trappole per pesci – VitAntica https://www.vitantica.net Vita antica, preindustriale e primitiva Thu, 01 Feb 2024 15:10:35 +0000 it-IT hourly 1 Pesca con aquilone e tela di ragno https://www.vitantica.net/2019/05/15/pesca-aquilone-ragnatela/ https://www.vitantica.net/2019/05/15/pesca-aquilone-ragnatela/#respond Wed, 15 May 2019 00:10:20 +0000 https://www.vitantica.net/?p=4146 Alcuni metodi di pesca tradizionale sono stati ampiamente esplorati da antropologi, appassionati di sopravvivenza, programmi tv e questo stessso blog: pesca con il veleno, con il cormorano, o tramite trappole da pesca anche molto elaborate.

Non molti esperti o semplici appassionati, tuttavia, si sono soffermati ad approfondire l’efficacia di un metodo di pesca ben poco ortodosso: la pesca con l’aquilone sfruttando ragnatele come esca.

La pesca con l’aquilone

La pesca con l’aquilone è una tecnica che prevede l’utilizzo di un’esca ancorata ad un oggetto che sfrutta il vento per rimanere sospeso in aria. L’ esca, viaggiando a poca distanza dalla superficie dell’acqua e muovendosi sotto il comando del pescatore, sembra possedere un’attrattiva particolare agli occhi della fauna ittica, specialmente di alcune specie che non temono di lanciarsi fuori dall’acqua per ottenere cibo.

La pesca con l’aquilone, per quanto apprentemente complessa, fornisce due sostanziali vantaggi: a chi non dispone di una barca, consente di pescare in acque troppo profonde per una pesca in solitario; per cui invece possiede un’imbarcazione, apre la strada alla pesca in zone non sicure da navigare, come secche o barriere coralline.

La pesca con l’aquilone è considerata oggi una tecnica prettamente sportiva: in Florida e nei Caraibi viene utilizzata con un’esca viva per attrarre i pesci vela, ma può essere facilmente adattata alla pesca di tonni, mahi-mahi e cernie.

Sull’isola di Tobi, un piccolo atollo nella Repubblica di Palau popolato da circa 30 persone, la pesca con l’aquilone è un’attività tradizionale che consente di portare a casa una sana dose di proteine.

A differenza della pesca sportiva moderna, tuttavia, i pescatori dell’isola usano aquiloni creati con materiali naturali, e un’esca composta da tela di ragno.

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Tela di ragno come esca

Gli aquiloni di Tobi Island vengono realizzati tradizionalmente con foglie larghe dell’albero del pane a cui viene fissato un telaio di fronte di palma da cocco. Sempre grazie alla palma da cocco, gli abitanti dell’isola dispongono anche di ottimo materiale per costruire cordame: la fibra di cocco è perfetta per fabbricare lenze resistenti.

Il pescatore deve costantemente regolare l’altezza dell’aquilone in base all’andamento dei venti. In presenza di venti deboli l’aquilone viene mantenuto ad una quota di circa 20 metri di altezza sul mare, ma venti più forti possono far salire la quota fino a 100 metri di altezza.

Gli abitanti di Tobi Island producono aquiloni diversi in base ai venti che dovranno affrontare e al comportamento desiderato: facendo piccole incisioni sulla foglia che genera portanza, o creando aquiloni asimmetrici, i pescatori possono imporre una direzione predominante alla lenza, o farla volare più in alto o più in basso.

Il pescatore può manovrare l’aquilone sia dalla spiaggia sia a bordo di una canoa. Nel secondo caso, la corda che consente di manovrare l’aquilone verrà trattenuta tra i denti, lasciando libere le mani per governare l’imbarcazione fino al momento della cattura.

Alcuni design di aquiloni utilizzati tradizionalmente dai pescatori del Pacifico.
Alcuni design di aquiloni utilizzati tradizionalmente dai pescatori del Pacifico.

L’obiettivo principale degli abitanti dell’isola sono le aguglie, pesci dell’ordine Beloniformes che possono raggiungere anche i 150 centimetri di lunghezza. Ma per catturare questi pesci è necessaria un’ esca insolita: tela di ragno.

I pescatori prelevano circa 6 ragnatele prodotte da una specie locale di ragno, utilizzando un bastoncino a forma di Y; dopo averla annodata per farle assumere una forma simile a quella di un cappio, il bastoncino viene rimosso e la tela applicata alla lenza.

L’esca di tela di ragno e i movimenti che effettua sulla superficie dell’acqua imitano un pesce che tenta di eludere un predatore. Questo comportamento sembra scatenare la curiosità delle aguglie: non appena il pesce afferra l’esca, i suoi denti rimangono intrappolati dai filamenti di tela di ragno fino a quando il pescatore non recupererà il pescato.

La pesca con l’aquilone viene generalmente condotta in solitario nei pressi della barriera corallina, a patto che il vento sia favorevole. Usando la tela di ragno come esca, in poche ore un pescatore esperto può catturare 10-30 aguglie.

Metodo di pesca comune nel Pacifico

La pesca con l’aquilone non è una prerogativa di Tobi Island. Diverse cultura tradizionali del Pacifico e dell’ Oceano Indiano sono note per utilizzare gli aquiloni per la cattura del pesce: nello stato di Sonsorol, ad esempio, si usano aquiloni equipaggiati con esche di pelle di squalo per la pesca dei pesci volanti.

Sull’isola di Merir viene invece impiegata la stessa tecnica usata su Tobi Island, mentre a Fais Island si usano come esca le “vene di squalo essiccate” per la pesca alle aguglie.

Gli abitanti di Sonsorol hanno tentato di introdurre sulle loro isole i ragni che vivono a Tobi e Merir per poter utilizzare la loro tela, apparentemente l’esca più efficace per la cattura delle aguglie perchè si aggroviglia alla perfezione tra i piccoli denti del pesce.

Pesca con aquilone

Nonostante l’ecosistema sostanzialmente identico, l’introduzione dei ragni da Tobi non ha avuto successo; i pescatori delle isole di Sonsorol usano quindi un materiale di seconda scelta, il tessuto connettivo che si trova appena sotto la pelle degli squali limone.

Nella Penisola di Huon in Nuova Guinea, gli abitanti non solo costruiscono aquiloni per la pesca, ma usano canne di bambù per manovrarli meglio, una variante della pesca con l’aquilone osservata anche sull’isola di Tobi.

In tutta l’Indonesia la pesca con l’aquilone sembra aver riscosso un particolare successo nei secoli passati, tanto da essere sfruttata anche per la caccia. Le caverne di Pangandaran, sull’isola di Java, ospitano un’ enorme popolazione di volpi volanti, pipistrelli frugivori particolarmente grandi; per catturali, gli abitanti locali si servono di aquiloni muniti di ami multipli per catturare i pipistrelli durante la loro uscita quotidiana dalla caverna, al tramonto.

This Ingenious and Singular Apparatus: Fishing Kites of the Indo-Pacific
Kiteline
Flying a kite and catching fish in the Ternate panorama of 1600 (PDF)

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Trappole da pesca https://www.vitantica.net/2017/11/22/trappole-da-pesca/ https://www.vitantica.net/2017/11/22/trappole-da-pesca/#comments Wed, 22 Nov 2017 16:00:42 +0000 https://www.vitantica.net/?p=628 Le trappole da pesca sono stati probabilmente i primi strumenti utilizzati nell’antichità per la cattura di specie acquatiche. Ogni cultura del mondo ha sviluppato e perfezionato le sue versioni di trappole per pesci nel corso dei millenni passati, finendo per ottenere design molto simili tra loro e utilizzando materiali dalle  proprietà meccaniche molto simili (roccia per costruire dighe, vimini e rami per flessibilità e resistenza a torsione) disponibili in quasi tutte le regioni del mondo.

Le prime trappole da pesca furono probabilmente di tipo permanente, piccole dighe composte da pietre e costruite lungo coste di mari o laghi, oppure in piccole insenature di letti fluviali. Ideate per rimanere sotto la superficie dell’acqua durante l’alta marea, queste trappole confinavano il pesce all’interno del recinto di roccia non appena la marea raggiungeva il suo punto più basso.

Successivamente fecero la loro comparsa design più elaborati e materiali più comodi da lavorare e trasportare rispetto alla pietra, come legno e vimini. Ogni trappola richiedeva l’adozione di una particolare strategia di pesca, talvolta molto elaborata, per riuscire ad ingannare anche il pesce più intelligente.

 

Trappola a diga
Trappole di pietra di Brewarrina costruite dagli aborigeni australiani
Trappole di pietra di Brewarrina costruite dagli aborigeni australiani

La storia delle trappole che sfruttano le fasi della marea risale addirittura all’ Homo pre-sapiens, ma la più antica testimonianza archeologica di una diga per pesci costruita dall’uomo moderno risale a circa 8.000 anni fa ed è stata scoperta in Irlanda.

Le dighe di Mnjikaning, in Canada, appartengono invece ad uno dei sistemi di sbarramento più complessi mai visti nell’antichità: furono costruite oltre 5.000 anni fa dai nativi Uroni e Mohawk per catturare svariate specie di pesci d’acqua dolce e rimasero in uso fino ai primi anni del 1700.

Il popolo Yaghan, che vive nella Isla Grande de Tierra del Fuego, sono abili costruttori di dighe di roccia adibite alla cattura di pesce d’acqua dolce. Nell’arco degli ultimi 10.000 anni hanno realizzato complessi sistemi di sbarramento, alcuni visibili ancora oggi nel sito archeologico Bahia Wulaia Dome Middens.

Trappola per pesci realizzata con rami
Trappola per pesci realizzata con rami

Su scala più ridotta, piccole dighe di pietra o legno erano un mezzo molto comune per intrappolare la cena. La trappola più semplice consisteva nell’utilizzare rametti infilati verticalmente nella sabbia per creare una gabbia dotata di un’apertura ad imbuto che facilita l’entrata di pesci e crostacei ma rende difficoltosa l’uscita. Queste trappole non costringono all’attesa del cambiamento di marea per funzionare e sono facilmente realizzabili con pochissimo dispendio di energie.

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Trappola per polpi

Comune in molte regioni del mondo, dal Giappone all’Antica Grecia, veniva generalmente realizzata utilizzando un vaso di terracotta o di pietra dall’imboccatura stretta che veniva depositato sul fondale per qualche giorno: il polpo entrava nella trappola per utilizzarla come rifugio durante i momenti di inattività, rendendo quindi inutile l’utilizzo di un’ esca ma sfruttando la trappola stessa come esca. Quando la trappola veniva sollevata dal fondale, il polpo generalmente non tentava la fuga, ritenendosi al sicuro da qualunque attacco.

 

Nassa

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In Nuova Zelanda, i Maori usavano le hinaki (“vasi per anguille”) per catturare l’anguilla, una delle loro prede tradizionali. Gli hinaki disponevano di una sola entrata e venivano posizionati con l’apertura che puntava a valle: le anguille, dopo aver fiutato l’esca all’interno della trappola, nuotavano controcorrente infilandosi nella stretta apertura ad imbuto rimanendo intrappolate nel canestro.

La trappola era realizzata usando i rami forti ed elastici della pianta Lygodium articulatum, sufficientemente flessibili da essere piegati senza rompersi; l’ingresso a imbuto, studiato per facilitare l’entrata ma impedire l’uscita, era composto da punte di legno ripiegate verso l’interno.

Nassa in vimini
Nassa in vimini

Questo design è estremamente comune in tutto il mondo ed è stato modificato e migliorato nel corso dei millenni per arrivare alla nassa moderna. Svariate versioni della nassa da pesca sono state impiegate fino a tempi molto recenti da quasi ogni popolazione del pianeta perché si basa su un concetto molto semplice e ben collaudato, quello dell’imbuto: è facile entrare dall’imboccatura larga, ma difficile uscire dal becco stretto.

Nassa
Altra nassa da pesca

Le nasse erano anche facilmente trasportabili e semplici da riparare: molti dei materiali impiegati per la loro realizzazione erano abbastanza flessibili da poter mantenere la forma originale anche dopo essere stati piegati e legati allo scopo di trasportarli più agevolmente.

La nassa da pesca era sostanzialmente una versione primitiva e meno versatile delle future reti da pesca, la cui comparsa fu legata alla lavorazione di fibre resistenti, sottili e molto più flessibili di vimine e strisce di corteccia.

 

Reti da posta o da lancio

I più antichi resti di una rete da pesca risalgono a circa 10.300 anni fa e sono stati scoperti ad Antrea, Finlandia, nell’autunno del 1913. In origine, la rete era lunga dai 27 ai 30 metri e larga 1,5 metri, con maglie di circa 6 centimetri. La rete fu realizzata utilizzando il vimine, materiale abbondante proveniente dai salici che spesso crescono in prossimità di corsi e specchi d’acqua.

Rete da pesca risalente al 1850-1750 a.C.
Rete da pesca risalente al 1850-1750 a.C.

Le reti da posta sono state probabilmente il primo tipo di rete impiegato in antichità per intrappolare pesci d’acqua dolce o salata senza richiedere un intervento umano costante: è sufficiente posizionarle in punti strategici e armarsi di una buona dose di pazienza.

Rispetto alla nassa, la rete da posta impiega di solito fibre più flessibili e sottili ed è ancorata sul fondo tramite l’utilizzo di pietre o piccoli pesi di metallo, mentre la parte superiore sfrutta il galleggiamento di materiale poco denso (come legno tenero) per mantenere la rete sospesa fino alla superficie dell’acqua.

La rete da posta poteva essere distesa tra i margini di un fiume, o spostata in base alla necessità se ancorata tra due barche. Per fabbricare i galleggianti che tenevano la rete sospesa in verticale la scelta ricadde su qualunque materiale dotato di un peso specifico molto basso come sughero, corteccia di betulla, sfere di vetro o legno di balsa.

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La rete da lancio fu invece una rete ideata per ripetuti lanci e recuperi della trappola: non appena il pescatore individuava pesce da catturare, lanciava la rete per circondare la preda, chiudendola non appena raggiungeva la profondità desiderata utilizzando la fune che ne permetteva il recupero. Queste reti funzionavano meglio in acque prive di ostruzioni e non più profonde del raggio della rete stessa.

 

Cheena vala, o reti cinesi
Cheena vala
Cheena vala

In India, i Cheena vala sono reti da pesca manovrate tramite una struttura fissa di legno che sorregge una grossa canna da pesca. Le strutture, alte anche più di 10 metri e dotate di una rete larga circa 20 metri, erano manovrate da un gruppo di 3-6 persone: una era addetta ad abbassare la rete sfruttando il bilanciamento del proprio corpo e ad indicare al resto del gruppo il momento adatto per sollevarla.

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