.vitantica.net/?p=1715 La lavorazione del vetro ebbe origine molto probabilmente in Egitto oltre 5.500 anni fa: le prime creazioni di vetro furono piccole perle decorative modellate a partire dalle scorie vetrificate che si generano come sottoprodotto dalla fusione di metalli come rame e argento.

Ma l’utilizzo di materiali vetrificati per realizzare oggetti semi-preziosi risale a tempi ancora più antichi: durante l’ Età della Pietra, vetri naturali come l’ ossidiana (roccia vetrificata per azione vulcanica) o il vetro del deserto libico (sabbia vetrificata a causa di un impatto meteoritico) erano materiali rari considerati particolarmente preziosi, importati da altre regioni del mondo conosciuto per essere impiegati come pietre decorative in monili o oggetti rituali.

Vetro: prezioso e segreto

Gli egizi furono i primi a produrre artificialmente il vetro. Durante la tarda Età del Bronzo la produzione del vetro subì un rapido progresso tecnologico testimoniato da artefatti come lingotti colorati o vasi di vetro decorati considerati particolarmente preziosi in tutto il Medio Oriente.

La richiesta sempre crescente di artefatti di vetro costrinse molti dei maggiori centri di produzione del Mediterraneo a rendere segrete le procedure di fusione necessarie alla creazione di vetro di qualità: mescolando gli ingredienti di base e determinati pigmenti seguendo formule custodite gelosamente dai vetrai, era possibile ottenere vetro di particolare lucentezza o dalla trasparenza straordinaria.

Per tutta l’ Età del Bronzo il vetro rimase una merce rara e preziosa, un materiale di lusso che potevano permettersi solo poche famiglie ricche che vivevano sul Mediterraneo.

Con l’inizio dell’ Età del Ferro, tuttavia, la produzione di vetro egizia subì una violenta battuta d’arresto, con una ripresa delle tecniche di produzione avvenuta soltanto durante la dinastia tolemaica (305 a.C. – 30 a.C.).

Perle blu cobalto probabilmente create in Antico Egitto scoperte in tombe danesi risalenti a 3.400 anni fa. A. MIKKELSEN, NATIONAL MUSEUM OF DENMARK
Perle blu cobalto probabilmente create in Antico Egitto scoperte in tombe danesi risalenti a 3.400 anni fa. A. MIKKELSEN, NATIONAL MUSEUM OF DENMARK
L’evoluzione della produzione del vetro

Il vetro inizialmente prodotto nell’ Antico Egitto era molto diverso da quello che conosciamo oggi: mancava della lucentezza del vetro moderno, aveva una scarsa trasparenza, ma poteva essere modellato facilmente e colorato in modo permanente, rendendolo un materiale dalla vita virtualmente illimitata al contrario di contenitori fabbricati con materiali più poveri e comuni come legno, zucche o sacche di pelle animale.

Con il trascorrere dei secoli e l’avanzamento delle tecniche di fusione e lavorazione, il vetro egizio divenne un materiale sempre più pregiato: dopo le innovazioni tecnologiche introdotte durante la XVIII dinastia (1543-1292 a.C.). il vetro prodotto dai vetrai egizi raggiunse un grado di trasparenza quasi moderno.

Il problema più grande che i vetrai antichi dovevano affrontare era quello di plasmare una massa incandescente di vetro in modo veloce ed efficiente: la silice pura (più comunemente veniva utilizzata sabbia del deserto) ha un punto di fusione di circa 1.700°C, temperatura che può essere abbassata a circa 1.100°C in presenza di materiali come cenere di fibre vegetali o natron, un sale naturale estratto principalmente dai laghi salati della valle di Wadi El Natrun.

Per stabilizzare la massa di vetro ottenuta dalla fusione e renderla più resistente e facilmente modellabile, gli Egizi aggiungevano polvere di calcare o piombo.

La trasparenza del lingotto e del prodotto finale dipendevano dalla quantità di bolle d’aria incluse nel vetro, bolle che potevano essere contenute tritando ripetutamente la mistura di vetro o attraverso l’aggiunta di additivi.

Ma i vetrai dell’ Antico Egitto sembravano più interessati al colore che alla trasparenza del vetro: il pigmento più comunemente impiegato per colorare il vetro era il “blu egiziano“, una mistura di silice, calcare e ossido di rame creata durante il III millennio a.C. e il primo pigmento sintetico prodotto nella regione.

Bottiglia in vetro raffigurante una tilapia, un pesce molto comune lungo il Nilo, risalente alla XVIII dinastia (British Museum)
Bottiglia in vetro raffigurante una tilapia, un pesce molto comune lungo il Nilo, risalente alla XVIII dinastia (British Museum)
Gli ingredienti per il vetro

La fusione degli ingredienti prevedeva diversi passaggi:

  • Tritatura degli ingredienti: la sabbia, la polvere di calcare e il natron venivano mescolati insieme e tritati fino ad ottenere una polvere sottile;
  • La mistura veniva quindi cotta per almeno 24 ore ad una temperatura di circa 800-900°C per amalgamare gli ingredienti e far emergere le impurità più grossolane che danneggerebbero il risultato finale;
  • Le impurità venivano rimosse e il materiale restante nuovamente tritato;
  • La polvere di vetro veniva nuovamente fusa a 1.100°C, versata in stampi per creare lingotti e, dopo essersi raffreddata, ulteriormente tritata e fusa per eliminare la maggior parte delle impurità rimanenti e ridurre la presenza di bolle d’aria.

Il lingotto di vetro ottenuto alla fine del procedimento poteva essere lavorato su una fiamma e plasmato a piacimento. Il vetro poteva tuttavia essere lavorato anche a freddo trattando il materiale come una pietra dura e fragile.

Dopo aver ottenuto un frammento delle dimensioni desiderate, questo poteva essere tagliato, molato o perforato in base alle necessità, ma il prodotto finale risultava estremamente fragile e soggetto a facili rotture.

La lavorazione a caldo del vetro

I metodi di lavorazione più comuni erano quelli a caldo:

  • Il primo metodo, il più comune per almeno 3.000 anni, prevedeva l’applicazione di una copertura sottile di vetro fuso attorno ad un nucleo cilindrico d’argilla innestato su un palo di legno. Riscaldando il vetro per renderlo più morbido, si faceva rotolare la forma su una superficie piana (come una pietra piatta) fino a rendere uniforme la superficie esterna. La superficie interna, invece, restava poco uniforme e rendeva spesso visibili anche dall’esterno eventuali malformazioni dello stampo a cilindro;
  • Il secondo metodo prevedeva invece una colata di vetro fuso all’interno di uno stampo. Questo metodo non venne utilizzato spesso per via delle problematiche che presenta: impossibilità di creare oggetti cavi (la soffiatura del vetro fu introdotta in Egitto solo intorno al I secolo d.C.) e gamma limitata di oggetti realizzabili tramite questa tecnica.

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Gli Egizi avevano a disposizione tutti i materiali necessari per la soffiatura del vetro: ingredienti di partenza, forni in grado di raggiungere adeguate temperature di fusione e tubi di ceramica adatti alla soffiatura.

Nonostante le disponibilità tecnologiche, la soffiatura del vetro fu introdotta in Egitto dai territori romani (molto probabilmente dalla Siria) soltanto nel I secolo a.C. e la produzione di massa di oggetti di vetro soffiato ebbe inizio in Egitto solo dopo l’anno zero.

Anche se la soffiatura del vetro fu un’invenzione siriana, l’Egitto contribuì a migliorare la qualità del vetro soffiato: intorno all’anno 100 d.C. i vetrai di Alessandria scoprirono che l’aggiunta di diossido di manganese, un composto generalmente utilizzato come pigmento nero, poteva creare una trasparenza tale da consentire la produzione di finestre traslucide.

Glass
History of glass

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