La porpora: storia e produzione nell’antichità

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La porpora, chiamata anche rosso di Tiro o viola imperiale, è un pigmento rosso-violaceo ottenuto dalla secrezione di una ghiandola del murice comune, un mollusco della famiglia dei Muricidi, e di altri molluschi relativamente comuni nel Mediterraneo.

La porpora era uno dei pochissimi pigmenti antichi che non perdeva intensità anche dopo numerosi lavaggi, e forse l’unico che diventava più brillante con l’esposizione continua alla luce solare.

Nei millenni passati la porpora, difficile da produrre per vie dalle enormi quantità di molluschi necessari alla sua preparazione, fu spesso associata all’idea di ricchezza, potere e prestigio e raggiunse di frequente un valore commerciale superiore a quello dell’oro e di alcune pietre preziose.

La porpora come status symbol

La creazione del pigmento porpora si attribuisce ai Fenici circa 3.600 anni fa e contribuì non poco alla ricchezza e alla fama di commercianti e marinai di questo popolo, anche se alcune recenti scoperte archeologiche a Creta suggeriscono che quest’isola fu un importante centro di produzione delle porpora qualche secolo prima che i Fenici conquistassero il dominio commerciale di questo pigmento.

Sudario di Carlomagno colorato con porpora e oro
Sudario di Carlomagno colorato con porpora e oro

Spesso scambiata con argento o altre materie prime rare, la porpora diventò ben presto uno status symbol lungo tutte le coste del Mediterraneo.

Cornelio Nepote, storico romano vissuto tra il 100 a.C. e il 27 a.C., cita i prezzi della porpora:

Quando ero giovane, era di moda la porpora violacea e una libbra si vendeva cento denari; non molto tempo dopo era di moda la porpora vermiglia di Taranto.

A questa successe la dibapha di Tiro, che non si poteva comprare con mille denari per libbra… Si chiamava allora dibapha la porpora tinta due volte (come si trattasse di un dispendio fastoso), allo stesso modo in cui ora si tingono tutte le porpore scelte

Gli abiti colorati con questo pigmento erano così richiesti nell’antichità da aver contribuito in buona parte alla ricchezza dei Fenici, e il mercato stesso della porpora fu soggetto a regolamentazione sia nella Grecia e Roma antiche sia in tempi successivi.

La corte di Bisanzio, ad esempio, ne limitò l’uso ai tessuti imperiali, da cui il termine “nato nella porpora” per definire il diretto discendente al trono imperiale.

Un decreto di Diocleziano, invece, stabilì nel IV secolo d.C. un prezzo fisso per la porpora: un etto di pigmento era equivalente al valore di tre etti d’oro, o 50.000 denari (un costo traducibile in circa 20.000 euro moderni).

L’origine della porpora

La base della porpora è la secrezione rossiccio-violacea di una ghiandola presente in alcuni molluschi del Mediterraneo: Murex trunculus, Purpura lapillus, Helix ianthina e Murex brandaris.

Questi molluschi vivono in acque relativamente profonde e in antichità erano catturati utilizzando piccole nasse munite di esca lasciate sul fondale.

I molluschi usati per la produzione della porpora sfruttano la secrezione che contiene il pigmento come sedativo per le loro prede, come agente antimicrobico per i loro depositi di uova e come risposta all’aggressione da parte dei predatori naturali.

E’ possibile quindi “mungere” queste conchiglie semplicemente fingendo un’aggressione da parte di un predatore, ma il processo richiede moltissimo tempo rispetto al metodo tradizionale, molto più distruttivo ma estremamente più efficiente in termini di tempi e quantità estratte.

Murex brandaris
Murex brandaris

Il metodo tradizionale per produrre la porpora consisteva nel raccogliere grandi quantità di molluschi, separarli dal guscio protettivo e lasciarli qualche giorno al sole per dare inizio alla putrefazione, per poi tritarli in grossi mortai.

Secondo alcune ricostruzioni, 12.000 molluschi erano in grado di produrre 1,4 grammi di polvere di porpora, sufficiente a colorare solo parte di un vestito.

Questi numeri sembrano essere supportati dalla quantità di conchiglie della famiglia Muricidae scartate dal processo di lavorazione, gusci accumulati nel corso dei secoli nei pressi dei centri di produzione della porpora e che spesso formavano cumuli alti decine di metri.

Una descrizione dei tipi di molluschi impiegati per la produzione di porpora viene da Plinio il Vecchio:

Le porpore vivono al massimo sette anni. Si nascondono, come i murici, all’inizio della canicola per trenta giorni. In inverno si riuniscono e, sfregandosi tra di loro emettono un particolare umore mucoso.

Nella stessa maniera fanno i murici. Ma le porpore hanno in mezzo alla bocca quel fiore ricercato per tingere le vesti. Qui si trova una candida vena con pochissimo liquido, da cui nasce quel prezioso colore di rosa che tende al nero e risplende. Il resto del corpo non serve a niente.

Si cerca di catturarle vive, perché gettano fuori questo succo insieme alla vita. E si estrae dalle porpore più grandi dopo che viene tolta la conchiglia, mentre le più piccole vengono frantumate vive con la mola, in modo da fargli espellere quel liquido.

[…]

Le porpore vengono chiamate anche pelagie. Ce ne sono molti tipi, che si diversificano per l’alimentazione e per il substrato dove si trovano.

La lutense si nutre di fango mentre la algense di alghe, entrambe sono di scarsissimo valore: migliore è la teniense, che si raccoglie negli scogli; ma anche questa è troppo leggera e liquida; la calcolense prende il nome dai sassi del mare, incredibilmente adatta alle conchiglie in genere e soprattutto per le porpore; la dialutense si chiama così perché si nutre in substrati di vario genere.

Le porpore si prendono con strumenti simili a nasse, piccoli e con maglie larghe, gettati in profondità. Essi contengono come esca delle conchiglie chiuse e robuste, come i mitili: queste, mezze morte, ma ritornate in mare, rivivono aprendosi rapidamente e richiamano le porpore, che le penetrano con le loro lingue distese; ma quelle, stimolate dall’aculeo, si chiudono e stringono le lingue: così le porpore vengono tenute penzolanti per la loro avidità.

La produzione della porpora

Alcuni autori antichi descrivono il terribile odore di putrefazione che emanavano centinaia di migliaia di molluschi lasciati a marcire all’interno di grosse tinozze; i centri di produzione della porpora si trovavano generalmente lontano dagli insediamenti urbani per evitare di sottoporre gli abitanti ai miasmi emessi dai molluschi al macero.

Non conosciamo molti dettagli sulle varie fasi di lavorazione successive alla macerazione se non da Plinio il Vecchio, che descrive brevemente nella sua Historia naturalis il processo di produzione in uso sulla penisola italica:

La parte carnosa dell’animale, in cui si trova la ghiandola, era staccata dalla conchiglia e depositata in cavità scavate direttamente nel terreno. Dopo tre giorni di decomposizione, accompagnati da un odore quasi insopportabile, si procedeva a sistemare i molluschi in contenitori con acqua salata, riscaldandoli per un breve periodo. Il prodotto finale, ottenuto al termine di un processo che durava circa dieci giorni, era un liquido incolore o giallo pallido che acquistava il famoso colore violaceo solo in seguito all’esposizione al sole

Dopo aver tritato i molluschi in putrefazione e averli fatti bollire in acqua, le parti solide venivano filtrate e si aggiungeva sale alla soluzione, continuando la bollitura per qualche giorno fino a raggiungere la tonalità desiderata.

Una volta raggiunta la giusta tonalità, le fibre da colorare erano immerse nell’acqua calda (raramente venivano immersi tessuti interi) e lasciate a bagno per qualche tempo fino ad assumere una tinta permanente di porpora.

Veste bizantina colorata con la porpora
Veste bizantina colorata con la porpora
La porpora fenicia

Nella mitologia fenicia la scoperta della porpora viene attribuita al cane di Tyros, moglie del dio Melqart e patrona della città di Tiro: un giorno, camminando lungo la spiaggia, Melqart e la sua compagna notarono che il cane stava mordendo un mollusco spiaggiato.

Più mordeva il mollusco, più la bocca dell’animale si colorava di viola: Tyros fece quindi realizzare un abito colorato con il pigmento del mollusco, dando inizio all’industria della porpora fenicia.

La porpora fenicia rimase per molto tempo la qualità più pregiata in circolazione. I Fenici potevano vantare non solo un accesso facilitato alle materie prime necessarie alla produzione del pigmento (si spinsero fino alle Canarie per raccogliere molluschi), ma avevano accumulato secoli di esperienza nel mescolare differenti varietà di molluschi per ottenere pigmenti particolarmente rari e ricercati che andavano da un rosso profondo ad un indaco con tonalità bluastre.

I Fenici iniziarono a produrre porpora almeno 3.500 anni fa; nel corso dei secoli, la Fenicia si guadagnò il nome di “terra della porpora” per via della quantità e delle diverse varianti di pigmento prodotte ed esportate su tutto il Mediterraneo.

I Fenici producevano anche un pigmento indaco, chiamato anche “blu reale”, ottenuto dagli stessi molluschi utilizzati per il pigmento porpora. Stabilirono un avamposto per la produzione di indaco a Mogador, in Marocco, dove si raccoglievano e si lavoravano le secrezioni dei molluschi Hexaplex trunculus (o Murex trunculus, come venivano chiamati in precedenza).

Come per tutti i materiali pregiati, anche la porpora fu soggetta ad imitazioni a basso costo. Un metodo in grado di riprodurre alcune delle tinte della porpora era di origine gallica e prevedeva l’impiego di alcune specie di licheni o bacche per colorare i tessuti prima con pigmenti rossi e successivamente con pigmenti blu.

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