Ostaggi volontari nella storia

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Il concetto di “ostaggio” aveva in origine una specifica interpretazione. L’ostaggio era essenzialmente concepito come una garanzia offerta a un nemico vittorioso – o addirittura un alleato – per il mantenimento di un patto o di un trattato, o come simbolo di sottomissione da parte dei vinti.

Paese che vai, ostaggio che trovi

Questa pratica era già divenuta consuetudine nell’antico Egitto, dove gli ostaggi di alto rango servivano garanzia di lealtà dei regni vassalli. La procedura fu po adottata e sviluppata dai Greci, per i quali il ricorso agli ostaggi servì anche a imporre determinate opinioni politiche su coloro che avevano difficoltà a condividerle: uno dei casi più noti è quello di Filippo II di Macedonia, la cui presenza come ostaggio a Tebe ebbe lo scopo di impedire ai Macedoni di assumere posizioni ostili contro la città.

Anche i Romani si servirono spesso di ostaggi: il caso del generale romano Ezio, che fu dato in ostaggio in gioventù prima ai Visigoti e poi agli Unni, mostra come questa pratica fosse una consuetudine sia di culture “civilizzate” che di quelle considerate “barbare”.

Il Medioevo non è privo di esempi famosi di ostaggi, a cominciare dai sei cittadini borghesi di Calais che, nel 1347, si offrirono come ostaggi a Edoardo III per garantire il salvataggio della loro città.

Il conte Jean d’Angoulême, figlio del Duca d’Orléans e nipote di Carlo V di Francia, fu consegnato nelle mani degli inglesi nel 1412 a seguito del trattato di Buzançais; trascorse 32 anni come ostaggio degli Inglesi in compagnia, fin dal 1415, del fratello Charles e fu costretto a vendere parte dei suoi possedimenti per ottenere la libertà.

Anche in Europa orientale la consegna degli ostaggi faceva parte della tradizione, come dimostra la vita di Giorgio Castriota (Gjergj Kastrioti, noto come “Skanderbeg“).

Di sangue reale, Skanderbeg fu consegnato in giovane età ai Turchi per dimostrare la lealtà del suo popolo nei confronti del governo della Turchia ottomana. Cresciuto nella tradizione islamica, Skanderbeg mise il suo valore militare al servizio del sultano Murad II, arrivando a ricoprire il rango di governatore (sanjakbey) fino al momento della sua diserzione durante la battaglia di Niš, momento in cui iniziò a delinearsi come eroe della lotta per l’indipendenza albanese.

Statua di Skandeberg
Statua di Skanderbeg

La pratica degli ostaggi volontari persistette fino al XVIII secolo. Alla fine della guerra della successione austriaca e ai sensi del trattato di Aix-la-Chapelle del 1748, gli ostaggi della nobiltà inglese rimasero a Parigi in attesa della restituzione alla Francia di alcuni dei possedimenti nordamericani britannici.

Hospes, ostaggi volontari

La posizione dell’ostaggio volontario era spesso abbastanza simile a quella di un ospite, fedele al significato della parola “hospes“. Come dei comuni ospiti, gli ostaggi volontari generalmente godevano di uno stile di vita abbastanza tranquillo, non molto differente da quello che conducevano nella loro terra natale e in linea con il loro rango sociale; talvolta godevano anche di una considerevole libertà di movimento.

Il fatto che la maggior parte degli ostaggi provenisse dalla nobiltà spiega il loro trattamento spesso privilegiato. Nella maggior parte dei casi gli ostaggi non temevano per la loro vita: il fatto stesso di essere stati consegnati volontariamente e il loro stato di salute garantivano il rispetto del patto tra le parti coinvolte.

Molti ostaggi ebbero modo di riceve un’educazione superiore, cambiare fede religiosa, confrontarsi con i dotti e i filosofi del regno che li ospitava; altri ricoprirono incarichi di notevole rilevanza per i loro ospiti sotto forma di ambasciatori, comandanti militari o consiglieri politici.

Skanderbeg, durante la sua permanenza come ostaggio presso Murad II, imparò il turco e il latino, fu addestrato al combattimento e alla strategia militare e si guadagnò la fiducia del sultano tanto da meritarsi il nome di Iskender (Alessandro), nazionalizzato dagli albanesi in Skënderbeg dopo la defezione dall’impero ottomano.

Jean d’Angoulême, durante i suoi oltre 30 anni di “prigionia”, collezionò una quantità notevole di libri; il fratello Charles, catturato durante la battaglia di Azincourt nel 1415, divenne uno dei poeti più prolifici della sua epoca durante i 25 anni trascorsi come ostaggio degli Inglesi.

La Battaglia di Azincourt (miniatura XV secolo, Lambeth Palace Library).
La Battaglia di Azincourt (miniatura XV secolo, Lambeth Palace Library).

Non deve quindi sorprendere che si potessero instaurare legami di reciproco rispetto tra gli ostaggi e i loro rapitori, legami che potevano anche assumere la forma di relazioni amichevoli nonostante le differenze culturali e politiche.

Dalla fine dell’ Ancien Régime, l’abitudine di fornire ostaggi volontari per consolidare un patto iniziò a declinare: i pochi casi noti si sono verificati durante la storia coloniale, come la circostanza che vide coinvolto il leader di Haute-Casamance che consegnò quattro dei suoi figli a garanzia del trattato di pace concluso con la Francia nel 1861.

A partire dal XVIII secolo, le garanzie offerte da uno Stato sconfitto per il rispetto di un trattato hanno generalmente assunto la forma di cedimento di possedimenti territoriali piuttosto che l’offerta di ostaggi volontari di alto rango: ad esempio, il trattato di Francoforte del 10 maggio 1871 prevedeva l’occupazione temporanea da parte delle truppe prussiane di diverse regioni nel nord della Francia in attesa dell’indennizzo per i costi della guerra.

Un’azione simile era stata precedentemente presa sia dall’esercito federale svizzero dopo la guerra del Sonderbund del 1847, sia dalle truppe nordiste dopo la guerra civile americana del 1861-1865, che occuparono il territorio sudista per assicurare il rispetto dei termini di pace imposti ai vinti. In questi casi, le popolazioni residenti si sentivano e venivano considerate come ostaggi alla mercé delle forze di occupazione.

Da hospes a obses

L’emergere di territori sempre più definiti e l’uso di intere popolazioni come potenziali ostaggi segnò un cambiamento fondamentale nella pratica dello scambio di ostaggi.

Dall’inizio del XVIII secolo, una nozione frammentata di sovranità attribuita a singoli individui è stata sostituita da un concetto più collettivo e unificato. Con l’avvento dello stato-nazione, la sovranità non era più incarnata da pochi individui isolati ma dai cittadini nel loro insieme.

In quelle condizioni, la consegna di ostaggi basata sul reciproco riconoscimento – sia del donatore che del beneficiario – del valore intrinseco e particolare dell’ostaggio scelto iniziò a perdere rilevanza, poiché in uno Stato nazionale tutti gli individui sono (almeno teoricamente) uguali e come tali hanno un valore identico e intercambiabile.

Nel corso di scontri sempre più feroci, in cui l’ostilità è l’unica relazione possibile tra gli avversari, l’offerta volontaria di ostaggi illustri come garanzia di rispetto reciproco non era più appropriata.

Allo stesso tempo, la presa di ostaggi tra la popolazione comune iniziò ad essere pienamente giustificata in circostanze prive di precedenti storici sulla base del fatto che chiunque, dal cittadino meno abbiente al ricco proprietario terriero, poteva essere considerato un ostaggio valido.

In questo contesto, non è difficile capire perché in epoca moderna l’ostaggio non sia generalmente offerto, ma venga invece preso con la forza e contro la sua volontà: questa evoluzione corrisponde allo sviluppo della legge di guerra e all’affermazione degli ideali derivanti dai diritti umani. Lo status di ostaggio non dipende più dalle conseguenze delle ostilità, ma dal conflitto stesso.

Non si parla più di hospes, ma di obses, di persone sotto sorveglianza le cui posizioni sono spesso il risultato di decisioni unilaterali o perentorie, una condizione che differisce fondamentalmente poco, in termini puramente materiali, dalla prigionia.

Dal punto di vista psicologico, il cambiamento è stato brutale: mentre lo stato degli hospes è caratterizzato da un’assenza di pericolo, quello degli obses è, al contrario, segnato dalla minaccia molto reale che incombe sull’esistenza della persona tenuta prigioniera.

A haunting figure: The hostage through the ages


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