America e popoli indigeni: le culture native erano pacifiche?

America e popoli indigeni: le culture native erano pacifiche?
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Sotto le carneficine, le epidemie e il saccheggio dei territori dei nativi, l’esplorazione e la conquista delle Americhe hanno innumerevoli aspetti interessanti che un appassionato di storia non può non apprezzare. Si tratta di un’epoca di grandi viaggi oceanici, giochi tra poteri politici, economici e religiosi, scontri e guerre brutali, senza contare le innumerevoli scoperte, e invenzioni ideate per rendere possibile l’incredibile densità di eventi storici avvenuti tra la metà del XV secolo e il XVIII secolo.

Scontri armati, carestie e pestilenze provocarono milioni di vittime quando Vecchio Mondo e Nuovo Mondo vennero a contatto. Milioni di esseri umani indigeni furono sterminati in nome di qualche re, regina o compagnia commerciale; alcune specie animali, come il bisonte, sparirono dal continente nordamericano per la caccia intensiva condotta dalle spedizioni occidentali.

Lo sterminio di interi popoli nativi, violento o provocato da malattie, e i forti cambiamenti ecologici che gli europei apportarono agli ecosistemi americani non devono tuttavia far pensare che le Americhe fossero continenti abitati da popoli pacifici, in armonia con la natura e con i popoli limitrofi.

Prima dell’arrivo dei primi esploratori europei, le Americhe erano un territorio solo parzialmente selvaggio. I nativi erano in grado di modificare profondamente il territorio con incendi controllati e un attento controllo della vegetazione locale; cacciavano animali in grandi numeri, spesso uccidendo molto più di quanto potessero utilizzare e mangiare; la violenza tribale, infine, era relativamente comune, contrariamente all’immagine comune del “buon selvaggio” associata spesso e volentieri alle culture native americane precolombiane.

Un nuovo mondo non violento?

Aztechi, Maya, Inca e popoli dell’ America Centro-meridionale non erano di certo popoli pacifici. La Guerra dei Fiori era un rituale che provocava relativamente poche morti e serviva a scongiurare guerre di portata più grande tra le città-stato azteche, ma si trattava comunque di un rituale estremamente cruento mirato a indebolire militarmente i rivali di Tenochtitlan.

Il regno di Cusco, invece, iniziò ad espandersi a partire dal 1438 sotto la guida di Pachacuti-Cusi Yupanqui, nome dal significato molto poco pacifico di “colui che fa tremare la terra”. Pachacuti creò quello che sarebbe diventato l’impero Inca conquistando col sangue i Chancas, una tribù di guerrieri formidabili ed estremamente abili nel combattimento. Nel 1463 iniziò un’altra campagna di conquista per sconfiggere il vero rivale degli Inca, il regno di Chimor.

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Le tre civiltà americane più famose e potenti degli ultimi 1.000-1.500 anni di storia non erano quindi per nulla pacifiche, avevano aspirazioni imperialistiche e regolavano col sangue molte delle questioni aperte con i rivali locali.

Cosa succedeva invece nelle regioni settentrionali e meridionali delle Americhe, prima che iniziasse l’esplorazione metodica dei continenti americani? Nulla di molto diverso, anche se la maggior parte delle comunità poteva contare su un numero di individui più ridotto.

Nell’estremità settentrionale delle Americhe, gli Inuit canadesi conducevano abitualmente schermaglie contro gruppi locali concorrenti, anche se della stessa cultura: i Nunatamiut del Fiume Mackenzie, ad esempio, si davano battaglia tra loro per il controllo delle risorse ittiche.

La foresta pluviale amazzonica, invece, era popolata da decine di milioni di individui appartenenti a culture molto diverse tra loro, come i Valdivia, i Quimbaya, i Calima e i Tairona, che sicuramente ebbero molte occasioni per entrare in contrasto per questioni di territorialità o risorse.

Tra gli Inuit e le culture amazzoniche, guerre e rivolte spinte da ragioni politiche, economiche o religiose imperversavano, la brutalità era all’ordine del giorno e la vita trascorreva ben diversamente dal quadro idilliaco talvolta dipinto da alcune ricostruzioni poco fedeli alla realtà storica.

Scontri intertribali frequenti

Secondo la storica Diana Muir, la Lega Irochese pre-contatto europeo era caratterizzata da uno spirito espansionistico e imperialista che mirava al possesso dei territori degli Algonchini e di ogni potenziale preda vicina. La confederazione irochese era così assetata di potere da cannibalizzare se stessa, abbattendo anche le comunità della propria cultura che conducevano stili di vita meno belligeranti.

Nel 1649 gli Irochesi distrussero il villaggio di Wendake, facendo sciogliere la nazione degli Uroni e rimuovendo l’ultimo reale avversario alla conquista dei territori delle Nazioni Neutrali, dei Mohicani e di altre tribù irochesi non appartenenti alla Lega, principalmente per una questione di prestigio territoriale e per prendere il controllo del commercio delle pelli.

Facendo un salto indietro nella storia, i resti umani rinvenuti nelle Grandi Pianure e risalenti ad un periodo compreso tra il 250 a.C. e il 900 d.C. mostrano segni occasionali di violenza dovuta a scontri intertribali. A partire dal XIII secolo, tuttavia, scorrerie e guerre iniziarono a diventare sempre più frequenti, e i resti archeologici mostrano segni di incendi, di violenze brutali e di mutilazioni.

La ragione di queste sempre più frequenti aggressioni non è chiara, ma si ipotizza che possa essere stata la fame a scatenare gli scontri tra tribù. Gli scavi nel sito di Crow Creek, un’antica città Arikara sorta nel 1325, ha rivelato i corpi di 486 persone, incluse donne e bambini, massacrate, scalpate e smembrate. I resti ossei mostrano evidenti segni di malnutrizione, suggerendo che il massacro sia stato motivato dalla competizione per le scarse risorse alimentari disponibili.

Nativi americani, ambientalismo e proprietà privata
Nativi americani, ambientalismo e proprietà privata

Gli scontri intertribali terminati in massacri sono molti e ben documentati; talvolta si parla di migliaia di vittime in una singola battaglia (molti leghe tribali non superavano le 10-20.000 unità). Il 90% dei resti umani appartenenti al XIII secolo mostrano segni di traumi, spesso alla testa o agli arti.

Nel 1800 Alexander Henry, commerciante per la Northwest Company, esclamò osservando una le Grandi Pianure ricoperte di mandrie di bisonti: “Questo è un paese meraviglioso, e se non fosse per le guerre perpetue, i nativi potrebbero essere le persone più felici della Terra”. Detto da una delle pedine dei poteri che sfruttavano i nativi americani, l’affermazione non sembra avere alcun valore, ma la realtà è che i nativi si dilettavano nell’arte della guerra ben prima dell’arrivo degli Europei.

Cherokee e schiavi

Sui Cherokee esiste parecchia documentazione storica rispetto ad altre culture, documentazione risalente non soltanto agli scontri tra Europei e nativi, ma anche ai primi contatti indiretti con la confederazione.

In cima alla piramide sociale dei clan Cherokee c’erano due figure politiche: “bianco”, amministratore in periodi di pace, e “rosso”, il comandante in caso di guerra. Le decisioni militari venivano prese dal capo “rosso” e dai delegati dei sette clan Cherokee (che includevano le ghigau, donne guerriere).

I Cherokee erano una cultura schiavista, come molte altre nordamericane dalla California al Canada. Gli schiavi potevano essere catturati in guerra, ma esistevano anche schiavi divenuti tali a causa di debiti di gioco. La tribù aveva diritto di vita e di morte sui suoi schiavi, e solo il consiglio tribale poteva concedere loro la libertà.

Generalmente, la cattura di ostaggi durante una razzia o una battaglia poteva finire in due modi: essere risparmiato (nel caso di donne e bambini) e diventare schiavo, o essere ucciso. Alcuni schiavi potevano diventare “parenti” di membri della comunità, entrando a far parte del tessuto sociale tribale, o continuare a rimanere all’esterno di ogni interazione con la comunità.

Per i Cherokee gli schiavi non erano un vero e proprio elemento funzionale per l’economia tribale, ed erano una proprietà collettiva. Le attività di raccolta e quelle di caccia potevano tranquillamente soddisfare i bisogni della comunità (gli schiavi potevano aiutare nei campi o trasportare carichi) senza l’aiuto di altre braccia, per cui il possesso di prigionieri era sostanzialmente una questione di prestigio.

Dopo l’incontro-scontro con gli Europei e la schiavitù di migliaia di Cherokee, la cultura schiavista dei nativi iniziò a cambiare in peggio: lo schiavo divenne una proprietà individuale che poteva essere scambiata con gli stranieri per ottenere oggetti che i nativi non erano in grado di produrre.

Scontri per la terra

Come citato in questo post, la maggior parte delle comunità native americane conosceva il concetto di proprietà privata, che veniva tutelata da una serie di leggi tribali tramandate oralmente.

Nelle culture dedite all’agricoltura, esistevano diritti di sfruttamento per le risorse naturali e i terreni diventavano parte del patrimonio di famiglia. Ma un diritto di sfruttamento può essere messo in discussione alla morte del capofamiglia, o con lo sconfinamento continuo da parte di membri della tribù o provenienti da altre culture; le diatribe sui diritti di sfruttamento dei terreni agricoli o di caccia causavano scontri spesso violenti, che potevano sfociare in vere e proprie battaglie.

Nelle regioni degli Stati Uniti Sud-occidentali, gli archeologi hanno ritrovato numerosi scheletri, risalenti al periodo che precede l’arrivo degli Europei, che riportano svariati segni lasciati da armi da lancio e corpi contundenti. In queste regioni le carestie innescavano probabilmente scontri locali tra clan in competizione per le risorse, o per sconfinamenti non autorizzati in territori di caccia e raccolta controllati da altre culture.

I diritti di sfruttamento o il possesso di un terreno potevano quindi subire cambiamenti continui. Un campo di mais posseduto da più generazioni dalla stessa famiglia o clan poteva improvvisamente diventare proprietà di un’altra tribù dopo uno scontro violento o uno sconfinamento in massa, spesso senza lasciare tracce permanenti dei proprietari precedenti.

E’ per questa ragione che il mantra moderno che recita “restituiamo la terra ai nativi” non ha molta logica. “Nativi americani” è un termine ombrello che racchiude un’incredibile varietà di culture, di approcci al potere e di eventi storici locali difficili da ricostruire, specialmente se si scava nella storia precedente all’arrivo degli Europei sul continente.

A chi dovremmo restituire la regione canadese attorno al villaggio di Wendake? Agli Irochesi, che dalla metà del 1600 se ne appropriarono con la forza, o agli Uroni, i precedenti “proprietari” dell’area? O forse ai Petun, il “Popolo del Tabacco”, in competizione per le risorse con gli Uroni da prima che gli Irochesi iniziassero a conquistare i clan minori?

Fonti:

Thanksgiving guilt trip: How warlike were Native Americans before Europeans showed up?
Slaveholding Indians: the Case of the Cherokee Nation  (PDF)
INTERTRIBAL WARFARE
Intertribal Warfare as the Precursor of Indian-White Warfare on the Northern Great Plains (PDF)
The Indians’ Old World: Native Americans and the Coming of Europeans
The Most Violent Era In America Was Before Europeans Arrived


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