Variolizzazione: la lotta contro il vaiolo prima del vaccino

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Il primo vaccino contro il vaiolo risale al 1796 e fu ideato dal medico britannico Edward Jenner; prima di lui era comune la variolizzazione, una rudimentale pratica di immunizzazione usata in Oriente almeno dal XV secolo.

Il vaiolo

Il vaiolo è una malattia infettiva causata da due virus, il Variola major e il Variola minor. Anche se oggi è stato debellato (l’ultimo caso di vaiolo contratto in modo naturale risale al 1977) ed eradicato ufficialmente nel 1979, per millenni rappresentò una vera e propria catastrofe per le popolazioni che colpiva.

Il Variola major può avere una mortalità superiore al 30%, con variazioni fino al 75% in base alla distribuzione e al numero delle pustole che produce, mentre il minor raramente raggiunge l’1% di mortalità. La forma emorragica del vaiolo ha invece una mortalità prossima al 100% e il decesso sopraggiunge tra i 7 e i 16 giorni.

Il vaiolo inizia a manifestarsi generalmente con febbre e vomito, per poi sviluppare eruzioni cutanee su tutto il corpo. Nel corso di qualche giorno l’eruzione si trasforma in vesciche piene di fluido e successivamente in croste che lasceranno segni indelebili sul paziente.

L’origine certa del vaiolo è sconosciuta, ma sappiamo che la malattia era nota fin dal 1.500 a.C. in India. La malattia ha probabilmente avuto origine tra i 68.000 e i 16.000 anni fa dal virus del vaiolo del gerbillo e da allora non fece altro che mietere vittime anche illustri, come Ramses V.

All’inizio del XVI secolo, il vaiolo era ormai diffuso in tutta Europa, probabilmente portato nel Vecchio Continente attraverso scambi commerciali e scontri militari con il mondo arabo. Il vaiolo colpiva soprattutto i bambini e causava la morte di circa 1/3 degli infetti.

L’arrivo del vaiolo nelle Americhe causò una vera e propria pandemia. Il tasso di mortalità tra i nativi era tra l’80% e il 90%, la stessa dei primi aborigeni australiani che vennero a contatto con la malattia tra il 1780 e il 1870.

Nel XVII secolo, ogni anno il vaiolo uccideva circa 400.000 europei; il 10% dei neonati svedesi moriva di vaiolo ogni anno, e la mortalità sembra essere stata anche superiore in Russia e in altre regioni del mondo.

Negli ultimi 100 anni prima della sua eradicazione, si calcola che il vaiolo abbia ucciso circa 300-500 milioni di persone; nel solo 1967 i contagi sono stati 15 milioni e i morti 2 milioni.

L’inizio della battaglia contro il vaiolo

Variolizzazione: la lotta contro il vaiolo prima del vaccino

Le prime pratiche documentate di variolizzazione fanno la loro comparsa in Cina durante il XV secolo. Il metodo prevedeva l’inalazione nasale di polvere di croste di vaiolo, una pratica che continuò durante il XVI e il XVII secolo.

Secondo la documentazione del tempo, si selezionavano soggetti infetti da ceppi non particolarmente letali di vaiolo, prelevando dalla pelle le croste o il liquido delle pustole per farli seccare e triturarli allo scopo di ottenere una polvere fine.

La polvere veniva quindi inserita in una sorta di cannuccia d’argento e soffiata nelle narici, la narice destra per gli uomini e quella sinistra per le donne. I pazienti sviluppavano quindi una forma minore della malattia e venivano trattati come se fossero infettivi quanto un individuo affetto dal Variola major.

Anche nel mondo arabo si iniziò ad adottare lo stesso metodo, specialmente in Sudan, dove la pratica del Tishteree el Jidderi (“corrompere il vaiolo”) era diffusa specialmente tra le donne. Una madre non protetta visitava la casa di un bambino infetto, legando un panno di cotone attorno al bambino per poi portare a casa il tessuto per legarlo attorno al braccio del proprio figlio.

Una seconda pratica, il Dak el Jedri (“colpire il vaiolo”), usata principalmente in Turchia, prevedeva la raccolta dei fluidi fuoriusciti dalle pustole allo scopo di spalmarli su un taglio profondo praticato sulla pelle dei pazienti.

Benché molto diffusa in Cina e in Africa, la variolizzazione fu considerata in Europa una tecnica medica priva di fondamenti scientifici fino al XVII secolo. Fu solo con la promozione della pratica a Costantinopoli da parte del medico italiano Emmanuel Timoni che iniziò a diffondersi nel Vecchio Continente.

Dopo aver appreso dell’esistenza della variolizzazione, Timoni scrisse una lettera nel 1714 in cui descriveva nel dettaglio il metodo di immunizzazione, attirando l’attenzione del predicatore di Boston Cotton Mather e della moglie dell’ambasciatore britannico nell’Impero Ottomano, Lady Mary Wortley Montagu.

Mary Wortley Montagu e il Metodo Sutton

Mary Wortley Montagu aveva perso il fratello a causa del vaiolo, per poi contrarre lei stessa la malattia poco dopo. Riuscì fortunatamente a sopravvivere ma riportò numerose cicatrici sul volto e sul resto del corpo.

Mentre si trovava in Turchia in compagnia del marito, venne a conoscenza della variolizzazione, una pratica relativamente comune a Costantinopoli. Nel 1718 sottopose suo figlio Edward, di 5 anni, alla variolizzazione, con la supervisione del dottore dell’ambasciata; nel 1721, al suo ritorno in Inghilterra, fece lo stesso per la figlia di 4 anni di fronte ai dottori della corte reale.

Mary Wortley Montagu
Mary Wortley Montagu

Dopo il successo della variolizzazione sui due figli, iniziarono i primi esperimenti inglesi sull’immunizzazione dal vaiolo. Il primo esperimento fu condotto su sei prigionieri della Prigione di Newgate di Londra, esponendoli dopo la variolizzazione a pazienti infetti da Variola major; se fossero sopravvissuti dimostrando immunità alla malattia, avrebbero in cambio ricevuto la libertà. L’esperimento fu un successo e la famiglia reale iniziò a promuovere la pratica in tutte l’Inghilterra.

All’inizio della seconda metà del 1700, il chirurgo britannico Robert Sutton subì la perdita di uno dei suoi figli a causa della variolizzazione. L’evento lo portò a cercare una nuova procedura per immunizzare i pazienti contro il vaiolo.

Il Metodo Sutton, che riscosse un grande successo a partire dal 1762, prevedeva incisioni superficiali della pelle, una selezione accurata dei pazienti affetti da forme lievi di Variola minor da cui prelevare campioni biologici e l’assenza di salassi per la purificazione del sangue, una procedura che spesso precedeva l’immunizzazione vera e propria.

La variolizzazione di Sutton, su cui il chirurgo costruì una vera e propria fortuna tramite la costruzione di cliniche di immunizzazione, fu condotta su oltre 300.000 pazienti con effetti negativi molto limitati rispetto a quelli prodotti dalla variolizzazione che prevedeva incisioni profonde e salassi estremi.

Una pratica non esente da rischi

Anche se è vero che molti pazienti a cui veniva praticata la variolizzazione riuscivano ad ottenere l’immunità dal vaiolo, è altrettanto vero che la procedura poteva avere effetti negativi non trascurabili.

Secondo i medici del tempo, la variolizzazione rendeva immuni al vaiolo in modo permanente, ma ci furono diversi casi in cui i pazienti immunizzati finirono vittime di un secondo attacco della malattia. Alcuni di questi contagi possono essere attribuiti a diagnosi sbagliate (diagnosi di varicella invece che di vaiolo), altri invece alla mancanza di memoria immunologica.

La variolizzazione tramite cicatrice, inoltre, prevedeva un livello di abilità medica e un’attenzione per i dettagli non molto diffuse in passato. Non era raro che i pazienti che contraevano la malattia in forma lieve diffondessero il vaiolo venendo in contatto con familiari, parenti e amici; inoltre, era abbastanza comune che le cicatrici non debitamente trattate sviluppassero infezioni, alcune con risultati fatali.

Infine, la medicina del tempo prevedeva l’uso di salassi estremi prima di procedere all’immunizzazione, salassi così pesanti da far perdere i sensi e motivati dalla necessità di purificare il sangue e prevenire la febbre.

Il principe Octavius di Gran Bretagna, ottavo figlio di Re Giorgio III, fu una delle vittime illustri della variolizzazione: dopo essere stato immunizzato insieme alla sorella Sophia, si ammalò gravemente morendo qualche giorno dopo il 3 maggio del 1783, all’età di 4 anni.

A partire dall’inizio del XIX secolo, la variolizzazione iniziò ad diventare una pratica sempre meno diffusa (in Russia divenne illegale nel 1805) per via dell’introduzione di un vaccino in grado di contenere enormemente gli effetti negativi dell’immunizzazione grazie all’uso di vaiolo bovino, non trasmissibile ad altri esseri umani.

Variolation
A death from inoculated smallpox in the English royal family
How Variolation Worked


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One Comment on “Variolizzazione: la lotta contro il vaiolo prima del vaccino”

  1. L’uomo lotta contro madrenatura, madrenatura ha le sue leggi improcastinabili,
    oggi si fa un gran parlare di razze, anche in questo caso cercando con leggi di
    cancellare le differenze, punendo gli eretici che fanno presente che esiste la
    diversita’ fra il genere umano e che se non si e’ orbi e’ alla vista di tutti.
    Io credo che le varie malattie siano uguale ad una lotta di possesso fra specie,
    una forma di colonizzazione invisibile che si manifesta in queste malattie, i piu’
    forti della specie attaccata resistono e sopravvivono, i piu’ deboli periscono.
    L’ uomo non ha piu’ rispetto per la natura, e si e’ elevato a dio, crede
    che le sue soluzioni o intrugli abbiano vinto queste manifestazioni, invece per
    cieco egoismo non esplora i danni futuri che sono peggio di quelli del passato.
    Da documenti segreti delle varie agenzie segrete che vogliono il dominio sulla
    specie del nemico, si sono accorti che i loro virus da laboratorio o le armi chimiche
    non possono fare miliardi di morti, ed allora si sono arresi all’evidenza che per avere
    la meglio forse e’ piu’ vantaggioso sfruttare quelle che la natura insegna da secoli,
    uccidere gli esseri viventi facendogli mancare l’essenziale: il cibo,l’acqua e un ambiente
    sano. La carestia e’ la migliore arma e ci stiamo arrivando con il codex alimentarius.
    L’uomo si sottomette alla natura.

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