società – VitAntica https://www.vitantica.net Vita antica, preindustriale e primitiva Thu, 01 Feb 2024 15:10:35 +0000 it-IT hourly 1 L’antica grecia era davvero il “paradiso” dell’omosessualità? https://www.vitantica.net/2021/08/29/grecia-antica-paradiso-omosessualita/ https://www.vitantica.net/2021/08/29/grecia-antica-paradiso-omosessualita/#comments Sun, 29 Aug 2021 00:10:31 +0000 https://www.vitantica.net/?p=4363 Secondo una concezione largamente diffusa e comunemente accettata dall’opinione pubblica moderna, l’antica Grecia era un luogo in cui vigevano pochi tabù, specialmente per quanto riguarda l’omosessualità.

Per molto tempo si è ritenuto che la Grecia dell’età classica fosse un vero e proprio territorio franco sul tema dei rapporti omosessuali: Alessandro Magno ha spesso dimostrato di apprezzare entrambi i sessi, mentre il rapporto tra Achille e Patroclo è sempre stato osservato nell’ottica di una relazione sentimentale tra due uomini, per giunta congiunti da un legame di parentela.

La realtà, come spesso accade, è più complessa e spesso prona all’interpretazione scorretta di fonti scelte selettivamente per creare un’immagine della Grecia antica che ben poco ha a che vedere con la vita quotidiana degli abitanti dell’Ellade.

Quando nasce l’idea della “Grecia omosessuale”

L’idea che in Grecia fosse comune intrattenere rapporti omosessuali è vecchia di circa 200 anni ed è entrata a far parte del “sapere comune” grazie a due personalità di spicco: Oscar Wilde e Kenneth Dover, autore del libro “Greek Homosexuality” pubblicato nel 1978.

In occasione del suo processo del 1895, Oscar Wilde pronunciò il celebre discorso “Love that Dare Not Speak Its Name” in cui tentava di spiegare il ritrovamento della stessa frase in alcuni versi composti dal suo compagno Alfred Douglas.

What is thy name?’ He said, ‘My name is Love.’
Then straight the first did turn himself to me
And cried, ‘He lieth, for his name is Shame,
But I am Love, and I was wont to be
Alone in this fair garden, till he came
Unasked by night; I am true Love, I fill
The hearts of boy and girl with mutual flame.’
Then sighing, said the other, ‘Have thy will,
I am the love that dare not speak its name.’

Secondo l’accusa, la frase era un esplicito riferimento al rapporto omossessuale tra Wilde e Douglas (il primo arrestato per atti di sodomia e condotta indecente); in quello che diventò un classico dell’apologia dei rapporti omosessuali, Wilde si giustificò dicendo:

“L’Amore che non osa dire il suo nome” in questo secolo, è il grande affetto di un uomo anziano nei confronti di un giovane, lo stesso che esisteva tra Davide e Gionata, e che Platone mise alla base stessa della sua filosofia, e ciò che si può trovare nei sonetti di Michelangelo e Shakespeare. E’ quel profondo affetto spirituale tanto puro quanto perfetto. Comanda e pervade le grandi opere d’arte, come quelle di Shakespeare e Michelangelo, e quelle due mie lettere […] Non c’è nulla di innaturale in ciò.

Le affermazioni di Wilde, per quanto storicamente inaccurate, non erano una novità per il tempo. Davide, Gionata, Platone, Michelangelo e Shakespeare erano nomi che circolavano di frequente tra gli omosessuali più istruiti del XIX secolo, specialmente se si trattava di riferimenti a figure dell’antica Grecia, considerata una sorta di Eden dell’omosessualità.

Verso il termine del XIX secolo, l’isola di Lesbo divenne meta di veri e propri pellegrinaggi volti a visitare la casa di Saffo, la poetessa che con i suoi versi evocò rapporti omosessuali tra donne e che fu fonte d’ispirazione di alcuni movimenti a sostegno dei rapporti non eterosessuali.

La poetessa Renée Vivien e la sua amante Natalie Barney tentarono anche di fondare una colonia sull’isola di Lesbo nel 1904 con il preciso scopo di creare un rifugio per la comunità omosessuale europea, ottenendo scarso successo soprattutto a causa dell’opposizione degli abitanti locali. Vivien fu costretta a ritirarsi a Parigi, dove continuò a coltivare il suo sogno di una “zona franca” ispirata alla Grecia classica all’interno di un salone dotato della replica di un antico tempio greco.

L’ omosessualità in Grecia

Il termine “omosessuale” è un’invenzione moderna dell’ungherese Karoly Maria Benkert, che nel 1869 coniò il termine; ma per i Greci l’omosessualità era semplicemente una sfaccettatura della sessualità, a volte accettabile, altre volte non tollerata.

Molte delle concezioni moderne dell’omosessualità nella Grecia antica si concentrano sulla cultura ateniese del IV-V secolo, momento in cui nella città l’omosessualità, specialmente quella maschile, era tollerata più che in altri periodi della sua storia.

La Grecia antica, tuttavia, non fu mai un paradiso per l’omosessualità. I Greci interpretavano la sfera sessuale in modo differente da come lo vediamo noi, badando meno al sesso biologico e più al ruolo e allo scopo del rapporto: eterosessualità e omosessualità facevano parte dello stesso ventaglio di esperienze amorose (afrodisia) ma, per quanto il rapporto tra due uomini fosse il più delle volte tollerato o accettato in determinati periodi storici e in diverse località greche, c’era una grande differenza tra il ruolo attivo o passivo degli amanti.

Ci sono moltissime testimonianze, come poemi, vasi, statue, miti, trattati filosofici, discorsi, iscrizioni, testi medici e opere teatrali, in cui viene dipinto un quadro della Grecia antica molto differente dalla quello di “utopia omosessuale”: i rapporti omosessuali vengono talvolta celebrati, ma spesso anche ignorati, scoraggiati o condannati.

Riguardo ai rapporti omosessuali veniva applicata una distinzione nel ruolo degli amanti: coloro che “ricevevano” e svolgevano un ruolo passivo nel rapporto omosessuale venivano definiti kinaidoi e tendevano ad essere stigmatizzati dalla società ateniese.

A Sparta, assumere un ruolo passivo in un rapporto omosessuale tra adulti era fonte di estrema disapprovazione e costituiva un tale segnale di debolezza da considerare l’amante alla stregua di un traditore, un uomo che accettava di essere ignobile pur di ottenere piacere sessuale.

Una volta raggiunta l’età adulta, un uomo era tenuto a mantenere e proteggere la propria mascolinità. Un ruolo di dominanza sessuale nei confronti di un partner dello stesso sesso non veniva interpretato come sconveniente, ma il ruolo opposto era invece visto come un gesto in grado di mettere a serio rischio l’onorabilità di un essere umano.

Pederastia

La pederastia greca era un fenomeno che consisteva nella relazione ritualizzata tra due maschi di differente età: un eromenos (amato), più giovane, e un erastes (amante), più avanti nell’età. Sebbene fosse un tipo di rapporto socialmente accettabile in alcune polis greche e costituisse il tipo di relazione omosessuale più diffuso nella Grecia antica, fu criticato più e più volte da letterati e filosofi del tempo.

Nell’antica Grecia il sesso veniva generalmente catalogato in base a parametri come piacere, dominanza e ruolo degli amanti, e non sul sesso biologico dell’individuo. La pederastia che sfociava in atti erotici non era quindi considerata un vero e proprio rapporto omosessuale: l’ erastes assumeva un ruolo di dominanza, continuando quindi a mantenere la sua mascolinità, mentre il giovane eromenos, per quanto passivo, si trovava in un’età di passaggio, tra gioventù ed età adulta, in cui la sua passività non veniva interpretata come sconveniente.

La pederastia non era praticata allo stesso modo in tutta la Grecia antica. In Boezia, erastes e eromenos vivevano insieme come una coppia; ad Elis e ad Atene non sempre la coppia conviveva sotto lo stesso tetto, ma il rapporto prevedeva una fase di “corteggiamento” orientato a mantenere attiva la relazione; nella Ionia invece la pederastia era quasi del tutto vietata.

Ad oggi, non sappiamo con esattezza fino a che punto si spingesse il rapporto tra eromenos e erastes. Sappiamo che poteva sfociare nell’erotismo, oppure rimanere del tutto casto, una sorta di “tutoring” di adolescenti e giovani adulti. Purtroppo quasi tutti i documenti relativi al livello di profondità dei rapporti omosessuali dell’antica Grecia sono andati distrutti.

Socrate, Platone e Senofonte non condannavano la pederastia nella sua forma più casta, ma disprezzarono espressamente ogni sua manifestazione fisica. Socrate prende in giro l’ex discepolo Crizia per la sua passione nei confronti del suo eromenos Eutidemo, manifestatasi in forma fisica; ma lo stesso filosofo era un frequentatore dei bordelli ateniesi popolati da giovani ragazzi che si prostituivano: tra loro acquistò e liberò il suo futuro allievo, Fedone di Elide.

Plutarco e Senofonte sostenevano che la pederastia spartana fosse del tutto casta, anche se è ormai certo che ci fossero circostanze in cui la relazione sfociava nella carnalità. Ad Atene, i padri incaricavano alcuni schiavi, chiamati pedagoghi, di sorvegliare i propri figli e proteggerli da tentativi inappropriati di seduzione, ma secondo Eschine erano gli stessi padri a desiderare che il figlio diventasse bello e attraente per catturare l’attenzione di un uomo potente.

Omosessualità tra commilitoni

Gli esempi di coppie di guerrieri-amanti, o di commilitoni legati da un rapporto pederasta, non sono pochi nella mitologia e nella storia greca: Achille e Patroclo, Eracle e Abdero, Oreste e Pilade, Teseo e Piritoo, Armodio e Aristogitone.

Nel Simposio di Platone, Fedro commenta la forza che esercita una relazione omosessuale tra compagni d’armi sul coraggio di uno schieramento militare. Senofonte, invece, tende a ridicolizzare i soldati spartani e tebani che avevano trasformato i loro rapporti amorosi nell’unica base di coesione dei loro schieramenti militari, pur non condannando i rapporti sentimentali tra commilitoni.

Secondo Plutarco, Epaminonda ebbe due uomini come amanti, uno dei quali perse la vita nella battaglia di Mantinea; l’amante deceduto fu sepolto insieme allo statista tebano, una pratica generalmente riservata a marito e moglie.

Questo non significa tuttavia che il rapporto amoroso tra commilitoni fosse la norma: per alcuni era semplicemente accettabile, per altri rappresentava il fondamento della forza di un esercito, per altri ancora era invece fonte di debolezza.

Il rapporto tra Achille e Patroclo, una delle più celebri coppie omosessuali della storia, non fu interpretato nell’Atene del V secolo a.C. come una semplice unione tra due persone dello stesso sesso, ma come una relazione tra commilitoni contestualizzata nella pederastia, una relazione probabilmente durata troppo a lungo e condotta a ruoli invertiti: Achille, più giovane, fu spesso interpretato come erastes in quanto eroe, ma è più probabile che fosse l’eromenos, data la maggiore età di Patroclo e l’indole giovanile e poco misurata di Achille.

Benché Omero non descriva mai esplicitamente i due guerrieri come veri e propri amanti, ma non fa nulla per escludere questo scenario. Come affermò la scrittrice italiana Eva Cantarella nel suo libro “Secondo natura. La bisessualità nel mondo antico” (Biblioteca Universale Rizzoli, Roma, 1988):

«Omero descrive amicizie maschili di intensità affettiva così forte da far inevitabilmente pensare a legami ben diversi da una semplice solidarietà fra compagni d’arme: e l’amicizia che a questo punto è quasi di prammatica citare è quella fra Achille e Patroclo. […] Il legame tra Achille e Patroclo, invece, era insostituibile: ed è non poco significativo, a questo proposito, il discorso di Teti, la madre dell’eroe, al figlio disperato ed inconsolabile: Achille, dice Teti, deve continuare a vivere e dimenticato Patroclo, deve prendere moglie “come giusto che sia”. Un rimprovero, forse? La prova che Teti riprovava l’amore omosessuale del figlio? A prima vista così potrebbe sembrare. Ma, a ben vedere, le cose stanno diversamente. Quello che risulta in realtà della parole di Teti, è che il legame con Patroclo era stata la ragione per la quale l’eroe non aveva ancora preso moglie: una conferma, dunque, del carattere amoroso del rapporto. Ma l’esortazione della madre al figlio a compiere finalmente il suo dovere sociale non è – ciononostante – una condanna assoluta della sua relazione con Patroclo. Essa sembra, piuttosto, un invito ad accettare quella che, per i greci, era una regola naturale: raggiunta una certa età, bisogna por fine alla fase omosessuale della vita e assumere il ruolo virile con una donna.»

Fonti:
Homosexuality in ancient Greece
Friday essay: the myth of the ancient Greek ‘gay utopia’
Mad about the boy
ATHENIAN LAWS ABOUT HOMOSEXUALITY
The Myth Of Homosexuality In Ancient Greece
Greek Homosexuality

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L’importanza dell’amore romantico nell’antichità https://www.vitantica.net/2020/02/24/amore-romantico-antichita/ https://www.vitantica.net/2020/02/24/amore-romantico-antichita/#respond Mon, 24 Feb 2020 00:10:58 +0000 https://www.vitantica.net/?p=2255 Segui il tuo cuore” è una delle frasi più comuni quando si parla del complesso ammasso di sentimenti che definiamo come amore romantico. In tempi moderni, l’amore romantico è considerato di primaria importanza quando ci si trova di fronte a decisioni come la scelta di un partner per la vita. Ma in passato, fino ad un periodo relativamente recente, l’unione tra uomo e donna seguiva ben altri parametri.

Gli esseri umani, contrariamente ad altri animali, si sono evoluti privilegiando l’attaccamento emotivo verso i propri simili rispetto ad altri aspetti dei rapporto interpersonali. E’ un meccanismo che ci ha consentito di sopravvivere, di prosperare, di costruire vaste comunità, rivelandosi talvolta molto più efficace di zanne, artigli o altre armi naturali.

La nostra specie (e molto probabilmente, in passato, tutti gli esponenti Homo più intellettivamente elevati) sviluppa una lealtà e un attaccamento istintivo verso persone che dimostrano lo stesso grado di attaccamento e lealtà.

Questo è sostanzialmente l’amore: dimostrare lealtà e attaccamento per altre persone fino a sottovalutare o ignorare un pericolo imminente o ad alterare la propria visuale della realtà.

Questa perdita di razionalità e oggettività è considerato oggi un valore primario, ma in passato molti hanno messo in discussione, se non addirittura criticato e condannato in modo aspro, questo tipo di sentimento.

Secondo Platone, ad esempio, la più alta forma d’amore sarebbe l’amore fraterno, un sentimento che non vede coinvolta la sessualità e che esclude la passione e il romanticismo, evitandoci di compiere gesti razionalmente ridicoli o ingiustificati.

Come Platone, molti altri antichi pensatori valutavano l’amore romantico come qualcosa di incredibilmente stupido e controproducente per la vita civile. Per buona parte della nostra storia, l’amore romantico è stato visto come una sorta di malattia, qualcosa che costringe l’essere umano a compiere atti che, razionalmente, non sognerebbe mai di compiere; molte culture trattavano l’amore romantico come un male che tutti sono destinati a provare prima o poi nel corso della propria esistenza, ma di cui tutti dovrebbero liberarsi per poter convivere con il prossimo e non perdere di vista la realtà.

Romeo e Giulietta come modello per l’irrazionalità

Storie come Romeo e Giulietta o l’Iliade non sono propriamente celebrazioni dell’amore romantico, ma una dimostrazione letteraria di come questa forma d’amore possa essere deleteria per il viver comune e civile, un messaggio chiaro sulle conseguenze nefaste dell’amore romantico e irrazionale.

Per millenni l’essere umano ha celebrato unioni tra coppie senza valutare l’amore come un requisito primario per un matrimonio felice. C’è una ragione, anzi, ci sono diverse ragioni per questo: l’amore romantico aiuta ad arare i campi o a mungere una mucca? Aiuta a pagare le imposte o ad avere figli in salute e in gran numero? Contribuisce alla protezione dei confini, alla stabilità del governo o alla tutela del nucleo familiare?

L’amore romantico porta scarsi contributi ai fattori che rendono stabile e duratura una coppia, una comunità o un intero Stato. Certo, può aiutare a sopportare meglio i difetti dell’altro, ma la realtà farà sempre capolino prima o poi, sbattendoci sul muso il fatto che gli “occhi dell’amore” avevano alterato la nostra visione della realtà.

Forza e resistenza aiutano ad arare i campi e a mantenere sano il bestiame; una buona costituzione dei genitori aumenta la percentuale di successo nell’avere figli sani; una consistente dote matrimoniale o l’attitudine a lavorare sodo erano fondamentali per la stabilità economica di una famiglia; l’unione di due nobili, non necessariamente basata sull’amore reciproco, ha contribuito per millenni alla pace di intere regioni.

La famiglia è l’unica parte razionale

E’ per questi motivi che i matrimoni passati erano organizzati dalle famiglie. Le famiglie avevano meno tendenza a provare sentimenti romantici per il partner del figlio o della figlia, erano portate a giudicare più obiettivamente il valore economico e sociale dell’unione e le conseguenze che un matrimonio poteva avere sui due gruppi familiari coinvolti.

Il matrimonio per scopi puramente economici ha contribuito a promuovere la sopravvivenza di interi clan e l’amore romantico rappresentava non solo uno spiacevole inconveniente, ma anche una vera e propria minaccia alla sopravvivenza della comunità.

Non deve sorprendere che all’origine di tutti i matrimoni, indipendentemente dalla cultura e dai diritti goduti dalle donne, ci sia un contratto tra moglie e marito. I due contraenti definivano una serie di regole che la logica e il buon senso dell’epoca ritenevano le più adeguate per garantire la sopravvivenza del clan o della famiglia d’appartenenza.

Questo tuttavia non significa che la parola “amore” fosse un tabù in passato. La definizione di questo sentimento è stata fatta da moltissimi pensatori antichi, ma il “vero amore” viene solitamente definito come benevolenza, supporto del partner, pietà, amore fraterno, e raramente come amore romantico nel senso moderno del termine e con accezione positiva. L’amore romantico fu spesso e volentieri considerato inopportuno, scomodo, se non addirittura pericoloso.

Irrazionalità come valore

Tutto iniziò a cambiare con la rivoluzione industriale: salari più o meno stabili, trasferimento dalle campagne alle città e lontananza dai problemi della terra resero gli individui più economicamente indipendenti dalle famiglie d’appartenenza. A questi fattori si unì anche la nascita del concetto dei diritti individuali e la sempre più smaniosa ricerca della felicità, elementi tipici del Romanticismo.

Spinti da un individualismo sempre più pronunciato, uomo e donna iniziarono a interpretare passione e idealizzazione del partner come pilastri per un rapporto inscindibile e duraturo, tralasciando il fatto che questi sentimenti sono solo la fase iniziale dell’amore e non strettamente indispensabili alla sopravvivenza di una coppia.

Il XX secolo non fece altro che cementare l’idea che l’amore romantico fosse un valore primario e fondamentale per una vita felice e realizzata. L’amore romantico divenne un vero e proprio business multimiliardario facendo leva sulle nostre passioni e sul bisogno innato di lealtà e attaccamento emotivo che ogni uomo, donna o bambino è naturalmente portato a provare.

Il XX secolo contribuì anche a creare un’idea dell’amore romantico del tutto lontana dalla realtà: una relazione, per funzionare, deve basarsi su presupposti come l’affidabilità, la fiducia giustificata, la responsabilità, la tolleranza e una visione oggettiva e condivisa della realtà; tutti elementi che iniziano a fare capolino quando la cortina fumogena amorosa si dirada, mostrandoci la realtà in tutta la sua potenza e facendo sgretolare l’idealizzazione del partner tipica dell’amore romantico.

A BRIEF HISTORY OF ROMANTIC LOVE AND WHY IT KIND OF SUCKS

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