spada – VitAntica https://www.vitantica.net Vita antica, preindustriale e primitiva Thu, 01 Feb 2024 15:10:35 +0000 it-IT hourly 1 “Le 12 Regole della Spada”: la scuola di scherma Ittō-ryū https://www.vitantica.net/2019/07/17/12-regole-della-spada-la-scuola-di-scherma-itto-ryu/ https://www.vitantica.net/2019/07/17/12-regole-della-spada-la-scuola-di-scherma-itto-ryu/#respond Wed, 17 Jul 2019 14:10:29 +0000 https://www.vitantica.net/?p=4367 Tradotto recentemente da Eric Shahan, autore specializzato nella traduzione di testi marziali giapponesi, “12 Regole della Spada” (che potete acquistare su Amazon seguendo il link alla fine del post) è un testo che racchiude gli insegnamenti di Itō Ittōsai, uno dei più celebri samurai della storia giapponese.

Chi è Itō Ittōsai Kagehisa

Musashi Miyamoto è certamente un nome noto anche ai meno appassionati di arti marziali giapponesi. Itō Ittōsai, pur non evocando nulla nella memoria della maggior parte di noi, è in realtà considerato uno dei più grandi spadaccini di tutti i tempi.

Nato intorno al 1560 e morto dopo la metà del 1600, Ito Yagoro (il suo vero nome; Itō Ittōsai Kagehisa è un bugo, un “nome marziale”) approdò sulla spiaggia del piccolo villaggio costiero di Izu all’età di 14 anni aggrappato ad un pezzo di legno. Nessuno del villaggio sapeva chi fosse, ma ben presto il ragazzino si guadagnò la fiducia degli abitanti mettendo in fuga un gruppo di banditi.

Gli abitandi di Izu si affezionarono a lui, assecondando il suo desiderio di diventare un grande spadaccino e pagandogli un viaggio in cerca di un maestro. Una volta raggiunto il santuario di Tsurugaoka Hachimangu e aver reso omaggio agli dei, Yagoro iniziò a fare pratica con la spada sotto la guida di Kanemaki Jisai (scuola Chujo-ryu) e a porre le basi della sua futura tecnica di scherma.

Per ottenere la fama che desiderava, Yagoro intraprese il “viaggio del guerriero” (musha shugyo) e partecipò a 33 duelli senza uscirne mai sconfitto. Armato della sua katana prodotta dalla celebre scuola Ichimonji, si fece spazio tra i più grandi combattenti della storia giapponese fino a fondare la sua scuola, la Ittō-ryū.

La scuola Ittō-ryū
Tavoletta di legno del periodo Meiji che mostra due combattenti della scuola Hokushin Ittō-ryū che si affrontano al Chiba-Dōjō
Tavoletta di legno del periodo Meiji che mostra due combattenti della scuola Hokushin Ittō-ryū che si affrontano al Chiba-Dōjō

Secondo diverse leggende sulla vita di Itō Ittōsai, il primo pilastro della sua scuola di scherma fu posto mentre si trovava al santuario di Tsurugaoka Hachimangu: subendo un attacco improvviso da parte di un aggressore che voleva sconfiggerlo, Ittosai estrasse istintivamente la sua spada e colpì l’avversario senza pensare, uccidendolo con un solo colpo.

Non riuscendo a decifrare il suo gesto, Ittosai lo descrisse come Musoken, una tecnica non difensiva o offensiva, ma un gesto spontaneo azionato dall’istinto e che non prevede pensieri, una tecnica così efficace da anticipare il movimento del suo avversario.

Dopo aver acquisito esperienza sul campo, Itō Ittōsai unì ciò che aveva appreso della scuola Chujo-ryu con le tecniche elaborate durante i suoi duelli per creare il suo personale sistema di kenjutsu, Ittō-ryū (“Style a Una Spada”), con il motto itto sunawachi banto (“Una spada genera 10.000 spade”).

La scuola Ittō-ryū si è ramificata numerose volte durante il passare dei secoli, ma sia l’originale (Ono-ha Ittō-ryū) che le scuole da essa derivate continuano a sopravvivere ancora oggi. La Ono-ha Ittō-ryū, fondata dal successore diretto (Ono Jiroemon Tadaaki) di Itō Ittōsai, conta oltre 150 tecniche di spada lunga o corta e fu codificata e riassunta nell’opera “12 Regole della Spada”.

“Le 12 Regole della Spada”

Il testo non è puro manuale di scherma, ma contiene anche qualche elemento magico-superstizioso che, secondi gli autori, avrebbe aiutato uno spadaccino ad ottenere la vittoria in un duello.

In particolare sono presenti due preghiere magiche, una delle quali prevede di disegnare caratteri in sanscrito sui palmi delle mani (incluso un carattere che rappresenta un oni, un tipo di demone shintoista), unire le mani, recitare la preghiera e, al termine, ruotare le mani emettendo il suono “Un!”.

Queste preghiere sono una sorta di autoipnosi, un rituale di meditazione che consente di focalizzare i sensi prima di una battaglia per poter reagire istintivamente e fulmineamente ad ogni stimolo.

Kiriotoshi

Il kiriotoshi è un concetto fondamentale per la scuola Ono-ha Ittō-ryū e prevede che sia l’avversario a fare la prima mossa. Il praticante di Ittō-ryū attende che il nemico sviluppi il suo attacco, per poi contrattaccare lungo la linea mediana prima che l’avversario possa completare il suo attacco.

Molte delle tecniche kiriotoshi contemplano un attacco al polso o all’avambraccio per annullare l’abilità avversaria nel maneggiare la spada. Altre invece anticipano il movimento avversario senza attendere lo sviluppo di un attacco, ma al momento stesso in cui l’opponente inizia il suo movimento.

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Gli occhi del cuore

Una delle 12 regole menzionate nel testo viene definita “gli occhi del cuore”. Secondo la traduzione di Eric Shahan, la regola sostiene che “non si dovrebbe guardare l’avversario con gli occhi, ma con lo spirito…se si osserva con gli occhi si può essere distratti, ma se si guarda con la mente si rimane concentrati”.

I samurai che padroneggiano la regola degli “occhi del cuore” potevano ottenere abilità che, nel XVII secolo, venivano considerate ai limiti del soprannaturale. “In quei tempi, poteva sembrare che chiunque padroneggiasse questa tecnica avesse poteri soprannaturali” sostiene Shahan.

Ovviamente non c’è nulla di estraneo alla sfera naturale: si tratta solo di tempi di reazione fulminei frutto di un duro e meticoloso addestramento. “La spiegazione” continua Shahan, “è che si reagisce più velocemente a movimenti nel campo visivo periferico rispetto a quelli di fronte a noi. Osservando direttamente la spada di un avversario e registrando coscientemente un movimento per tentare di rispondere non fa ottenere buoni risultati in un duello”.

“Al contrario, consentire all’avversario di essere nel proprio campo visivo senza focalizzarsi su qualcosa di specifico permette alla visione periferica di reagire ad ogni movimento o attacco, più velocemente rispetto all’osservazione diretta del nemico”.

Il cuore della volpe

Questa regola avverte il samurai che la cautela eccessiva è spesso controproducente. Le volpi, come osserva l’autore, “invece di fuggire in una direzione, si fermano ogni tanto per controllare se qualcuno è dietro di loro. Durante una di queste pause, il cacciatore le circonda e le uccide. La lezione è che un eccesso di cautela porta alla fine della volpe”.

Se un samurai pensa troppo ai suoi gesti durante un combattimento, avrà incertezze ed esitazioni che potrebbero costargli la vita. “L’avversario sceglierà quel momento per attaccare” spiega Shahan. “E’ essenziale che si rimuova ogni dubbio dalla propria tecnica. Occorre addestrarsi vigorosamente per creare il vuoto dentro se stessi”.

Il pino nel vento

Secondo Itō Ittōsai, la “distanza è l’elemento più importante in un combattimento. Quando la nostra mente è focalizzata sulla distanza, non possiamo rispondere con completa libertà. Quando siamo distaccati dal concetto di distanza, la distanza è perfetta”.

“12 Regole della Spada” non descrive una procedura di addestramento per adattarsi alla distanza e al ritmo di un avversario, ma solo lo stato mentale ideale per mantenere una distanza corretta dal nemico e non essere coinvolto nel suo ritmo.

Nella regola del “pino nel vento”, l’autore ricorda al lettore che occorre non essere travolti dal ritmo avversario, ma nemmeno imporre il proprio: bisogna essere senza ritmo per poter reagire con prontezza fulminea ad ogni circostanza.

The Twelve Rules of the Sword
Samurai Text Tells Secrets of Sword-Fighters’ ‘Supernatural Powers’
Ono-ha Itto-ryu’s “kiriotoshi”: An “invincible” technique, born in the battlefield

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Katana: storia e curiosità sulla più celebre spada giapponese https://www.vitantica.net/2018/12/26/katana-storia-curiosita-spada-giapponese/ https://www.vitantica.net/2018/12/26/katana-storia-curiosita-spada-giapponese/#respond Wed, 26 Dec 2018 00:10:56 +0000 https://www.vitantica.net/?p=3389 Sulla katana circolano storie e leggende che talvolta sfiorano l’inverosimile. Nel corso dei secoli, a queste spade sono stati attribuiti poteri quasi sovrannaturali, ma quanto c’è di vero negli aspetti più straordinari della katana?

Affrontare in modo approfondito la storia delle spade giapponesi richiederebbe interi volumi dedicati alla loro evoluzione, alle tecniche costruttive e al ruolo sociale che la katana ha ricoperto fin dall’inizio dell’età classica giapponese.

Mi limiterò, quindi, a riportare alcune informazioni e curiosità su cui basare i vostri approfondimenti personali.

Katana e spade lunghe giapponesi

La katana viene generalmente definita come una spada nihonto dalla lama leggermente curva, dal taglio singolo e dalla lunghezza di 60-70 centimetri (l’equivalente di 2 shaku – o piedi – giapponesi).

La katana non è molto differente dalla spada tachi (e come essa appartiene alla categoria generica delle “spade lunghe”, o daito), un’arma più lunga e con una curvatura della lama più pronunciata; non è raro che le due tipologie di spade giapponesi siano distinguibili solo dalla firma sul codolo (nagako).

Tipologie di katana
Tipologie e stili di katana

La veloce estrazione della katana dal suo fodero, possibile grazie alla lama generalmente più corta (e più pesante, a parità di lunghezza) di quella del tachi, era perfetta per lo stile di combattimento giapponese, in cui il colpo più veloce, generalmente un fendente, doveva essere in grado di abbattere all’istante un avversario.

Anche il modo di indossare la spada lunga subì dei cambiamenti dopo l’origine della katana: quest’arma consentiva di estrarre e colpire l’avversario in un unico gesto, a patto che fosse indossata in modo differente rispetto al tachi.

La storia della katana

La spada che oggi chiamiamo katana sembra aver assunto la sua forma definitiva verso la fine del XIV secolo. In origine fu essenzialmente un’evoluzione della spada tachi nata per rispondere all’esigenza di lame agili e versatili utilizzabili anche in spazi ristretti.

Se si parla di katane tradizionali, i metodi di produzione dell’acciaio e le tecniche costruttive non hanno subito cambiamenti o evoluzioni da almeno 500 anni; sotto molti aspetti, la katana è un “residuo fossile” del Giappone medievale.

Utilizzare il termine katana per definire ogni spada giapponese dotata di certe caratteristiche, indipendentemente dalla collocazione temporale dell’ arma in esame, non è del tutto corretto.

Come capita per i cambiamenti sociali avvenuti nelle culture presenti e passate, anche la concezione della guerra e delle armi ha attraversato periodi differenti; una katana prodotta prima dell 1573 (periodo Muromachi) veniva realizzata utilizzando tecniche costruttive differenti rispetto ad una katana prodotta in tempi relativamente moderni.

Evoluzione della katana nel corso della storia giapponese
Evoluzione della katana nel corso della storia giapponese
Periodizzazione

La produzione di spade giapponesi è stata periodizzata in sei fasi:

  • Jokoto (spade antiche fino al 900 d.C.)
  • Koto (dal 900 al 1596)
  • Shinto (1596–1780)
  • Shinshinto (1781–1876)
  • Gendaito (spade moderne, dal 1876 al 1945)
  • Shinsakuto (spade nuove, dal 1953 a oggi)

La spada tachi, nata intorno al periodo Heian (782 – 1180) dopo che i giapponesi appresero la tecnica della tempra differenziale dai cinesi, fu il primo stadio dell’evoluzione della spada lunga giapponese. Venivano indossate con il filo della lama rivolto verso il basso ed erano armi spesso impugnate da cavalieri.

Durante il periodo Kamakura (1181 – 1330) i fabbri giapponesi perfezionano l’arte costruttiva delle spade fino a formare quelle che vengono definite “Cinque Scuole” di spadai: Yamashiro, Yamato, Bizen, Soshu e Mino.

In questo periodo appaiono i primi riferimenti a due differenti stili di spada: uchigatana e tsubagatana, spade relativamente economiche destinate a guerrieri di basso rango.

Durante il periodo Muromachi (1392 – 1573) la katana divenne sempre meno un’arma da cavalleria per trasformarsi in spada da fanteria: la lama si accorciò, la curvatura fu sempre meno pronunciata e iniziò la pratica di indossarla con il filo tagliente rivolto verso l’alto.

La natura del combattimento corpo a corpo iniziò a mutare: i samurai del periodo Muromachi iniziarono ad essere coinvolti in combattimenti molto ravvicinati che richiedevano un’estrazione veloce della spada e periodi di risposta molto ridotti.

L’acciaio tamahagane
Acciaio tamahagane
Acciaio tamahagane

Ci sono dei punti in comune tra presente e passato, caratteristiche che possono definire in modo più o meno preciso una katana giapponese autentica, come il tipo di acciaio utilizzato per forgiarla.

Una katana realizzata con metodi tradizionali viene prodotta a partire dall’acciaio tamahagane, una combinazione di acciaio ad alto e basso contenuto di carbonio. Questo tipo di composizione consente di ottenere lame allo stesso tempo estremamente affilate ma difficili da rompere in combattimento.

L’acciaio tamahagane veniva prodotto tradizionalmente solo 3-4 volte all’anno tramite un processo che richiedeva 5 giorni tra la costruzione della fornace (tatara), la produzione vera e propria dell’acciaio e la pulitura finale della lega. Per ottenere circa 2 tonnellate di acciaio (delle quali solo la metà era di qualità tamahagane) venivano utilizzate 13 tonnellate di carbone e 8 di sabbia nera (satetsu).

Il processo di creazione dell’acciaio tamahagane consentiva di rimuovere parte delle impurità del metallo e controllare la quantità di carbonio nell’acciaio. Il ferro più “vecchio”, dotato di un contenuto di ossigeno più alto, era particolarmente adatto alla creazione di tamahagane e consentiva di ottenere lame forti, resistenti e flessibili.

La forgiatura di una katana
Lavorazione dell’acciaio tamahagane

Una volta acquistata una porzione di tamahagane, il fabbro iniziava a comporre un “puzzle” di frammenti di acciaio in base al contenuto di carbonio dei frammenti stessi, portando il tutto ad elevata temperatura per ottenere un lingotto lavorabile.

Il lingotto veniva allungato, martellato e piegato su se stesso diverse volte (da 10 a 16) per eliminare la maggior parte delle impurita residue che avrebbero potuto compromettere la resistenza e l’integrità della futura lama.

Per fornire ulteriore resistenza alla spada, verso il termine della forgiatura alcuni fabbri piegavano ad angolo acuto il lingotto per inserire al suo interno un pezzo di acciaio “dolce”, più morbido e meno fragile rispetto a quello esterno. In questo modo si poteva ottenere una lama dalla superficie esterna dura e dotata di un’anima interna morbida, massimizzandone la resistenza.

La tempra differenziale

Il fabbro procedeva quindi con la lavorazione del lingotto per ottenere una bozza della forma finale della spada. La curvatura della lama emergeva spontaneamente temprando l’acciaio attraverso una tecnica definita “tempra differenziale“: ogni costrutture di spade ricopriva la lama con diversi strati di un composto realizzato con argilla, acqua e ingredienti minerali (ogni artigiano aveva la sua personale ricetta), distribuendo uno spesso strato della mistura sulla superficie della lama.

L’argilla fungeva da isolante termico: dopo aver scaldato la lama, l’acciaio rovente veniva immerso in acqua e la differenza di sensibilità termica delle varie sezioni d’acciaio faceva incurvare leggermente la lama, donando alla spada la sua forma caratteristica.

Quando l’acciaio con un contenuto di carbonio pari allo 0,7% viene scaldato oltre i 750°C, diventa austenite, un materiale che cambia rapidamente struttura (diventando martensite) se raffreddato rapidamente.

Hamon sulla lama, risultato della tempra differenziale
Hamon sulla lama, risultato della tempra differenziale

Le zone della lama non coperte dalla mistura di argilla diventavano dure e rigide (martensite) a causa del repentino abbassamento di temperatura, mentre le aree coperte diventano un mix di ferrite e perlite, materiali più morbidi della martensite. Questa differenza strutturale tra le diverse regioni della lama era alla base della durezza e della flessibilità della katana.

Il risultato collaterale di questa tempra con l’argilla (chiamata tsuchioki) era la creazione di un hamon, un motivo a linee ondulate o geometriche sul filo della lama che spesso veniva utilizzato come “firma” dal costruttore.

La rifinitura della katana

La forgiatura e la tempra della lama rappresentano solo metà del processo di creazione di una spada così particolare. Il passo successivo è la pulitura e l’affilatura, operazioni che vengono eseguite da esperti artigiani che si dedicano esclusivamente al perfezionamento di una lama grezza.

Gli artigiani che si dedicano all’affilatura non partecipano alla selezione del metallo e alla sua lavorazione, ma si limitano esclusivamente al perfezionamento di una lama grezza.

L’affilatura e la pulitura di una lama dura da una a tre settimane e viene eseguita utilizzando diverse pietre abrasive dalla grana progressivamente più fine; queste pietre, tramite un processo di micro-abrasione, doneranno alla spada la lucentezza di uno specchio.

La lucentezza non è un elemento puramente estetico: una superficie liscia aiuta la lama a scivolare dolcemente all’interno di un corpo umano, evitando la tipica suzione prodotta dai tessuti viventi perforati da un corpo estraneo.

Katana: storia e curiosità sulla più celebre spada giapponese

Per dare una vaga idea di cosa comporti il processo di pulitura, ecco una brevissima sintesi: è suddiviso in due parti, Shitaji (pulitura iniziale) e Shiage (pulitura finale). Lo Shitaji richiede almeno 10-12 ore di lavoro al giorno per 4-6 giorni; durante questa fase il corpo della lama viene lavorato per lucidarlo a specchio.

Lo Shiage, invece, consiste nell’affilatura estrema del filo della lama e richiede almeno 3 giorni di lavoro. Si procede con l’affilatura tramite frammenti di pietra abrasiva sempre più piccoli e dalla grana sempre più fine, abilmente tenuti tra le dita per farli strisciare lungo il filo tagliente della katana.

Come accennato all’inizio di questo post, descrivere nel dettaglio l’intero processo di costruzione di una katana potrebbe occupare interi volumi, per cui passiamo ad alcune curiosità poco note prese dal sito “THE JAPANESE SWORD GUIDE” (vedi elenco delle fonti in fondo al post)

Come custodire correttamente una katana

Se maneggiata con poca cura, una katana può danneggiarsi irreparabilmente. La lama dovrebbe essere custodita all’interno del suo fodero in posizione orizzontale, con il filo tagliente rivolto verso l’alto.

La lama deve essere pulita e oliata a intervalli regolari: l’umidità della pelle umana potrebbe compromettere l’integrità della spada causando la formazione di ruggine. Per evitare che arrugginisca o che venga aggredita dalla muffa, una katana deve essere ispezionata di frequente ed esposta all’aria.

L’olio utilizzato durante la manutenzione della lama di una katana si chiama “choji” ed è composto da una mistura di olio minerale e olio di chiodi di garofano in rapporto 10:1 o 100:1.

Come riconoscere una katana autentica
Katana custodita al Tokyo National Museum denominata "Ishida Masamune"
Katana custodita al Tokyo National Museum denominata “Ishida Masamune”

Il primo consiglio importante è su come distinguere una lama prodotta in serie (come quelle costruite durante la Seconda Guerra Mondiale) o una replica moderna da una di stampo antico realizzata con metodi tradizionali.

Le repliche moderne sono per lo più in alluminio, per cui basta una semplice calamita per capire se si tratta di una riproduzione a basso costo. Se riuscite a trovare un numero di serie, inoltre, significa che la lama è sicuramente moderna e prodotta tramite catena di montaggio automatizzata.

Il fatto che la lama sia in acciaio, tuttavia, non garantisce la sua autenticità. E’ possibile ottenere falsi di discreta qualità in modo relativamente facile, specialmente se vengono etichettati come “armi ninja”, anche se non esiste alcuna documentazione storica che testimoni l’utilizzo di spade diverse dalla katana da parte degli shinobi giapponesi.

Se la lama presenta una grana visibile (hada), è molto probabile che sia stata realizzata a mano. Alcune spade antiche potrebbero non mostrare alcuna grana per via dell’erosione, ma un’analisi al microscopio dovrebbe poter constatare la realtà.

Occorre verificare anche la presenza dell’hamon, il motivo decorativo sul filo della lama. Le repliche e i falsi hanno una linea di tempra generalmente rettilinea, invece delle linee curve degli esemplari autentici realizzati a mano.

L’esame del codolo non è sempre risolutivo: si tratta della parte della lama in cui vengono generalmente inseriti numeri di serie, firma dell’artigiano, o marchi militari. Durante la Seconda Guerra Mondiale, molte spade furono forgiate in serie con firme false per dare più prestigio alla lama; nei secoli passati, invece, sono state prodotte numerosissime lame autentiche prive di firma.

Il test della katana: tameshigiri
tameshigiri
Tameshigiri

Secondo la pratica tradizionale del tameshigiri (“prova di taglio”), le katane venivano messe alla prova dai più forti spadaccini del periodo Edo contro sacchi di riso, bambù, tappeti arrotolati o piccole lamine d’acciaio.

Il tameshigiri prevedeva tuttavia anche l’utilizzo di bersagli umani come cadaveri o criminali condannati a morte. Se la katana si dimostrava capace di tagliare carne e ossa di un prigioniero (la potenza di taglio veniva incisa sul codolo con iscrizioni tipo “5 corpi con un colpo di taglio sul fianco“), poteva essere considerata una lama degna di nota.

Oggi i test di taglio vengono condotti su tatami arrotolati al cui interno è stato inserito un palo di bambù verde per simulare la consistenza delle ossa umane. Una lama tale da meritarsi il titolo di katana tradizionale può tagliare due o più di questi bersagli con un solo fendente, se impugnata da un abile spadaccino.

Il test della katana: kabutowari

Un altro test di taglio, praticato anche in epoca moderna, è il kabutowari, il “taglio dell’elmo”. Si tratta di colpire un elmo tradizionale kabuto con una katana, e osservare le conseguenze per valutare l’efficacia e la resistenza della spada.

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Contrariamente alla credenza comune che una katana possa facilmente tagliare un’armatura metallica, sono moltissimi gli esempi di kabutowari terminati con un catastrofico fallimento.

Decine, se non centinaia di spade si sono piegate o sono rimaste irrimediabilmente scalfite dal test contro un elmo kabuto; la produzione di acciaio secondo metodi tradizionali, specialmente in passato, non era affidabile quanto i metodi moderni e molte imperfezioni della lama tendevano a rimanere nascoste fino alla prova sul campo.

L’ultimo kabutowari noto risale al 1994, quando il maestro di spada Obata Toshishiro colpì un elmo originale del 1573-1602 con una katana shinken, lasciando uno squarcio di 13 centimetri sulla parte superiore dell’armatura senza nemmeno scalfire la superficie dell’arma.

Le katane Muramasa

La qualità di alcune katane è rimasta leggendaria, tanto da far nascere miti e superstizioni sul loro conto. Un esempio tra tutti è la spada chiamata “Nuvola Bianca”, realizzata tra il 1504 e il 1520 dal maestro Masatoshi della scuola Muramasa.

Nuvola Bianca è un perfetto esempio di lama Muramasa “maledetta” (leggi questo post sulla leggenda delle lame maledette Muramasa). Come recitava la superstizione del tempo, “una lama Muramasa ha sempre qualcosa di malvagio, e una volta che lascia il suo fodero non vi ritorna mai prima di aver visto il sangue“; una vera e propria lama demoniaca che scatenava un’incontrollabile sete di sangue nell’uomo che la impugnava.

La prova di taglio di Nuvola Bianca, effettuata nel 1659, può fornire qualche indizio sulle ragioni di una paura così irrazionale nei confronti di una semplice spada: attraversò due cadaveri come se fossero burro, fendendo inoltre quasi 30 centimetri di sabbia sotto di loro.

Katana
The Myth and the History of the Japanese Sword
THE JAPANESE SWORD GUID
Kabutowari
A sword named White Cloud

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Spade: luoghi comuni e miti da sfatare https://www.vitantica.net/2018/08/09/spade-luoghi-comuni-miti/ https://www.vitantica.net/2018/08/09/spade-luoghi-comuni-miti/#respond Thu, 09 Aug 2018 02:00:11 +0000 https://www.vitantica.net/?p=2039 Spade pesanti quanto un incudine, acciaio dalle proprietà quasi mistiche e tecniche di combattimento spettacolari ma poco pratiche. A tutto questo ci hanno abituato i film di Hollywood e Internet: sulle spade circolano preconcetti, luoghi comuni e leggende metropolitane che durano da ormai troppo tempo.

Le spade, soprattutto le spadone, sono estremamente pesanti

Come spiegato nel post “Quanto pesa una spada?“, il peso delle spade è stato per lungo tempo sopravvalutato, in particolare da persone che non hanno mai avuto l’occasione in vita loro di brandire un’ arma bianca degna di tale nome e pronta per l’uso pratico sul campo.

In realtà le spadone da combattimento, anche di dimensioni straordinarie, non superavano mai i 3,5-4 kg di peso massimo; le spade a una mano o a “una mano e mezza” pesavano invece 1,3-1,7 kg in media.

L’acciaio di una spada di ottima fattura viene piegato almeno 1000 volte

Per ottenere una stratificazione del metallo utile sia a livello strutturale che estetico, i fabbri costruttori di spade piegano il blocco di metallo grezzo su se stesso, generando “fogli” di materiale fusi tra loro.

Ma non è necessario piegare il metallo centinaia o migliaia di volte per ottenere il risultato desiderato: il numero di piegature è generalmente compreso tra le 8 e le 12, in rari casi si attesta a 16.

Si tratta in realtà di un frequente fraintendimento tra il numero di piegature dell’acciaio e il numero di strati che queste piegature generano. Provate a piegare in due un foglio di carta per 10 volte: se riuscirete nel’impresa, avrete oltre 2000 strati di carta.

Questo è ciò che succede se si prova a parare un fendente con il filo della propria spada (vedi in fondo al post).
Questo è ciò che succede, nella migliore delle ipotesi, se si prova a parare un fendente con il filo della propria spada (vedi in fondo al post).
Le migliori spade non si rompono mai

Come tutti gli oggetti che devono continuamente subire o infliggere forti impatti, qualunque spada è prima o poi destinata a rompersi: il momento potrebbe non arrivare mai nell’arco di una vita umana, ma è il destino di ogni artefatto bellico impiegato sul campo.

Inoltre, anche le spade apparentemente perfette possono nascondere problemi nella loro struttura metallica: una tempra effettuata male, ad esempio, potrebbe causare difetti strutturali che verranno alla luce solo dopo il primo, reale utilizzo.

Per verificare la qualità di una spada, occorre fletterla il più possibile senza causarne la rottura

Un concetto comune tra gli appassionati di spade moderni è che la flessibilità sia l’elemento determinante primario per una spada di qualità, ma l’atto di piegare in modo estremo la lama di una spada per dimostrarne la resistenza non fa altro che danneggiare la struttura metallica dell’arma e non costituisce uno stress-test affidabile.

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Una buona spada deve essere sicuramente flessibile, ma non deve comportarsi come una molla: un certo grado di rigidità è necessario per poter impartire colpi potenti e precisi.

Storicamente il test praticato da quasi qualunque fabbro consisteva nel colpire un blocco di legno o di ferro con la parte piatta e con il filo dell’arma, per poi procedere ad un test di flessibilità per nulla estremo come quelli praticati oggi; infine, si verificava la capacità di penetrazione dell’arma tentando di perforare un foglio metallico, pratica nota come “test di Toledo“.

Tutte le spade erano estremamente costose

Verso l’inizio del Medioevo, possedere una spada era certamente segno di benessere economico: la maggior parte delle truppe era armata di lancia o ascia, armi meno costose da realizzare e da acquistare rispetto ad una spada (richiedevano meno ferro e manodopera).

Con l’approssimarsi del Basso Medioevo invece, le spade iniziarono ad essere prodotte con metodi più economici, facendo crollare drammaticamente i pezzi: intorno al 1340 una spada economica arrivò a costare circa 6 pence, l’equivalente di circa due giorni di paga di un arciere.

Le spade erano prerogativa della nobiltà

Anche se per diverso tempo non furono armi accessibili ai ceti più bassi, le spade non furono impugnate esclusivamente da membri della nobiltà o da sovrani.

Ci sono innumerevoli testimonianze documentali che dimostrano l’uso di spade da parte di civili tra l’ XI e il XVII secolo; intorno al XVI secolo, le spade diventarono armi relativamente comuni per l’autodifesa grazie alla loro efficacia e alla loro praticità nei combattimenti a breve distanza.

Il concetto che solo i cavalieri potessero indossare una spada non è corretto, per lo meno in Europa. Chiunque fosse in grado di comprare e manutenere una spada poteva indossarla e utilizzarla in battaglia senza alcun limite di casta.

Verso la fine del XV secolo esistevano gilde dedite all’addestramento al combattimento con la spada composte principalmente da mercanti e artigiani; all’inizio del XVI secolo, portare una spada alla cintura era abbastanza comune in Europa per gentiluomini, marinai, commercianti, nobili e mercenari.

Sguscio centrale in questa replica di una spada medievale
Sguscio centrale in questa replica di una spada medievale
Il “colasangue” serviva a far defluire più facilmente il sangue nemico

Il nome più appropriato per il colasangue, la scanalatura che corre lungo il lato piatto di una lama, è sguscio.

Sebbene il sangue sia uno dei maggiori nemici di una spada (può causare l’ossidazione della lama se non rimosso dall’arma), lo sguscio aveva tutt’altro scopo: serviva ad alleggerire una spada rimuovendo materiale dalla regione della lama che avrebbe causato meno perdite nella stabilità strutturale.

Le spade di bronzo sono meno dure di quelle di ferro

Anche se è vero che il bronzo è una lega sicuramente più morbida dell’acciaio, le prime spade di ferro non avevano prestazioni molto differenti da quelle in bronzo utilizzate nei secoli precedenti: tendevano a piegarsi e avevano difficoltà a mantenere il filo.

Senza l’aggiunta della giusta quantità di carbonio durante la lavorazione, il ferro dolce non muta le sue proprietà e rimane un metallo relativamente morbido; più il contenuto di carbonio aumenta, più l’acciaio diventa duro e resistente a scapito della duttilità.

Il filo della spada è utilizzato anche per parare i colpi avversari

Non c’è alcuna prova che dimostri che il filo di una spada venisse utilizzato anche per parare i colpi dell’avversario; anzi, esiste documentazione storica che suggerirebbe proprio il contrario.

Gli schermidori preferivano di gran lunga bloccare i fendenti nemici utilizzando la parte piatta della lama o la zona dell’arma in prossimità della guardia, per evitare di compromettere il filo tagliente della spada o causarne la rottura.

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Top Myths of Renaissance Martial Arts
Understanding the Origins of Misconceptions

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Khopesh, la spada a falce dell’ antico Egitto https://www.vitantica.net/2018/07/19/khopesh-spada-falce-antico-egitto/ https://www.vitantica.net/2018/07/19/khopesh-spada-falce-antico-egitto/#comments Thu, 19 Jul 2018 02:00:47 +0000 https://www.vitantica.net/?p=1864 Il mondo antico era ricco di armi da taglio dalle forme più disparate: lame uncinate o ondulate sono solo alcune delle geometrie che gli antichi idearono per rendere più efficaci i loro strumenti di morte. Nell’elenco delle lame dalla forma insolita c’è il khopesh, una spada “a falce” in dotazione alla fanteria dell’ antico Egitto per oltre un millennio.

Struttura del khopesh

Il tipico khopesh era in bronzo (intorno al 1.200 a.C. si iniziò ad impiegare il ferro), lungo dai 50 ai 60 centimetri e dalla caratteristica lama ricurva che ricorda un falcetto, capace di offendere da un lato, contundere brutalmente dall’altro e afferrare il nemico grazie alla geometria ad uncino della sua punta.

L’origine esatta del khopesh è difficile da collocare sulla linea temporale: sappiamo che la sua prima apparizione documentata è sulla Stele degli Avvoltoi, una stele di origine sumerica risalente a circa 4.500 anni fa che rappresenta Eannatum, sovrano della città di Lagash, che impugna un khopesh.

E’ possibile quindi che la tecnologia del khopesh sia giunta in Egitto tramite i Cananei o qualche popolazione mediorientale con cui gli Egizi intrattenevano scambi commerciali.

Khopesh decorato ritrovato a Nablus e risalente al XVIII secolo a.C.
Khopesh decorato ritrovato a Nablus e risalente al XVIII secolo a.C.

Nel corso dei secoli molti faraoni sono stati ritratti mentre impugnavano un khopesh, che col tempo sostituì la mazza come simbolo di regalità, o sepolti in compagnia di alcune di queste spade.

Alcune di queste armi sono sono state affilate per l’impiego sul campo o riportano segni di usura, mentre altre sembrano essere state intenzionalmente realizzate senza un filo tagliente, suggerendo l’idea che i khopesh trovati in molte sepolture siano in realtà armi cerimoniali mai utilizzate in battaglia.

Il tipico khopesh veniva realizzato fondendo il bronzo e versando il metallo fuso in uno stampo: una volta raffreddato, lo stampo veniva aperto o rotto per estrarre la spada completa di manico, un unico blocco di bronzo che rendeva l’arma più resistente rispetto a quelle con lame innestate su impugnatura di legno o corno.

La lama del khopesh è tagliente solo nel lato esterno e periferico dell’arma (contrariamente alla falce, che ha il lato interno affilato), in corrispondenza della curvatura accentuata che dona a questa spada il suo aspetto caratteristico; il lato interno è invece arrotondato o piatto.

E’ possibile che il khopesh si sia evoluto dalle asce “epsilon“, impiegate comunemente in battaglia dalle armate mediorientali e successivamente adottate anche dagli Egizi, che le usavano manovrandole con una mano sola per avere l’altra libera di impugnare uno scudo.

Khopesh del XV secolo a.C. scoperto a Gerusalemme
Khopesh del XV secolo a.C. scoperto a Gerusalemme
Vantaggi e svantaggi del khopesh

Il khopesh è un’ arma relativamente pesante in rapporto alla sua lunghezza. Lo spessore della sezione della lama può essere considerato eccessivo per gli standard moderni e il bronzo non è affatto una lega leggera; secondo gli archeologi, il khopesh ideale dovrebbe avere un peso compreso tra i 650 e i 750 grammi per essere manovrato con precisione, ma molti esemplari superano abbondantemente questo limite supportando l’ipotesi di un uso rituale di queste armi.

La forma del khopesh non offre particolari vantaggi per l’utilizzatore: la porzione tagliente della lama è relativamente ridotta rispetto a spade ricurve come le scimitarre e la forma stessa dell’arma conferisce al khopesh un baricentro spostato verso la punta, aspetto che può rendere meno efficace un fendente.

Questo tipo di spada richiedeva inoltre una quantità superiore di metallo rispetto a lame di ferro dritte o ricurve in modo uniforme, anche se le metodologie impiegate per la fabbricazione di un khopesh erano decisamente più semplici di quelle utilizzate successivamente per la lavorazione del ferro.

Alcune delle tipologie di khopesh prodotte durante la Tarda Età del Bronzo. Fonte: The Tell Apek Khopesh
Alcune delle tipologie di khopesh prodotte durante la Tarda Età del Bronzo. Fonte: The Tell Apek Khopesh

Il khopesh forniva però un grande vantaggio nel combattimento contro un nemico armato di scudo di legno o pelle, molto usati tra le antiche popolazioni africane come i Nubiani: la porzione tagliente della lama, che appesantiva l’estremità dell’arma opposta al manico, era ideale per penetrare nel telaio di uno scudo e renderlo sostanzialmente inutilizzabile dopo pochi colpi potenti.

La replica del khopesh

Anche se interamente realizzato in bronzo, un metallo più “morbido” dell’acciaio, il khopesh era un’arma estremamente efficace per la sua epoca. Alcune riproduzioni messe alla prova su carcasse di maiale hanno dimostrato di poter infliggere profonde ferite ai tessuti molli anche se impugnate da combattenti non esperti.

Anche se non fosse stato in grado di lacerare i tessuti o le protezioni del nemico, il khopesh era comunque capace di causare traumi estesi e spesso fatali se inflitti a zone sensibili e delicate del corpo umano.

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Bronze Age Military Equipment
A Visual History of Ancient Egyptian and Mesopotamian Swords, Blade, and Axes
Warfare and Weaponry in Dynastic Egypt

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La Spada di Goujian, ancora affilata dopo 2.500 anni https://www.vitantica.net/2018/01/12/la-spada-di-goujian-ancora-affilata-dopo-2-500-anni/ https://www.vitantica.net/2018/01/12/la-spada-di-goujian-ancora-affilata-dopo-2-500-anni/#respond Fri, 12 Jan 2018 02:00:47 +0000 https://www.vitantica.net/?p=1259 Lo scorrere del tempo è spesso impietoso con gli artefatti di metallo: l’ossidazione naturale dovuta all’esposizione agli elementi, velocizzata dall’acqua e da altri fattori, tende a corrodere il metallo rendendo molti oggetti del tutto irriconoscibili o separandoli in piccoli frammenti di difficile interpretazione.

Certi oggetti tuttavia hanno resistito alla corrosione per secoli o millenni nonostante le condizioni di conservazione non ottimali. Alcuni sono ancora ben riconoscibili, altri invece sembrano addirittura appena usciti dalla fucina del fabbro: la Spada di Goujian è un esempio perfetto di oggetto metallico in condizioni straordinarie.

La spada del re Goujian

La spada di Goujian è un’arma di bronzo realizzata tra l’ VIII e il V secolo a.C. e famosa per non aver perso l’affilatura nell’arco di ben 2.500 anni. La spada risale al periodo definito “Periodo delle primavere e degli autunni” (dal 722 a.C. al 481 a.C.), una fase della storia cinese in cui iniziò il declino dell’autorità centrale dando origine alla formazione dei regni indipendenti protagonisti degli scontri avvenuti durante il Periodo degli Stati combattenti (dal 453 a.C. al 221 a.C.).

La spada di Goujian è stata scoperta nel 1965 durante alcuni sopralluoghi archeologici nella contea di Jiangling, Cina, custodita all’interno di una bara e protetta da un fodero laccato. Secondo gli storici cinesi, fu realizzata per Goujian, il sovrano del Regno di Yue e passato alla storia per la sua perseveranza nella guerra con lo Stato rivale di Wu e per aver condotto una vita vicina ai propri sudditi, condividendo le loro sofferenze in tempi di difficoltà.

La scoperta della spada di Goujian si rivelò straordinaria ancora prima di estrarre l’arma: il fodero laccato formava un sigillo quasi perfetto attorno alla spada, sigillo che ha contribuito per oltre due millenni a fermare quasi completamente l’ossidazione del bronzo.

Una volta estratta, la spada si è rivelata un oggetto più unico che raro: la lama è finemente decorata da motivi romboidali gialli e scuri, da una dedica al sovrano di Yue ed è tutt’oggi affilata come se fosse appena stata prodotta.

Significato delle iscrizioni della Spada di Goujian
Significato delle iscrizioni della Spada di Goujian
Le caratteristiche della spada di Goujian

La spada di Goujian è lunga in totale 55,6 centimetri, con un’elsa di 8,4 centrimetri di lunghezza e un peso totale di 875 grammi. L’impugnatura è avvolta in filo di seta e decorata con cristalli blu e turchesi, mentre il pomolo è composto da 11 anelli concentrici.

Alla base dell’arma, la lama è larga 4,6 centimetri e non mostra alcuna opacizzazione a causa dell’ossidazione, un mistero svelato qualche anno dopo la scoperta dagli scienziati della Fudan University: la lama non è una semplice lega di rame e stagno, ma è stata realizzata utilizzando leghe di bronzo differenti per le varie parti dell’arma:

  • Corpo della lama: 80% rame, 18,8 % stagno, 0,4% piombo, 0,4% ferro
  • Rombi gialli: 83,1% rame, 15,2% stagno, 0,8% piombo, 0,8% ferro
  • Zone scure: 73,9% rame, 22,8% stagno 1,4% piombo, 1,8% ferro, tracce di zolfo e arsenico
  • Doppio filo: 57,3% rame, 29,6% stagno, 8,7% piombo, 3,4% ferro, 0,9% zolfo, tracce di arsenico
  • Cresta centrale: 41,5% rame, 42,6% stagno, 6,1% piombo, 3,7% ferro, 5,9% zolfo, tracce di arsenico

Il corpo principale dell’arma è quindi principalmente di rame, rendendola più morbida e meno predisposta a frantumarsi: il bronzo con alto contenuto di rame tende ad essere più morbido di quello con alto contenuto di stagno.

Il doppio filo della spada invece contiene una maggiore quantità di stagno, diventando più duro e capace di mantenere l’affilatura più a lungo. Lo zolfo infine diminuisce la possibilità che le iscrizioni e le decorazioni si possano ossidare.

Spada di Goujian

L’apice della lavorazione del bronzo

Durante il periodo in cui fu realizzata la spada di Goujian (probabilmente intorno al VI-V secolo), la Cina aveva quasi raggiunto l’apice nella costruzione di spade di bronzo elaborando alcune tecniche spesso sconosciute in altre parti del mondo, come l’utilizzo di strati metallici di diversa composizione per aumentare la resistenza dell’arma.

Un altro aspetto unico delle spade di bronzo cinesi risalenti a questa epoca è l’uso di grandi quantità di stagno (dal 17% al 21%) per realizzare leghe molto dure e fragili che non si piegano (ma si frammentano) se sottoposte a stress.

Su un lato della spada di Goujian è presente un’iscrizione composta da 8 caratteri, un sigillo di dedica che recita:

Questa spada è stata fatta per l’uso personale del Re di Yue Gou Jiian

Lancia di Fuchai
Lancia di Fuchai

La spada di Goujian sembra essere connessa con un altro artefatto dello stesso periodo: la Lancia di Fuchai. Pare che questa lancia, realizzata con tecniche molto simili e incisa con un’iscrizione pressoché identica a quella della spada di Goujian (a parte il nome del proprietario), sia appartenuta al Re Fuchai del Regno di Wu, sovrano confinante con il Regno di Yue costretto al suicidio dopo la sconfitta delle sue armate da parte dell’esercito di Goujian.

Sword of Goujian

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