islanda – VitAntica https://www.vitantica.net Vita antica, preindustriale e primitiva Thu, 01 Feb 2024 15:10:35 +0000 it-IT hourly 1 Nábrók, le “necromutande” della stregoneria islandese https://www.vitantica.net/2019/05/01/nabrok-necromutande-stregoneria-islandese/ https://www.vitantica.net/2019/05/01/nabrok-necromutande-stregoneria-islandese/#respond Wed, 01 May 2019 00:10:33 +0000 https://www.vitantica.net/?p=4044 Nel tranquillo villaggio di pescatori di Hólmavík si trova un museo che ospita la riproduzione di un oggetto leggendario della stregoneria islandese: il nábrók, “necromutande” (o “necropantaloni” che dir si voglia) la cui creazione prevedeva un rituale così complesso da risultare irrealizzabile.

Il Museo della Magia e della Stregoneria Islandese

Il Museo della Magia e della Stregoneria Islandese combina interessanti fatti storici relativi alla caccia alle streghe condotta in Islanda nel XVII secolo ed elementi folkloristici legati alla magia islandese di discendenza norrena, una pratica che spesso prevedeva sacrifici di sangue e rituali della tradizione magica popolare nordeuropea.

Nel 2014 gli utenti di TripAdvisor hanno classificato questo museo tra i primi dieci musei più interessanti d’Islanda, lasciando stupito e soddisfatto il curatore Sigurður Atlason, un appassionato di folklore e storia della sua isola.

“Il nostro museo è qualcosa che esula da un museo tradizionale, caratteristica che lo rende particolare. Mandare avanti il museo è stata una sfida: questo è il primo anno dall’apertura in cui siamo in grado di assumere personale. Siamo finalmente diventati un business solido” spiega Atlason.

L’idea di un museo incentrato sulla stregoneria islandese è nata nel 1996 per attrarre più visitatori in un’area così remota d’Islanda, il distretto di Strandasýsla. Nel 2000 il museo ha finalmente aperto le sue porte e anno dopo anno ha attratto sempre più visitatori provenienti da tutto il mondo.

La raccapricciante stregoneria islandese

Durante il XVII secolo l’Islanda fu coinvolta in una vera e propria caccia ai praticanti di stregoneria: l’accusa di esercitare magia nera portò alla morte diverse persone, generalmente uomini. La magia islandese, diretta discendente di quella norrena, prevedeva inoltre rituali violenti o disgustosi, come quello previsto per l’evocazione di un tilberi.

Un tilberi, o snakkur, era una creatura soprannaturale creata dai praticanti di magia nera di sesso femminile con il preciso scopo di rubare latte. Il primo riferimento letterario ad un tilberi appare solo nel XVII secolo, ma lo stesso riferimento cita una donna del 1500 punita per aver dato origine a questa mostruosità.

Un tilberi, o snakkur, veniva creato per sottrarre latte ai vicini di casa
Un tilberi, o snakkur, veniva creato per sottrarre latte ai vicini di casa

Il rituale per la creazione di un tilberi era basato su oggetti ottenuti tramite l’inganno: era necessario sottrarre durante il giorno di Pentecoste una costola da un cadavere seppellito di recente, avvolgerlo in lana grigia rubata appositamente per lo scopo e tenere il rotolo così ottenuto tra i seni per tre settimane.

Ogni domenica, durante la comunione, la donna doveva sputare il vino santo sul rotolo, vedendolo prendere vita e muoversi sempre più ad ogni messa. Al termine del rituale, la donna doveva alimentare la creatura lasciandole succhiare sangue dalla coscia: a questo punto, il tilberi era pronto per essere inviato a rubare latte dalle fattorie vicine, latte che avrebbe rigurgitato dopo il suo ritorno a casa.

Gli incantesimi islandesi erano del tutto simili ai galdrar norreni, versi usati nella magia popolare in svariate circostanze, dal rendere più semplice il parto al portare alla follia un avversario. Pare che Odino conoscesse ben 18 galdrar, tra i quali uno per creare tempeste e un altro per evocare i morti.

I galdrar e la tradizione magica popolare furono le basi per la stregoneria islandese: secondo la leggenda, intorno al XVI secolo Gottskálk grimmi Nikulásson, vescovo di Holar, raccolse tutte le conoscenze magiche e i galdrar norreni (tra i quali la procedura di creazione del nábrók) in un libro, il Rauðskinna,noto anche come Il Libro del Potere, un volume apparentemente sepolto con la salma del prelato e per secoli obiettivo della ricerca di molti praticanti della magia norrena.

Il pezzo forte: nábrók

L’oggetto più popolare del museo è la riproduzione in legno di un nábrækur, detto anche nábrók. Si tratta di mutande magiche che, secondo la magia vichinga islandese, potevano garantire un flusso infinito di monete a patto di realizzarle seguendo un rituale specifico e sanguinolento.

Nabrok

Come molti altri oggetti del museo, anche le necromutande sono state realizzate dall’artista di scena Árni Páll Jóhannsson, ottenendo l’attenzione dei media fino a raggiungere la notorietà in uno show della BBC condotto da Stephen Fry. “Lo show ha creato il caos” sostiene Atlason. “La gente entrava chiedendo se questa fosse la casa dei pantaloni magici mostrati alla BBC”.

Per quanto costituiscano il pezzo forte del museo, questi necropantaloni sono in realtà solo un oggetto leggendario, mai realizzato da nessun vichingo islandese per ovvie ragioni pratiche che saranno ben evidenti qualche paragrafo più sotto. “Ogni volta che qualcuno mi chiede se sono reali o se siano mai esistiti, devo dire la verità: i pantaloni magici sono esistiti soltanto nelle leggende popolari locali”.

La creazione e l’utilizzo del nábrók

Creare un nábrók non era soltanto difficile, ma tecnicamente impossibile. La procedura poteva iniziare anche molti anni prima di procedere con l’effettiva realizzazione dell’oggetto magico: occorreva infatti stipulare un patto con un amico convincendolo a cedere il suo corpo al futuro utilizzatore dopo una morte per cause naturali.

Alla morte dell’amico, l’indossatore delle necromutande doveva attendere la sepoltura del cadavere, riesumarlo senza farsi notare e, solo a quel punto, procedere con la preparazione vera e propria dell’oggetto magico.

Il procedimento era il seguente: occorreva scorticare il corpo dai fianchi ai piedi prestando la massima attenzione a mantenere perfettamente intatta la pelle. Ogni taglio o buco sulla pelle estratta dal cadavere (pelle che comprendeva ovviamente anche quella dei genitali) avrebbe irrimediabilmente compromesso il rituale, vanificando ogni sforzo.

Una volta ottenuti dei veri e propri pantaloni di pelle umana, era necessario indossarli a contatto diretto con la propria pelle, momento in cui avrebbero aderito con forza al corpo dell’indossatore.

Lo scopo del nábrók era quello di ottenere una riserva illimitata di denaro; per innescare questa “generazione spontanea” di monete era necessario inserire nello scroto delle necromutande una moneta sottratta ad una vedova mendicante e il simbolo magico nábrókarstafur scritto su un pezzo di pergamena.

Simbolo Nábrókarstafur
Simbolo Nábrókarstafur

A patto di non rimuovere la moneta, lo scroto del nábrók si sarebbe costantemente riempito di monete senza sosta. Ma liberarsi di questi necropantaloni ed evitare la dannazione eterna non era semplice: occorreva seguire un altro rituale.

In caso di morte imminente, era fondamentale togliersi il nábrók per non incorrere in una sorte terribile nell’aldilà. Per separarsi dalle necromutande occorreva trovare un’altra persona disposta ad indossarle ed effettuare la transizione da un indossatore all’altro in modo tale da lasciare almeno una gamba all’interno dell’oggetto magico.

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Necropants and Other Tales of 17th-Century Icelandic Sorcery

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Vichinghi islandesi di alto rango sepolti in compagnia di stalloni https://www.vitantica.net/2019/01/04/vichinghi-islandesi-tombe-cavalli/ https://www.vitantica.net/2019/01/04/vichinghi-islandesi-tombe-cavalli/#respond Fri, 04 Jan 2019 00:10:14 +0000 https://www.vitantica.net/?p=3472 Gli archeologi islandesi hanno terminato di recente un’analisi decennale sui resti di oltre 350 tombe risalenti all’era vichinga, scoprendo che in circa 150 di queste sepolture erano presenti denti o ossa di cavallo. Secondo le analisi genetiche effettuate sui resti ossei appartenuti a 19 cavalli, tutti gli animali erano maschi, ad eccezione di un solo esemplare.

Poche tombe rispetto alla popolazione

Un gruppo di ricerca multidisciplinare, composto da archeologi e genetisti provenienti da Islanda, Norvegia, Danimarca, Regno Unito e Francia, ha analizzato il DNA dei 19 cavalli trovati in alcune delle 350 tombe islandesi, nella speranza di comprendere meglio come vivevano e pensavano i primi abitanti dell’isola.

Secondo il manoscritto Landnámabók, un’opera che descrive la colonizzazione dell’Islanda avvenuta tra il IX e il X secolo, le prime a stabilirsi sull’isola furono famiglie benestanti in fuga da re Harald I di Norvegia (Araldo Bellachioma), il primo sovrano norvegese.

Intorno all’anno 930, l’Islanda contava già 9.000 abitanti di origine scandinava, ma fino ad ora sono solo 350 le sepolture norrene scoperte sull’isola in corrispondenza dei primi insediamenti umani.

Mappa delle tombe islandesi da cui sono stati prelevati campioni ossei di cavallo
Mappa delle tombe islandesi da cui sono stati prelevati campioni ossei di cavallo

“Dovrebbero esserci migliaia di tombe simili a quelle già scoperte”, afferma Albína Hulda Pálsdottir del Dipartimento di Bioscienze dell’Università di Oslo, esperta nello studio dei resti animali provenienti da scavi archeologici.

“È ragionevole supporre che un vichingo sepolto insieme al suo cavallo dovesse avere un certo potere e influenza, quindi vorremmo sapere di più su questi cavalli, ad esempio, di quale sesso fossero”, dice Pálsdottir.

Non è facile determinare il sesso a partire da frammenti ossei e da denti vecchi oltre 1.000 anni: cavalli e cavalle sono abbastanza simili, sia per dimensioni che per aspetto, ma secondo l’analisi genetica condotta dagli zooarchaeologi la maggior parte dei resti ossei rinvenuti nelle tombe apparteneva ad animali di sesso maschile, stalloni o castroni.

I cavalli, al momento del decesso, godevano di buona salute ed erano nel fiore dei loro anni; non furono quindi sepolti perché vecchi o malati, ma deliberatamente uccisi per accompagnare il defunto.

Sepoltura con cavallo destinata a uomini di alto rango

La volpe artica era il mammifero terrestre più grande presente in Islanda prima che gli scandinavi fondassero le loro colonie sull’isola. L’ecosistema islandese cambiò rapidamente quando i vichinghi fecero sbarcare animali come cani, pecore, mucche, maiali, capre, polli e cavalli.

L’Islanda finì per diventare un piccolo paradiso per i cavalli grazie l’assenza di predatori naturali. Questo causò non pochi grattacapi agli archeologi che si interrogavano sul reale significato di una sepoltura in compagnia di un cavallo: era un rituale comune, o riservato a uomini di potere?

Quando 18 dei 19 cavalli analizzati risultarono essere di sesso maschile, i ricercatori giunsero alla conclusione che i vichinghi islandesi seppellivano deliberatamente cavalli maschi nelle tombe di uomini di potere o di personalità che godevano di uno status sociale medio-alto.

“È naturale immaginare che l’uccisione di cavalli maschi, simboli di virilità e in qualche misura aggressivi, debba essere stata parte di un rito funebre destinato a comunicare status e potere”, spiega l’archeologo Rúnar Leifsson dell’Agenzia del Patrimonio Culturale Islandese (Minjastofnun Íslands).

I popoli norreni veneravano il cavallo come simbolo di fertilità; i cavalli bianchi venivano inoltre macellati in occasione di cerimonie religiose o banchetti rituali. Per i vichinghi islandesi, il cavallo era una proprietà estremamente preziosa: era indispensabile per un guerriero e spesso le sue gesta venivano raccontate e celebrate quanto quelle del suo cavaliere.

Frammento di canino di cavallo utilizzato per estrarre il DNA dell'animale allo scopo di determinarne il sesso.
Frammento di canino di cavallo utilizzato per estrarre il DNA dell’animale allo scopo di determinarne il sesso.

“Oltre ai 19 cavalli sepolti, abbiamo esaminato i resti di tre cavalli trovati all’esterno delle tombe, tutti di sesso femminile”, afferma Sanne Boessenkool, esperta di evoluzione e analisi dell’antico DNA animale.

La morte di queste cavalle non fu legata ad un rituale funebre: i corpi di questi animali furono utilizzati per ottenere carne destinata a banchetti. Pare quindi che i cavalli maschi godessero di uno status differente rispetto alle femmine.

“È sorprendente aver trovato quasi esclusivamente uomini di mezza età nelle tombe islandesi: neonati o bambini sono quasi assenti e le donne sono pochissime; non sappiamo come fu seppellito il resto della popolazione, se in paludi o laghi, o in fondo al mare “, suggerisce Pálsdottir.

“Era comune cremare i morti in Scandinavia, luogo d’origine dei vichinghi islandesi, ma non abbiamo trovato tracce di cremazione in Islanda: altri ricercatori hanno analizzato la presenza di diversi isotopi negli scheletri vichinghi e si è scoperto che le donne rinvenute nelle sepolture devono essere arrivate in Islanda durante l’età adulta. Questo suggerirebbe che gli uomini dei primi insediamenti islandesi portarono le donne in Islanda dalla Scandinavia”, suggerisce Pálsdottir.

Sacrificio rituale del cavallo

In alcuni casi i ricercatori sono stati in grado di ricostruire come venivano uccisi gli animali prima di depositarli all’interno delle tombe vichinghe.

“Se un teschio di cavallo ha una frattura sulla fronte, è chiaro che sia stato ucciso con un colpo sulla regione frontale del cranio. Ci sono anche alcuni casi in cui il cavallo è stato decapitato, con la testa separata dal resto del corpo. Un esempio interessante, non incluso nel nostro studio, proviene dalla fattoria di Hofstaðir, nel nord dell’Islanda, dove gli archeologi hanno trovato molti crani di bovini con fratture frontali”, dice Pálsdóttir.

Gli archeologi hanno dedotto che i cavalli presenti nelle tombe furono uccisi in modo rituale, forse durante una celebrazione annuale in cui i teschi venivano esposti all’esterno. Il consumo delle ossa craniche dovuto agli agenti atmosferici suggerisce che i teschi furono esposti a lungo all’esterno, permettendo al vento di lasciare segni sul cranio.

Gli antenati del cavallo islandese
Cavalli islandesi
Cavalli islandesi

Albína Hulda Pálsdottir e Sanne Boessenkool sottolineano che i cavalli introdotti in Islanda grazie ai rifugiati norreni non erano uguali ai moderni cavalli islandesi.

“Le razze di cavallo che abbiamo oggi sono state sviluppate nel corso degli ultimi 200 anni; le ossa dei cavalli che abbiamo esaminato sono, ovviamente, molto più vecchie, ma possiamo supporre che questi cavalli fossero gli antenati dei cavalli islandesi moderni” dice Boessenkool.

Tra il IX secolo e il 1300, periodo in cui le condizioni climatiche erano favorevoli per il cavallo, gli islandesi selezionarono le loro cavalcature in base al colore e alla struttura fisica. Durante questo processo si tentò di introdurre sangue orientale nei cavalli islandesi, ma le conseguenze furono peggiori di quanto sperato dagli allevatori: nel 982 il parlamento islandese (Althing) decretò il divietò d’importazione di cavalli stranieri in Islanda, segnando la fine degli incroci con altre razze per almeno otto secoli.

I ricercatori del CEES stanno ora cercando di determinare il sesso di diverse specie animali comuni nell’era vichinga. “Nel corso di questo progetto, abbiamo sviluppato un metodo semplice per determinare il sesso analizzando il DNA” spiega Boessenkool.

“Il metodo è abbastanza semplice e robusto per le specie che hanno cromosomi sessuali. Inoltre, non abbiamo bisogno di molto DNA per ottenere risultati sicuri, quindi ci aspettiamo che altri ricercatori possano trarre vantaggio dal metodo che presentiamo nel documento”, aggiunge.

Sexing Viking Age horses from burial and non-burial sites in Iceland using ancient DNA

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Chi fu realmente Floki? https://www.vitantica.net/2018/07/25/chi-fu-realmente-floki/ https://www.vitantica.net/2018/07/25/chi-fu-realmente-floki/#respond Wed, 25 Jul 2018 11:00:37 +0000 https://www.vitantica.net/?p=1979 Uno dei personaggi più amati dal pubblico di Vikings è Floki, amico di Ragnar e costruttore della flotta che sbarcò in Gran Bretagna trasportando la Grande Armata norrena.

Riguardo alle figure di Ragnar e di Lagertha esistono ancora molti dubbi sulla loro reale identità o sull’attendibilità storica delle fonti che li citano; per Floki invece la situazione è un po’ diversa: si tratta di un personaggio realmente esistito, conosciamo abbastanza bene la sua storia e sappiamo che fu il primo a navigare volontariamente verso l’Islanda con lo scopo di fondare un nuovo insediamento.

Flóki Vilgerðarson e i primi islandesi

Flóki Vilgerðarson (questo era il suo nome) visse in Norvegia nel IX secolo e la sua storia è documentata dal manoscritto medievale Landnámabók, che descrive i dettagli dell’insediamento dei popoli norreni in Islanda tra il IX e il X secolo.

Il Landnámabók è un documento straordinario: nei suoi oltre 100 capitoli descrive con dovizia di particolari oltre 3.000 coloni e circa 1.400 insediamenti islandesi, fornendo anche una breve genealogia di tutti i 435 primi colonizzatori dell’Islanda.

Floki, probabilmente a capo del primo gruppo che si insediò sull’isola, fu il terzo nordeuropeo a raggiungere l’Islanda: Garðarr Svavarsson, svedese con possedimenti nella moderna Danimarca, fu costretto ad approdare sull’isola nei primi anni dell’ 860 dopo il naufragio causato da una tempesta.

Naddoddr, anno 850, è invece considerato il primo vichingo a scoprire l’esistenza dell’Islanda (anche lui in modo fortuito) oltre che il primo norreno ad insediarsi sulle Isole Faroe (Fær Øer).

I viaggi intrapresi da Naddodd, Garðarr Svavarsson e Floki
I viaggi intrapresi da Naddodd, Garðarr Svavarsson e Floki
Il viaggio di Flóki

Flóki Vilgerðarson fu però il primo europeo a navigare verso l’Islanda con il preciso intento di fondare una colonia. Nell’anno 868 Floki partì dalla Norvegia in direzione Nord-Ovest nel tentativo di trovare la terra scoperta qualche anno prima da Garðarr Svavarsson, accompagnato dalla moglie Gró, dai suoi figli e da qualche centinaio di coloni.

In corrispondenza delle Isole Shetland una delle sue figlie annegò in mare, ma l’avvenimento non fece desistere il navigatore norreno: continuò fino alle Isole Faroe, dove un’altra delle sue figlie si sposò.

Durante la sosta alle Faroe Floki prese a bordo tre corvi per aiutarlo a localizzare l’Islanda in mare aperto: da questo momento verrà conosciuto come Hrafna-Flóki (Corvo-Floki).

Dopo aver guadagnato nuovamente il mare aperto, Floki iniziò a liberare i corvi nella speranza di localizzare l’Islanda: il primo corvo tornò alle Faroe, il secondo volteggiò per qualche tempo sopra la nave per poi atterrare sul ponte, mentre il terzo corvo volò verso Nord-Ovest senza fare più ritorno.

Secondo Floki, il mancato ritorno del terzo corvo poteva avere un solo significato: la terra era vicina. Decise quindi di seguire la rotta verso Nord-Ovest fino a quando raggiunse una vasta baia che dava l’impressione di appartenere ad una grande massa di terraferma, scoprendo per primo la baia di Reykjavík.

Riserva naturale di Vatnsfjörður
Riserva naturale di Vatnsfjörður
Insediamento, abbandono e ritorno in Islanda

Dopo aver individuato una località adatta allo sbarco (Barðaströnd, nella riserva naturale di Vatnsfjörður) i coloni costruirono un accampamento invernale in previsione della stagione rigida.

Durante l’inverno, Floki riuscì a localizzare dalla cima di una montagna un grande fiordo (Ísafjörður) completamente ricoperto da frammenti di ghiaccio galleggiante; fu in questo momento che l’Islanda ottenne il suo nome: Floki battezzò l’isola Ísland, terra dei ghiacci.

Il fiordo ghiacciato convinse Floki e altri coloni a fare ritorno in Norvegia nell’estate successiva: secondo lui quella terra era quasi del tutto inutilizzabile, troppo poco fertile e fredda da poter sostenere una comunità di esseri umani.

L’ abbandono dell’Islanda non fu però causato soltanto dal terreno povero di nutrienti ma da problemi ben più gravi: sembra che Floki e i coloni avessero totalmente trascurato il bestiame e i piccoli orti dell’accampamento spendendo tutta l’estate a pescare e a cacciare; l’arrivo dell’inverno colse i norreni impreparati, il bestiame e gli orti finirono per cedere al gelo e l’accampamento si trovò a dover razionare i viveri.

Per quanto Floki parlasse male dell’Islanda al suo ritorno in Norvegia, altri coloni la descrivevano come una terra dura ma ricca di opportunità: Herjolf riteneva che l’isola avesse lati negativi bilanciati da altrettanti aspetti positivi, mentre Thorolf si meritò l’appellativo di “Thorolf di Burro” dopo aver sostenuto che ogni filo d’erba islandese fosse cosparso di burro.

Nonostante il suo iniziale parere negativo sull’abitabilità dell’isola, Floki fece ritorno in Islanda qualche anno dopo, vivendo nella terra dei ghiacci fino al giorno della sua morte. La valle in cui stabilì la propria dimora porta ancora oggi il suo nome: Flókadalur, la Valle di Floki.

Flókadalur, la Valle di Floki
Flókadalur, la Valle di Floki

Il viaggio di Floki ispirò molti norreni: il primo abitante permanente d’Islanda, Ingólfur Arnarson, prese il mare in compagnia della moglie e del fratello dopo aver sentito della scoperta di una nuova isola nell’Atlantico da parte di Flóki Vilgerðarson.

Nell’anno 874 raggiunse l’Islanda per fuggire ad una faida iniziata in terra norvegese, trovò la baia che Floki aveva scoperto nel corso del suo primo viaggio e fondò la città di Reykjavík.

17 exhibits from the Icelandic Sagas
Hrafna-Flóki Vilgerðarson
Landnámabók – Fyrsti hluti

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