Inca – VitAntica https://www.vitantica.net Vita antica, preindustriale e primitiva Thu, 01 Feb 2024 15:10:35 +0000 it-IT hourly 1 Trapanazione del cranio: il successo degli Inca https://www.vitantica.net/2018/06/09/trapanazione-del-cranio-inca/ https://www.vitantica.net/2018/06/09/trapanazione-del-cranio-inca/#respond Sat, 09 Jun 2018 14:30:29 +0000 https://www.vitantica.net/?p=1763 La trapanazione del cranio è una delle pratiche chirurgiche più antiche: la testimonianza materiale più remota di questa pratica appartiene ad un cimitero francese del 6.500 a.C. che ospitava 40 crani perforati in modo metodico.

Molti di questi crani mostrano evidenti segni di guarigione, dimostrando che diversi pazienti riuscirono a sopravvivere alla perforazione in un tempo in cui non esistevano veri e propri anestetici e le pratiche igieniche erano tutt’altro che moderne.

Esperti nelle trapanazioni craniche

Alcune popolazione precolombiane, note anche per le deformazioni craniche rituali, si dimostrarono abili chirurghi ed esperte conoscitrici della scatola cranica. Il popolo Inca, per esempio, praticò per secoli la trapanazione del cranio per le ragioni più disparate, come alleviare i dolori causati da traumi cranici, curare malattie mentali o addirittura espellere demoni insediati nel cervello del paziente.

L’elemento sorprendente è che gli Inca avevano un enorme tasso di successo in questo genere di operazioni, specialmente nel periodo tra l’ XI e il XV secolo: secondo David S. Kushner, autore della ricerca “Trepanation Procedures/Outcomes: Comparison of Prehistoric Peru with Other Ancient, Medieval, and American Civil War Cranial Surgery” pubblicata sulla rivista World Neurosurgery, i pazienti dell’impero sudamericano sottoposti a trapanazione avevano il doppio delle possibilità di sopravvivere all’intervento rispetto ai soldati della guerra di secessione americana, combattuta tra il 1861 e il 1865.

Questo individuo vissuto in Perù tra il 400 e il 200 a.C. ha subito una frattura cranica (freccia bianca) trattata probabilmente con una trapanazione, morendo circa due settimane dopo l'intervento.
Questo individuo vissuto in Perù tra il 400 e il 200 a.C. ha subito una frattura cranica (freccia bianca) trattata probabilmente con una trapanazione, morendo circa due settimane dopo l’intervento. D. KUSHNER ET AL., WORLD NEUROSURGERY 114, 245 (2018).

“Ci sono ancora molte incognite sulla procedura e sugli individui su cui veniva praticata la trapanazione, ma i risultati ottenuti durante la guerra civile americana erano miseri rispetto a quelli riscontrati durante il periodo Inca” spiega Kushner.

“Sotto gli Inca, la mortalità era compresa tra il 17% e il 25%, mentre durante la guerra di secessione si attestava tra il 46% e il 56%. E’ un’enorme differenza. La domanda è questa: come facevano gli antichi chirurghi peruviani ad ottenere risultati che superano abbondantemente quelli dei chirurghi della guerra di secessione?”.

Una lunga storia di trapanazione del cranio

Anche se i metodi di trapanazione peruviani non sono noti, gli Inca ebbero secoli per perfezionarli. Le prime testimonianze materiali di trapanazioni craniche in Perù sono oltre 800 teschi risalenti al 400 a.C., un numero superiore alla somma di tutti i reperti analoghi scoperti nel resto del mondo.

Gli Inca appresero con l’esperienza le tecniche più appropriate per praticare trapanazioni craniche a regola d’arte: impararono ad esempio a non perforare la membrana protettiva che riveste il cervello e a medicare correttamente le ferite.

Nei primi secoli di trapanazioni craniche la probabilità di non sopravvivere all’intervento sembra essere stata mediamente superiore a quella registrata durante la guerra civile americana, con una mortalità pari al 50%.

Ma a partire dall’anno 1000 ci fu un salto di qualità nella chirurgia cranica peruviana, un miglioramento che aumentò drammaticamente la sopravvivenza fino ad un tasso del 75-83%.

Serie di crani di pazienti sottoposti a trapanazione in epoca precolombiana. Museum of Anthropology, Archaeology and History, Lima
Serie di crani di pazienti sottoposti a trapanazione in epoca precolombiana. Museum of Anthropology, Archaeology and History, Lima

“Nel corso del tempo hanno imparato quali tecniche fossero le migliori e con meno rischi di perforare la dura madre [la membrana più esterna che avvolge l’encefalo]” sostiene Kushner. “Sembra che avessero capito l’anatomia del cranio ed evitassero con cura le aree che avrebbero causato grossi sanguinamenti.

Realizzarono anche che le trapanazioni più invasive avevano meno probabilità di ottenere successi rispetto a quelle più localizzate e ristrette. Le prove fisiche dimostrano che questi antichi chirurghi perfezionarono la procedura nel corso del tempo”.

Igiene e anestesia

Escludendo l’efficacia delle tecniche di trapanazione del cranio, un elemento di distinzione tra le trapanazioni craniche peruviane e quelle nordamericane durante guerra civile fu probabilmente l’ igiene.

E’ ormai noto che durante la guerra di secessione americana le condizione igieniche erano pessime: per ogni soldato morto in battaglia almeno due morivano per malattie contratte principalmente a causa delle pessime condizioni sanitarie in cui vivevano.

Tutti i feriti, anche lievi, sviluppavano infezioni per via della continua esposizione a germi e virus che proliferano in condizioni di scarsa igiene, condizioni tipiche di un accampamento pieno di sangue e liquami.

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I medici della guerra civile americana, insufficientemente impreparati ad affrontare operazioni chirurgiche e fondamentalmente ignoranti per quanto riguardava l’igiene e le pratiche di sanitizzazione, utilizzavano spesso strumenti non sterilizzati o le dita per sondare le ferite craniche profonde o per spezzare i coaguli che impedivano di alleviare la pressione del sangue sul cervello.

“Se c’era un’apertura nel cranio infilavano un dito nella ferita e sondavano l’interno, cercando coaguli o frammenti d’osso” dice Kushner. “Non sappiamo come gli antichi peruviani prevenissero le infezioni, ma sembra che in qualche modo lo facessero. Non sappiamo neppure cosa utilizzassero come anestesia, ma dato che ci sono così tante trapanazioni del cranio devono aver utilizzato qualche sostanza, probabilmente foglie di coca. Forse si tratta d’altro, forse una bevanda fermentata. Non ci sono testimonianze scritte, semplicemente non sappiamo come facessero”.

Trepanation Procedures/Outcomes: Comparison of Prehistoric Peru with Other Ancient, Medieval, and American Civil War Cranial Surgery
Holes in the head

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Miti sull’esplorazione e la conquista dell’ America https://www.vitantica.net/2018/03/31/miti-esplorazione-conquista-america/ https://www.vitantica.net/2018/03/31/miti-esplorazione-conquista-america/#respond Sat, 31 Mar 2018 02:00:49 +0000 https://www.vitantica.net/?p=1538 Colombo inaugurò l’epoca delle grandi scoperte e delle grandi conquiste americane. Spagna, Portogallo e altre potenze europee iniziarono a spingersi nel Nuovo Mondo facendo leva sulla loro superiorità tecnologica e strategica, conquistando interi regni con manipoli di soldati e convertendo milioni di indigeni che, prima del contatto con i conquistatori del Vecchio Mondo, vivevano in armonia con la natura e in culture semi-primitive. Questo è generalmente il quadro dipinto per l’ epoca delle grandi esplorazioni americane, ma quanto c’è di vero in tutto questo?

 

Le Americhe furono conquistate grazie alla superiorità tecnologica degli Europei?

L’ Europa ha un’antichissima e raffinata tradizione bellica che potrebbe far pensare ad una sua “superiorità militare assoluta” durante il periodo delle grandi esplorazioni. Per alcuni aspetti non è un’affermazione molto distante dalla realtà, ma è un errore supporre che nel resto del mondo si combattesse senza riguardo per la strategia o la tecnologia disponibile.

Molti popoli nativi americani non conoscevano l’uso dei metalli e leghe superiori, come bronzo, ferro e acciaio, ma questo non significa che le loro armi fossero poco raffinate o efficaci. Le cronache del tempo riportano numerosissimi episodi in cui l’invasore europeo fu ferocemente respinto verso l’oceano con armi di legno o pietra e l’uso di tattiche di guerriglia in grado di rendere controproducente la superiorità tecnologica dei conquistatori.

Uno scenario molto comune era il seguente: avvolti da protezioni metalliche come pettorali o elmi e appesantiti dalla necessità di trasportare provviste, utensili e armi in terra sconosciuta e ostile, i conquistatori europei non potevano muoversi agilmente in territori paludosi o nel fitto della foresta, dando modo ai nativi di compiere manovre veloci e furtive che in breve tempo decimavano gli invasori.

Gli indigeni furono anche molto veloci ad imparare i punti deboli del nemico e ad adottare alcune delle sue armi: un esempio è l’introduzione del cavallo in Nord America, che contribuì ad un cambiamento radicale nelle tecniche di guerriglia dei nativi, fino ad allora limitati negli spostamenti dall’assenza totale di mammiferi cavalcabili.

 

Spagnoli, Portoghesi e Inglesi decimarono la popolazione nativa americana?

Miti sull'esplorazione e la conquista dell' America

Di certo i conquistatori europei non contribuirono alla crescita demografica dei nativi americani durante l’epoca delle grandi esplorazioni. Lo sterminio di interi villaggi non era affatto raro, ma la colpa della scomparsa di intere civiltà non è attribuibile alla sola bellicosità degli invasori europei.

Le malattie furono le vere protagoniste della sparizione dei popoli che da secoli vivevano e prosperavano nelle Americhe, alcune importate dal Vecchio Continente mentre altre già esistenti e attive prima del viaggio di Colombo. Con l’arrivo dei primo stranieri sul suolo americano, diverse epidemie colpirono violentemente la popolazione indigena uccidendo milioni di persone, raggiungendo in alcune regioni una mortalità superiore al 90%.

Tra le malattie più letali si registrano il vaiolo, il tifo, il morbillo, l’influenza, la peste bubbonica, la malaria e la pertosse, malattie ormai croniche in Eurasia al momento della “scoperta” dell’America; i popoli del Vecchio Continente e dell’Asia avevano ormai sviluppato una sorta di resistenza ad alcune di queste malattie grazie alla condivisione degli spazi vitali con i grandi mammiferi domestici (vacche, capre, maiali, ecc…), animali del tutto inesistenti nelle Americhe prima dello sbarco dei primi coloni.

In aggiunta alle “malattie d’importazione”, i cambiamenti climatici in atto già dal XIV secolo provocarono la ricomparsa, in forme particolarmente virulente, di agenti patogeni già esistenti nel Nuovo Mondo, come la sequenza di pestilenze cocoliztli che decimò gli Aztechi nel XVI secolo.

 

Tenochtitlan, la capitale azteca, fu conquistata da una manciata di conquistadores spagnoli alla guida di Cortés?

Anche se è vero che Tenochtitlan cadde dopo 10 settimane di assedio da parte dell’esercito di Cortés, la fase finale della città non corrisponde al primo incontro tra gli spagnoli e l’impero azteco: il primo incontro tra Cortés e gli Aztechi non fu affatto trionfale, e nemmeno un assedio.

Il mito dice che quando Hernán Cortés arrivò per la prima volta a Tenochtitlan riuscì a conquistare una delle città più popolate del mondo con un centinaio di uomini, la superiorità militare e tecnologica spagnola e facendo leva sulla superstizione religiosa dei Mexica: gli abitanti della città scambiarono addirittura gli uomini a cavallo per centauri, adorandoli come creature soprannaturali, e l’imperatore Montezuma II pensò che Cortés fosse l’incarnazione (o un discendente) del dio Quetzalcoatl.

La documentazione storica dice invece che la vicenda si sviluppò diversamente: quando Montezuma II decise finalmente di incontrare Cortés dopo numerosi rifiuti, lo spagnolo si diresse verso Tenochtitlan con 600 soldati, 15 cavalieri, 15 cannoni e quasi un migliaio di portantini e guerrieri indigeni arruolati dalle parti di Veracruz. Durante il percorso verso Tenochtitlan Cortés riuscì a stipulare alleanze con i Totonac, i Nahuas e i Tlaxcalan arruolando almeno altri 3.000-4.000 combattenti.

L’ 8 novembre 1519 Cortés entrò pacificamente nella capitale azteca con tutto il suo esercito e incontrò l’imperatore Montezuma II (che molto probabilmente temeva che lo spagnolo fosse un ambasciatore di un regnante più potente, e non l’incarnazione del dio Quetzalcoatl), ricevendo regali d’oro che non fecero altro che eccitare le truppe spagnole (e i loro alleati nativi) frementi nell’ attesa di saccheggiare ogni prezioso in città.

Hernán Cortés e il suo esercito non conquistarono la città, ma furono accolti pacificamente con un misto di diffidenza e riverenza da parte degli abitanti locali. Ciò che accadde dopo può essere definito, più che un assedio, una barricata destinata a fallire e una delle notti più disastrose per la Spagna del XVI secolo (la “Noche Triste“): gli Aztechi, infuriati per il massacro del Templo Mayor, assediarono Cortés rinchiuso nel palazzo reale costringendolo alla fuga durante la notte.

La fuga andò male: i numeri relativi alle vittime cambiano in base alle fonti, ma qualche centinaio di spagnoli e qualche migliaio di nativi alleati morirono sotto i colpi di lance, propulsorie mazze degli Aztechi. Nessun soldato uscì illeso dalla battaglia.

Quando Cortés ebbe una nuova occasione per cingere d’assedio Tenochtitlan lo fece in grande stile: il 26 maggio del 1521 si presentò di fronte alla città con 86 cavalieri, 700 fanti, 118 tra archibugieri e balestrieri, 16 cannoni e ben 50.000 nativi alleati, contro un esercito di 75-100.000 guerrieri aztechi armati di mazze, lance e archi. Le perdite furono gravissime per entrambe le parti: 20.000 nativi e 400-800 soldati da parte di Cortés e 200.000 tra guerrieri e civili per gli Aztechi.

 

I nativi americani vivevano in armonia con la natura prima dell’arrivo degli Europei?
Cahokia Monks Mound
Rappresentazione di Cahokia, una delle città precolombiane più grandi

Generalizzare la popolazione di un intero continente non può fare altro che creare errori di valutazione e miti che durano per secoli, e i nativi delle Americhe non fanno eccezione. E’ vero che le popolazioni indigene spesso vivevano a contatto più stretto con la natura rispetto agli Europei, ormai abituati ad una vita cittadina o di campagna; è anche vero tuttavia che all’arrivo dei primi esploratori da Oriente i nativi vivevano in culture molto elaborate e spesso organizzate in agglomerati urbani molto popolati e non così diversi dalle città del Vecchio Continente.

La vita delle popolazioni che vivevano negli attuali Stati Uniti era regolata da ritmi naturali alterati dall’attività umana: zucche e mais venivano regolarmente coltivati negli stessi campi, campi ottenuti tramite la tecnica del “taglia e brucia” che fu fondamentale per la creazione delle Grandi Praterie e di foreste facilmente attraversabili e percorse da sentieri battuti.

In Centro America la situazione non era molto differente, anzi: nel Messico dei Maya, ricoperto in buona parte da foreste tropicali, era estremamente difficile vivere in isolamento totale da un insediamento umano. La maggior parte della popolazione viveva in villaggi e cittadine distanti gli uni dalle altre non più di 10 chilometri e animati da un ricco commercio di cibo, preziosi e materie prime.

 

Colombo scoprì per primo l’America nel 1492 perchè solo nel XV secolo gli Europei iniziarono ad essere curiosi sul mondo?

Primo: Colombò non fu il primo a mettere piede sul continente americano e per lungo tempo non si rese nemmeno conto di aver scoperto un nuovo continente; tecnicamente, non sbarcò nemmeno nel continente, essendo giunto nelle Bahamas durante il suo primo viaggio.

Secondo: il primo europeo a sbarcare su suolo americano fu molto probabilmente norreno. Vinland, il nome norreno per il Nord America, fu scoperta da Leif Erikson, che sbarcò nell’area dell’attuale Boston intorno alla fine del X secolo. Vinland viene descritta in diverse saghe ben 500 anni prima che Colombo decidesse di imbarcarsi nel suo viaggio e ospitò anche un insediamento permanente di 100-300 persone per almeno due anni, fino a quando i nativi decisero di averne abbastanza dei norreni e dei loro saccheggi.

Non bisogna inoltre dimenticare che ben prima di Colombo i Portoghesi avevano iniziato da almeno un secolo ad esplorare i confini del mondo conosciuto, navigando ad esempio lungo le coste inesplorate dell’Africa; lo stesso avevano fatto i Cinesi, raggiungendo il Madagascar tra il 1431 e il 1433 con un viaggio così avventuroso da far impallidire le 10 settimane di viaggio di Colombo. L’epoca delle grandi esplorazioni oceaniche sarebbe iniziata con o senza Colombo e il navigatore non fu di certo il primo a sbarcare nelle Americhe.

 

Colombo voleva dimostrare che la Terra era sferica?
Mappa della Terra piatta creata da Orlando Ferguson nel 1893

Questo è un mito che persiste con forza ancora oggi, ma non ha nulla di reale. Come spiegato in questo post sulla teoria (non scientifica) della Terra piatta, nel XV secolo era ormai un fatto ampiamente accettato e dimostrato che il pianeta fosse una sorta di sfera.

Le principali discussioni cosmologiche riguardavano invece suo il posto nell’universo: si trattava di una specie di mela che galleggiava nell’oceano? Era semplicemente sferica e qualche forza impediva alle acque dei mari di cadere verso il basso?

I dotti della corte spagnola che esaminarono i dettagli sul viaggio verso Occidente non lo giudicarono impossibile perché ritenevano che la Terra fosse piatta, ma per un errore matematico ben evidente commesso da Colombo.

Il navigatore intendeva raggiungere il Cipango (Giappone) navigando verso Ovest per circa 68° di longitudine, ma aveva male interpretato la lunghezza di un miglio marino arabo da quello italiano, riducendo enormemente la circonferenza reale del pianeta: secondo Colombo, il Giappone distava dalla Spagna solo 5.000 chilometri, quando in realtà si trattava di ben 20.000 chilometri.

Gli esperti della corte spagnola, pur non sapendo esattamente quanto fosse distante il Giappone, si resero immediatamente conto dell’errore di calcolo di Colombo. Sapevano per certo che navigando ad Ovest prima o poi si sarebbe giunti in Giappone, ma non credevano che una caravella potesse percorrere quell’enorme distanza senza conseguenze fatali per l’equipaggio: una nave così piccola non avrebbe avuto a disposizione sufficienti viveri per attraversare quell’enorme distesa di mare.

Fu esattamente quello che si verificò durante il primo viaggio di Colombo: dopo aver percorso l’Atlantico, i viveri erano quasi esauriti e l’equipaggio era sulla via dell’ammutinamento; Colombo si salvò grazie all’immenso colpo di fortuna di scoprire una terra sconosciuta nel punto esatto in cui aveva calcolato di trovare le coste del Giappone.

Myths about the colonization of Spanish America
10 Myths About Famous Explorers
American History Myths Debunked: Columbus Discovered America

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Mais inca e escrementi di lama https://www.vitantica.net/2018/03/29/mais-inca-escrementi-lama/ https://www.vitantica.net/2018/03/29/mais-inca-escrementi-lama/#respond Thu, 29 Mar 2018 02:00:03 +0000 https://www.vitantica.net/?p=1500 Come fecero gli Inca, 700 anni prima di Cristo, a coltivare mais in un clima rigido e difficile come quello andino senza poter contare sui grandi mammiferi che alimentarono la rivoluzione agricola nel Vecchio Mondo? Secondo Alex Chepstow-Lusty, paleoecologo del French Institute for Andean Studies di Lima, il segreto del mais inca sono gli escrementi di lama.

Mais sulle Ande

Il mais, coltura chiave nell’evoluzione sociale dell’essere umano nel Centro e Sud America, contribuì al passaggio dall’uomo cacciatore-raccoglitore a quello agricoltore-allevatore, segnando un momento fondamentale nella storia del Nuovo Mondo e in seguito rivoluzionando l’alimentazione del Vecchio dopo lo “Scambio colombiano”.

Ma come sia stato possibile coltivare coltivare mais a oltre 3.000 metri di quota è sempre rimasto un mistero fino alla pubblicazione della ricerca di Chepstow-Lusty sulla rivista scientifica Antiquity.

“Il passaggio al mais si verificò 2.700 anni fa e fu possibile grazie ad una grande disponibilità di escrementi di lama. I fertilizzanti organici hanno consentito di coltivare il granoturco ad elevate altitudini, permettendo agli Inca di insediarsi stabilmente e di fiorire come civiltà” spiega il ricercatore.

Dato che non esistono testimonianze scritte dell’antico linguaggio Inca (questa civiltà non conosceva la scrittura), i dettagli sulle loro abitudini e sulle loro tecnologie sono pochi e spesso confusi.

Lago Marcacocha
Lago Marcacocha

Ma Chepstow-Lusty è riuscito a risalire al momento in cui il mais fu introdotto nella cultura Inca analizzando i sedimenti prelevati dal fondo del Marcacocha, un lago nella regione peruviana di Cuzco che si trova a circa 4.500 metri sul livello del mare.

Come gli anelli di un albero sono in grado di dirci con una certa approssimazione l’età di una pianta e i cambiamenti climatici che ha attraversato, ogni strato di sedimenti ci racconta un pezzo del passato andino: il carotaggio del fondo del lago, un cilindro lungo ben 6,3 metri, contiene tracce di ciò che accadde nella regione fino a 4.200 anni fa.

Un alimento migliore di patate e quinoa

Chepstow-Lusty ha scoperto che i primi pollini di mais sono apparsi sul fondo del lago circa 700 anni prima di Cristo; questo dimostrerebbe che la coltivazione del mais si spinse fino ad oltre 3.000 metri di altezza sul livello del mare, zona generalmente non molto adatta all’agricoltura

Come per moltissime civiltà del passato, anche per gli Inca il mais rappresentò un punto di svolta. Fino all’introduzione di questo cereale il cibo più comune erano patate e quinoa, una pianta ricca di proteine venerata dagli Inca e capace di crescere ad oltre 4.000 metri; ma il mais è più facile da conservare e da trasportare delle patate o della quinoa, oltre a fornire un apporto calorico più alto se paragonato a quello delle altre due piante.

“Questo fa la differenza quando non esistono strade e veicoli con ruote, o quando ogni cosa deve essere trasportata sul dorso di un lama” spiega Graham Thiele, esperto dell’agricoltura andina all’ International Potato Center di Lima.

“In aggiunta” continua Thiele, “il mais era più facile da accumulare in magazzini controllati dall’aristocrazia e avrebbe supportato il prelievo delle tasse da parte delle elite emergenti Inca e Wari. Per queste ragioni, il mais supera le patate per trasportabilità, immagazzinamento e convenienza nel pagamento di un tributo“.

mais inca e escrementi di lama

Acari ed escrementi di lama

I sedimenti del lago hanno anche mostrato la presenza di acari (Cryptostigmata o Oribatida) che si nutrono di escrementi animali: il periodo di maggior abbondanza di questi animali corrisponde con la prima apparizione del mais in Perù, suggerendo che la coltivazione di questo cereale si sia verificata in corrispondenza della comparsa di branchi di grandi mammiferi.

Ma non esistendo al tempo nelle Americhe nessuno dei grandi mammiferi che caratterizzarono la rivoluzione agricola in altri continenti (come bovini e suini), gli escrementi di erbivori più diffusi all’epoca erano quelli di lama.

Questo dimostrerebbe che il mais abbia raggiunto l’inospitale ecosistema delle Ande con l’aiuto degli escrementi di lama. “Generalmente i lama pascolavano vicino al lago in cui defecavano. Le loro feci diventavano cibo per gli acari, ma fornivano anche fertilizzante che si poteva raccogliere facilmente ed utilizzare per far crescere il mais”.

Ad aggiungersi agli escrementi di lama, anche il clima avrebbe giocato un ruolo importante nel favorire l’introduzione del mais. “I campioni estratti dal Marcacocha mostrano una serie di periodi di siccità associati con un aumento delle temperature, dati che coincidono con profondi cambiamenti sociali verificatisi ogni 500 anni a partire dal 700 a.C.” spiega Chepstow-Lusty.

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Llama muck and maize revolution drove Inca success

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