katana – VitAntica https://www.vitantica.net Vita antica, preindustriale e primitiva Thu, 01 Feb 2024 15:10:35 +0000 it-IT hourly 1 Katana: storia e curiosità sulla più celebre spada giapponese https://www.vitantica.net/2018/12/26/katana-storia-curiosita-spada-giapponese/ https://www.vitantica.net/2018/12/26/katana-storia-curiosita-spada-giapponese/#respond Wed, 26 Dec 2018 00:10:56 +0000 https://www.vitantica.net/?p=3389 Sulla katana circolano storie e leggende che talvolta sfiorano l’inverosimile. Nel corso dei secoli, a queste spade sono stati attribuiti poteri quasi sovrannaturali, ma quanto c’è di vero negli aspetti più straordinari della katana?

Affrontare in modo approfondito la storia delle spade giapponesi richiederebbe interi volumi dedicati alla loro evoluzione, alle tecniche costruttive e al ruolo sociale che la katana ha ricoperto fin dall’inizio dell’età classica giapponese.

Mi limiterò, quindi, a riportare alcune informazioni e curiosità su cui basare i vostri approfondimenti personali.

Katana e spade lunghe giapponesi

La katana viene generalmente definita come una spada nihonto dalla lama leggermente curva, dal taglio singolo e dalla lunghezza di 60-70 centimetri (l’equivalente di 2 shaku – o piedi – giapponesi).

La katana non è molto differente dalla spada tachi (e come essa appartiene alla categoria generica delle “spade lunghe”, o daito), un’arma più lunga e con una curvatura della lama più pronunciata; non è raro che le due tipologie di spade giapponesi siano distinguibili solo dalla firma sul codolo (nagako).

Tipologie di katana
Tipologie e stili di katana

La veloce estrazione della katana dal suo fodero, possibile grazie alla lama generalmente più corta (e più pesante, a parità di lunghezza) di quella del tachi, era perfetta per lo stile di combattimento giapponese, in cui il colpo più veloce, generalmente un fendente, doveva essere in grado di abbattere all’istante un avversario.

Anche il modo di indossare la spada lunga subì dei cambiamenti dopo l’origine della katana: quest’arma consentiva di estrarre e colpire l’avversario in un unico gesto, a patto che fosse indossata in modo differente rispetto al tachi.

La storia della katana

La spada che oggi chiamiamo katana sembra aver assunto la sua forma definitiva verso la fine del XIV secolo. In origine fu essenzialmente un’evoluzione della spada tachi nata per rispondere all’esigenza di lame agili e versatili utilizzabili anche in spazi ristretti.

Se si parla di katane tradizionali, i metodi di produzione dell’acciaio e le tecniche costruttive non hanno subito cambiamenti o evoluzioni da almeno 500 anni; sotto molti aspetti, la katana è un “residuo fossile” del Giappone medievale.

Utilizzare il termine katana per definire ogni spada giapponese dotata di certe caratteristiche, indipendentemente dalla collocazione temporale dell’ arma in esame, non è del tutto corretto.

Come capita per i cambiamenti sociali avvenuti nelle culture presenti e passate, anche la concezione della guerra e delle armi ha attraversato periodi differenti; una katana prodotta prima dell 1573 (periodo Muromachi) veniva realizzata utilizzando tecniche costruttive differenti rispetto ad una katana prodotta in tempi relativamente moderni.

Evoluzione della katana nel corso della storia giapponese
Evoluzione della katana nel corso della storia giapponese
Periodizzazione

La produzione di spade giapponesi è stata periodizzata in sei fasi:

  • Jokoto (spade antiche fino al 900 d.C.)
  • Koto (dal 900 al 1596)
  • Shinto (1596–1780)
  • Shinshinto (1781–1876)
  • Gendaito (spade moderne, dal 1876 al 1945)
  • Shinsakuto (spade nuove, dal 1953 a oggi)

La spada tachi, nata intorno al periodo Heian (782 – 1180) dopo che i giapponesi appresero la tecnica della tempra differenziale dai cinesi, fu il primo stadio dell’evoluzione della spada lunga giapponese. Venivano indossate con il filo della lama rivolto verso il basso ed erano armi spesso impugnate da cavalieri.

Durante il periodo Kamakura (1181 – 1330) i fabbri giapponesi perfezionano l’arte costruttiva delle spade fino a formare quelle che vengono definite “Cinque Scuole” di spadai: Yamashiro, Yamato, Bizen, Soshu e Mino.

In questo periodo appaiono i primi riferimenti a due differenti stili di spada: uchigatana e tsubagatana, spade relativamente economiche destinate a guerrieri di basso rango.

Durante il periodo Muromachi (1392 – 1573) la katana divenne sempre meno un’arma da cavalleria per trasformarsi in spada da fanteria: la lama si accorciò, la curvatura fu sempre meno pronunciata e iniziò la pratica di indossarla con il filo tagliente rivolto verso l’alto.

La natura del combattimento corpo a corpo iniziò a mutare: i samurai del periodo Muromachi iniziarono ad essere coinvolti in combattimenti molto ravvicinati che richiedevano un’estrazione veloce della spada e periodi di risposta molto ridotti.

L’acciaio tamahagane
Acciaio tamahagane
Acciaio tamahagane

Ci sono dei punti in comune tra presente e passato, caratteristiche che possono definire in modo più o meno preciso una katana giapponese autentica, come il tipo di acciaio utilizzato per forgiarla.

Una katana realizzata con metodi tradizionali viene prodotta a partire dall’acciaio tamahagane, una combinazione di acciaio ad alto e basso contenuto di carbonio. Questo tipo di composizione consente di ottenere lame allo stesso tempo estremamente affilate ma difficili da rompere in combattimento.

L’acciaio tamahagane veniva prodotto tradizionalmente solo 3-4 volte all’anno tramite un processo che richiedeva 5 giorni tra la costruzione della fornace (tatara), la produzione vera e propria dell’acciaio e la pulitura finale della lega. Per ottenere circa 2 tonnellate di acciaio (delle quali solo la metà era di qualità tamahagane) venivano utilizzate 13 tonnellate di carbone e 8 di sabbia nera (satetsu).

Il processo di creazione dell’acciaio tamahagane consentiva di rimuovere parte delle impurità del metallo e controllare la quantità di carbonio nell’acciaio. Il ferro più “vecchio”, dotato di un contenuto di ossigeno più alto, era particolarmente adatto alla creazione di tamahagane e consentiva di ottenere lame forti, resistenti e flessibili.

La forgiatura di una katana
Lavorazione dell’acciaio tamahagane

Una volta acquistata una porzione di tamahagane, il fabbro iniziava a comporre un “puzzle” di frammenti di acciaio in base al contenuto di carbonio dei frammenti stessi, portando il tutto ad elevata temperatura per ottenere un lingotto lavorabile.

Il lingotto veniva allungato, martellato e piegato su se stesso diverse volte (da 10 a 16) per eliminare la maggior parte delle impurita residue che avrebbero potuto compromettere la resistenza e l’integrità della futura lama.

Per fornire ulteriore resistenza alla spada, verso il termine della forgiatura alcuni fabbri piegavano ad angolo acuto il lingotto per inserire al suo interno un pezzo di acciaio “dolce”, più morbido e meno fragile rispetto a quello esterno. In questo modo si poteva ottenere una lama dalla superficie esterna dura e dotata di un’anima interna morbida, massimizzandone la resistenza.

La tempra differenziale

Il fabbro procedeva quindi con la lavorazione del lingotto per ottenere una bozza della forma finale della spada. La curvatura della lama emergeva spontaneamente temprando l’acciaio attraverso una tecnica definita “tempra differenziale“: ogni costrutture di spade ricopriva la lama con diversi strati di un composto realizzato con argilla, acqua e ingredienti minerali (ogni artigiano aveva la sua personale ricetta), distribuendo uno spesso strato della mistura sulla superficie della lama.

L’argilla fungeva da isolante termico: dopo aver scaldato la lama, l’acciaio rovente veniva immerso in acqua e la differenza di sensibilità termica delle varie sezioni d’acciaio faceva incurvare leggermente la lama, donando alla spada la sua forma caratteristica.

Quando l’acciaio con un contenuto di carbonio pari allo 0,7% viene scaldato oltre i 750°C, diventa austenite, un materiale che cambia rapidamente struttura (diventando martensite) se raffreddato rapidamente.

Hamon sulla lama, risultato della tempra differenziale
Hamon sulla lama, risultato della tempra differenziale

Le zone della lama non coperte dalla mistura di argilla diventavano dure e rigide (martensite) a causa del repentino abbassamento di temperatura, mentre le aree coperte diventano un mix di ferrite e perlite, materiali più morbidi della martensite. Questa differenza strutturale tra le diverse regioni della lama era alla base della durezza e della flessibilità della katana.

Il risultato collaterale di questa tempra con l’argilla (chiamata tsuchioki) era la creazione di un hamon, un motivo a linee ondulate o geometriche sul filo della lama che spesso veniva utilizzato come “firma” dal costruttore.

La rifinitura della katana

La forgiatura e la tempra della lama rappresentano solo metà del processo di creazione di una spada così particolare. Il passo successivo è la pulitura e l’affilatura, operazioni che vengono eseguite da esperti artigiani che si dedicano esclusivamente al perfezionamento di una lama grezza.

Gli artigiani che si dedicano all’affilatura non partecipano alla selezione del metallo e alla sua lavorazione, ma si limitano esclusivamente al perfezionamento di una lama grezza.

L’affilatura e la pulitura di una lama dura da una a tre settimane e viene eseguita utilizzando diverse pietre abrasive dalla grana progressivamente più fine; queste pietre, tramite un processo di micro-abrasione, doneranno alla spada la lucentezza di uno specchio.

La lucentezza non è un elemento puramente estetico: una superficie liscia aiuta la lama a scivolare dolcemente all’interno di un corpo umano, evitando la tipica suzione prodotta dai tessuti viventi perforati da un corpo estraneo.

Katana: storia e curiosità sulla più celebre spada giapponese

Per dare una vaga idea di cosa comporti il processo di pulitura, ecco una brevissima sintesi: è suddiviso in due parti, Shitaji (pulitura iniziale) e Shiage (pulitura finale). Lo Shitaji richiede almeno 10-12 ore di lavoro al giorno per 4-6 giorni; durante questa fase il corpo della lama viene lavorato per lucidarlo a specchio.

Lo Shiage, invece, consiste nell’affilatura estrema del filo della lama e richiede almeno 3 giorni di lavoro. Si procede con l’affilatura tramite frammenti di pietra abrasiva sempre più piccoli e dalla grana sempre più fine, abilmente tenuti tra le dita per farli strisciare lungo il filo tagliente della katana.

Come accennato all’inizio di questo post, descrivere nel dettaglio l’intero processo di costruzione di una katana potrebbe occupare interi volumi, per cui passiamo ad alcune curiosità poco note prese dal sito “THE JAPANESE SWORD GUIDE” (vedi elenco delle fonti in fondo al post)

Come custodire correttamente una katana

Se maneggiata con poca cura, una katana può danneggiarsi irreparabilmente. La lama dovrebbe essere custodita all’interno del suo fodero in posizione orizzontale, con il filo tagliente rivolto verso l’alto.

La lama deve essere pulita e oliata a intervalli regolari: l’umidità della pelle umana potrebbe compromettere l’integrità della spada causando la formazione di ruggine. Per evitare che arrugginisca o che venga aggredita dalla muffa, una katana deve essere ispezionata di frequente ed esposta all’aria.

L’olio utilizzato durante la manutenzione della lama di una katana si chiama “choji” ed è composto da una mistura di olio minerale e olio di chiodi di garofano in rapporto 10:1 o 100:1.

Come riconoscere una katana autentica
Katana custodita al Tokyo National Museum denominata "Ishida Masamune"
Katana custodita al Tokyo National Museum denominata “Ishida Masamune”

Il primo consiglio importante è su come distinguere una lama prodotta in serie (come quelle costruite durante la Seconda Guerra Mondiale) o una replica moderna da una di stampo antico realizzata con metodi tradizionali.

Le repliche moderne sono per lo più in alluminio, per cui basta una semplice calamita per capire se si tratta di una riproduzione a basso costo. Se riuscite a trovare un numero di serie, inoltre, significa che la lama è sicuramente moderna e prodotta tramite catena di montaggio automatizzata.

Il fatto che la lama sia in acciaio, tuttavia, non garantisce la sua autenticità. E’ possibile ottenere falsi di discreta qualità in modo relativamente facile, specialmente se vengono etichettati come “armi ninja”, anche se non esiste alcuna documentazione storica che testimoni l’utilizzo di spade diverse dalla katana da parte degli shinobi giapponesi.

Se la lama presenta una grana visibile (hada), è molto probabile che sia stata realizzata a mano. Alcune spade antiche potrebbero non mostrare alcuna grana per via dell’erosione, ma un’analisi al microscopio dovrebbe poter constatare la realtà.

Occorre verificare anche la presenza dell’hamon, il motivo decorativo sul filo della lama. Le repliche e i falsi hanno una linea di tempra generalmente rettilinea, invece delle linee curve degli esemplari autentici realizzati a mano.

L’esame del codolo non è sempre risolutivo: si tratta della parte della lama in cui vengono generalmente inseriti numeri di serie, firma dell’artigiano, o marchi militari. Durante la Seconda Guerra Mondiale, molte spade furono forgiate in serie con firme false per dare più prestigio alla lama; nei secoli passati, invece, sono state prodotte numerosissime lame autentiche prive di firma.

Il test della katana: tameshigiri
tameshigiri
Tameshigiri

Secondo la pratica tradizionale del tameshigiri (“prova di taglio”), le katane venivano messe alla prova dai più forti spadaccini del periodo Edo contro sacchi di riso, bambù, tappeti arrotolati o piccole lamine d’acciaio.

Il tameshigiri prevedeva tuttavia anche l’utilizzo di bersagli umani come cadaveri o criminali condannati a morte. Se la katana si dimostrava capace di tagliare carne e ossa di un prigioniero (la potenza di taglio veniva incisa sul codolo con iscrizioni tipo “5 corpi con un colpo di taglio sul fianco“), poteva essere considerata una lama degna di nota.

Oggi i test di taglio vengono condotti su tatami arrotolati al cui interno è stato inserito un palo di bambù verde per simulare la consistenza delle ossa umane. Una lama tale da meritarsi il titolo di katana tradizionale può tagliare due o più di questi bersagli con un solo fendente, se impugnata da un abile spadaccino.

Il test della katana: kabutowari

Un altro test di taglio, praticato anche in epoca moderna, è il kabutowari, il “taglio dell’elmo”. Si tratta di colpire un elmo tradizionale kabuto con una katana, e osservare le conseguenze per valutare l’efficacia e la resistenza della spada.

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Contrariamente alla credenza comune che una katana possa facilmente tagliare un’armatura metallica, sono moltissimi gli esempi di kabutowari terminati con un catastrofico fallimento.

Decine, se non centinaia di spade si sono piegate o sono rimaste irrimediabilmente scalfite dal test contro un elmo kabuto; la produzione di acciaio secondo metodi tradizionali, specialmente in passato, non era affidabile quanto i metodi moderni e molte imperfezioni della lama tendevano a rimanere nascoste fino alla prova sul campo.

L’ultimo kabutowari noto risale al 1994, quando il maestro di spada Obata Toshishiro colpì un elmo originale del 1573-1602 con una katana shinken, lasciando uno squarcio di 13 centimetri sulla parte superiore dell’armatura senza nemmeno scalfire la superficie dell’arma.

Le katane Muramasa

La qualità di alcune katane è rimasta leggendaria, tanto da far nascere miti e superstizioni sul loro conto. Un esempio tra tutti è la spada chiamata “Nuvola Bianca”, realizzata tra il 1504 e il 1520 dal maestro Masatoshi della scuola Muramasa.

Nuvola Bianca è un perfetto esempio di lama Muramasa “maledetta” (leggi questo post sulla leggenda delle lame maledette Muramasa). Come recitava la superstizione del tempo, “una lama Muramasa ha sempre qualcosa di malvagio, e una volta che lascia il suo fodero non vi ritorna mai prima di aver visto il sangue“; una vera e propria lama demoniaca che scatenava un’incontrollabile sete di sangue nell’uomo che la impugnava.

La prova di taglio di Nuvola Bianca, effettuata nel 1659, può fornire qualche indizio sulle ragioni di una paura così irrazionale nei confronti di una semplice spada: attraversò due cadaveri come se fossero burro, fendendo inoltre quasi 30 centimetri di sabbia sotto di loro.

Katana
The Myth and the History of the Japanese Sword
THE JAPANESE SWORD GUID
Kabutowari
A sword named White Cloud

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Seppuku e harakiri: il suicidio rituale giapponese https://www.vitantica.net/2018/12/14/seppuku-harakiri-suicidio-giappone/ https://www.vitantica.net/2018/12/14/seppuku-harakiri-suicidio-giappone/#respond Fri, 14 Dec 2018 00:10:03 +0000 https://www.vitantica.net/?p=2878 Harakiri e Seppuku (“tagliare il ventre”) sono termini che definiscono una forma di suicidio rituale praticato in Giappone per almeno 800 anni. L’ordine di commettere seppuku, o la volontà di suicidarsi in modo onorevole, potevano giungere a seguito di sconfitte militari, di atti disonorevoli, per un grave errore commesso sul campo di battaglia o per un comportamento non opportuno nei confronti dei propri superiori.

Il suicidio rituale era un gesto relativamente comune in alcuni clan o circoli marziali anche nel caso di decesso naturale o violento del proprio maestro (pratica nota come oibara o tsuifuku), rendendo l’atto di togliersi la vita più che un gesto di espiazione, ma un rituale per dimostrare l’estrema venerazione nutrita nei confronti di una particolare personalità.

In altre circostanze, il rituale del seppuku è stato sfruttato dalle autorità come forma di controllo sociale. Un esempio può essere l’atto di stipulazione di un trattato di pace tra due parti in lotta: costringere al seppuku gli elementi più forti e rispettati di un clan sconfitto avrebbe indebolito ulteriormente il clan stesso, limitando e impedendo sul nascere l’insorgere di nuove ostilità.

Per i giapponesi, l’anima aveva la sua sede nel ventre. Questo giustifica simbolicamente il rituale del seppuku: con un taglio profondo nel ventre, si mostrava la volontà di punire e “pulire” la propria anima dalle colpe commesse, continuando a conservare il proprio onore anche dopo la morte.

Il seppuku fu per secoli il destino scelto dagli sconfitti in battaglia per ottenere una morte senza disonore. Piuttosto che soccombere al nemico, era preferibile uccidersi e non macchiarsi della colpa di venire catturato e fatto prigioniero; piuttosto che vivere con l’onta di una sconfitta, la morte era un’alternativa molto più appetibile che vedersi rinfacciare la propria inettitudine per il resto della vita.

Seppuku o harakiri?

Seppuku e harakiri fanno riferimento allo stesso rituale di suicidio. Il termine seppuku è più formale e utilizzato generalmente nella forma scritta, mentre la parola harakiri (o hara-kiri) è più comune nel linguaggio parlato.

Spesso il termine harakiri si riferisce (impropriamente) ad una forma non troppo ritualizzata di suicidio, codificata in svariate forme che variavano da clan a clan fino al XVII secolo; con la seppuku invece si fa riferimento alla complessa ritualità del cerimoniale codificato durante il periodo Edo.

Il rituale del seppuku
Ricostruzione di un seppuku in una foto del 1897.
Ricostruzione di un seppuku in una foto del 1897.

Per eseguire il seppuku, il condannato doveva sedere secondo la posizione tradizionale giapponese, poggiando il corpo sulle ginocchia, glutei sui talloni e punte dei piedi rivolte all’indietro; la posizione serviva ad evitare che il corpo cadesse sulla schiena dopo il decesso in una posizione che l’etichetta considerava poco onorevole.

Se il seppuku veniva svolto all’interno delle mura domestiche o a corte, la lama utilizzata era il tanto, un sottile pugnale indossato solitamente dietro alla schiena; in caso di seppuku sul campo di battaglia, spesso veniva utilizzata la wakizashi (spada compagna), una spada spesso definita come “il guardiano dell’onore”.

Preparazione al seppuku

Prima del rituale domestico previsto dall’etichetta del periodo Edo, il samurai effettuava un bagno, vestiva abiti bianchi (il bianco è il colore del lutto in Giappone) e mangiava il suo ultimo pasto, ciò che più gli era gradito. La consuetudine prevedeva che il samurai componesse un poema prima di dedicarsi al rituale suicida, sedendo di fronte alla sua spada.

All’inizio del rituale, il samurai sedeva di fronte ai testimoni scelti per assistere alla cerimonia; apriva il suo kimono bianco, prendeva il pugnale predisposto per il suicidio rituale afferrandone una porzione di lama avvolta da un panno bianco, e si infliggeva la ferita mortale.

Seppuku o harakiri

Il kaishakunin

Sebbene il gesto del seppuku fosse un atto volontario e individuale, una figura fondamentale era quella del kaishakunin, il “decapitatore”, codificato come figura standard del rituale verso la metà del XVII secolo.

Una volta eseguita l’incisione nell’addome, incisione che andava da sinistra verso destra, il kaishakunin recideva con un colpo netto la colonna vertebrale, avendo però cura che la metà del collo in corrispondenza della trachea rimanesse attaccata al resto del corpo, in modo tale che la testa potesse rimanere in piedi e dare una fine dignitosa al suo proprietario.

Il decapitatore era spesso un amico fidato, oltre che un abile maestro di spada; questo non solo mostra l’importanza del suicidio rituale per un samurai, ma anche il rispetto che (generalmente) il suicida provava nei confronti del kaishakunin prescelto.

Se il colpo netto non avesse reciso correttamente il collo del samurai, il volto avrebbe conservato una smorfia di dolore e la testa sarebbe caduta a terra, rappresentando una morte per nulla onorevole. Un amico fidato e rispettoso, inoltre, non avrebbe mai lasciato soffrire inutilmente il suicida: quando viene perforato o lacerato, l’addome è una delle zone del corpo umano che provoca più dolore.

Sul campo di battaglia, era molto più frequente che il decapitatore non fosse un amico o il proprio secondo, ma il nemico stesso. Nel corso dei secoli non fu affatto raro che il vincitore si offrisse come kaishakunin per un nemico particolarmente coraggioso, concedendo allo sconfitto una morte onorevole.

Il seppuku nella storia giapponese
L'harakiri di Ōishi Kuranosuke Yoshio
L’harakiri di Ōishi Kuranosuke Yoshio
Il suicidio rituale delle origini

Il complesso rituale del seppuku non è stato codificato e uniformato fino al XVII secolo. Nei periodi precedenti, la figura del kaishakunin non esisteva, il rito era molto più doloroso e sanguinolento e aveva molte varianti.

In assenza di un decapitatore, molti samurai si tagliavano la gola dopo aver inciso il ventre, o si lanciavano in avanti con la spada puntata sul petto: preferivano di gran lunga morire in fretta che soffrire atrocemente e morire nell’arco di svariati minuti per il solo taglio ventrale.

Fu solo con l’inizio del periodo Edo e della relativa pace interna del XVII secolo che si iniziò a codificare precisamente il suicidio rituale aggiungendo una serie di procedure alternative.

La codifica del rituale del seppuku

I samurai più vecchi, ad esempio, eseguivano il seppuku raggiungendo un oggetto simbolico che avrebbe dato il via al kaishakunin; fu previsto, per i samurai più “hardcore” o dalle colpe più gravi, un taglio a croce (jūmonji giri) in assenza di un decapitatore.

Il primo seppuku documentato risale al 1180, periodo in cui i Minamoto, clan con un potenziale accesso al trono imperiale, si scontrò contro i Taira, che reclamava il diritto a imporre un loro candidato imperatore. Minamoto no Yorimasa, generale dei Minamoto, decise di fare seppuku dopo la sconfitta di Uji.

Qualche anno dopo, al termine della battaglia di Dan-no-ura (1185), fu Taira no Tomomori, generale dei Taira ed esperto di battaglie navali, a commettere suicidio accompagnato da molti dei membri del suo clan, ma non seguendo il rituale più comune: si legò un’ ancora ai piedi e saltò in mare, lasciandosi trasportare sul fondale.

I 47 Ronin: seppuku per mantenere l’onore e la legge

Seppuku o harakiri

Un celebre episodio di seppuku, avvenuto all’inizio del XVIII° secolo, è in grado di dimostrare cosa prevedeva il codice del suicidio rituale in caso di disobbedienza. In quello che viene definito “Incidente di Genroku Ako“, 47 samurai, diventati ronin a seguito della morte del proprio padrone (Asano Naganori) per una grave violazione dell’etichetta di corte, vendicarono il decesso del loro daimyo benché lo shogun avesse loro ordinato di non dedicarsi alla vendetta.

La pianificazione della loro vendetta durò ben due anni: si organizzarono in segreto per assediare il castello di Kira Yoshinaka, maestro di protocollo dello shogun e colpevole di aver lanciato l’insulto che forzò la mano di Asano costringendolo, per preservare il suo orgoglio, ad attaccare Kira a mano armata, ferendolo al volto.

Dopo anni di preparativi i 47 ronin, vestiti da pompieri, si infiltrarono nel castello per uccidere Kira Yoshinaka; ne ebbe origine una battaglia che portò all’uccisione del maestro di protocollo, nascosto nella legnaia e non particolarmente intenzionato a commettere seppuku.

L’episodio terminò con i ronin che si consegnano spontaneamente alle autorità, rimettendosi al giudizio dello stesso shogun che aveva loro ordinato di non dedicarsi alla vendetta.

Lo shogun, dopo qualche esitazione dovuta al supporto popolare goduto dai ronin, ordinò loro di commettere seppuku, lasciando in vita solo Kichiemon Terasaka per fare in modo che nessuno dimenticasse la vicenda, i suoi protagonisti e il suo epilogo.

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Seppuku
Junshi

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Documentario: i segreti della spada giapponese https://www.vitantica.net/2018/10/06/documentario-segreti-spada-giapponese/ https://www.vitantica.net/2018/10/06/documentario-segreti-spada-giapponese/#respond Sat, 06 Oct 2018 02:00:18 +0000 https://www.vitantica.net/?p=2224 La spada giapponese viene spesso considerata l’anima stessa del samurai. La creazione di questi strumenti, che racchiudono bellezza, forza e tradizione, è rimasta avvolta nel mistero per oltre mille anni.

Yoshindo Yoshihara è un moderno costruttore di spade giapponesi e forse il fabbro più conosciuto oltre i confini nazionali. I suoi capolavori sono stati acquistati per esibizioni al Metropolitan Museum di New York, per il Museum of Fine Arts di Boston o donati ad autorità internazionali come re Gustav di Svezia.

Questo video segue la realizzazione di una katana secondo le tecniche e i segreti di Yoshindo Yoshihara, a partire dalla selezione del metallo adatto all’arma per terminare con il delicato e lungo lavoro di affilatura.

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