Veleni per frecce: caccia e guerra con tossine naturali

Veleni per frecce: caccia e guerra con tossine naturali
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I popoli cacciatori-raccoglitori, presenti e passati, hanno tradizionalmente fatto uso di armi da lancio per la caccia alle specie animali in grado di fornire carne o materiali di prima necessità. Alcune culture fermarono la loro evoluzione tecnologica a proiettili come l’atlatl, letali a brevi distanze ma che richiedono metodi di caccia che consentono di avvicinarsi a pochi metri dalla preda; altre invece svilupparono l’arco, un’arma da lancio capace di colpire a decine di metri di distanza ma che rende difficile infliggere un unico colpo fatale ad animali di grossa taglia.

L’abbattimento veloce della preda è sempre stato un aspetto fondamentale per la caccia tradizionale. Non si trattava soltanto di rispetto per l’animale cacciato: una morte veloce non era desiderabile soltanto per limitare le sofferenze della preda, ma anche per evitare che il bersaglio, una volta colpito, potesse allontanarsi eccessivamente dai cacciatori, costringendoli ad un lungo ed estenuante inseguimento nel bel mezzo di un ambiente ostile.

I primi archi realizzati dai Sapiens erano tutt’altro che perfetti: legname non propriamente adatto, frecce non dritte o che mancano di impennaggio rendevano queste armi imprecise, meno potenti degli archi moderni e più propense a ferire che a uccidere.

Certo, gli archi semplificavano enormemente la caccia a piccole prede come uccelli e roditori, più facili da ferire mortalmente con un dardo impreciso e poco potente; ma per la caccia ai grandi mammiferi, agli albori dell’evoluzione della tecnologia venatoria, l’arco presentava diversi negativi che ne limitavano l’efficacia.

Veleno per la caccia

Occorre considerare che i grandi mammiferi, anche i meno pericolosi o di stazza relativamente ridotta, possiedono generalmente una pelle molto spessa e difficile da perforare profondamente con una freccia imperfetta scagliata da un arco imperfetto da distanze superiori ai 15-30 metri.

I popoli cacciatori-raccoglitori conducono un’esistenza basata su tecnologia primitiva o semi-primitiva. Prima dell’evoluzione dell’arcieria, gli archi erano poco potenti e difficilmente potevano uccidere una preda con un solo colpo ben assestato.

Chi pratica la caccia con metodi tradizionali è abituato al fallimento, specialmente coloro che usano l’arco in condizioni non ottimali. Le piccole frecce dei San possono solo perforare superficialmente la pelle di un grande mammifero africano, ma non possiedono il sufficiente potere di penetrazione per causare una ferita mortale, anche se scagliate da distanze ideali e dirette verso le regioni più “morbide” dell’animale.

Fu per queste ragioni che alcuni popoli cacciatori-raccoglitori iniziarono ad utilizzare il veleno sulle punte delle loro frecce. Non sappiamo con certezza quando fu introdotta la tecnologia delle frecce avvelenate, ma le analisi su alcuni artefatti preistorici fanno pensare che risalga ad almeno 40-60.000 anni fa.

Frecce avvelenate

Le culture di caccia e raccolta sopravvissute fino ad oggi, come gli Yanomami e i San, fanno quasi tutte uso di frecce avvelenate. I San africani potrebbero essere una delle ultime espressioni della tecnologia africana delle frecce avvelenate, una tecnologia già in uso a Zanzibar circa 13.000 anni fa.

Le culture che conducono uno stile di vita di caccia e raccolta conoscono estremamente bene il loro ambiente naturale. Sono in grado di determinare quali piante costituiscono una fonte di cibo o d’acqua, e quali invece rappresentano un pericolo per la salute umana; ad un certo punto della nostra evoluzione tecnologica, qualcuno ebbe l’idea di intingere le punte di freccia nelle stesse sostanze vegetali o animali che erano in grado di debilitare o uccidere un essere umano, allo scopo di abbattere più velocemente una preda.

L’uso del veleno sulle frecce è un aspetto della sfera venatoria e bellica presente in molte culture cacciatrici-raccoglitrici di tutto il pianeta. I veleni per frecce devono essere efficaci anche su grandi prede, agire in tempi accettabili e possedere una formulazione composta da ingredienti relativamente semplici da ottenere.

Veleni di origine vegetale

I veleni di natura vegetale furono probabilmente i primi ad essere impiegati per la caccia. Non solo esiste una vastissima gamma di piante dagli effetti debilitanti o fatali, ma i veleni vegetali sono anche più facili da reperire, raccogliere e lavorare.

Curaro

Il curaro è un termine che comprende le tossine presenti nella corteccia di Strychnos toxifera, S. guianensis, Chondrodendron tomentosum e Sciadotenia toxifera. Il curaro è da secoli il veleno di prima scelta per diverse popolazioni indigene delle Americhe e viene impiegato come agente paralizzante.

Una dose letale di curaro può provocare la morte per asfissia a causa della paralisi muscolare che segue l’avvelenamento. Se l’animale avvelenato riesce in qualche modo a mantenere una respirazione più o meno regolare, riuscirà a riprendersi completamente dopo che il veleno avrà perso la sua efficacia.

L’estrazione del curaro avviene tramite bollitura della corteccia di alcuni alberi; il residuo di questa bollitura è una pasta nera e densa che viene applicata sulle punte di freccia o sui dardi da cerbottana. Con l’uso del curaro estratto dal Chondrodendron tomentosum, gli Yanomami abbattono regolarmente diverse specie di scimmie con le loro cerbottane.

Acokanthera

Acokanthera è un genere di piante africane tradizionalmente utilizzate dai San per l’estrazione di veleno per frecce. Le Acokanthera contengono ouabaina, una tossina cardioattiva contenuta in ogni parte della pianta. I frutti maturi sono generalmente commestibili in caso di necessità, ma quelli ancora acerbi possono contenere quantità pericolose di tossine.

Gli Ogiek del Kenia tagliano piccoli rami dalla pianta e li fanno bollire aggiungendo rami di Vepris simplicifolia, ottenendo una pasta velenosa estremamente potente capace di abbattere un elefante con la giusta dose e sufficiente tempo per agire.

L’applicazione del veleno sulle frecce è un’operazione che richiede destrezza: ogni piccola ferita aperta a contatto con la pasta tossica può provocare un avvelenamento accidentale dalle conseguenze potenzialmente fatali.

L’unico animale indifferente alla pericolosità delle Acokanthera sembra essere il topo dalla criniera africano (Lophiomys imhausi), che mastica regolarmente radici e rami per distribuire la pasta prodotta dalla sua saliva su tutto il pelo e formare uno strato protettivo di pelliccia avvelenata.

Aconito

Pianta estremamente velenosa conosciuta in tutto il mondo antico per le sue proprietà tossiche. Diverse specie di aconito sono state impiegate come veleno per frecce: i Minaro dell’India lo hanno usato per secoli per cacciare gli stambecchi, mentre gli Ainu giapponesi usavano frecce avvelenate con l’aconito per la caccia agli orsi.

Aconitum napellus. Foto: Jason Ingram
Aconitum napellus. Foto: Jason Ingram

Gli Aleuti dell’Alaska hanno impiegato l’aconito per la caccia alle balene: un solo uomo a bordo di un kayak si recava in mare armato di lancia avvelenata; non appena avvistava una balena, si avvicinava al cetaceo e lo colpiva, per poi attendere che il veleno facesse effetto causando la paralisi e l’annegamento dell’animale.

L’aconito era ben noto anche a Greci e Romani, che non solo lo utilizzavano sulle loro frecce avvelenate, ma lo elencavano tra gli ingredienti di alcuni medicinali.

Hippomane mancinella

Albero originario regioni tropicali americane, si è guadagnata il nome di “piccola mela della morte” (manzanilla de la muerte) a causa della sua estrema pericolosità.

Gli Arawak e i Taino usavano il veleno prodotto da questa pianta sia come tossina per frecce, sia per avvelenare le riserve d’acqua dei loro nemici. L’esploratore spagnolo Juan Ponce de Leon morì proprio a causa di una ferita di freccia avvelenata ricevuta durante la battaglia contro i Calusa.

Ogni parte dell’ Hippomane mancinella è velenosa. Sostare sotto un albero durante una giornata di pioggia può rivelarsi molto pericoloso: anche una piccola goccia di lattice sulla pelle può causare vesciche e dermatiti molto dolorose; i fumi emessi dalla combustione del suo legname può causare danni oculari permanenti, e il suo lattice è così corrosivo da poter danneggiare la verniciatura di un’auto in breve tempo.

Antiaris toxicaria

Albero indonesiano impiegato tradizionalmente per la produzione di veleno per frecce (upas in javanese) e cerbottane. La tradizione medicinale cinese considera questa pianta così potente da lasciare all’avvelenato solo il tempo di compiere una decina di passi prima di stramazzare al suolo.

Il lattice della pianta viene direttamente applicato sulle punte di freccia, oppure mescolato ad altre piante tossiche per aumentarne l’efficacia e ridurre i tempi d’azione. Il veleno attacca il sistema nervoso centrale entro pochi secondi, causando paralisi, convulsione e arresto cardiaco.

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Jabillo

Lo Hura crepitans è un albero del tutto particolare originario del Sud America. Può crescere fino a 60 metri, ha una corteccia ricoperta da grandi spine nere e produrre dei frutti che esplodono una volta maturi, scagliando i semi ad oltre 40 metri di distanza alla velocità di quasi 300 km/h.

I pescatori e i cacciatori dell’Amazzonia conoscono l’utilità del jabillo: il lattice è un potente veleno che può essere impiegato per avvelenare piccole pozze d’acqua, o per ricoprire la cuspide di una freccia.

I locali raccontano che il lattice dello Hura crepitans è così tossico da causare vesciche rosse se entra in contatto con la pelle, e cecità permanente se tocca gli occhi.

Veleni di origine animale

L’estrazione di veleni di natura animale probabilmente fu il frutto di una lunga serie di incidenti, tentativi ed errori. Alcuni animali espongono direttamente le loro tossine, ad esempio trasudandolo dalla pelle, mentre altri lo conservano all’interno del loro corpo e l’estrazione può rivelarsi complessa.

Rane

Le popolazioni tribali colombiane dei Noanamá Chocó e Emberá Chocó usano tre specie di rane del genere Phyllobates, dai colori sgargianti e note per trasudare dalla pelle tossine particolarmente potenti, per avvelenare i dardi delle loro cerbottane.

Queste tossine sono un meccanismo di difesa che le rane usano per proteggersi dai predatori. Il veleno, composto da almeno due dozzine di alcaloidi, sembra avere meno efficacia nelle rane cresciute in cattività, suggerendo l’idea che questi anfibi possano produrre la tossina solo a seguito di un’alimentazione basata su formiche e insetti tossici.

La tossina delle rane Phyllobates contiene anche rilassanti muscolari, soppressori dell’appetito e un potente antidolorifico, circa 200 volte più efficace della morfina. La Phyllobates terribilis produce una quantità di tossina sufficiente a uccidere da 10 a 20 uomini adulti.

Coleotteri

Nel deserto del Kalahari le culture tribali locali hanno imparato che un particolare genere di coleotteri, i Diamphidia, produce una tossina così potente da abbattere anche i grandi mammiferi africani.

Le larve e le pupe di questi coleotteri producono una tossina ad effetto emolitico, che può causare la riduzione dei livelli di emoglobina del 75%. Il veleno ha efficacia solo sui mammiferi una volta iniettato nel flusso sanguigno, ma non se ingerito o semplicemente toccato.

Per applicare la tossina sulle frecce, il coleottero viene spremuto direttamente sulle cuspidi oppure preparato secondo modalità più complesse. L’insetto può essere schiacciato ancora vivo, oppure lasciato essiccare al sole e tritato fino ad ottenere una polvere da mescolare al succo di alcune piante locali, che agisce da adesivo creando una pasta scura e collosa che verrà cosparsa sulle punte di freccia.

Preparazione del veleno per le frecce usate dai San
Preparazione del veleno per le frecce usate dai San

I San, che cacciavano con frecce dalla punta d’osso e, in tempi più recenti, di ferro, mirano a seguire la loro preda per poi ferirla più profondamente possibile con una e più proiettili avvelenati; una volta iniettata la tossina, i Boscimani attendono che faccia effetto inseguendo l’animale, che generalmente si da alla fuga subito dopo essere stato colpito.

Se lasciato agire il tempo necessario, la tossina presente su una singola punta di freccia è in grado di debilitare completamente una giraffa adulta in qualche giorno; per prede più piccole, come le antilopi, sono necessarie solo poche ore.

Rettili

Diversi autori greci, come Ovidio, parlano di frecce avvelenate usate dagli Sciti, celebri nel mondo antico per essere ottimi arcieri. Secondo Ovidio, gli Sciti intingevano le cuspidi nel veleno e nel sangue di vipera, ma Aristotele sostiene che ci fosse anche un altro ingrediente al veleno: sangue umano.

Alessandro Magno ebbe a che fare con nuvole di frecce avvelenate durante la sua campagna di conquista dell’India. I guerrieri locali, analogamente agli Sciti, bagnavano le punte delle loro frecce in una mistura a base di veleno di vipera, probabilmente quello della vipera di Russell (Daboia russelii).

Corpi umani e deiezioni

Alcuni popoli delle isole del Pacifico usano frecce e lance avvelenate tramite le tossine create dalla decomposizione di un corpo umano. Secondo il libro “Cannibal Cargoes” di Hector Holthouse, la pratica di creare veleno dai cadaveri prevedeva l’uso di una canoa forata contenente una cadavere lasciata al sole per diverse settimane.

L’esposizione al sole e l’umidità atmosferica causano la fuoriuscita di liquidi dal corpo, liquidi che si raccolgono sul fondo all’interno di un contenitore in cui verranno intinti i dardi da caccia o da guerra. Le ferite causate da frecce e lance avvelenate in questo modo causano infezioni da tetano dai risultati letali.

Escrementi umani e animali sono stati comunemente impiegati in guerra e nella caccia come agenti debilitanti. Le infezioni causate da tossine frutto della putrefazione o da batteri che proliferano nelle deiezioni umane e animali provocano gravi infezioni debilitanti e potenzialmente fatali.

Fonti

Arrow poison
Acokanthera
Do Not Eat, Touch, Or Even Inhale the Air Around the Manchineel Tree
Fecal Ecology in Leaf Beetles: Novel Records in the African Arrow-Poison Beetles, Diamphidia Gerstaecker and Polyclada Chevrolat (Chrysomelidae: Galerucinae)
Humans Have Been Making Poison Arrows For Over 70,000 Years, Study Finds
Aconite Arrow Poison in the Old and New World


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One Comment on “Veleni per frecce: caccia e guerra con tossine naturali”

  1. A prescindere dalla imperfezione dei materiali ( un abissale divario tecnologico fra l’ arco del Sapiens pleistocenico e l’ arco gallese del XIV secolo), vale lo straordinario mistero di quella scintilla di genio, accesasi nella mente del primo, per cui egli con tre elementi mediocri ed eterogenei ( corda, ramo e fuscello puntuto) creò una macchina relativamente complessa.

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