La famiglia vichinga

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Nell’arco di pochi secoli i Vichinghi si conquistarono una fama di razziatori, navigatori, commercianti e abili combattenti. Ma anche i clan norreni più bellicosi trascorrevano la maggior parte del loro tempo tra le mura domestiche o nei campi.

Non conosciamo dettagli molto precisi sulla vita quotidiana dei vichinghi scandinavi, ma abbiamo a nostra disposizione le saghe islandesi e i resti ossei dei primi abitanti d’Islanda, due elementi che possono fornire un quadro abbastanza completo della tipica famiglia norrena.

Dalle saghe e dai resti scheletrici sappiamo, ad esempio, che i vichinghi islandesi vivevano in “case lunghe” occupate da diverse persone: i padroni di casa con i loro figli, i parenti più stretti e la servitù. Tipicamente, una casa lunga vichinga era occupata da 10-20 persone, tutte coinvolte (bambini inclusi) nelle attività necessarie a far sopravvivere ogni membro di queste famiglie allargate.

Aspettativa di vita

Per comprendere le ragioni che stanno alla base di alcune tradizioni domestiche norrene, come il non accettare un neonato in famiglia fino all’esecuzione di alcuni rituali scaramantici, occorre considerare l’aspettativa di vita di un giovane individuo norreno.

L’aspettativa di vita media era di circa 20 anni; i bambini sotto i 15 anni costituivano circa la metà della popolazione islandese e chi era così fortunato da raggiungere i 20 anni d’età aveva il 50% di probabilità di sopravvivere fino ai 50.

Una madre norrena partoriva mediamente 7 figli nell’arco della sua esistenza, continuando a lavorare in casa o nei campi prima e dopo il parto. Dato l’elevato tasso di mortalità, ogni coppia riusciva a far sopravvivere solo 2-3 figli e aveva ben poche possibilità di osservare la nascita dei propri nipoti.

Alla nascita, un bambino doveva essere soggetto ad una serie di azioni rituali prima di poter essere accettato a tutti gli effetti dalla famiglia e dalla società norrena: la madre doveva allattarlo al seno almeno una volta, e il padre doveva accettare esplicitamente il neonato, appoggiarlo sulle ginocchia e battezzarlo bagnandolo con acqua.

I neonati non accettati dai genitori, come accadeva spesso in caso di deformità o di difficoltà economiche, venivano semplicemente abbandonati nei boschi o gettati in fosse comuni.

In una fattoria norrena è stato scoperto un pozzo in cui furono gettati decine di bambini non accettati dalle famiglie, supportando l’idea che la pratica di uccidere o abbandonare un neonato non desiderato fosse relativamente comune.

La gioventù vichinga

Il tipico bambino norreno veniva trattato come un giovane adulto. Era tenuto a contribuire alle attività quotidiane e ad apprendere le abilità essenziali alla sopravvivenza della famiglia, come la lavorazione del legno o la cura degli animali.

Questo non significa che i bambini non avessero tempo per le attività ricreative: possedevano giocattoli e bambole, praticavano sport come nuovo e corsa, e occupavano il tempo libero casalingo con giochi da tavolo come l’hnefatafl. Ma allo stesso tempo apprendevano dai genitori ciò che sarebbe tornato loro utile da adulti, partecipando alle attività necessarie al sostentamento della casa.

Era abbastanza comune affidare uno dei propri figli ad un’altra famiglia. Considerata l’elevata mortalità infantile, quasi il 20% delle coppie non aveva figli viventi, ma poteva comunque allevare il figlio di un parente o di un suo superiore. Questo tipo di affidamento serviva anche a consolidare i legami tra famiglie alleate, e la famiglia adottiva riceveva supporto economico e pratico da parte dei genitori del bambino.

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Gli adulti apprezzavano molto i bambini in grado di prendere iniziative indipendenti, non solo nel gioco o nella vita quotidiana. Le saghe sono piene di esempi di bambini lodati per aver compiuto atti che oggi sarebbero giudicati sconsiderati, se non addirittura criminali: nella Saga di Gisla, Helgi and Bergr (rispettivamente 12 e 10 anni) vengono considerati degni di lode per aver vendicato la morte del padre uccidendo il suo assassino.

Un bambino veniva considerato ufficialmente adulto all’età di 16 anni, anche se in alcune circostanze l’età era inferiore: per poter essere qualificabile come giudice di una corte, occorreva avere soltanto 12 anni. Le donne prendevano marito a partire dai 12-13 anni, dipendentemente dagli accordi presi dai genitori delle due famiglie.

Fidanzamento e matrimonio

Il corteggiamento rappresenta da sempre una parte naturale dell’unione tra uomo e donna, ma spesso veniva interpretato come sconveniente dalla famiglia della ragazza. Il corteggiamento era costituito da visite continue alla casa della futura sposa, conversazione e letture di poesie; alcuni di questi atteggiamenti (come la lettura di versi di lode verso la ragazza) erano addirittura proibiti per legge, ma ci sono innumerevoli esempio di corteggiamento in versi, suggerendo che queste leggi venissero eluse o del tutto ignorate quotidianamente.

Il corteggiamento non era una faccenda da prendere sottogamba. Se anche la famiglia della futura sposa fosse riuscita a tollerare il corteggiamento, l’assenza di una formale proposta di matrimonio sarebbe stata interpretata come motivo di imbarazzo e un insulto per l’intera famiglia. Il rifiuto di una proposta di matrimonio aveva le stesse conseguenze per la famiglia del corteggiatore, e non era affatto raro che si scatenasse una vera e propria faida a seguito di un rifiuto.

Il corteggiamento e il successivo fidanzamento avvenivano quindi sotto la tutela dei genitori, i veri responsabili delle unioni. Il fidanzamento rappresentava un vero e proprio contratto tra il tutore della ragazza (solitamente il padre) e quello del ragazzo (idem), formulato in presenza di testimoni e suggellato da una stretta di mano.

La proposta di fidanzamento veniva avanzata dal tutore o da un suo rappresentante, e accettata o rifiutata dai genitori della ragazza; le parti coinvolte avevano poca voce in capitolo, specialmente se il matrimonio aveva forti risvolti politici o economici per le due famiglie coinvolte.

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La famiglia dello sposo si impegnava a pagare una determinata somma di denaro (mundr) per ottenere la ragazza, mentre il padre dello sposo si impegnava a versare una dote (heimangerð) al momento del matrimonio, che si sarebbe svolto a circa 1 anno di distanza dall’accordo.

Tradizionalmente la dote della sposa comprendeva una veste di lino e lana, un telaio, una macchina per filare e un letto; le ragazze provenienti da famiglie ricche potevano anche avere gioielli, bestiame o anche immobili. Tutto ciò che faceva parte della dote della sposa rimaneva proprietà della ragazza anche dopo il matrimonio.

Il divorzio era previsto nella società norrena per svariate ragioni (come l’impossibilità di avere figli) e si poteva dissolvere un matrimonio semplicemente annunciando le proprie intenzioni davanti ad un testimone. Non era insolito per una donna sposarsi diverse volte e ottenere parte delle risorse economiche del marito come risarcimento per un divorzio; questi risarcimenti spesso davano origine a faide sanguinarie tra le famiglie coinvolte, dispute che potevano durare diverse generazioni.

Patto di sangue

Oltre al matrimonio e ai legami di parentela, il mondo norreno aveva un altro metodo per unire due persone o due famiglie: il patto di sangue (leikr). Pratica comune tra commilitoni o famiglie alleate, il patto di sangue legava due persone o due clan tramite un giuramento solenne che seguiva un preciso rituale, descritto nella Saga di Gisla.

Nella saga, una striscia di zolla di torba viene sollevata tramite una lancia, in modo da creare un arco di terreno lasciando attaccate al suolo le due estremità della zolla. Sotto questo arco i due amici Thormodus e Thorgeir si tagliano con uno scramasax e fanno cadere il loro sangue a terra, mescolandolo con il terreno e pronunciando il giuramento solenne di vendicare il primo dei due che fosse morto.

I patti di sangue vengono menzionati anche in altre saghe, come la Saga di Örvar-Oddr, in cui Örvar-Oddr, dopo un lungo scontro con il guerriero Hjalmar terminato in parità, stringe un patto di sangue con il suo avversario diventando, di fatto, un fratello. Nel Lokasenna, infine, Loki e Odino mescolano il loro sangue creando di fatto un legame, motivo per cui Loki, figlio di jötunn , viene tollerato dalle altre divinità.

Families and Demographics in the Viking Age
Childhood in the Viking Age
Women’s Work and Family in the Viking Age
Children in the Viking period


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One Comment on “La famiglia vichinga”

  1. Intanto, il Cristianesimo medioevale condannava severamente l’infanticidio doloso e finanche quello colposo, causato per esempio da incidenti domestici da incuria.Di conseguenza, l’ infanticidio neonatale e prenatale era qui pratica diffusa ma clandestina.Uno dei motivi, che indussero in Napoli le autorità’ del tempo all’ istituzione della ruota di accettazione anonima presso il grande ospedale- ricovero dell’ Annunziata fu il frequentissimo riscontro, da parte dei pescatori locali, di corpicini in mare.Ma l’ ipocrisia del tempo tantomeno risparmiava quella “caritatevole” istituzione, oggetto di speculazioni politico-sociali di vario tipo e in epoca vicereale spagnola caratterizzata da una mortalità’ infantile a dir poco spaventosa.

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