Lisa B – VitAntica https://www.vitantica.net Vita antica, preindustriale e primitiva Thu, 01 Feb 2024 15:10:35 +0000 it-IT hourly 1 Il cavallo: storia, evoluzione e selezione fino al XIX secolo – Parte 2 https://www.vitantica.net/2019/02/13/cavallo-storia-evoluzione-selezione-parte2/ https://www.vitantica.net/2019/02/13/cavallo-storia-evoluzione-selezione-parte2/#comments Wed, 13 Feb 2019 00:10:57 +0000 https://www.vitantica.net/?p=3620 Un doveroso ringraziamento a Lisa B. per avermi fornito questo contenuto in due parti, e ad Erika A. per la splendida foto del cavallo usata come immagine in evidenza per il post.

Leggi la prima parte

Il cavallo di Cortes e dei Comanches: il Paint Horse

Ormai abbiamo la certezza che tra i primi cavalli sbarcati in Messico con la spedizione di Hernán Cortés vi fosse certamente un cavallo dal manto pezzato. Inevitabilmente i cavalli trasportati nel Nuovo Mondo sfuggirono al controllo dell’uomo tornando ad uno stato selvaggio; riproducendosi tra di loro, il manto pezzato venne trasmesso ai nuovi puledri.

I Comanche (molto probabilmente i primi tra i nativi americani ad introdurre il cavallo nella loro cultura) apprezzarono particolarmente questi cavalli dal mantello così particolare: erano cavalli scattanti e perfettamente adatti a galoppare tra le grandi pianure.

E ‘altresì vero che saranno i primi cowboy ad attuare una vera e propria selezione di questa razza (poiché inizialmente questi cavalli avevano in comune solamente il colore del loro mantello) e a dar loro il nome di “Paint”, termine che deriva dalla parola spagnola “pintado”.

Il pony Welsh, a rischio di estinzione per volere di un sovrano
Il cavallo: storia, evoluzione e selezione. Pony Welsh
Pony Welsh

Questi pony sono una razza originaria del Galles (probabilmente sono discendenti dei pony celtici) già allevata ai tempi degli antichi romani ed apprezzata per la grande energia ed intelligenza.

Questa razza rischiò seriamente l’estinzione nel Cinquecento, quando Enrico VIII, avendo notato un decadimento della qualità dei cavalli britannici, impose di selezionare solamente cavalli adatti agli usi in guerra e decretando che qualsiasi cavallo di altezza inferiore ai 132 cm per le fattrici e i 152 cm per gli stalloni venisse soppresso.

Fortunatamente, qualche esemplare sfuggì al massacro ordinato dal sovrano, e fu solo così che l’estinzione di questa razza venne scongiurata; nel Settecento i pony Welsh tornarono nuovamente a diffondersi poiché, come prima dell’imposizione del sovrano inglese, questi animali erano un validissimo aiuto per gli agricoltori e allevatori inglesi.

Il cavallo Lipizzano, il giovane canuto

La caratteristica più straordinaria del cavallo Lipizzano è la sua estrema intelligenza, che lo porta ad avere una notevole capacità di apprendimento; eppure, quando si parla di questo cavallo la prima cosa che colpisce è il precoce incanutimento del suo mantello.

I puledri nascono con un mantello scuro (baio, morello o grigio) ma nel giro di 7-10 anni il loro mantello si imbianca tendendo sempre di più al colore grigio-bianco.

Il nome Lipizzano dato a questa elegante razza deriva dalla città di Lipizza, città un tempo italiana ma oggi in territorio sloveno; questa località venne scelta nel 1580 dall’Arciduca Carlo di Stiria per costruirvi un allevamento di cavalli che potesse rifornire la corte viennese di animali da parata e per il traino delle loro carrozze; purtroppo la scelta di questo territorio, assai conteso nel corso della storia, ha provocato numerosi spostamenti di questo allevamento in altre località, spostamenti che però hanno garantito la continuità della razza.

Il cavallo: storia, evoluzione e selezione. Lipizzano
Lipizzano

Ancora ad oggi questa razza è il motivo di orgoglio della “Scuola di Equitazione Spagnola” di Vienna, scuola fondata da Carlo VI nel 1729 e chiamata “spagnola” a sottolineare l’alta componente di sangue andaluso dal quale questa razza ha attinto. Gli esercizi che vengono svolti e ripetuti ancora oggi dai cavalli sono il frutto di antichi insegnamenti volti al rafforzamento del corpo del cavallo.

Il purosangue inglese, la perfetta macchina da corsa

Il popolo inglese da sempre è stato un grande amante delle corse dei cavalli: non a caso la Gran Bretagna vanta una tradizione consolidata per l’allevamento di cavalli da corsa.

I primi ippodromi (così come li intendiamo noi oggi) e i primi regolamenti per le corse nacquero su suolo inglese. Grazie a Carlo II d’Inghilterra vennero disciplinate le corse con precisi regolamenti: lui stesso era un grande appassionato di queste competizioni e si cimentò in prima persona in molte di queste gare portando a casa svariate vittorie.

Ben presto si iniziò a selezionare cavalli sempre più veloci e scattanti: si cercava il perfetto “figlio del vento” in grado di superare i 60 km/h (con punte di circa 70 km/h).

Oggi, il Purosangue Inglese è il cavallo più veloce di tutti ed è il risultato della selezione operata volutamente dall’uomo: fu durante il Settecento che si andò definendo questa razza, quando vennero incrociate le “50 Royal Mares” appartenenti alla corte inglese con tre stalloni orientali (Byerly Turk, Darley Arabian e Godolphin Barbdal) dai quali ancora oggi discendono quasi tutti i cavalli appartenenti a questa razza.

Negli anni 50, anche l’Italia ha saputo allevare prestigiosi cavalli Purosangue Inglesi: ciò fu possibile grazie alla passione dell’allevatore Federico Tesio soprannominato “il mago di Dormello” che fondò “La scuderia Tesio” a Dormelletto e ottenne vittorie e piazzamenti sempre più importanti. La sua maggior “creazione” sarà il cavallo Ribot, definito dalla stampa francese dell’epoca “il cavallo del secolo”.

Dal Mustang dei nativi americani al Quarter Horse dei cowboy
Il cavallo: storia, evoluzione e selezione. Mustang
Mustang

I cavalli Mustang erano i figli dei cavalli importati dagli spagnoli con la conquista del Nuovo Mondo e poi lasciati liberi di rinselvatichirsi e riprodursi in maniera incontrollata.

Se è vero che la loro riproduzione incontrollata in natura fece sì che questi cavalli andassero perdendo le caratteristiche tanto attentamente selezionate dall’uomo, è altresì vero che il cavallo tornava alle sue origini, quando per opera della sola selezione naturale prevalevano cavalli perfettamente adattati all’ecosistema in cui vivevano.

Molto probabilmente furono i nativi d’America (in particolare i Chickasaw), superata la loro iniziale diffidenza verso questo animale, a guidare l’accoppiamento dei primi Mustang nel tentativo di ottenere cavalli migliori rispetto a quelli catturati in natura.

Fu nel XVII secolo che per migliorare ulteriormente i cavalli Mustang venne introdotto il Purosangue Inglese, ottenendo così un cavallo non solo robusto e dalla muscolatura potente ma anche veloce e calmo: era nato così il cavallo dei cowboy, il Quarter Horse.

Il nome curioso di questa razza, “Quarter”, deriva dalla misurazione che veniva fatta dai coloni americani quando rilevavano la velocità dei propri cavalli su una distanza di un quarto di miglio (circa 402 metri). Ai primi cowboy occorreva un cavallo veloce e scattante ma al contempo equilibrato e calmo per poter condurre le mandrie di bovini tra le grandi praterie.

È proprio in questo periodo, con la necessità dei primi mandriani nordamericani di stare in sella anche 16 ore al giorno, che nasce la “monta americana” (o monta western), ovvero la monta da lavoro più famosa, caratterizzata dall’uso della “sella americana”, la sella con il caratteristico “pomolo” – detto anche corno – necessario per ancorare il lazo con il quale vengono catturati per lo più capi di bestiame destinati poi ad essere marchiati o curati).

La sella americana è una sella molto più grande di quelle usate fino ad allora perché pensata per la comodità del cavaliere e del suo cavallo. In Europa, la sella che ebbe maggior diffusione in passato ed è ancora oggi la più diffusa è quella per la “monta inglese”, decisamente meno voluminosa rispetto a quella americana.

Appaloosa, figlio della tribù dei Nasi Forati
Il cavallo: storia, evoluzione e selezione. Appaloosa
Appaloosa

Non solo il Paint Horse e il Lipizzano attirano per i loro curiosi mantelli, ma anche l’Appaloosa, dove l’appariscente mantello è una vera e propria opera d’arte priva di repliche: non esistono in natura due soggetti con la stessa macchiettatura.

L’allevamento di questa razza iniziò grazie alla tribù dei Nasi Forati (Nez-Perces) che utilizzavano questi cavalli per la caccia al bisonte. Questi nativi d’America ben presto divennero degli straordinari allevatori di cavalli, abili nel vendere i soggetti meno pregiati per reinvestire in nuove mandrie, selezionando così cavalli forti, docili, resistenti sulle lunghe distanze e dai meravigliosi colori.

I Nasi Forati, pur essendo una tribù pacifica, scesero in guerra nel 1877 quando l’esercito americano li obbligò, con una deportazione forzata, ad abbandonare le loro terre per trasferirsi in una riserva indiana.

Questa tribù si mise in cerca di aiuto e, nel tentativo disperato di raggiungere la libertà del confine canadese, marciò in sella ai loro cavalli Appaloosa in quella che sarà poi chiamata la “lunga marcia per la libertà”, una marcia lunga quasi 2.000 km che implicava il difficile passaggio tra le Montagne Rocciose.

Nella marcia i Nasi Forati potevano contare su un valido aiuto: i loro cavalli Appaloosa. I Nasi Forati non erano tuttavia un esercito in movimento, ma un popolo in fuga che si spostava lentamente poiché vi erano anche donne, bambini e il loro stesso bestiame, mentre l’esercito statunitense avanzava, senza tregua, al loro inseguimento.

L’inseguimento dei Nasi Forati terminò a circa 65 km dal confine canadese con la resa di questa tribù che venne depredata di ogni cosa, anche dei suoi splendidi cavalli. I cavalli Appaloosa persero così i loro più fedeli allevatori e furono quasi dimenticati fino al 1938, anno in cui venne fondato l’ Appaloosa Horse Club negli Sati Uniti nel tentativo di valorizzare questa razza e redigere dei libri genealogici.

Lo Shetland, il pony delle miniere inglesi

Il nome “Shetland” svela fin da subito la provenienza di questo minuscolo pony: era infatti diffuso nelle isole Shetland, nelle isole Orcadi e nella Scozia settentrionale.

Sebbene sia un cavallo di antiche origini, è stato poi selezionato dall’uomo per essere un pony dalle precise caratteristiche: bassa statura, grande robustezza e forza straordinaria.

Mediamente questa razza è alta circa 100 cm con un peso che varia dai 150 ai 180 kg, e può arrivare a trasportare quasi il doppio del suo stesso peso. Per queste sue preziose caratteristiche il pony Shetland venne selezionato per aiutare l’uomo nei lavori pesanti, come la raccolta della torba nelle brughiere il traino dei carrelli carichi di carbone estratto dalle miniere.

Questi pony erano estremamente forti e la loro bassa statura gli permetteva di essere in grado di raggiungere i cunicoli più bassi ed essere quindi in prima linea nel fronte di avanzamento degli scavi.

Il cavallo: storia, evoluzione e selezione. Pony Shetland
Pony Shetland

Nella seconda metà dell’Ottocento gli allevamenti di Pony Shetland (e dei pony in genere) subirono un’impennata nel Regno Unito dopo il divieto per i bambini sotto i dieci anni di lavorare sottoterra; solo l’avvento dei trasporti meccanizzati cambiò il loro impiego facendoli diventare cavalli da sella per bambini.

Quando impiegati nell’attività mineraria, i pony Shetland erano un preziosissimo aiuto per i minatori e venivano trattati con molto rispetto, nonostante trascorressero la maggior parte della loro vita sottoterra; difficilmente venivano portati in superficie, tant’è che avevano le loro stalle all’interno della miniera e venivano tenuti vicini alle prese d’aria in maniera tale che potessero respirare aria fresca proveniente dalla superficie.

Gli incidenti non mancavano: ferite agli occhi (da qui la credenza popolare che i pony che lavoravano nelle miniere diventavano tutti ciechi), incidenti con i carrelli, capitava perfino che morissero soffocati dal loro stesso collare da tiro o che morissero assieme agli altri minatori nei crolli delle gallerie.

Solo nei primi anni del Novecento si ebbero le prime leggi a tutela dell’uso dei pony nelle miniere, leggi in cui si vietava di utilizzare animali con un’età inferiore ai 4 anni.

Avelignese, il cavallo tutto italiano

Se si parla di selezione nel corso della storia per mano dell’uomo, non può non essere menzionato l’italianissimo “Avelignese” e chiunque, con un solo colpo d’occhio, è in grado di riconoscere il biondo sauro altoatesino.

Il nome di questa razza deriva dal paese di Avelengo, in provincia di Bolzano. In lingua tedesca questo paese è chiamato “Hafling” ed è per questo motivo che questa razza è anche conosciuta con il nome di “Haflinger”.

Oggi è sempre più utilizzato per le passeggiate con i turisti e per l’ippoterapia poiché molto tranquillo, socievole, vivace, tollerante ed è molto semplice desensibilizzarlo perché non dimostra particolari paure; in passato invece veniva apprezzato per altre qualità, ovvero per il fatto di essere molto robusto e rustico e perciò perfetto per essere impiegato come animale da lavoro.

Inizialmente il cavallo Avelignese venne selezionato per aiutare l’uomo in agricoltura e per il trasporto di merci attraverso le Alpi, negli anni Sessanta fu allevato per la sua carne, mentre negli anni Novanta è stato fortunatamente riscoperto per il turismo equestre poiché molto paziente.

Molte sono le leggende attorno alla nascita di questa razza, nessuna al momento riconosciuta come ufficiale: secondo la tradizione, questa razza equina discende dai cavalli che l’imperatore Ludovico IV portò in Alto-Adige per donarli al figlio come regalo di nozze.

Un’altra ipotesi indicherebbe invece come origine i cavalli lasciati liberi nelle valli dell’Alto-Adige dalla popolazione gota in ritirata a seguito della resa di Conza (555 d.C.).

Ma l’origine ufficiale di questa razza è l’anno 1874, anno di nascita di “249 Folie”, un cavallo nato dall’incrocio tra una cavalla locale e un purosangue arabo: questo puledro sarà il capostipite di tutta la razza Avelignese.

Durante la seconda guerra mondiale l’allevamento di questa razza venne preso particolarmente a cuore da Karl Thurner, che individuò le sette linee di sangue di questa razza; le linee di sangue si trasmettono per linea paterna e queste “sette linee” ancora oggi danno l’iniziale del nome ad ogni puledro maschio della razza Avelignese, poiché ognuna di esse è l’iniziale del nome dei sette stalloni capostipiti: Anselmo (A), Bolzano (B), Massimo (M), Niggl o Nibbio (N), Student (ST) , Stelvio (S) e Willi Liz (W).

Questa pratica dell’iniziale del nome non deve stupire: tra le varie razze di cavalli è molto diffuso avere delle regole o delle linee guida per la scelta dei nomi da annotare sui registri di razza (nel mondo dell’allevamento il lignaggio dei genitori può avere estrema rilevanza), così come in molte scuderie gli allevatori utilizzano dei prefissi per i cavalli che allevano.

Ad oggi è la razza Avelignese è la razza italiana presente in maggior numero sul territorio nazionale e viene allevata in tutti i continenti.

CHI HA INVENTATO LA STAFFA?
The Royal Andalusian School of Equestrian Art Foundation
Equus ferus caballus
Appaloosa.com

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Il cavallo: storia, evoluzione e selezione fino al XIX secolo – Parte 1 https://www.vitantica.net/2019/02/11/cavallo-storia-evoluzione-selezione-parte1/ https://www.vitantica.net/2019/02/11/cavallo-storia-evoluzione-selezione-parte1/#comments Mon, 11 Feb 2019 00:10:02 +0000 https://www.vitantica.net/?p=3607 Un doveroso ringraziamento a Lisa B. per avermi fornito questo contenuto in due parti, e ad Erika A. per la splendida foto del cavallo usata come immagine in evidenza per il post.

Prima della nascita del motore, che ha permesso notevoli migliorie nel campo del lavoro ed in quello dei trasporti, l’uomo ha avuto un prezioso alleato che, nel corso della storia, lo ha supportato nel lavoro di tutti i giorni e nei suoi grandi o piccoli spostamenti: il cavallo.

Ma questo animale, così come lo conosciamo noi uomini del terzo millennio, è il risultato dell’evoluzione naturale della specie e al contempo della selezione attuata dalla mano dell’uomo nel corso della storia.

Dalla selezione naturale alla selezione artificiale del cavallo

Gli antenati del cavallo odierno erano poco più grandi della nostra attuale volpe (come il Sifrhippus o l’Eohippus) e a malapena arrivavano a pesare i venti chilogrammi (come l’Hyracotherium leporinum); fu solo durante il Miocene che fecero la loro comparsa animali dall’ altezza e dal peso ben maggiori (Merychippus) e che possiamo considerare i progenitori del nostro attuale cavallo.

L’intervento umano su questo splendido animale si può già riscontare in Asia circa 5.550 anni fa, periodo in cui l’uomo iniziò ad addomesticarlo, mentre in Europa si iniziò la domesticazione attorno al III millennio a.C..

In principio, quando l’uomo non era ancora intervenuto in maniera metodica attuando una selezione delle razze atta a soddisfare le proprie esigenze, si può affermare che era facile capire la provenienza geografica del cavallo che si aveva di fronte.

Merychippus
Merychippus

Ciò era possibile poiché i cavalli provenienti da differenti regioni climatiche erano molto diversi tra loro: i cavalli allevati nei territori più freddi erano molto grossi ma anche molto lenti; i cavalli allevati in un clima torrido e inospitale erano invece di dimensioni modeste ma molto più scattanti.

Fin da subito l’uomo si rese conto che il cavallo poteva essere un valido aiuto nella vita di tutti i giorni, possessore di caratteristiche che potevano essere plasmate “su misura”; a seconda del ruolo nel quale sarebbe stato impiegato, si fecero prevalere certe caratteristiche morfologiche piuttosto che altre: iniziò così la selezione delle razze equine.

I primi allevatori erano consapevoli che, a seconda dell’impiego del cavallo, quest’ultimo doveva possedere dei requisiti morfologici indispensabili: ad esempio, se era destinato ad essere un “cavallo da sella” doveva aumentare le dimensioni del cuore, la capacità toracica e possedere un maggiore sviluppo del treno posteriore; nel caso di un “cavallo da tiro”, doveva avere un notevole sviluppo muscolare della spalla, un collo massiccio e piuttosto corto e degli zoccoli più ampi.

Cavalli a sangue caldo o freddo

La grande selezione operata sul cavallo nel corso della storia dalla mano dell’uomo per apportare tutti miglioramenti – atti a rispondere all’uso bellico, di trasporto, di lavoro o di sostentamento – ci ha restituito un cavallo ben diverso da ciò che era in origine.

Questa selezione continua ancora oggi, è inarrestabile e tutte le razze esistenti al mondo già rispondono agli scopi per il quale il cavallo viene utilizzato, oppure verranno migliorate per inseguire continuamente l’uso che l’uomo fa del cavallo oggi, ovvero per scopi ricreativi, terapeutici, sportivi e di polizia.

Una delle testimonianze più evidenti di questa selezione attuata sul cavallo per opera dell’uomo è certamente la distinzione di questo animale in due grandi categorie: i cavalli a sangue freddo e i cavalli a sangue caldo.

Questa distinzione non si riferisce ovviamente alla temperatura del sangue dell’animale bensì al suo temperamento e alla genealogia. Semplificando il concetto, si può affermare che i cavalli a sangue freddo sono i cavalli pesanti, forti, docili e calmi mentre gli animali a sangue caldo sono veloci, reattivi che amano muoversi.

Nel corso degli ultimi anni si può notare una netta prevalenza nell’allevamento di cavalli a sangue caldo ed essa è la diretta conseguenza dell’uso che l’uomo fa oggi del cavallo, ovvero come animale da sella e non più come animale da tiro.

Uso della staffa, la carta vincente degli eserciti a cavallo

Mobilità esercito mongolo

Gli antichi Greci e Romani cavalcavano senza l’uso delle staffe poiché queste ultime, inventate in India nel II secolo d.C., non erano conosciute. Il peso dei cavalieri gravava sui reni del cavallo, mentre con l’uso della staffa il peso può essere spostato verso il garrese, ottenendo così una maggiore stabilità in sella.

Inoltre, senza l’uso delle staffe anche un solo fendente menato a vuoto poteva far cadere rovinosamente il cavaliere a terra; con l’introduzione della staffa si riuscì a garantire maggiore stabilità al cavaliere.

È ormai noto che tutto l’esercito a cavallo di Gengis Khan si muovesse alla conquista di nuove terre mediante l’utilizzo delle staffe che, unite all’impiego di ottimi cavalli selezionati, fu una scelta che contribuì in maniera schiacciante alla supremazia militare del sovrano mongolo su tutta l’Asia.

I suoi soldati montavano per lo più delle giumente, generalmente più mansuete e che nel periodo dell’allattamento potevano fornire al soldato circa 2 litri di latte in eccedenza rispetto alle reali esigenze del suo puledro; in caso di necessità, il latte di una giumenta poteva fare la differenza tra la vita e la morte del suo cavaliere.

Queste giumente passarono alla storia per la loro bassa statura (misuravano tra i 122 e i 142 cm al garrese) e per il fatto che erano molto robuste e con un pelo duro e folto in grado di sopportare le estreme escursioni termiche tipiche della steppa.

Una macchina da guerra su quattro zampe

La staffa si diffuse velocemente anche in Europa durante l’Alto Medioevo e questa cambiò drasticamente il modo di combattere a cavallo, avendo un’influenza particolare nell’uso della lancia.

In origine, i colpi inferti da una lancia scaricavano sul bersaglio la sola forza dell’arto superiore del cavaliere; dopo l’introduzione della staffa, avendo il cavaliere un maggiore equilibrio, uomo e cavallo diventavano tutt’uno con la lancia poiché il cavaliere poteva metterla sulla “resta” e colpire il nemico con tutta la forza del suo busto unita a quella del proprio palafreno, diventando così un’arma micidiale, una vera “macchina da guerra”.

Il cavallo: storia, evoluzione e selezione. Frisone
Frisone

Cavallo e cavaliere erano qualcosa di non molto differente da un carro armato. Poiché entrambi erano protetti da piastre o maglia di ferro, il cavaliere necessitava di un cavallo di taglia pesante, di grande resistenza, dal temperamento docile e dotato di una corporatura muscolosa.

Una delle razze maggiormente apprezzate durante il Medioevo fu il Frisone, un cavallo dotato di notevole forza e resistenza, la cui razza fu ulteriormente migliorata sotto le Crociate quando questi cavalli vennero portati in Oriente e furono fatti incrociare con cavalli arabi.

Nel Quattrocento, con l’introduzione della polvere da sparo nella cavalleria, l’utilità delle armature pesanti iniziò a scemare mentre divenne sempre più necessario l’uso di cavalli più leggeri e veloci in grado di muoversi con ordine e disciplina. Divenne quindi necessario l’impiego di una nuova tipologia di cavallo e la selezione delle razze fatta dalla mano dell’uomo era, ancora una volta, la soluzione alle nuove esigenze di combattimento.

Il cavallo arabo e i suoi custodi

Grande era il fanatismo delle tribù beduine nei confronti della purezza della razza dei loro cavalli: ben pochi furono i cavalli incrociati con quelli presenti sulla penisola arabica. Del resto, il cavallo arabo è una delle razze equine più antiche del pianeta e fin da subito venne allevato in maniera selettiva dai beduini.

Nel corso della storia, il cavallo arabo è cambiato poco a livello morfologico grazie ai suoi “custodi” che da sempre hanno volutamente evitato incroci, preservandone la razza. Il cavallo arabo venne ampiamente utilizzato per migliorare le razze equine di ogni angolo della Terra (uno dei primi personaggi della storia a capirne la grande preziosità fu Federico II di Svevia, che attinse dal patrimonio equino arabo).

Il cavallo: storia, evoluzione e selezione. Cavallo arabo
Cavallo arabo

La grande considerazione che le tribù beduine riversavano nei confronti delle proprie giumente si riscontra difficilmente in altri popoli. I beduini preferivano le giumente agli stalloni poiché esse erano in grado di garantire una discendenza continua (i puledri nati erano di proprietà della famiglia della fattrice, non di quella dello stallone).

Si dice che “il sangue di un beduino apparteneva alla sua tribù, la sua anima ad Allah, il suo cuore alla sua cavalla”; la giumenta era considerata come un vero membro della famiglia e pertanto dormiva con essa.

La ferratura, il tentativo di preservare la salute del cavallo

Da sempre l’uomo si è preso cura della salute del cavallo, ma è durante il Medioevo che si scriveranno veri e propri trattati in cui verrà insegnata “l’arte della cura del cavallo”.

Tra di essi vi è il “De medicina equorum” scritto dal proto-veterinario Giordano Ruffo sul finire del XIII secolo e frutto della sua esperienza diretta presso le scuderie della corte di Federico II di Svevia (a cui dedicò l’opera). Questo testo fu un vero e proprio best-seller per l’epoca, con molte traduzioni in diverse lingue, e da esso derivano le successive mascalcie.

È proprio in epoca medievale che si diffonde l’uso della ferratura inchiodata agli zoccoli e sappiamo che i primi ad avere l’idea di proteggere il piede del cavallo con l’uso di ferri inchiodati agli zoccoli furono i Celti, molto probabilmente spinti dal clima piovoso in cui vivevano che costringeva il piede del cavallo a lunghe permanenze in un ambiente costantemente umido.

Un tentativo verso la preservazione dello stato di salute dello zoccolo del cavallo è sicuramente stato fatto nel corso della storia prima dell’epoca medievale: gli archeologi ci hanno restituito diversi “ipposandali” di epoca romana, suole di ferro affrancate al cavallo mediante l’uso di lacci per preservare gli zoccoli dell’animale e che fornivano protezione in caso di lesioni allo zoccolo.

La ferratura è nata dall’esigenza di far sì che l’unghia del cavallo non si consumi e venga protetta (lo zoccolo è fatto di cheratina) ed era una necessità nata dal fatto che il cavallo si trovava a vivere in spazi confinati e non più in natura.

Il cavallo: storia, evoluzione e selezione. De Medicina Equorum
De Medicina Equorum

Come accade per le unghie umane, anche quelle del cavallo crescono e ogni circa quaranta giorni il maniscalco deve procedere alla pareggiatura (accorciatura manuale), seguita poi dalla ferratura dell’animale.

Questa pratica non è affatto necessaria per i cavalli che non vivono confinati in spazi ristretti artificiali, in quanto hanno unghie molto resistenti che si consumano in maniera del tutto naturale.

Negli ultimi decenni si stanno sempre più diffondendo anche in Europa le idee di Jaime Jackson, un ex-maniscalco che negli anni Ottanta ebbe modo di constatare come i cavalli Mustang, che vivevano nella zona del Great Basin, avessero degli zoccoli perfettamente in salute nonostante non fossero mai stati ferrati.

Le idee di Jackson sono alla base della filosofia del “Barefoot movement”, basata su un ritorno all’uso del “cavallo scalzo” per qualsiasi attività equestre e ad uno stile di vita il più possibile vicino a quello che ogni cavallo vivrebbe in natura.

Italia, culla delle grandi scuole europee di equitazione

Le moderne grandi scuole europee di equitazione (Jerez, Vienna e Saumur) sono tutte figlie della Scuola di Equitazione Italiana nata durante l’epoca rinascimentale a Napoli; in quel periodo infatti il Bel Paese fu la culla dell’equitazione, tant’è che si può parlare di “Scuola equestre italiana”.

Le basi di questa scuola vennero gettate dal nobile napoletano Federico Grisone che nel 1550 scrisse e pubblicò il primo libro stampato dedicato completamente all’equitazione, “Gli ordini del cavalcare”, incentrato su un addestramento duro per ottenere il controllo del cavallo.

Completamente differente sarà la “Scuola francese”, basata invece su un rapporto con il cavallo decisamente più comprensivo e dolce, come si può constatare nel libro postumo “Instruction du Roy en l’esercise de monter a cheval” (1625) in cui Antonie de Pluvinel, uno dei principali maestri di questa scuola e maestro di equitazione del futuro Luigi XIII, raccomanda al sovrano francese di comprendere il carattere di ogni singolo cavallo ed evitare qualsiasi metodo crudele verso di esso.

Il cavallo andaluso, il fiore all’occhiello del Cinquecento

Fin dai tempi degli antichi romani il cavallo spagnolo godeva di una grande reputazione: il sud della Spagna è per natura particolarmente adatto all’allevamento dei cavalli e da sempre questa terra ha prodotto meravigliosi esemplari.

Il cavallo: storia, evoluzione e selezione. Cavallo andaluso
Cavallo andaluso

Famosa ancora oggi è la “Real Escuela Andaluza del Arte Ecuestre” a Jerez de la Frontera con i suoi “cavalli danzatori” ed ancor prima di quest’istituzione furono i monaci certosini, sempre della città di Jerez, ad occuparsi dell’allevamento di questa razza.

In questa terra è nato il cavallo Andaluso: molto di ciò che è stato il miglioramento di questa razza lo si deve alla conquista araba, che importò nella penisola spagnola molti cavalli Berberi ed Arabi.

Al termine della Reconquista, i sovrani cattolici spagnoli si resero conto delle potenzialità del cavallo Andaluso, perciò decisero di tutelarlo: Filippo II, grande appassionato di cavalli, vietò l’uscita delle giumente Andaluse dalla Spagna e fondò le scuderie reali di Cordova.

Durante il Cinquecento, questa razza così equilibrata, docile e dal notevole equilibrio psicofisico, divenne ben presto molto ambita in tutte le corti europee per le esibizioni equestri: spesso i cavalli Andalusi rappresentavano doni preziosi per le teste coronate dell’epoca.

Non deve quindi stupire il fatto che il cavallo andaluso ha avuto una grande influenza su molte razze europee ed americane sia come miglioratore di razza che come fondatore di nuove razze. Inoltre, questo straordinario animale fu il cavallo dei conquistadores e quindi fu la razza di partenza dalla quale poi discesero tutte le razze nordamericane.

Continua…

Il 13 febbraio verrà pubblicata la Parte 2 de “Il cavallo: storia, evoluzione e selezione fino al XIX secolo”, vi aspetto numerosi!
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