linguaggio – VitAntica https://www.vitantica.net Vita antica, preindustriale e primitiva Thu, 01 Feb 2024 15:10:35 +0000 it-IT hourly 1 Oroo’, il linguaggio della giungla malese https://www.vitantica.net/2020/07/06/oroo-linguaggio-giungla-malese/ https://www.vitantica.net/2020/07/06/oroo-linguaggio-giungla-malese/#respond Mon, 06 Jul 2020 00:10:11 +0000 http://www.vitantica.net/?p=4910 In Malesia vivono i Penan, indigeni nomadi che mantengono parzialmente uno stile di vita a diretto contatto con la foresta che li circonda. Anche se una parte dei Penan si è ormai convertita all’Islam ed è diventata stanziale, rimangono piccoli gruppi di cacciatori-raccoglitori (circa il 20% della popolazione totale) che seguono il principio del “molong“: vivere grazie dalla foresta e prendere dall’ecosistema solo lo stretto necessario.

Una peculiarità dei Penan è il linguaggio che utilizzano per scambiare messaggi all’interno della foresta. Il linguaggio Oroo’ nacque dalla necessità di comunicare con compagni di caccia e clan limitrofi senza essere fisicamente vicini, una sorta di “sms della giungla” usato da secoli e impiegato ancora oggi dai Penan durante le battute di caccia.

Il linguaggio della natura

In molte regioni del mondo le popolazioni che basano la propria sopravvivenza sulla caccia e sulla raccolta comunicano sfruttando gli elementi naturali: nell’arcipelago di Vanuatu, ad esempio, era comune l’impiego di disegni sulla sabbia per raccontare storie e per lasciare messaggi interpretabili da cacciatori e pescatori di passaggio.

I nativi americani usavano invece i noti segnali di fumo per scambiare informazioni su grandi distanze, evitando di affrontare lunghi e pericolosi viaggi al solo scopo di trasmettere un semplice messaggio. Sull’isola di la Gomera, infine, il linguaggio Silbo Gomero sfrutta fischi di diversa intensità e melodia per imitare il suono di quattro vocali e quattro consonanti, creando un vocabolario di combinazioni sonore composto da oltre 4.000 parole.

Lo scopo di questi “linguaggi alternativi” è molteplice: comunicare su lunghe distanza (il Silbo Gomero può essere udito fino a 4 chilometri di distanza), mantenere una lingua comune tra clan che parlano idiomi differenti, e trasmettere messaggi senza perturbare eccessivamente l’ecosistema, una capacità utile specialmente durante le battute di caccia.

Il linguaggio Oroo’ dei Penan è nato per le stesse ragioni; e proprio a causa del suo legame con uno stile di vita basato su caccia e raccolta, oggi rischia di sparire. I giovani Penan sono sempre meno attivi all’interno della foresta rispetto ai loro genitori e progenitori, e sempre meno interessati ad apprendere una lingua dei segni dall’utilità pratica pressoché nulla nel mondo moderno.

Lingua di foglie e rami

Oroo', il linguaggio della giungla malese

Il linguaggio Oroo’ si basa principalmente sulla realizzazione di piccoli messaggi visivi sfruttando foglie e rami. Gli adulti Penan, specialmente i più anziani, possono creare oltre 30 messaggi differenti piegando, rompendo e strappando foglie e rametti.

I messaggi trasmessi dalla lingua Oroo’ prevedono comunicazioni che notificano lo stato di una battuta di caccia, informazioni e istruzioni utili da lasciare ad altri individui di passaggio, e annunci di pubblica utilità.

Il segno chiamato Murut, ad esempio, contiene l’identità di chi lo ha composto e viene collocato in spazi pubblici come una sorta di annuncio. Ma altri segnali possono comunicare la direzione e la composizione del gruppo di caccia, la preda inseguita o uccisa, i rapporti di parentela tra lo scrittore e il lettore, la presenza di elementi come trappole pericolose o oggetti naturali tabù, oppure per comunicare cerimonie di nozze o funerarie.

Chi studia i Penan riconosce in loro una straordinaria capacità di navigazione nella giungla e di interpretazione dei segnali presenti nell’ecosistema. Alcuni messaggi lasciati durante le escursioni nella foresta possono raggiungere insospettabili livelli di complessità per un metodo di comunicazione così semplice.

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Una particolare configurazione di foglie e rametti può comunicare il seguente messaggio: “Il primo gruppo ha aspettato a lungo il secondo per parlare di una cosa urgente. Quindi il secondo gruppo dovrà ora viaggiare durante la notte per raggiungere il primo“.

Non esiste una grammatica per questo linguaggio. I ricercatori che si dedicano allo studio di questo idioma hanno tuttavia rilevato una sorta di complesso di regole, attualmente incompleto, che gestisce le variazioni di ogni messaggio.

Ad esempio, il segno di base chiamato “Batang Oroo” indica generalmente la direzione di marcia dell’autore, ma può essere combinato con foglie e altri rametti per assumere molteplici significati e creare un messaggio completo. In combinazione con il segno “Pelun” (un mucchietto di foglie) assume in significato di “attendi il nostro arrivo”; unito ad un bastoncino a “V” chiamato Tebai invita a seguire la direzione del rametto; in combinazione con due rametti incrociati a X significa invece “non andate in questa direzione”.

Il solo Batang Oroo, se inciso lungo il fusto in determinate posizioni, può comunicare la quantità di individui del gruppo di caccia, il loro stato di salute (affamati o assetati) o lo scopo e la durata della loro escursione.

Linguaggio incompleto in via di estinzione

Oroo', il linguaggio della giungla malese

Anche se il linguaggio Oroo’ prevede messaggi come annunci di morte differenziati addirittura per sesso ed età, non contempla tuttavia annunci di nascita ben codificati. Gli anziani Penan sono comunque in grado di comunicare la nascita di un bambino e il suo sesso combinando segni destinati ad altri scopi.

Pur non esistendo un simbolo ben codificato e unanimamente condiviso per questo tipo di comunicazione, i Penan che conoscono l’Oroo’ sembrano interpretare allo stesso modo i messaggi che osservano deducendone il significato in base alla logica dei segni che lo compongono.
Per comunicare la nascita di una bambina, ad esempio, si può utilizzare il segno “Atip lutan“, solitamente associato alla creazione del fuoco, attività riservata alle donne.

I linguisti hanno distinto quattro principali categorie di segni Oroo’:

  • Segni legati ad attività, come attesa, pesca, caccia, incontro;
  • Segni di stato: affamato, assetato, in buona salute, ferito;
  • Oggetti come case, alberi, punti di riferimento;
  • Creature viventi: persona, scimmia, cinghiale, amici.

Come ogni linguaggio, anche l’Oroo’ sopravvive solo se sostenuto dall’uso costante. Gli anziani Penan hanno più volte espresso la loro preoccupazione riguardo lo scarso interesse dimostrato dai giovani nell’apprendimento della lingua della foresta: in molte parti della giungla è oggi possibile comunicare tramite la tecnologia, dalle radio ai telefoni cellulari, tecnologia che rende di fatto inutile la conoscenza dell’ Oroo’.

Penan’s Oroo’ Short Message Signs (PO-SMS): Co-design of a Digital Jungle Sign Language Application

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I bambini Tsimane imparano a parlare senza un dialogo costante coi genitori https://www.vitantica.net/2018/06/07/bambini-tsimane-linguaggio/ https://www.vitantica.net/2018/06/07/bambini-tsimane-linguaggio/#respond Thu, 07 Jun 2018 02:00:43 +0000 https://www.vitantica.net/?p=1738 Nel mondo occidentale diamo ormai per scontato che la comunicazione costante e diretta con un bambino contribuisca al suo corretto sviluppo cognitivo, aiutandolo a rapportarsi più facilmente con la società in cui vive.

Parlare continuamente ad un bambino gioca sicuramente un ruolo importante nell’acquisizione di capacità linguistiche e nella gestione delle emozioni, ma i processi di apprendimento durante l’infanzia sono ancora oggetto di studio e di dibattito tra gli esperti.

Tsimane e antropologia

La maggior parte delle ricerche in questo campo si sono focalizzate su piccole comunità appartenenti a nazioni industrializzate, come gli Stati Uniti e la Francia, ma la ricerca su una particolare comunità di raccoglitori-orticoltori della Bolivia, gli Tsimane, sembra suggerire che il linguaggio svolga un ruolo ancora da chiarire nello sviluppo di un bambino.

Gli Tsimane sono una popolazione indigena boliviana che sopravvive grazie ad un’ agricoltura di sussistenza supportata da caccia e pesca.

Attualmente si contano circa 9000 individui sparsi in 80 villaggi privi di acqua corrente e illuminazione, ma almeno 30 di questi insediamenti, mediamente composti da 50-150 individui dello stesso clan familiare, dispongono di scuole in cui gli studenti imparano a leggere e a scrivere la lingua Tsimane e quella spagnola.

Gli Tsimane si sono rivelati una miniera d’oro per gli antropologi, contribuendo a cambiare il modo in cui consideriamo le malattie cardiache, l’identificazione dei colori, le dinamiche del sonno e la genetica dell’Alzheimer.

Uno studio pubblicato nel novembre 2017 sulla rivista specializzata Child Development ha analizzato la comunicazione verbale tra genitori e figli nella comunità Tsimane scoprendo che, in media, hanno tra loro un contatto verbale per circa un minuto ogni ora, un decimo della media americana o europea.

Scarsa comunicazione tra genitori e figli

Questa comunicazione così scarsa tra genitori e figli sembra non avere alcun effetto sullo sviluppo cognitivo dei bambini: anche se la padronanza del linguaggio ritarda di qualche mese rispetto ai bambini americani o europei, i figli Tsimane riescono a diventare adulti comunicativi e produttivi, imparando molto facilmente la lingua spagnola grazie anche ai sempre più numerosi contatti con le autorità boliviane che tentano di preservare il loro territorio.

I bambini Tsimane comunicano principalmente con le loro madri e dopo aver raggiunto l’età di tre anni apprendono la maggior parte del linguaggio da bambini più grandi e adolescenti, in particolar modo da fratelli o sorelle (gli Tsimane hanno una media di 5 fratelli).

Alcune ricerche precedenti avevano mostrato come i rapporti familiari tra gli Tsimane siano differenti da quelli osservabili nel mondo industrializzato: il gioco con i figli è limitato al minimo, se un figlio piange raramente viene consolato o coccolato e, una volta raggiunta l’età adatta, sono liberi di vagare per la foresta senza che i genitori prestino loro molte attenzioni.

I figli Tsimane tuttavia piangono meno, probabilmente perché in tenera età vivono costantemente in prossimità della madre, e tendono ad essere autonomi fin da adolescenti, quando diventano a tutti gli effetti membri funzionali della comunità.

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Apprendimento grazie a osservazione e ascolto

Il distacco dei genitori Tsimane verso i propri figli non è semplicemente un atteggiamento fine a se stesso. Gli Tsimane soffrono di un’ elevata mortalità infantile: il 13% dei neonati non sopravvive fino al dodicesimo mese di vita a causa di malattie e parassiti e non viene dato loro un nome fino al compimento del primo anno d’età.

“E’ facile immaginare che parlare attivamente e conversare con un infante come se fosse un altro membro della famiglia – o anche come modo di parlare a se stessi – possa non essere comune in un contesto di elevata mortalità infantile” sostiene Michael Gurven, direttore dello Tsimané Health and Life History Project.

I bambini Tsimane ascoltano le conversazioni tra adulti circa 7 minuti ogni ora, elemento che contribuirebbe al loro normale sviluppo linguistico.

“L’importanza di qualcosa di diretto varia in base alla cultura” afferma Laura Shneidman, che ha condotto una ricerca simile a questa sulla popolazione Maya messicana. “I bambini di altre culture in cui l’apprendimento con l’osservazione è prevalente non hanno questa concezione che si debba prestare attenzione soltanto a cose dirette verso di te”.

Secondo i dati raccolti da Shneidman, i bambini americani sono particolarmente bravi ad imparare quando ci si rivolge direttamente a loro, mentre i bambini Maya o appartenenti ad altre culture semi-primitive o non industrializzate tendono a non fare differenza tra apprendimento diretto o indiretto.

The Tsimane Health and Life History Project
Researchers study the universality of language acquisition in children
Parents in a Remote Amazon Village Barely Talk to Their Babies—and the Kids Are Fine

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Munduruku: una tribù che conta solo fino a 5 (e sbaglia) https://www.vitantica.net/2017/09/07/munduruku-una-tribu-che-conta-solo-fino-a-5-e-sbaglia/ https://www.vitantica.net/2017/09/07/munduruku-una-tribu-che-conta-solo-fino-a-5-e-sbaglia/#respond Thu, 07 Sep 2017 10:22:56 +0000 https://www.vitantica.net/?p=190 Sul pianeta esistono ancora circa 100 tribù che vivono in stato semi primitivo e che non hanno mai visto l’uomo civilizzato se non per qualche incontro isolato, avvenuto per puro caso o mantenendo una distanza di sicurezza che impediva ogni scambio culturale degno di tale nome.

Sebbene i Munduruku, una tribù di circa 7000 persone che vive nella foresta amazzonica brasiliana, abbiano avuto più di uno sporadico contatto con l’Occidente, hanno mantenuto buona parte del loro antico retaggio linguistico e culturale: il loro idioma non ha forme verbali, non ha tempi, non ha plurali e, cosa ancora più bizzarra, i Munduruku sanno contare solo fino a 5.

Una tribù ai margini della civiltà

Come si fa a vivere senza numeri? Al giorno d’oggi è del tutto impossibile, dato che la matematica ormai governa ogni aspetto della nostra quotidianità: non essere in grado di eseguire semplici calcoli aritmetici esclude ogni opportunità di interagire con le civiltà moderne. Ma i sistemi di numerazione coerenti e complessi sono un’invenzione relativamente recente del genere umano: prima di 10.000 anni, da quanto ne sappiamo, non esistevano.

Per quanto possa sembrare impossibile, esistono ancora luoghi in cui il calcolo del tempo e una numerazione complessa non hanno molto senso e rappresentano capacità poco produttive e di scarsa utilità nella vita di tutti i giorni. Questa è stata l’esperienza che ha avuto Pierre Pica, un linguista che ha speso 5 mesi con i Munduruku (chiamati anche Wuy Jugu) vivendo come loro, mangiando come loro, e apprendendo i segreti del loro linguaggio.

I Munduruku sono una tribù suddivisa in 22 villaggi che ospitano un totale di circa 13.700 individui. Vivono nel pieno della foresta amazzonica e, sebbene il loro ecosistema sia un luogo spesso inaccessibile anche ai più esperti esploratori, hanno avuto in passato contatti indiretti con il mondo industrializzato tramite missionari che hanno convertito alcuni villaggi al Cristianesimo.

Giovani guerrieri Munduruku
Giovani guerrieri Munduruku

La maggior parte dei villaggi dei Munduruku è concentrata lungo il fiume Cururu, all’interno di chiazze di savana che costellano il fitto della foresta pluviale brasiliana. In passato occupavano la valle del fiume Tapajos, un territorio chiamato Mundurukânia, ma si spostarono progressivamente ai margini della civiltà sotto la spinta dei missionari cristiani.

Pica non aveva alcuna intenzione di convertire i Munduruku: il suo scopo era quello di effettuare ricerche sulla loro cultura per afferrare i dettagli del loro linguaggio e sperimentare la loro percezione dei numeri e del tempo.

Raggiungere il territorio dei Munduruku si è rivelata un’impresa ostica: Pica ha dovuto attendere due settimane per poter essere trasportato tramite canoa nella regione in cui vivono. La foresta amazzonica di certo non pullula di autobus o treni e l’unico modo per raggiungere le zone più remote è quello di sfruttare i fiumi per viaggiare tra una regione e l’altra.

Un’esistenza senza numeri  e tempo

Ma se Pica era preparato a questo viaggio per nulla semplice, non era di certo pronto a vedere stravolta la sua vita durante i cinque mesi di permanenza tra i Munduruku: “Quando sono tornato dall’Amazzonia, ho perso il senso del tempo e dei numeri, ed anche il senso dello spazio”.

I Munduruku sono una tribù che non ha termini per definire lo scorrere del tempo, o per definire i numeri superiori a 5; la vita quotidiana ruota attorno alle loro esigenze primarie e l’aritmetica non fa parte di queste necessità. Pica si è dovuto adattare fin dal primo istante alla realtà della vita tribale: se piove, si rimane nella capanna; se c’è il sole, si esce e si va a caccia di tapiri e cinghiali, senza scadenze o orari di partenza e ritorno.

Lo scorrere del giorno è scandito solo dall’alba e dal tramonto e non c’è alcun bisogno di contare: se infatti si domanda ad un Munduruku quanti figli abbia, se sono più di cinque la risposta sarà: “Non lo so, è impossibile a dirsi”.

Munduruku

Questa risposta potrebbe sembrare inconcepibile per un occidentale, ma per i Munduruku il problema di contare la prole non si pone. Ritengono del tutto inutile contare i figli: questi crescono e imparano le nozioni fondamentali sotto la guida di tutti gli individui adulti della tribù e non ha nessun senso contarli o definire a chi appartengano.

I Munduruku pensano inoltre che imparare a contare oltre al 5 sia del tutto superfluo, se non addirittura dannoso: temono di dover essere costretti a sacrificare altre abilità più utili, come quella di orientarsi e di cacciare nella foresta, per imparare l’aritmetica elementare.

Il sistema di numerazione dei Munduruku

I Munduruku usano soltanto questi 5 numeri, anche se esistono altre parola per identificare quantità maggiori ma vengono utilizzate molto raramente:

  1. pug
  2. xep xep
  3. ebapug
  4. ebadipdip
  5. pug pogbi

Oltre il numero due, la precisione del conteggio sembra diminuire progressivamente indicando che, in realtà, non è che sappiano proprio contare, ma effettuano stime approssimative sulle quantità. Uno degli esperimenti di Pica si è svolto mostrando sul monitor di un computer una serie di punti, da 1 a 5, e valutando la percentuale di risposte corrette.

Se fino a “xep xep” (numero 2) le risposte sono state corrette al 100%, per i numeri successivi la precisione è andata calando drasticamente:

3 – ebapug: riconosciuto all’80%

4 – ebadipdip: riconosciuto al 70%

5 – pug pogbi: riconosciuto al 25%

Altra cosa curiosa da notare è che, per i numeri da 1 a 4, il numero delle sillabe che compongono le parole che definiscono questi numeri è pari al numero stesso: il struttura stessa della parola aiuta a ricordare la quantità.

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L’abilità dei Munduruku nel contare è estremamente limitata: sono in grado di fare una stima sulle quantità, per esempio affermando che un contenitore è più pieno o più vuoto di un altro, ma se si tratta di definire numericamente una quantità non riescono a superare il 5, e con gli errori che abbiamo visto sopra.

Non si tratta di un caso unico al mondo: anche gli aborigeni Warlpiri che vivono ad Alice Springs hanno solo tre concetti numerici: uno, due, e “molti”. Un altro esempio di scarsa capacità di conto sono gli Anindilyakwa, che hanno un metodo di conteggio ancora più bizzarro: hanno parole per “uno”, “due”, “molti” e “tre”, ma quest’ultimo assume talvolta il valore di quattro.

Cognition and arithmetic capability : what the Mundurucus Indians can teach us

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